Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
LA CAUSA AL SENATO PER RIAVERE LA PENSIONE PARLAMENTARE… GLI AEREI BLU USATI COME TAXI
Lei già si immagina la scena: l’intero Veneto in festa ad accoglierla con tutti gli onori perché l’impresa sarebbe da record olimpico, altro che il medagliere di Federica Pellegrini.
Perché se va come deve andare, sarà la prima donna eletta al soglio quirinalizio dopo aver seduto sullo scranno più alto del Senato, un uno-due micidiale da far impallidire persino il suo mentore Silvio Berlusconi e non c’è cerone che tenga: Maria Elisabetta Alberti Casellati davvero crede che a un certo punto, quando il momento sarà propizio, i pianeti si allineeranno in suo favore per consegnarla alla meta più ambita, il settennato da Capo dello Stato. I giochi del resto sono aperti più che mai e chi lo dice che per quelle strane alchimie della politica alla fine non si trovi conveniente consegnare proprio a lei le chiavi del Colle?
Tutto è davvero possibile e se ne è resa conto pure l’altro giorno fiutando l’aria attorno a Pierferdinando Casini, uno che nella rosa dei quirinabili ci è entrato da tempo grazie a Matteo Renzi che ne ha enfatizzato il profilo di «solido, saggio, europeista filo-atlantico».
A Palazzo Madama però dove si svolgeva il convegno sulla crisi in Afghanistan organizzato da Pierfurby molti hanno dato “buca”: si è presentato solo Matteo Salvini mentre altri invitati tra i potenziali grandi elettori per la corsa al Colle non sono andati proprio o se la sono sbrigata in due minuti collegandosi da casa, come nel caso di Renzi.
Chi mai farebbe un tale sgarbo al prossimo inquilino del Quirinale? Di sgarbi Casellati invece non è abituata a farne, meno che mai a chi dice lei. Perché è vero che quando conduce l’aula rampogna a destra e a manca senza troppi complimenti.
Ma poi sulle questioni che contano lavora di cesello: se non fosse stato per lei, per dire, Matteo Salvini sarebbe stato “processato” in aula per via dell’affaire Metropol, la presunta trattativa su una compravendita di petrolio russo tra il responsabile del Carroccio dei rapporti con Mosca Gianluca Savoini con alcuni funzionari russi che, stando ad una registrazione di Buzzfeed, avrebbe dovuto avere lo scopo di alimentare con 65 milioni di dollari le casse della Lega.
Per Casellati una non-notizia: «Il Senato non può essere il luogo del dibattito che riguarda pettegolezzi giornalistici».
Ancor più gradito dalla Lega, ma anche da Fratelli d’Italia, Forza Italia e pure da Matteo Renzi il suo interventismo sul ddl Zan tra inviti al rinvio e riconvocazioni della conferenza dei capigruppo quando ormai era già bello e pronto per il voto dell’aula.
Per questo la presidente del Senato ha rimediato qualche critica, ma di fronte ai fischi si è regolata alla solita maniera: «Gli Europei li abbiamo già vinti, non permetto un clima da stadio». Fine. Sua Presidenza così facendo s’è fatta anche qualche nemico, ma niente di irrimediabile. Perché Casellati ha buoni indizi per dire che è in una posizione invidiabile rispetto ad altri candidati più divisivi o che rischiano di inciampare in corso d’opera cadendo uno a uno come d’autunno sugli alberi le foglie, chi per un motivo chi per un altro. E che alla fine per il gioco dei veti incrociati, nella maionese impazzita che è l’attuale fase politica, risulterà inevitabile puntare su un nominativo come il suo che si presta a mille suggestioni, ma soprattutto a una: è la personalità di maggior peso istituzionale in Forza Italia, partito di cui in molti a partire da Renzi e Salvini si contendono le spoglie politiche.
