Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
I PRIMI STIPENDI ARRIVATI AI NEOELETTI ALLONTANANO IL RITORNO AL VOTO… IN UN MESE 14 ORE DI LAVORO AL SENATO, 20 ALLA CAMERA E 13-14.000 EURO DI STIPENDIO
Sono in arrivo 18 milioni di buoni motivi per non andare al voto a breve. Ma sostenere la nascita d’un governo, purchè sia.
Ai neoletti della XVIII Legislatura il 20 aprile è stata accreditata la parte retributiva per il primo mese di “lavoro”, il grosso arriverà intorno al 30, quando gli sarà bonificata anche la componente non soggetta a trattenute come diaria, rimborso forfettario e indennità per “esercizio del mandato“.
Il tutto, va detto, senza essersi proprio stancati più di tanto, visto che nessuno, tra neosenatori e deputati, nel primo mese ha lavorato più di 24 ore.
Proprio così: alla Camera ci si è fermati intorno alle 20 ore, addirittura 9 al Senato. Per gli Uffici competenze parlamentari però fa lo stesso. E prontamente, pagano.
Del resto dal 23 marzo in Parlamento non c’è poi molto da fare, proprio perchè l’assenza di un governo e di una maggioranza tiene in stallo la formazione di assemblee, giunte e commissioni.
Quasi un mistero, quindi, come abbiano riempito il tempo del primo stipendio. Nessuno in Parlamento ha detto nulla, neanche le forze politiche che han riempito le urne martellando sui tagli a costi e privilegi della politica.
Un silenzio trasversale che alimenta la lettura più malevola dello stallo in corso: che anche quell’accredito funga da collante invisibile per unire forze assai diverse a sostegno di un governo qualunque, fossero Lega-M5S come è sembrato per due settimane o M5S-Pd, come sembra ora. Alla fine, un altro mese passerà . Resta agli atti il poco lavoro svolto finora e la molta pecunia che ne deriva.
Dal 23 marzo il Senato si è riunito cinque sedute per i lavori della commissione provvisoria per la verifica dei poteri (durata due ore) e della commissione sugli Atti urgenti del governo (quattro ore). In totale: 14 ore e 27 minuti.
E a fine mese, puntuali, hanno incassato il loro stipendio: 5.767 euro di indennità , 3,500 di diaria, 2.090 di rimborso per le spese di mandato e 1.650 di rimborso forfettario. Dal bilancio 2017 di Palazzo Madama si ricava a spanne il costo tra competenze e rimborsi di un mese da senatori: 6,5 milioni.
Le sedute alla Camera sono state 7 per un totale di 20 ore di “presenza”, compresa quella di un 15 minuti per leggere i nomi dei componenti della Commissione speciale e ratificare la composizione dell’Ufficio di presidenza.
Quanto ci è costata questa presenza?
Il bilancio 2017 indica che un deputato tra indennità liquidate e rimborsi costa all’Erario 12 milioni e passa. Fanno 1,7 milioni a seduta, 705mila euro l’ora, l’equivalente per testa di 1.119 euro lordi l’ora (ma c’è chi può arrivare a 3mila grazie a missioni di studio o all’estero).
È uno scandalo o è il giusto costo della democrazia? Si dirà che alcuni governi hanno impiegato diversi mesi a vedere la luce (Dini, 127 giorni). Ma è pur vero che nella storia d’Italia non s’era mai visto un Parlamento così “populista”. Nel quale il silenzio sullo stipendio parlamentare per poche ore di lavoro rimbomba e alimenta il sospetto.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
LE PROTESTE DEGLI ABITANTI DEL PALAZZO: “STIAMO VIVENDO UN INCUBO, PERENNEMENTE SOTTO ASSEDIO, NON NE POSSIAMO PIU'”
Hanno tirato avanti di fronte alle manifestazioni di protesta, i cortei e i blocchi stradali, accettando e forse cercando di approfittare politicamente delle provocazioni. Ma a costringere gli iscritti e i simpatizzanti di CasaPound a fare le valigie dalla contestata sede di via Montevideo, alla Foce, sarà il mancato rispetto del regolamento di condominio e del contratto di affitto.
