Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
DOVE VINCONO I SOVRANISTI ARRIVA IL REGIME
“È stato un momento orribile, abbiamo sempre lavorato per informare come un gruppo e sentendoci famiglia”. Veronika Munk è la vicedirettrice del giornale indipendente online Index.hu, una delle ultime voci libere in Ungheria di fatto messa a tacere con il licenziamento in tronco del direttore Szabolcs Dull da parte della proprietà maggioritaria, oligarchi che secondo ogni fonte esterna hanno eseguito un ordine del premier Viktor Orbà¡n. Scossa e triste, narra l’orrore quotidiano subàto dai giornalisti che vogliono fare informazione libera oggi in Ungheria.
Come è accaduto e qual è la situazione ora?
“Index è un giornale online che ha vent’anni ed è leader del mercato editoriale. Ci lavoro dal 2003. Mercoledà scorso abbiamo improvvisamente appreso che Szabolcs Dull, il nostro direttore, era stato licenziato. Ci siamo subito riuniti tutti e venerdà sui 90 presenti in 80 abbiamo deciso di dare le dimissioni. Per la legge ungherese, se lasci il posto di lavoro, devi restare a disposizione per altri 30 giorni”.
Quindi siete ancora una redazione?
“Non lo sappiamo. Il datore di lavoro può dirci se il nostro lavoro non serve più o se invece possiamo e dobbiamo tornare a lavorare. Ma venerdì è stato il nostro ultimo giorno, abbiamo lasciato l’edificio dove abbiamo lavorato insieme per anni per informare, non per far politica”.
Quanto è drammatica la situazione della libertà dei media in Ungheria?
“Negli ultimi dieci anni (da quando Orbà¡n è al potere, ndr) è davvero peggiorata. Molte aziende editoriali hanno cambiato proprietà e oggi hanno forti legami col governo. Molte fondazioni filogovernative controllano i maggiori giornali, le principali tv, molte stazioni radio. Index era il principale giornale online, era letto da tutti, offriva notizie 24 ore su 24, video, live. Una piattaforma multimediale di successo”.
E la proprietà perchè ha deciso il licenziamento e la stretta?
“Nelle ultime settimane in diverse riunioni ho percepito influenze esterne sulla fattura delle notizie. Inaccettabile. L’indipendenza dell’informazione nel nostro modo di vedere è indispensabile. E col licenziamento del direttore non è più consentita”.
Come avete reagito e come reagirete?
“Due anni fa avevamo rilasciato una dichiarazione pubblica per sottolineare che l’indipendenza dei media può significare molto per molte personalità e persone differenti. Avevamo posto due condizioni: nessuna interferenza sulla produzione delle notizie e sulla struttura della redazione. È cambiato tutto col licenziamento del direttore e, già mesi fa, con l’arrivo di consiglieri esterni nel board editoriale che davano indicazioni sulla redazione e sulla possibile esternalizzazione della produzione di notizie”.
Qual è l’atmosfera in redazione?
“Orribile, veramente orribile. Il mio sogno era lavorare fino alla pensione in questa comunità straordinaria di persone unite dalla voglia di dare notizie indipendenti. Ci siamo sempre sentiti come una famiglia. È stato il momento più duro. Non voglio lavorare in condizioni in cui l’indipendenza del mio lavoro è in pericolo. Index aveva un grande ruolo nella società civile ungherese. Ripeto, è orribile”.
Avete ancora speranza per la libertà dei media o temete che il governo voglia il controllo totale?
“Non so che cosa voglia il governo, sono una giornalista indipendente e voglio continuare a esserlo. Ripeto, il mio sogno è farlo fino alla pensione. Vedo che ci sono sempre meno compagnie editoriali indipendenti in Ungheria. E che secondo Reporters sans frontières siamo il secondo peggior Paese in Europa per libertà dei media”.
Che cosa spera per il futuro?