Certo il Cav sarebbe ben lieto di terminare la propria carriera politica in compagnia dei Corazzieri, ma è una pia illusione. E allora chi resta? Se si pescherà tra gli azzurri solo lei. Ma a ben vedere pure nell’intero centrodestra non c’è alcun candidato papabile che le sia pari quanto a standing conquistato grazie agli amici, ma pure ai nemici.
VISTA QUIRINALE
Anche di questi ragionamenti si nutrono le speranze di Casellati convinta che sul suo nome sia già caduto ogni tabù giacché per lo scranno più alto del Senato l’ha votata pure chi non ne voleva sapere e poi si è invece convertito alla sua causa, magari più che per convinzione, per necessità.
Convincendola che è oramai tutto perdonato, dove per tutto si intende il suo impegno indefesso durato un ventennio per salvare le penne a Berlusconi anche quando si trattava di giurare in Parlamento che Ruby Rubacuori era davvero la nipote di Mubarak, per tacere delle leggi ad personam e della ormai stranota manifestazione contro le toghe di Milano ia cui ha partecipato pure lei e in primissima fila.
Tanto curriculum peraltro non le aveva neppure pregiudicato ancora prima dell’elezione alla presidenza del Senato di raggranellare un solido pacchetto di voti che le sono serviti per essere spedita in quota Forza Italia tra i componenti laici del Csm. Dove se eletta Capo dello Stato rientrerebbe dalla porta principale ché l’inquilino del Quirinale è secondo la Costituzione anche capo supremo del Consiglio superiore della magistratura. E sarebbe un gran giorno: un sogno per i berluscones di ogni generazione e innanzitutto per lei. Che è donna di fede certo, ma soprattutto di volontà persuasa che la politica è la più alta forma di carità, ma soprattutto è l’arte del possibile.
Compresi i miracoli di cui è peraltro esperta: oltre alla conversione alla sua causa degli avversari politici che le hanno garantito i voto per fare cotanta carriera, quando c’è lei di mezzo può accader di tutto. Quand’era al Csm, per dire, ha fatto causa a Palazzo Madama per vedersi riconosciuto il vitalizio da ex senatrice con il lauto stipendio erogato da Palazzo dei Marescialli.
Prima le hanno risposto picche ché il regolamento interno sulle pensioni dei senatori fa divieto di cumulare il vitalizio con altri lauti emolumenti derivanti dagli incarichi assegnati dalla politica. Poi guarda un po’, una volta diventata presidente il Senato, le è stato dato ragione. C’è da dire che nella vicenda del suo vitalizio Casellati non ha peccato di ineleganza: la delibera perché le fosse accordato l’assegno, arretrati compresi, non se l’è firmata da sola, ci ha pensato il suo vice Roberto Calderoli.
Quando si dice la classe. Ma a fugare ogni residuo dubbio sui poteri non si sa quanto taumaturgici di Sua presidenza c’è pure altro. Che dire del Festival dei due Mondi di Spoleto dove negli anni sono passati gli artisti più importanti dell’orbe terracqueo?
CUORE DI MAMMA
Ebbene quest’anno a entrambi i figliuoli, direttore d’orchestra uno, l’altra imprenditrice del settore due ruote, è stata riservata una vetrina d’onore. E per un giorno, l’8 luglio scorso, Spoleto si è trasformato nel Festival dei due Casellati: ore 16 la promozione del cicloturismo con Ludovica, ore 20 e 30 concertone in Piazza Duomo diretto da Alvise.
Ma guai a dire che c’entrano le amicizie di mammà con gli organizzatori del Festival e in particolare con l’ex senatrice di Forza Italia Ada Urbani che è stata pure consigliere politico oltre che amica di lungo corso di Sua Presidenza. Che tanto soffre per le polemiche che riguardano i suoi figli e lei ma soprattutto non si fa capace di tanta ingratitudine.