Stando al rapporto contrattuale firmato dalla proprietà dell’immobile, che nulla sapeva della presenza di Casa Pound (anche perchè, formalmente, il contratto è stato sottoscritto dall’associazione “La Cambusa”), e la controparte, si fa riferimento ad un uso esclusivo di “negozio”.
Dunque non una sede politica ma un punto vendita, con aperture a orari stabiliti e attività commerciali.
«Noi abbiamo contestato un uso diverso dei locali rispetto a quanto contrattualmente previsto. Quell’unità immobiliare va utilizzata come negozio, e così non è. Per questo abbiamo avviato le procedure necessarie per arrivare anche a una previsione di sfratto» – dice l’avvocato Giuseppe Giachero, legale della famiglia De Donno, proprietaria dei muri oggi utilizzati da CasaPound.
La lettera, formale e chiara, non lascia dubbi interpretativi: «I miei assistiti hanno appreso, principalmente dagli organi di informazione, che all’interno dei locali di loro proprietà di cui all’oggetto e da Voi condotti in locazione, è stata ufficialmente stabilita la sede del movimento politico denominato “CasaPound”. Se ciò dovesse corrispondere al vero, va da se che verrebbero a realizzarsi quelle condizioni paventate nella su citata mia precedente lettera e che porterebbero, inevitabilmente, alla risoluzione del contratto di locazione in essere ai sensi e per gli effetti del citato art. 80 della legge 392/78, in quanto detto locale non sarebbe destinato all’uso esclusivo di “negozio”, in detto atto dichiarato e pattuito, ma ad ospitare manifestazioni, convegni, riunioni, assembramenti di propaganda politica di estrema destra. Pertanto, sono preliminarmente a chiedervi di voler smentire la circostanza suindicata, se possibile anche in forma pubblica, pena l’inevitabile immediata risoluzione per inadempimento del contratto in essere».
Da CasaPound, però, finora sono sempre state respinte le accuse di mancata ottemperanza del contratto d’affitto. E, nel caso dell’ultima richiesta di chiarimento, non ha ancora risposto.
L’avvocato Graziano Lercari, incaricato di seguire la vicenda per conto dell’associazione politica replica in maniera netta: «Ho spiegato verbalmente al mio collega che riteniamo di avere agito correttamente. Siamo pronti ad arrivare in giudizio nel caso dovesse partire una richiesta di sfratto. Anche se non si può escludere una transazione o un accordo prima di arrivare in Tribunale».
Insomma, almeno in questa fase CasaPound sembra prendere tempo.
A fare il tifo per una soluzione che possa allontanare definitivamente l’associazione di destra dall’immobile sono i condomini di via Montevideo.
Nel corso dell’ultima assemblea di condominio le proteste e le espressioni di preoccupazione sono venute praticamente da tutti gli inquilini e residenti.
«Stiamo vivendo un incubo. Ogni volta che CasaPound organizza un evento ci troviamo la polizia e la Digos sotto casa, poi arrivano i contestatori e quando tutto finisce ci ritroviamo con i muri imbrattati di scritte e la sensazione di essere stati sotto assedio. È assurdo stare in questo clima» racconta uno degli abitanti.
(da “Il Secolo XIX”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
SARA’ L’ANNO PEGGIORE DA QUANDO ESISTE LA LEGGE… NOVE SU DIECI SONO IN CAMPANIA, CALABRIA E SICILIA
La mafia uccide solo d’estate ma si infiltra nei piccoli Comuni italiani tutto l’anno. L’allarme l’ha lanciato Avviso pubblico, associazione di enti locali per la formazione civile contro le mafie.
Solo nei primi quattro mesi del 2018 il Consiglio dei ministri ne ha già sciolti dodici. Gli ultimi cinque, il 26 aprile, tutti nel Sud Italia.
Tra questi ci sono anche Platì, in provincia di Reggio Calabria, già sciolto quattro volte per infiltrazione mafiosa e Limbadi, nel vibonese, dove lo scorso 9 aprile un’autobomba piazzata su una Ford Fiesta uccise Matteo Vinci che aveva denunciato la sorella di un boss dopo una lite per questioni di vicinato.