“Il mio contratto è ancora valido, non posso parlare del futuro”.
Pensate come gruppo di creare un nuovo media? Index indipendente aveva anche un bilancio in attivo…
“Vorremmo restare insieme e continuare a lavorare insieme. Il presidente dell’azienda che controlla Index ha detto che il licenziamento del nostro direttore era dovuto a motivi personali, ma non penso proprio che sia vero”.
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
LA NUOVA ONLUS SI DOTERA’ DI UNA IMBARCAZIONE: “NON POSSIAMO LASCIARE CHE LE PERSONE AFFOGHINO, CE LO CHIEDE LA COSTITUZIONE”
Una nuova nave solcherà presto il Mediterraneo per rintracciare e salvare chi rischia di morire in mezzo al
mare: 40 metri di lunghezza con 10 persone di equipaggio e 9 tra medici, infermieri, soccorritori, mediatori, giornalisti e fotografi.
Due gommoni veloci in appoggio assicureranno gli avvicinamenti alle imbarcazioni in difficoltà e il salvataggio.
La nave batterà bandiera “ResQ-People Saving People”: associazione nata negli ultimi giorni e pronta a rinforzare il fronte del salvataggio dei migranti sulle pericolose rotte via mare.
Nata dall’idea di pochi amici, oggi la neonata onlus già può vantare oltre 130 soci, tutti uniti nel «dire basta allo stillicidio di vite umane nel Mediterraneo, sia di coloro che muoiono affogati, sia di coloro che vengono riportati nei lager libici».
«Quando si è ventilata l’ipotesi di mettere in mare una nave per salvare le persone che affogano mi sono chiesto: se stessi annegando vorrei che qualcuno venisse a salvarmi? Ho risposto sì, sia alla domanda sia alla nave — ha spiegato oggi, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’associazione, Gherardo Colombo, presidente onorario di ResQ — oltretutto ce lo chiede la nostra Costituzione, che bandisce ogni discriminazione e tutela la salute di tutti».
Il progetto prevede di fare rete con chi già opera nel Mediterraneo ed entro 18 mesi essere in mare con una propria nave, oltre a diversi gruppi di lavoro a terra. Costo stimato di tutta l’operazione: 2 milioni e 100mila di euro. Fondi da reperire attraverso una campagna di crowdfunding, avviata da oggi sul sito resq.it.
«Saremo gli ultimi arrivati — afferma Luciano Scalettari, presidente della onlus — per questo siamo in contatto con i “cugini” di Mediterranea e con le altre navi già impegnate in mare, prima di tutto per imparare. Perchè una nave in più? Perchè crediamo che ci sia bisogno di 10, 100 navi in più a presiedere quel tratto di mare, dove troppo spesso gli sos cadono nel vuoto».
Ad applaudire l’iniziativa è l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi: «Oggi su 80 milioni di persone in fuga nel mondo, il 90% si trova fuori dall’Europa. Un esempio? L’Uganda in questo periodo ha aperto le frontiere a migliaia di rifugiati dal Congo. I flussi verso l’Europa sono più che gestibili. È immorale che si discuta ancora se sia giusto o meno salvare le persone in mare. È un obbligo. E visto che gli Stati non sono all’altezza delle loro responsabilità , serve la società civile. Per questo applaudo all’arrivo di ResQ».
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE ISTITUZIONALIZZATA
Assassini. Torturatori. Carnefici del mare. Ecco chi il Parlamento italiano ha deciso di rifinanziare. Assassini in divisa, arruolati nella cosiddetta Guardia costiera libica, un’associazione a delinquere istituzionalizzata. Non chiamatelo incidente. Non uccideteli per la seconda volta.
Quella che è avvenuta la notte scorsa a Khum, est di Tripoli, è stata una vera e propria esecuzione. Tre migranti sudanesi sono stati uccisi, e altri quattro feriti, in una sparatoria avvenuta la scorsa notte a Khums, est di Tripoli, durante le operazioni di sbarco.