Per dire, quando si è scoperto che durante il Covid ha fatto da spola a ripetizione tra Roma e la natia Padova come se i voli di Stato fossero taxi, si è risentita. Insomma c’è rimasta male che gli italiani non abbiano capito l’alto magistero di cui è investita che le ha consigliato ogni prudenza a causa del virus per tacere dei dolori alla schiena che, anche volendo, le impedirebbero di percorrere tanti chilometri con i mezzi a disposizione dei comuni mortali.
Ma non è nuova a questo tipo di arrabbiature e a farne le spese, finora, sono i suoi portavoce: ne ha rottamato sei in due anni e mezzo. Ritenuti evidentemente incapaci di mettere un freno alle fughe di notizie e alle critiche come quelle per la cena organizzata appena eletta nella residenza presidenziale di Palazzo Giustiniani con ospite d’onore Silvio Berlusconi che proprio dal Senato è stato cacciato con disonore.
Per non parlare della figuraccia rimediata quando ha tamponato l’auto di Sergio Mattarella, causa sorpasso azzardato in quel di Vò in provincia di Padova. Già Padova, il suo regno.
Dove ormai è una celebrità sempre per via di un’impresa aerea: un paio di anni fa aveva benedetto il territorio messo a dura prova dalla pandemia a bordo di un elicottero dell’Esercito insieme alla statua con annesse reliquie di Sant’Antonio, di cui è fedelissima nonostante resti di gran lunga più famoso di lei. Un successone anche se qualcuno ha osato storcere il naso: ingrati.
(da TPI)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
SFIDE INCROCIATE, GRILLO NON PONE VETI
A fine giornata, dopo il passo indietro di Berlusconi e mentre il pallottoliere M5S sembrava spostarsi deciso verso il sostegno a Draghi per il Quirinale, Giuseppe Conte segna un punto a suo favore: la linea che esce dal vertice del centrodestra — l’ex capo della Bce rimanga a Palazzo Chigi — è anche la sua.
Una linea che però sembra andare nella direzione opposta a quella di buona parte dei suoi parlamentari (sondati a taccuini chiusi), sostenitori di un presidente che garantisca di arrivare a fine legislatura, cioè appunto Draghi. «Sono soddisfatto per il ritiro di Berlusconi— commenta Conte —. Che si aggiunge all’ulteriore soddisfazione per il fatto che adesso tutti si stanno lentamente rendendo conto che non possiamo permetterci di interrompere l’azione del governo di unità nazionale e sostituire Draghi a Chigi. Sarebbe alto infatti il rischio di bloccare il Paese con una crisi di governo difficilmente risolvibile».
L’ex premier è convinto che questo cambio di scenario sia stato sancito anche dal suo incontro con Salvini, con il quale fa sapere di aver concordato di arrivare a un nome terzo rispetto a Draghi.
Uno scenario diverso rispetto a quanto raccontano i parlamentari non in linea con il loro «capo». «Ha presente il wrestling? Ecco, la metafora è perfetta», commenta un deputato pentastellato (d’esperienza) mentre filtrano i nomi di sfilze di candidati e veline con guerre di posizione. Ma questa battuta, forse, racconta lo scenario interno: «La guerra in corso c’è, ma è una roba di cazzotti apparenti. La verità è che l’unico ingrediente in grado di tenere insieme tanti nostri parlamentari è un nome che garantisca di arrivare al 2023. E questo profilo ce l’ha Draghi».
La battaglia interna al M5S, insomma, si starebbe giocando sulla trattativa per gli assetti dell’ipotetico governo del dopo: quanto peseranno i 5 Stelle? Chi andrà dove? Nelle ultime ore, pur travolto dall’inchiesta Moby, nelle chat dei parlamentari è ribalzata anche la linea di Beppe Grillo: «Non dirò una parola», lasciando però più che aperta la strada dell’attuale premier verso il Colle.