Dal 1991 a oggi sono stati 308 gli enti locali commissariati per infiltrazioni mafiose. Più di un terzo negli ultimi sei anni (101).
Solo l’anno scorso sono stati 21, ovvero una media di due scioglimenti al mese. E se il buongiorno si vede dal mattino, a questo ritmo il 2018 rischia di superare il record storico di Comuni sciolti: 34 nel 1993. In quell’anno ci furono sette attentati mafiosi, tra cui uno agli Uffizi di Firenze che provocò cinque morti.
Oggi la situazione è diversa ma rimane l’emergenza. E la legge, nata in un momento storico particolare, rischia di non essere più efficace così com’è.
Il governo Andreotti VII la approvò nel maggio del ’91 per sciogliere il Comune di Taurianova (Rc) dove era in corso una faida tra bande mafiose che aveva portato alla morte del salumiere Giuseppe Grimaldi, la cui testa era stata lanciata più volte dai suoi killer nella piazza del paese. Una scena che aveva fatto rabbrividire l’opinione pubblica italiana. La procedura di scioglimento è stata una misura adatta per l’emergenza delle bombe di Cosa Nostra tra il ’92 o ’93, ma oggi rischia di essere troppo drastica per affrontare un problema diventato costante.
«Servono altre misure intermedie e graduali per reintrodurre il Comune sciolto alla democrazia. Lo scioglimento deve essere solo un atto estremo per risolvere una situazione irrimediabile perchè crea sempre un trauma finanziario e operativo per l’ente che lo subisce.
Il rischio è che poi il Comune ci ricaschi, come è successo a Platì», dice Roberto Montà , sindaco di Grugliasco (To) e presidente di Avviso Pubblico. «A volte è meglio usare un cartellino giallo invece di uno rosso per cambiare un comportamento. Il prossimo governo dovrebbe riformare quella legge approvata in pochi giorni perchè scioglie il consiglio comunale ma rimane intatta la struttura amministrativa. La vera gestione degli appalti e dei bandi non le fanno i politici, ma i dirigenti amministrativi».
Il 92% degli scioglimenti di questi 27 anni è avvenuto in Campania, Calabria e Sicilia, ovvero le tre regioni delle principali organizzazioni criminali operanti in Italia.
Ma dal 2011 sono stati commissariati anche otto enti locali nel centro e nord Italia tra Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna e Lazio.
Da decenni ormai la mafia è un fenomeno nazionale, ma nell’immaginario comune pensiamo che le cosche agiscano solo nelle grandi città . Le serie tv ci fanno vedere le bande mafiose mentre si contendono le periferie di Napoli e Roma o si uccidono a colpi di mitra nel centro di Palermo.
«Ma ormai le organizzazioni criminali scelgono sempre più i comuni medio piccoli per i loro affari. Perchè queste amministrazioni gestiscono allo stesso modo delle grandi città gli appalti, i bandi e i finanziamenti ma hanno strutture più fragili perchè hanno bacini elettorali minori e più influenzabili» conclude Montà .
(da “La Stampa”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
DUE GLI SCENARI POSSIBILI
Il variopinto rifiorire di procedure da Prima Repubblica – dagli esploratori ai preincarichi – nei prossimi giorni potrebbe far lievitare anche il più vintage degli scenari: l’ipotesi di un governo balneare.
Uno di quei governi messi lì per lasciar «decantare», per prendere un po’ di tempo, per traghettare il Palazzo da uno scenario all’altro.
In questo caso per portare il Parlamento verso elezioni anticipate. Nell’ovattato riserbo del Quirinale in questi ore si continua a monitorare l’intensità dei veti contrapposti e i segnali restano poco incoraggianti.
Ecco perchè, assieme alla speranza di dare un governo stabile al Paese, si stanno cominciando ad esaminare anche gli scenari che potrebbero determinarsi in caso di fallimento del mandato esplorativo affidato al presidente della Camera e degli incarichi che dovessero seguire.
E tra le ipotesi c’è anche quella che contempla la possibilità di elezioni in autunno.