“Le sofferenze patite dai migranti in Libia sono intollerabili”, ha affermato Federico Soda, capo missione Oim in Libia. “L’utilizzo di una violenza eccessiva ha causato ancora una volta delle morti senza senso, in un contesto caratterizzato da una mancanza di iniziative pratiche volte a cambiare un sistema che spesso non è in grado di assicurare alcun tipo di protezione”.
“Questo incidente sottolinea con forza che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco”, gli fa eco l’inviato speciale dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, per la situazione del Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel. “E’ necessario aumentare la capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, includendo le navi delle Ong al fine di aumentare la probabilità che le operazioni di salvataggio conducano allo sbarco in porti sicuri al di fuori della Libia. C’è anche bisogno di maggiore solidarietà tra gli Stati costieri del Mediterraneo”
Solidarietà , porti aperti, inclusione, sostegno al meritorio lavoro delle Ong: sono parole e concetti che non hanno cittadinanza nell’azione politica del governo Conte II, che sulle questioni libiche e dei migranti è una fotocopia in peggio del governo Conte I. In peggio perchè più ipocrita
“Gli autori degli ‘orrori indicibili’, già denunciati dal segretario generale Onu e ribaditi dalla Corte penale dell’Aja, non dovranno spegnere la macchina istituzionale della tortura. Da governi diversi, il voto ha riunito tutti i protagonisti di questi anni, da destra a sinistra, riuscendo nel ‘miracolo libico’ di creare una maggioranza trasversale nelle stesse ore in cui 65 esseri umani rischiano di perdere la vita mentre nessuno interviene: nè le motovedette di Tripoli, nè Malta e meno che mai l’Italia, ormai autorelegata all’interno delle acque territoriali…”. Così su Avvenire Nello Scavo, profondo conoscitore dell’inferno libico.
Torturatori, stupratori, assassini cambiano casacca e indossano la divisa. Partono con le loro imbarcazioni, che noi finanziamo, e riportano i migranti nei lager, dove tutto ricomincia da capo.
Non è un mistero che i boss del traffico di esseri umani e i comandanti della Guardia costiera che dovrebbero stroncarlo siano spesso le stesse persone. Questa ricostruzione è confermata da oltre duemila testimonianze di migranti che sono agli atti di numerose inchieste giudiziarie, anche italiane, come quelle delle Procure di Trapani e di Catania.
“Da tre anni denunciamo, insieme ad altre organizzazioni umanitarie, gli orrori dei lager libici che avvengono con la connivenza e il finanziamento italiano — afferma in una nota Oxfam – Eppure il governo continua ad aumentare le risorse a favore delle autorità libiche e della Guardia costiera che da molte inchieste risulta direttamente collegata al traffico di esseri umani. Una vergogna che si ripete”.
Di tutto ciò il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, sono a conoscenza. Non possono dire: “Non sapevamo”.
Che la Guardia costiera libica sia una accolita di criminali e trafficanti riciclati lo sanno bene. Eppure li hanno rifinanziati.
E con loro i parlamentari, di maggioranza e opposizione – tranne 23 che hanno avuto il coraggio politico e l’onestà intellettuale di votare “no”- che hanno dato luce verde al rifinanziamento della vergogna. Ed ora non versate lacrime su questa esecuzione di innocenti. Abbiate almeno questo sussulto di decenza.
(da Globalist)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
MIGLIAIA DI GIOVANI CERCANO UNA SPERANZA DI VITA MIGLIORE IN UN PAESE AL COLLASSO
L’Italia scopre che esiste una “bomba tunisina”. E prova a disinnescarla. Ma quella “bomba” che rischia di
far deflagrare il Paese nordafricano si chiama malessere sociale, assenza di futuro per migliaia di giovani che pur di ritrovare una speranza di una vita migliore, si fanno migranti e affollano i barconi che provano a raggiungere le coste italiane. Per l’Italia è allarme rosso.