L’ennesima «cabina di regia» guidata da Conte, prima del ritiro di Berlusconi, si era chiusa senza una posizione chiara. E tutto mentre continuavano a filtrare candidati d’interdizione attribuiti al leader pentastellato, tipo: Andrea Riccardi, Filippo Patroni Griffi, Paola Severino.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in un quadro partitico pur frammentato controlla discreta parte dei 230 parlamentari, ancora una volta ha tenuto una posizione di basso profilo. Impossibile strappargli una dichiarazione: silente, continua a tessere la sua tela pro Draghi. Tra gli obiettivi di Di Maio c’è sì la stabilità, ma anche rimanere alla Farnesina. Intanto, oggi, Conte vedrà gli alleati Letta e Speranza. I rischi, quando verrà indicato il candidato, riguardano ancora una volta la tenuta dei gruppi. Troppe le anime da mettere d’accordo. Il gruppo di «ortodossi» che fa capo al presidente della Camera Roberto Fico sembra ben orientato su Draghi. Ma c’è anche l’ex sottosegretario Riccardo Fraccaro, accusato di aver trattato con Salvini un pacchetto di voti per Giulio Tremonti. Fraccaro smentisce, minaccia querele, ma precisa: «No a Draghi». E c’è, infine, la pattuglia di una ventina tra deputati e senatori, tra cui Primo Di Nicola e Danilo Toninelli che tifa per il bis di Mattarella.
(da Il Corriere della Sera)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
CRESCE L’IPOTESI CASELLATI, I NOMI SONO QUELLI BOLSI DI SEMPRE
A 24 ore dalla prima votazione per il Quirinale, gli occhi sono puntati sui movimenti all’interno del centrodestra, e su quelli di Matteo Salvini in particolare.
Ieri, 22 gennaio, dopo il passo indietro di Silvio Berlusconi, fonti della Lega hanno subito fatto sapere che Salvini «ha contattato i segretari degli altri partiti per confermare quanto emerso durante la riunione.
Il leader della Lega ha chiarito ai suoi interlocutori che il centrodestra lavora a una rosa di nomi, tutti di altro profilo». Nei panni di aspirante kingmaker, Salvini cerca ora un nome che sia condiviso all’interno della coalizione ma che, a differenza di quello di Berlusconi, possa raccogliere consensi anche nel centro e tra le file del Movimento 5 stelle.
La ricerca di un profilo istituzionale così «indiscutibile da poter trovare consensi anche fuori dalla coalizione», scrive il Corriere della Sera, potrebbe portare alla candidatura della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Le indiscrezioni di palazzo dicono che potrebbe non dispiacere ad ambienti pentastellati, tanto che nel centrodestra qualcuno ha visto la nota del presidente M5s, Giuseppe Conte, come un’apertura in questo senso: «Facciamo un passo avanti e cominciamo un serio confronto tra le forze politiche per offrire al Paese una figura di alto profilo, autorevole, ampiamente condivisa».
Il vecchio asse giallo-verde potrebbe ricomporsi però anche su un altro nome, quello di Pierferdinando Casini. In ambienti di Forza Italia si vocifera di un’intesa trasversale sull’ex presidente della Camera, anche se fonti del Carroccio smentiscono: «Casini è stato eletto al Senato dal centrosinistra».
Il suo nome, però, potrebbe tornare di moda con il passare delle votazioni. Restano accesi i riflettori su Mario Draghi: una sua uscita da Palazzo Chigi potrebbe portare anche a elezioni anticipate, è il ragionamento di Fratelli d’Italia, mentre Salvini e Berlusconi spingono perché resti premier.
E nel frattempo si continua a sfogliare la rosa dei possibili candidati: da Letizia Moratti a Marcello Pera, da Franco Frattini a Gianni Letta, passando per Giulio Tremonti e Carlo Nordio. Oggi i leader del centrodestra dovrebbero avere un nuovo confronto, questa volta senza Berlusconi, prima di verificare un’intesa con gli altri partiti.