In questi primi 55 giorni post-elettorali Sergio Mattarella si è trovato a fronteggiare scenari senza precedenti nella storia della Repubblica: in 72 anni mai era mancata una maggioranza in entrambe le Camere.
Mai era diventata così plausibile la possibilità di una legislatura sciolta nel giro di pochi mesi e senza aver potuto dare la fiducia ad un governo.
Tanto è vero che nelle ultime 48 ore nel Transatlantico i peones più ingenui e i parlamentari più esperti si ritrovano a condividere lo stesso destino: chiedersi quanto siano plausibili le prime date che circolano per le elezioni. C’è il «partito» del 23 settembre, quello del 30 settembre e quello dell’11 novembre.
Fantapolitica? Certamente non sono date che escono dal Quirinale, dove però stanno soppesando tutte le ipotesi su un eventuale tragitto per arrivare allo scioglimento anticipato.
Diversi scenari, ma senza aver optato per uno in particolare.
L’enigma irrisolto ruota attorno ad un bivio ricco di implicazioni politiche e costituzionali. Sarebbe opportuno approdare ad elezioni con un governo, quello Gentiloni, già da mesi in carica per l’ordinaria amministrazione e che vi resterebbe addirittura per tutta la legislatura senza avere una maggioranza?
Oppure si punta ad un governo che sia espressione della legislatura in corso anche se non dovesse ottenere la fiducia? Più opportuno Gentiloni o un «governo di nessuno»? Apparentemente interrogativi da legulei, in realtà questioni che potrebbero porsi nel giro di qualche giorno.
Nel cinquattaquattresimo giorno di post-elezioni, col Palazzo in attesa del risultato delle elezioni in Friuli Venezia Giulia, hanno proseguito a correre voci e boatos di segno opposto.
Al Quirinale quella di ieri è stata registrata come una giornata senza novità , i contatti informali non hanno fatto registrare avanzamenti e comunque al Colle di solito si prendono con le molle le voci di giornata.
E si preferiscono studiare precedenti e opportunità politiche. In questo caso – ecco il punto dolente – un precedente uguale a quello in corso non esiste: le legislature, anche le più corte, hanno espresso tutte governi gratificati dalla fiducia parlamentare.
Non è dato sapere se Sergio Mattarella e Paolo Gentiloni sinora abbiano affrontato la questione ma negli ultimi giorni il tema sta diventando attuale.
In base ai precedenti, in caso di scioglimento anticipato, il Capo dello Stato ha davanti a sè due scenari possibili: far «gestire» le elezioni dal governo che attualmente è in carica per il disbrigo degli affari correnti, naturalmente dopo un avallo sostanziale da parte di tutte le forze politiche.
Oppure, formare un governo, farlo giurare (da quel momento è in carica) e fargli gestire le elezioni. Sia nel caso di fiducia accordata dal Parlamento, ma anche in caso di sfiducia, ipotesi da non scartare visto il clima di veti incrociati.
I precedenti raccontano che in due casi si è andati allo scioglimento anticipato delle Camere, sotto la guida di governi passati in Parlamento ma senza ottenerne la fiducia. Il caso più clamoroso risale al 1987. Amintore Fanfani, uno dei «cavalli di razza» democristiani, alla guida di un monocolore Dc, fu bocciato dal suo stesso partito ma restò in carica per 102 giorni, dei quali 56 pre-elettorali. Nel 1972 lo stesso destino era capitato a Giulio Andreotti, che rimase in carica dal 18 febbraio al 26 giugno. Precedenti tutti democristiani.
Ai quali aggiungere quello del primo governo balneare della storia repubblicana: lo formò Giovanni Leone nell’estate del 1963. Cinquantacinque anni fa. Seguirono poche altre repliche e sembrava che quegli esecutivi stagionali non dovessero più tornare. Nessuno avrebbe potuto immaginare che il primo Parlamento dominato da due forze anti-establishment potesse essere traghettato da un esecutivo balneare.