La titolare del Viminale è volata a Tunisi dove ha fatto presente al presidente della Repubblica, Kais Said, i “seri problemi” causati all’Italia dai “flussi incontrollati”, invitandolo ad agire per rafforzare la vigilanza ed impedire le partenze.
Roma, da parte sua, è pronta a sostenere gli sforzi del Paese che versa in una grave crisi economica e politica, con un Governo dimissionario.
I tunisini chiedono all’Italia radar, manutenzione delle motovedette donate, addestramento delle forze di sicurezza.
Roma è pronta a sostenere il Paese e vorrebbe un aumento della quota settimanale di rimpatri, ma prima servirà un Governo regolarmente in carica. Proprio dalla Tunisia proviene oltre un terzo dei 12mila migranti giunti in Italia quest’anno.
Il Covid però ha ulteriormente aggravato le condizioni del Paese, privando la popolazione della principale fonte di reddito: il turismo. Così in tanti, quasi tutti giovani, scelgono la via della fuga.
“Da Paese di transito, la Tunisia si sta trasformando sempre più in un Paese di origine dei flussi migratori — dice a Globalist Abdessatar Ben Moussa, avvocato, presidente della Lega per i diritti umani, uno dei membri del Quartetto per il dialogo nazionale tunisino, insignito, nel 2015, del Premio Nobel per la Pace – Una cosa è certa: quello dei migranti non può essere ridotto a un problema di sicurezza e di attività di polizia. La difesa dei diritti umani è importante ma lo è altrettanto il rafforzamento dei diritti sociali. La democrazia si rafforza se si coniuga alla crescita economica, alla giustizia sociale, a realizzare prospettive di lavoro per i giovani”
Arrivano nelle aree di Porto Empedocle, Sciacca, Licata, nell’Agrigentino, su barconi di legno di 10-12 metri, che spesso vengono anche abbandonati.
Più a ovest, verso Trapani o Mazzara, gli immigrati sbarcano, invece, da gommoni che portano dalle 20 alle 40 persone alla volta.
E’ la rotta tunisina, che attraversa il confine tra Tunisia e Libia.
Annota Paolo Howard ,in un documentato report su Affari Italiani: “Considerare la rotta tunisina quale mera alternativa a quella libica appare riduttivo. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri…I protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna”.
A Sud, le nostre frontiere esterne sono composte da Paesi che non sono solo più di transito, per migranti e rifugiati, ma di origine. E’ il caso, per l’appunto, della Tunisia. Sono i migranti tunisini a imbarcarsi dai porti di Sfax e Kerkenna, raramente gli stranieri (secondo il Forum tunisino dei diritti economici e sociali, tra il 2011 e il 2016 il 74,6% delle persone che hanno lasciato il Parse sono cittadini tunisini).
Sebbene negli ultimi mesi il flusso di migranti sub sahariani lungo il confine tunisino-libico sia cresciuto (migranti che vengono in Tunisia per trovare lavoro e raccogliere i soldi per pagare i passeur), ad oggi i protagonisti della rotta restano i giovani tunisini che, stretti nella morsa di una economia impoverita e di un clima politico asfissiante, fuggono a bordo dei social media prima ancora che delle imbarcazioni di fortuna.
I “gelsomini” non bastano per sfamare un popolo. I diritti non si mangiano. Una “rivoluzione” non si consolida se non riesce a dare un tetto, un lavoro, un futuro ad un popolo giovane. A nove anni dalla revolution yasmine, la Tunisia si riscopre inquieta, pervasa da un malessere sociale che investe tutti i settori della popolazione. Diplomati, laureati, professionisti: la protesta parte da lì. E dai ragazzi: un popolo sotto i 35 anni che si trova governato da una classe politica di ottuagenari. La loro è anche una rivolta generazionale.