(da Open)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
SOSPESI 50 PUNTI TAMPONE NEL NORD ITALIA
È la «truffa della tessera sanitaria» ed è l’ultima trovata dei No vax per avere il Green pass senza vaccinarsi.
Secondo quanto riporta Repubblica, i Nas hanno sospeso una cinquantina di punti tampone perché hanno riscontrato operazioni irregolari nell’inserimento dei risultati dei tamponi nel sistema del ministero della Salute.
La truffa è realizzata all’insaputa delle farmacie, che se riscontrano la positività al Coronavirus del soggetto che si sottopone al tampone la registrano sulla tessera sanitaria esibita, spesso senza controllare l’identità. E così la persona positiva va in più di una farmacia, fa molteplici test e li fa registrare su diverse tessere sanitarie di persone non contagiate ma che così risultano aver avuto il Covid e possono quindi avere il Green pass senza vaccinarsi. Falsi positivi caricati sul sistema, insomma. Che, dopo dieci giorni, ricominciano con il giro delle farmacie per fare il tampone da negativi e quindi certificare l’avvenuta guarigione, festeggiando con un passaporto sanitario valido sei mesi.
Le verifiche a campione dei Nas sono avvenute nel Nord Italia nei punti tampone e nelle farmacie, in Lombardia e Liguria. Le verifiche avvengono sui documenti di identità e i codici fiscali di chi si presenta per fare i tamponi per il Covid.
In Alto Adige è stata predisposta la sospensione di 31 delle 3mila postazioni per inserire i risultati dei test, proprio per il sospetto che siano stati registrati dei “falsi positivi” al Covid.
«Apprendo con preoccupazione che si sta diffondendo una nuova pratica per evitare il vaccino e ottenere il Green pass», dice il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. «Persone positive con il codice fiscale degli amici No vax vanno a farsi un tampone in farmacia in modo da far risultare anche loro positivi e successivamente guariti». Poi l’appello: «Mi sono già confrontato con Federfarma sull’argomento e mi hanno assicurato che verranno controllati ancora con più attenzione i documenti e per questo ringrazio i farmacisti, da giorni in prima linea, e le forze dell’ordine che stanno facendo ispezioni a tappeto per scoprire i furbetti, che poi tanto furbi non sono perché, commettendo un reato, potrebbero dover pagare molto caro il loro comportamento scriteriato. Anche storie come questa ci suggeriscono l’obbligo vaccinale come unica strada per sconfiggere il Covid».
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
SULLO SFONDO RESTANO FORTI LE CANDIDATURE DI CASINI, DRAGHI E CASELLATI
La situazione a 30 ore dall’inizio della prima votazione per il Quirinale è ancora molto incerta, anche se ieri sera sono arrivati i primi elementi certi, con il ritiro della candidatura di Silvio Berlusconi e lo stop contestuale da parte del leader di Forza Italia dell’ipotesi Mario Draghi.
Questo secondo elemento, meno atteso del primo, ha fatto fregare le mani a molti protagonisti della partita: Berlusconi ha detto quello che altri speravano, frenando la candidatura dell’attuale premier.
La cosa non dispiace certo a Giuseppe Conte (in un M5s diviso), ma neanche al Pd e a Matteo Renzi.
Inoltre la rinuncia del Cavaliere dà ora mani libere ai due più giovani (e più forti) leader del centrodestra. Matteo Salvini e Giorgia Meloni possono trattare in campo aperto. Già, ma cosa può succedere a questo punto?
È inutile continuare a ricamare sulle divisioni all’interno dei 5 Stelle, o sulle incertezze e l’ordine sparso nel Pd. Anche perché questa, mutatis mutandis, è la stessa situazione che c’è nel centrodestra.
Dove sulla carta rimangono le candidature di Elisabetta Casellati presidente del Senato e di Letizia Moratti vice presidente della Lombardia, che però paiono per motivi diversi piuttosto deboli.