(da “La Stampa”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA CAPOGRUPPO SPIEGA I PUNTI DI CONVERGENZA
Roberta Lombardi, capogruppo del MoVimento 5 Stelle in Regione Lazio, in un’intervista rilasciata ad Annalisa Cuzzocrea su Repubblica, spiega che il Lazio potrebbe costituire un modello di intesa tra Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle:
Avete accusato il Pd di ogni nefandezza. Ammetterà che è difficile parlarsi.
«Un voto c’è stato, il Paese ha bisogno di cambiare e quindi, come noi a livello regionale abbiamo detto “non ci è piaciuto il risultato ma lo dobbiamo accettare”, la stessa cosa dovrebbe fare il Pd a livello nazionale. Se effettivamente ci sono dei temi su cui convergere».
Ci sono?
«Sulla carta sì. Il tema della lotta alla povertà ci accomuna. Ma certo il modo in cui lo abbiamo declinato noi, con il reddito di cittadinanza che sostiene i consumi e aiuta la riqualificazione in attesa di un nuovo lavoro, è molto diverso dal loro reddito di inclusione».
Solo quello?
«Sulla semplificazione della Pubblica Amministrazione, nel decretoMadia c’erano diversi spunti interessanti». Quali sono secondo lei le leggi irrinunciabili? «Reddito di cittadinanza, conflitto di interessi e anticorruzione».
Senza modifiche?
«Si possono trovare dei punti di mediazione, ma sono norme fondamentali per il Paese perchè si tratta di lottare contro mali endemici da cui tutto deriva».
Se il Pd proponesse un nome terzo per la premiership?
«Non so, dovranno essere i nazionali a trarre le conseguenze. Certo noi siamo gli unici che si sono presentati con un candidato premier e una squadra».
Crede a un ritorno di fiamma con Salvini?
«No. La Lega ha dimostrato un attaccamento a Berlusconi che ha dell’irragionevole».
Lei non avrebbe mai accettato un’intesa con il centrodestra?
«Sarei uscita dal Movimento se ci fossimo seduti al tavolo con Berlusconi. E a ogni sua parola mi convinco di aver ragione, come donna, prima che come persona».
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
LA LEGGE PROPOSTA DAI GRILLINI AVREBBE MESSO IN DIFFICOLTA’ MOLTI SUOI PARLAMENTARI
Nella passata legislatura il MoVimento 5 Stelle aveva presentato una proposta di legge sul conflitto d’interessi.
La prima firma era quella di Fabiana Dadone, ma la proposta era stata sottoscritta anche da altri big pentastellati come l’attuale presidente della Camera Roberto Fico, il questore anziano Riccardo Fraccaro e il neo capogruppo al Senato Danilo Toninelli. La disciplina proposta dal Movimento 5 Stelle era rigida.
Chiunque aveva partecipazioni superiori al 5 per cento del capitale di una società doveva stare alla larga dai palazzi della politica, a meno che non avesse mollato la propria attività 300 giorni prima delle elezioni.
Nella lista nera figuravano anche i direttori e i vice direttori di testate giornalistiche nazionali.
La parte divertente della vicenda, spiega oggi Salvatore Dama su Libero, è che con quella legge molti parlamentari grillini non avrebbero potuto essere eletti:
Che fine ha fatto quella proposta di legge? Congiunta (e annacquata) in un testo base, è stata approvata alla Camera per poi far perdere le tracce di sè al Senato. E menomale. Perchè allora altro che Berlusconi ineleggibile, il quale manco si è candidato.
Sarebbe stato circa il 20 per cento dei parlamentari grillini a essere in conflitto di interessi. Il dato emerge dalle schede di Openpolis.
Secondo il sito il 19,5% dei portavoce del Movimento 5 Stelle ha incarichi societari, mentre il 20,23% ha partecipazioni societarie.
In particolare viene messo in rilievo il caso di Michele Gubitosa, eletto ad Avellino e socio di 4 aziende e con 8 diversi incarichi.
Non avrebbe avuto conflitti, invece, Emilio Carelli, al momento della candidatura il giornalista aveva già mollato da un bel po’ la direzione di SkyTg24.