Nell’ultimo anno il Pil è cresciuto meno dell’1 per cento, la disoccupazione è schizzata invece al 15% (anche se secondo chi protesta la percentuale è almeno il doppio). I disoccupati sono oltre 600 mila, di cui più di un terzo in possesso di diploma di istruzione superiore .
Le conquiste democratiche, avviate dopo la fuga dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali, il 14 gennaio 2011, non sono state accompagnate da una crescita economica in cui tutti speravano. Secondo l’ex ministro dell’Economia, Houcine Dimassi, “tutti i numeri indicano un netto peggioramento della situazione economica rispetto al 2010-2011”, quando Tunisi registrava un aumento del Pil tra il 4 e il 5 per cento. Una crisi economica drammatica, che non risparmia i beni primari: tutto è caro, la carne rossa costa 25 dinari al chilo, in tavola arriva se va bene una volta al mese. Senza contare che bisogna pagare l’affitto, le bollette, l’assistenza sanitaria, che non è più gratuita per nessuno, neanche per chi ne avrebbe diritto. Un dramma per un Paese che ha la disoccupazione al 30% e ben poche speranze di mobilità sociale.
Secondo Ispi, si stima che approssimativamente 95.000 persone abbiano lasciato la Tunisia dall’inizio delle proteste a oggi, l’84% delle quali con un alto livello di educazione.
(da Globalist)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
TUTTI I PARTECIPANTI ALLA FESTA SI SONO AMMALATI… ADESSO HA CAMBIATO IDEA
Tony Green, 43 anni di Dallas, e il suo compagno hanno organizzato una festa il 13 giugno per una dozzina
di membri della famiglia tra cui il suocero Rafael Ceja, la nonna e le sorelle del suo compagno perchè consideravano l’emergenza Coronavirus una “scamdemic” e COVID-19 una bufala.
In pochi giorni tutti i partecipanti alla festa si sono ammalati, lui è stato ricoverato in ospedale e la nonna è morta.
La storia l’ha raccontata lui stesso a Dallas Voice: nei mesi dell’emergenza l’uomo, che è un seguace di Trump, ha violato tutte le regole del lockdown: “Credevo che il virus fosse una bufala. Credevo che i media mainstream e i democratici lo usassero per creare il panico, mandare in crash l’economia e distruggere le possibilità di Trump di farsi rieleggere”.
Per questo ha organizzato la festa del 13 giugno e il giorno dopo si è svegliato con i sintomi di SARS-COV-2. Nei giorni successivi si sono ammalati i suoi cari e quelli del suo partner, inclusa la suocera che è morta il primo luglio.
Adesso però ha cambiato idea: “Non potete immaginare quanto mi senta in colpa per aver ospitato il raduno che ha provocato tanta sofferenza”, ha scritto nella newsletter di cui è regolare contributor.
“Ho preso in giro quelli che indossavano le maschere e rispettavano le distanze sociali”. “A coloro che negano l’esistenza del virus voglio dire che il Coronavirus è reale ed estremamente contagioso, e che puoi passarlo ai tuoi amici, famigliari, colleghi e vicini prima di scoprire di essere malato”, ha aggiunto.
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
SCUSE TARDIVE: CHI SI PRESTA ALLA PROPAGANDA SOVRANISTA E NEGAZIONISTA E’ COMPLICE ANCHE PRESTANDO IL SUO VOLTO E LA SUA IMMAGINE
“Se il mio intervento al Senato ha generato sofferenza, di questo io chiedo sinceramente scusa, perchè proprio non era nelle mie intenzioni. Così come nelle mie intenzioni non era di offendere chi dal Covid è stato colpito”.
Andrea Bocelli chiede scusa dalle sue pagine social, dopo l’intervento al convegno in Senato che ha scatenato molte polemiche per le parole del tenore.
Nel suo intervento Bocelli esprimeva dubbi sulla gravità della situazione e si è detto “umiliato e offeso” per le limitazioni alla sua libertà durante il lockdown. Ieri era stato fatto girare un intervento in cui sosteneva di essere stato frainteso.