Le chance di Casellati
Beninteso le due, e soprattutto la Casellati, restano carte spendibili: oltretutto la presidente del Senato rischia di diventare capo dello Stato reggente se il 3 di febbraio, giorno in cui spira il settennato di Sergio Mattarella, non sarà stato ancora eletto il successore. Ma in realtà nel frastagliato mondo dei grandi elettori e di coloro che ne tengono le fila non c’è nessuno che pensa che ci si spingerà così lontano, perché il rischio sarebbe di far crollare tutto, compresa la legislatura. Come tutti sanno questo è il vero asse della sfida del Quirinale, vincere o perdere, ma questo parlamento deve restare in piedi fino al 2023, quando la maggior parte dei deputati e senatori dirà addio al seggio.
L’ipotesi Draghi
Per questo ci vuole una soluzione solida per la successione a Mattarella (che non resterà neanche sotto tortura, nonostante le residue speranze di molti) E allora chi c’è in campo? Quali sono i nomi papabili? C’è Casellati: si è detto, può essere il candidato di bandiera e istituzionale del centrodestra, che metterebbe in difficoltà il resto dei grandi elettori, proprio perché non è una protagonista dello scontro politico, che la renderebbe divisiva, ed è comunque la seconda carica dello Stato.
E c’è ancora comunque il nome di Draghi, perché pur se indebolito dai no e dai forse delle varie forze politiche rispetto all’ipotesi della sua candidatura, il premier arresta sempre la figura e di riferimento e di garanzia a livello internazionale di questo momento dell’Italia, e comunque sicuramente di alto profilo: ma la sua forza paradossalmente è il suo elemento di debolezza per i partiti che tra un anno si giocano la sopravvivenza e la vittoria alle elezioni, dopo questa lunga fase anestetizzata della lotta.
I pro e contro di Casini
Restano per questo sia per il Quirinale sia per il Palazzo Chigi due nomi molto diversi tra di loro, e in queste ore prendono sempre più quota: da una parte uno dei parlamentari di più lunga navigazione, pur se ancora 66enne, Pierferdinando Casini. Conosciuto da tutti, simpatico a molti, per lui è certo difficile, quasi impossibile, usare l’aggettivo “divisivo”. Ma questo è anche il suo limite, di essere stato tra i fondatori del centrodestra berlusconiano, poi tra gli artefici del tentativo di nuovo centro con Rutelli e Fini, per poi essere eletto senatore nelle liste del Pd: per chi si intesta le battaglie per il nuovo (a cominciare dal Movimento 5 Stelle, che pur divisissimo è il gruppone di maggioranza relativa tra i mille grandi elettori) è difficile digerire una soluzione di questo tipo.
L’apprezzamento trasversale per Belloni
E allora rimane l’altro nome che in queste settimane è timidamente apparso come riserva sia per Palazzo Chigi sia per il Quirinale: una donna stimata da tutti, tecnica ma molto a conoscenza dei meccanismi della politica, che ha servito il paese soprattutto dai ruoli diplomatici del Ministero degli Esteri.
Si chiama Elisabetta Belloni, ed è il caso più unico che raro di una figura di cui nessuno parla male e, ancor più difficile, di cui praticamente tutti i protagonisti della politica esprimono forte apprezzamento.
L’unico vero ostacolo a una sua candidatura alla sostituzione di Draghi o a quella di Mattarella deriva dalla posizione che recentemente le è stata assegnata, cruciale ma anche molto delicata, e che – per usare un eufemismo – non fa certo curriculum nell’ascesa in un paese democratico ai ruoli istituzionali più importanti, visto che da pochi mesi è alla guida dei servizi segreti.
Ma in queste ore il suo nome viene considerato sia nel Movimento 5 Stelle sia nel Pd sia in molte aree del centrodestra. Aspettiamo e vedremo: le elezioni presidenziali sono facili da raccontare, ma solo a posteriori.