Insomma, la legge grillina avrebbe messo in difficoltà molti parlamentari grillini. Chissà se Di Maio quando l’ha rilanciata nei giorni scorsi per fare arrabbiare Berlusconi se ne è accorto.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
“SOGNAVO IN SILENZIO L’ARTE DA UNA CANTINA OCCUPATA, MI IMBUCAVO SUI SET PER MANGIARE IL CESTINO”… “QUESTO FILM E’ UN UNIVERSO D’AMORE”
“Sognavo in silenzio l’arte da un cantina occupata e mi imbucavo sui set per mangiare il cestino. Ero un intruso”.
Marcello Fonte è il protagonista di Dogman, il fim di Matteo Garrone in concorso a Cannes, si racconta in questa video intervista esclusiva ad HuffPost.
E dice: “Oggi mi piace vivere nei film perchè la vita reale mi ha stancato, è troppo difficile. Garrone? È un artigiano, il primo spettatore. Abbiamo fatto un film che è un universo d’amore”.
Alla fine l’asino l’ha spiccato il volo, con un raglio liberatorio, con voce panciuta e un filo schizofrenica. Voce e sguardo puntati a un tanto così dalla telecamera, di striscio per non farsi rubare l’anima, almeno non tutta quanta.
La storia di Marcello Fonte, alias Asino, dal film che ha scritto sulla sua storia, ha un che di favola, di neorealismo ancora vivo, ci trovi dentro Umberto D. e Miracolo a Milano, Mamma Roma e Brutti sporchi e cattivi, ci trovi dentro Verga, Victor Hugo.
Oggi Marcello al telefono parlava di un vestito, uno smoking, non sapeva nemmeno pronunciarlo bene, smochi diceva, e com’era leggero mentre lo diceva. Lo smochi per Cannes, il tappeto rosso, il cinema quello grande, con le luci grandi, con gli schermi grandi.
A raccontare la storia di Marcello Fonte si rischia di sconfinare nella banalità ad ogni riga, ad ogni parola, immaginate che io adesso scriva: – Marcello sta per andare a Cannes, protagonista dell’ultimo film di uno dei pochi geni ancora vivi in Italia, Matteo Garrone, ma è rimasto quel bambino che giocava nella discarica in cui è cresciuto…-
Ma nel mentre l’ho scritto e nessuno se ne è accorto. Cresce davvero in una discarica in fondo alla Calabria, nel fondo della punta di uno stivale mai omogeneo, una infanzia che è già un film. Il bambino piccolo di statura e sempre sporco dello sporco di cui gli altri si liberano in discarica.
La solitudine è primaria, i giocattoli veri pochi, pochissimi e allora Marcello comincia ad inventare il suo mondo, lo costruisce mettendo insieme pezzi di vite d’altri e immaginazione sua, parla con Dio che però confonde spesso con il suo Io, un dio senza D, la D di Umberto probabilmente.
Quando racconta di quel bambino è bellissimo notare che lo fa in terza persona, con gli occhi leggermente lucidi, come se stesse raccontando un personaggio. Alterna i racconti Marcello, poichè la narrazione vuole alternanza, cambio di registro.
Quindi appena la tragedia comincia a diventare mono tono, racconta di quando è stato investito da una 112, non si ricorda bene il colore ma pare fosse arancione, per un pezzo di pizza con le olive, mentre attraversava la strada.
Ed è questa la seconda volta che Asino vola, sbalzato da quella macchina. Poi il coma, tre giorni, e poi resuscita, ma appena sveglio la prima cosa che dice è: voglio morire!
In una nota a piè di racconto aggiunge che l’investitore, preso dal panico e dal rimorso, propose alla madre come risarcimento la 112 arancione.
Il bambino nonostante tutto cresce, non troppo ma cresce, vuole fare il meccanico, costruire, ha sviluppato tecnica e capacità , sa riconoscere uno scarto da un rifiuto, ciò che può avere una nuova vita da ciò che andrebbe sepolto per sempre, come i ricordi che fanno male al cuore e alla testa.
Cresce col tamburo che suona nella banda al posto del flicorno che i genitori non sono riusciti a comprare, pure il tamburo se lo deve aggiustare da solo.