Oggi “chiedo sinceramente scusa perchè le mie intenzioni erano tutt’altre”, dice nel video postato sulla sua pagina facebook.
“Non era nelle mie intenzioni offendere chi dal COVID è stato colpito, anche la mia famiglia è stata contagiata e abbiamo temuto il peggio perchè nessuno può conoscere l’andamento di una malattia ancora oggi sconosciuta. Lo scopo del mio intervento in Senato era quello di sperare in un futuro in cui i bambini potessero vivere la normalità . Questo solo era il senso del mio intervento, e a tutti quelli che hanno sofferto a causa del modo in cui mi sono espresso, sicuramente non il più felice, chiedo sinceramente scusa perchè le mie intenzioni erano il contrario”, conclude.
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
ERANO NELLA SEDE DELLA DANA, SEQUESTRATI COME CORPO DEL REATO
Dai primi riscontri della Guardia di finanza è completa la partita di circa 25 mila camici, ieri sequestrati
alla Dama spa, l’azienda di cui è amministratore delegato Andrea Dini, cognato del governatore della Lombardia Attilio Fontana, entrambi tra gli indagati dalla Procura di Milano per frode in pubblica fornitura.
I camici, ora custoditi come corpo del reato in un magazzino nella disponibilità dell’autorità giudiziaria, costituiscono il lotto non consegnato della fornitura ad Aria, centrale d’acquisto della Regione Lombardia, di 75 mila pezzi che l’azienda che detiene il marchio Paul&Shark, ha trasformato in corso d’opera in donazione per rimediare al “pasticcio” venuto a galla per via del conflitto di interessi.
Il Nucleo speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, che è stato fino all’una di notte nella sede della ditta, ha sequestrato anche documentazione contabile e corrispondenza e le comunicazioni tra Dini e gli uffici di Aria spa, la centrale acquisiti regionale e la Regione stessa. Sono quindi stati completati gli accertamenti per avere la certezza definitiva che si tratta davvero della partita non consegnata e che Dini ha tentato, senza riuscirci, di rivendere
La verità è che Dama SPA era talmente felice di donarli a Regione Lombardia che aveva evitato di completare la fornitura fino ad oggi dopo l’intervento del governatore che aveva portato a trasformare la fornitura in donazione.
Secondo quanto hanno scritto i giornali, l’azienda del cognato del governatore ha successivamente cercato di vendere gli altri 25mila camici ad altri clienti, non riuscendovi. Questo può aiutare a fornire un quadro più esauriente della vicenda dal punto di vista storico, a prescindere dalle responsabilità penali che andranno accertate, sulla generosità di cui stiamo parlando da qualche tempo.
(da “NextQuotidiano”)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
IRONIA E RABBIA IN RETE CONTRO FONTANA: “E’ COME CHI RIDEVA DURANTE IL TERREMOTO A L’AQUILA: LA GENTE MORIVA DI COVID E LUI TRAFFICAVA CON COGNATO E CON IL CONTO IN SVIZZERA”
Mentre si indaga sul conto in Svizzera del presidente della Lombardia e si osservano i movimenti bancari degli ultimi mesi, sul web rabbia e ironia contro il governatore Attilio Fontana si confondono nell’hashtag #Tana_per_Fontana.
I social non risparmiano le critiche sull’inchiesta dei camici bianchi forniti dall’azienda del cognato del presidente della Lombardia alla Regione in tempi di Covid e su Twitter da giorni spopolano i commenti sulla vicenda. “Ve lo ricordate quello che rideva durante il terremoto a L’Aquila? Adesso trovatemi la differenza con Fontana che, mentre la pandemia imperversava nella sua regione, trafficava con cognato e conti in Svizzera”, attacca @La_manina.