(da Open)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
ERA IN TERAPIA INTENSIVA DA UN MESE
Il medico Roberto Marescotti, originario di Copparo (nel Ferrarese) è morto il 18 gennaio a causa del Coronavirus.
No vax convinto, non si era immunizzato ed era fra i protagonisti dei “No paura day“, le manifestazioni che riunivano la comunità locale contraria al vaccino. Era ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Sant’Anna di Cona, da quasi un mese e aveva 64 anni. Lo si legge su Il Corriere di Bologna.
Svolgeva la professione di medico all’ospedale del Delta, a Lagosanto. Tuttavia, date le sue posizioni spesso in disaccordo con direttive sanitarie anti-pandemia, era stato sospeso per un certo periodo.
Definiva i virologi “pseudoscienziati” e aveva pubblicato un romanzo fantasy dal titolo “Un mostro chiamato virus”. Si era ammalato in dicembre e aggravato nelle settimane successive.
(da agenzie)
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Gennaio 23rd, 2022 Riccardo Fucile
CONDANNATO IL CAPO VARA A SEI MESI DI RECLUSIONE
Un “baciamo le mani” ideale imposto a tutti i partecipanti alla processione in onore di San Giovanni Apostolo, lo stop imposto, per ben due volte davanti all’abitazione di Antonina Maria Bagarella, moglie del capo dei capi di Cosa nostra Totò Riina. Un segnale di ossequio per il quale il capo vara è stato condannato, per il reato di turbamento di una funzione religiosa.
A punire chi interrompe il regolare svolgimento del rito è l’articolo 405 del Codice penale, introdotto dopo i Patti lateranensi solo riguardo alla religione cattolica, poi esteso a qualunque culto con la legge 85/2006.
Una tutela unica per eliminare disparità di trattamento tra le diverse confessioni, assicurata dopo che la Corte Costituzionale aveva affermato l’incompatibilità, con il principio di uguaglianza, della sanzione riferita solo alla religione cattolica. Così, in passato, per lo stesso reato è stato condannato chi durante la messa ha calpestato l’ostia, o chi ha alzato la voce tanto da coprire le preghiere dei fedeli.
Ora è toccato al capo vara della processione di San Giovanni Evangelista. Un corteo fermato dal confratello, con il suono della campanella, davanti casa della famiglia Riina a Corleone. L’omaggio è costato all’imputato sei mesi di reclusione, a fronte dei due anni chiesti inizialmente dal Pm. Inutile per la difesa sottolineare che, in quei momenti la moglie del boss Ninetta Bagarella non era fisicamente presente, ma c’erano alle finestre solo le sue sorelle.
Quello che conta per i giudici è che le due soste sono state fatte, senza alcuna giustificazione, proprio davanti alla casa dei congiunti stretti del capo dei capi di Cosa nostra – all’epoca in carcere sottoposto al 41-bis – e ordinate dal ricorrente, anche lui imparentato con il boss di Corleone.
La Cassazione sottolinea la materialità del gesto, interpretato correttamente dalla Corte d’Appello, come ossequio ad un capo storico della criminalità mafiosa. Una strumentalizzazione della processione religiosa «per fini del tutto contrari ai sentimenti di coloro che vi partecipavano e comunque a valori – si legge nella sentenza – universalmente espressi e riconosciuti dalla religione cattolica, sovvertendoli completamente».
Non conta neppure il fatto, anche questo evidenziato dalla difesa, che non ci sia stato materialmente un “inchino”: per la Cassazione si tratta di una semplice variabile. I rappresentanti della Polizia e dei Carabinieri avevano lasciato il corteo, come evidente segno di dissociazione. Mentre la difesa del ricorrente chiedeva di dare un peso alla dichiarazione del parroco, il quale aveva affermato che la funzione non aveva subìto alcun impedimento né turbativa.
(da agenzie)
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