Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL GOVERNO RESTA IN PIEDI, SUPERERÀ L’ESTATE E DOVRÀ AFFRONTARE LE INTEMPERIE D’AUTUNNO SULLA FINANZIARIA, FORSE ALLORA CONTE PROVERÀ A SCARTARE, MA SARÀ TARDI”… “LA MOSSA DI DI MAIO APRIRÀ I GIOCHI AL CENTRO”
Da giorni si era steso lo scudo protettivo del Colle: non sulla tenuta del governo, che non è mai stata in dubbio, ma sulla sua composizione. Come confermava un autorevole ministro, l’addio di Di Maio al Movimento non avrebbe dato vita a un rimpasto «perché nel pieno di un conflitto sarebbe improponibile per il capo dello Stato un cambio in corsa alla Farnesina. È certo, non cambierà nulla». Ma non è che ieri non sia successo nulla.
Da un anno e mezzo Draghi ritiene di essere atterrato su Marte. Pensava di aver visto tutto e invece ha dovuto vivere un altro evento senza precedenti. Nel senso che né Palazzo Chigi né il Quirinale sono riusciti a trovare un precedente simile nella storia dei governi repubblicani: a parte la scissione dal Pd di Renzi (che però non era ministro), non si era mai vista una forza di maggioranza che vota allo stesso modo in Parlamento, si divide in due gruppi ma resta insieme in Consiglio.
Con il risultato che ad andare in crisi è un partito senza che entri in crisi l’esecutivo. «Il motivo – spiega Casini – è che sia Conte sia Di Maio hanno una fifa matta del voto anticipato».
Certo, il leader dei grillini avrebbe di fatto ancora due strade: presentare una mozione di sfiducia contro il ministro degli Esteri o chiedere una verifica di governo. Nel primo caso dovrebbe sfidare lo scudo protettivo del Colle, nel secondo dovrebbe vedersela sui numeri con il premier. Perché con la scissione il Movimento non è più il partito di maggioranza relativa e Draghi gli spiegherebbe che comunque dispone ancora di quattro ministri: alla formazione del governo, infatti, Cingolani venne formalmente attribuito in «quota M5S».
Resterebbe l’ipotesi di chiedere un passaggio alle Camere dell’esecutivo per certificare la modifica degli assetti, «ma vista la situazione – spiega un ministro – nemmeno l’opposizione ha chiesto finora a Draghi di riferire». E poi la maggioranza è rimasta la stessa: non si è né allargata né ristretta.
Semmai sono cambiati gli equilibri: ora il Carroccio è il partito di maggioranza relativa e il cambiamento avrà un peso quando si discuterà di temi economici e sociali. Ma in questo passaggio di politica estera Salvini è rimasto al fianco del premier. Raccontano da Palazzo Chigi che «durante le trattative sulla risoluzione, mentre il Pd era in chiaro imbarazzo, i capigruppo della Lega sono stati i più netti». E ancor di più lo è stato Di Maio, che ad ogni proposta di riformulazione del documento dei suoi compagni di partito, rispondeva: «Non va bene, bisogna essere più chiari».
Nel fronte dem, autorevoli rappresentanti al governo puntano l’indice contro «un disegno assecondato dal premier, che aveva l’obiettivo di spingere Conte a votare contro la risoluzione. Così da dare a Di Maio la possibilità di rompere sulla guerra e non sul vincolo dei tre mandati».
In effetti ieri sera Di Maio, annunciando l’addio al Movimento, ha potuto accusare solo di «ambiguità» il capo dei grillini.
A prescindere se sia vera o no questa ricostruzione, resta il fatto che ad accendere la miccia sia stato Conte. Due mesi fa, quando iniziò a criticare l’invio di armi all’Ucraina, Guerini avvisò il Pd: «Guardate che è solo l’inizio». Ma nel suo partito non gli diedero ascolto. Oggi persino esponenti della segreteria dem dicono che «Conte farà la fine di Bertinotti».
Per l’ex premier è una disfatta. Sebbene la scissione rischi di segnare anche chi ha lasciato il Movimento: perché in politica la separazione non prelude mai alla spartizione dei voti ma all’evaporazione dei consensi. Il governo resta in piedi, supererà l’estate e dovrà affrontare le intemperie d’autunno sulla Finanziaria, che Draghi immagina di presentare il 20 di ottobre.