A Roma il fratello fa lo scenografo, lo raggiunge per uno spettacolo, serve un musicista di strada per tre giorni, quei tre giorni durano ancora oggi, vent’anni dopo.
Ma serve una sistemazione, e Marcello trova una cantina di 14 metri quadrati, senza alcun servizio, nè acqua nè luce. Senza bagno. Impara ad usare i giornali e le bottiglie di plastica, ma quelle da tè che hanno il boccaglio più largo.
Serve un lavoro, prima aiuto scenografo, attrezzista. Abituato a gestire i materiali, riesce bene, impara il mestiere, scopre l’avvitatore. Un oggetto del diavolo o di Dio non sa ancora decidere. Una vite può essere avvitata in due secondi e senza fatica, la cosa migliore che l’uomo abbia inventato, l’avvitatore, ce ne dovrebbe essere uno in ogni famiglia sostiene.
Mentre inchioda cantinelle sui set, una strana forza lo attira verso l’altro lato dell’occhio magico, sotto le luci calde e accecanti, si imbuca fra le comparse vere e riesce a farsi vestire per il film, così che il capo comparsa fa prima ad inserirlo che a cacciarlo. Fulminato sulla via di Cinecittà , la nuova vita di Marcello prende il volo, Asino vola per la terza volta.
I cestini del cinema gli consentono di vivere, le esperienze si accumulano, sempre piccole cose, ma sempre presente. Lavora per tre mesi in Gang of New York, convinto che il regista fosse Scozzese della Scozia e non Scorsese delle Americhe. Resosi conto dei suoi limiti, comincia a studiare, ha sempre preso tutto sul serio Marcello, specialmente il cinema.
Matteo Garrone ha colto nel segno di nuovo, non sbaglia un colpo, Dogman si preannuncia come l’ennesimo capolavoro di un artigianato d’arte vera, con un regista di un altro mondo e un attore di altri tempi.
Adesso Asino sta per volare di nuovo, verso Cannes. Quando chiude la telefonata con la tizia dello smochi, sembra un po’ dispiaciuto, ha realizzato che non potrà vestirsi con il giubbotto leopardato che aveva addosso quando ci siamo conosciuti. Secondo lui non avrebbe sfigurato sul Red Carpet.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 28th, 2018 Riccardo Fucile
PROTAGONISTA UN 17ENNE IN UN ISTITUTO SUPERIORE DEL PISANO, SOSPESO E DENUNCIATO
E’ accaduto lo scorso febbraio, in un’aula di un istituto superiore del Pisano. Uno studente di diciassette anni ha puntato una pistola alla fronte del suo professore per umiliarlo davanti alla classe, urlandogli di alzare le mani e abbassare la testa.
Solo dopo avrebbe detto che era un’arma giocattolo e che stava scherzando.
Il ragazzo è stato sospeso e indagato per violenza privata continuata, minacce e ingiuria. La “colpa” del professore, quella di averlo richiamato energicamente all’ordine.
Secondo quanto riportato da La Nazione, il nuovo atto di bullismo si sarebbe verificato nel gennaio scorso.
Ancora scosso, l’insegnante avrebbe quindi chiesto l’aiuto di una collega che si sarebbe incaricata di riferire la vicenda al preside.
A quel punto il 17enne avrebbe riempito di insulti anche lei, cercando di impedirle di entrare nell’ufficio del dirigente scolastico, parandosi davanti alla porta. Sui fatti procede la procura presso il tribunale dei minori di Firenze e indaga la polizia.
Per lo studente, assistito dall’avvocato Tiziana Mannocci e che secondo quanto appreso sarebbe già stato interrogato, potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio.
Si tratta di un episodio grave, che rienta in un fenomeno che è andato ad intensificarsi negli ultimi anni. E’ recente il caso di Lucca e quello di Lecce. Nel primo uno studente minaccia il professore e gli intima anche di inginocchiarsi fra le risate della classe, nel secondo l’allievo ha preso a calci il prof e ha cercato di colpirlo con una sedia. In entrambi casi i ragazzi hanno chiesto poi scusa per il loro comportamento.
(da agenzie)
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