E @GianluigiFuturo aggiunge: “Mentre la gente moriva gli ‘affari’ non si fermavano, anzi, approfittavano della tragedia. È diventato questo il senso della politica?”.
Rabbia mista a preoccupazione per un Paese dove sempre più spesso, come dimostrato da varie inchieste, durante le tragedie chi sta al comando pensa agli affari, piuttosto che al bene dei cittadini.
“Non dichiara il suo patrimonio e viene segnalato all’autorità anticorruzione che lo multa. Fa un bonifico di 250mila euro da un conto in Svizzera con soldi dalle Bahamas all’impresa del cognato e viene segnalato all’antiriciclaggio #Tana_per_Fontana, quando non lo si becca che fa?”, ironizza @LgMarangon e @LilianaArmato pubblica su Twitter la foto del leader della Lega, Matteo Salvini, al citofono, con il post: “Scusi… qui abita uno che ha fatto un bonifico di 250mila euro da un conto svizzero come risarcimento al cognato per un acquisto di camici, poi trasformato in donazione non riuscita, che però ha dichiarato di non saperne nulla?”.
In molti, però, non nascondono l’amarezza. “Sapete cosa mi infastidisce di più della vicenda dei camici? Che il tentativo maldestro di Fontana di rimediare ad un’operazione, quantomeno poco trasparente, viene trasformato dai suoi compari come un atto di liberalità . Non credo al buon cuore in politica”, attacca @MilkoSichinolfi.
Duro l’attacco di @pirex70: “Quante terapie intensive, quanti respiratori, quanta assistenza sanitaria domiciliare, si potevano fornire alla Lombardia con le tasse che non ha pagato il signor Fontana grazie ai conti all’estero? Vergogna!”.
(da agenzie)
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Luglio 29th, 2020 Riccardo Fucile
ORA SI E’ SPECIALIZZATO IN COLONNE SONORE A BASE DI TAMBURI
Lo abbiamo visto indossare qualsiasi divisa, maglietta (passando da Prima la Padania in giovane età , a
quelle di ogni singola località in cui si è recato per fare comizi e propaganda).
Ora è diventato anche direttore d’orchestra, inserendo nei suoi video social sottofondi musicali allusivi. Questo è il nuovo Matteo Salvini.
Tutto era partito dai bonghi utilizzati per ‘sottolineare’ il discorso di Aboubakar Soumahoro. Poi l’esperimento musicale si è rinnovato in ogni video sui migranti pubblicato sui suoi canali social. L’ultimo riguarda gli sbarchi Ragusa.
Ovviamente non è lui in prima persona a realizzare quei filmati, ma il suo cospicuo team social guidato da Luca Morisi da via delle Botteghe Oscure. Ma le pagine portano il suo nome, quindi quel che viene pubblicato non può che essere inevitabilmente approvato dal senatore, ex ministro e segretario del Carroccio. Una svolta alla Ennio Morricone, e il maestro da poco compianto ci perdonerà per questo paragone.
Questo è solo l’ultimo, pubblicato qualche ora fa. Gli sbarchi Ragusa vengono narrati seguendo lo spartito leghista delle mezze informazioni. Si mostrano migranti appena arrivati che fuggono, ma non si racconta che nel giro di qualche istante le Forze dell’ordine li abbiano bloccati e isolati. Ovviamente, però, questo non fa comodo alla propaganda leghista che, invece, si fomenta utilizzando una musichetta allusiva. Come già accaduto anche ieri per il caso Lampedusa.
Ma non il leader della Lega (e il suo team) forse ritiene di essere simpatico con quelle scelte musicali che, ovviamente, sottendono ben altro.
Ennio Morricone ci perdoni per quel confronto-affronto con cui abbiamo titolato questo articolo. Ma, forse, c’è qualcuno che ha provato a imitarlo, accompagnando le immagini con una musica incisiva.
Ma, a differenza del maestro, qui si allude al razzismo.
(da agenzie)
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