Sarà una navigazione difficile per la crisi economica e le pressioni dei partiti in vista delle urne. Forse allora Conte proverà a scartare, ma nel Pd sostengono che «sarà tardi per trasformarsi nel Mélenchon italiano, perché quel fronte sarà stato intanto conquistato dai vari Di Battista». Semmai la mossa di Di Maio aprirà i giochi al centro. E per impedire che quell’area si consolidi, gli avversari cercheranno di andare al voto prima di maggio. In ogni caso ieri è stata la fine di un’epoca.
Francesco Verderami
(da il “Corriere della Sera”)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“ALLA FINE SI RITROVA SCHIACCIATO SU UNA LINEA SOSPETTATA DI ESSERE FILO-RUSSA E LA PROSPETTIVA DEL VOTO PROMETTA DI TRASFORMARSI PER CONTE IN UN INCUBO. NESSUNO SEMBRA IN GRADO DI FERMARE UN DECLINO”
Il bilancio, per Giuseppe Conte, è da brividi; ma in negativo. Il leader del M5S ha voluto e alla fine subìto la frattura interna: il nemico Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si porta via circa un quarto dei parlamentari, rivendicando una linea atlantista.
E i grillini hanno accettato una risoluzione della maggioranza che permette al governo di Mario Draghi di andare avanti sugli aiuti anche militari all’Ucraina. Probabilmente siamo solo all’inizio dell’implosione. Ma per la leadership contiana è una sconfitta.
Forse mal consigliato, di certo incapace di cogliere le dinamiche in moto nel M5S, alla fine si ritrova schiacciato su una linea sospettata di essere filo-russa; e con un tasso di estremismo che potrebbe portare per reazione a tentazioni di disimpegno dal governo.
Il dettaglio visivo e politico di Di Maio seduto accanto a Mario Draghi, ieri al Senato, dice che rimarrà al suo posto. Non bastasse, per la prima volta dal 2018 il M5S non può vantarsi di essere alla guida della componente parlamentare più forte: ora è la Lega ad avere i numeri più alti.
Per Palazzo Chigi, quanto è avvenuto ieri rappresenta un esito previsto ma controverso. Da una parte, i Cinque Stelle rischiano di compromettere l’immagine di compattezza offerta dall’Italia dopo l’aggressione russa contro l’Ucraina. Ma la spaccatura che si è prodotta permette al premier di avere un quadro più chiaro di alleati e avversari; e di sapere che la politica estera di Di Maio non sarà contraddetta dal suo ormai ex leader Conte, che ha dovuto accettare la risoluzione della maggioranza.
Di fatto, lo psicodramma grillino si è consumato tutto dentro il Movimento; almeno finora, senza toccare l’esecutivo. Troppo grande, la posta in gioco. E troppo personali e strumentali le ragioni della resa dei conti tra grillini.
A guardare bene, quando Draghi ieri ha lodato «l’unità essenziale» del Senato, ha sepolto le velleità di smarcamento incarnate per settimane da Conte; e in parallelo quelle della Lega di Matteo Salvini. Forse il governo oggi è più debole, ma gli avversari lo sono di più.
Essere reduce da una sconfitta parziale ma clamorosa alle Amministrative fa capire quanto la prospettiva del voto prometta di trasformarsi per Conte in un incubo. Nessuno sembra in grado di fermare un declino che la scissione di Di Maio sottolinea come uno spartiacque. Né l’ex premier, né il fondatore Beppe Grillo, né il presidente della Camera, Roberto Fico emergono come mediatori credibili.
Sono tutti figli di una crisi che sollecita una sola domanda: dove finirà l’anno prossimo il grosso di quel 33 per cento dei consensi raccolti nel 2018.
Massimo Franco
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
CONTATTI ANCHE CON IL SINDACO DI VENEZIA BRUGNARO, IL DEMOCRISTO BRUNO TABACCI E DIALOGO APERTO ANCHE CON GIORGETTI E L’ALA GOVERNISTA DELLA LEGA SEMPRE PIÙ INSOFFERENTE ALLE PATURNIE DI SALVINI
Il giorno di San Luigi (Gonzaga), che è anche quello più lungo dell’anno, Luigi Di Maio sceglie di compiere l’azzardo forse più grande della sua carriera politica. Abbandona la casa madre, il partito liquido, così liquido da pescare un giovanissimo signor nessuno a digiuno di politica e portarlo nel giro di pochi anni al ministero degli Esteri, per rendere ufficiale la completa mutazione: da movimentista a stratega di palazzo che fonda un nuovo gruppo parlamentare.
Per fare cosa, per andare dove? Intanto va detto che si arriva a questo epilogo non per caso.
Tutto viene deciso in una riunione riservata avvenuta mercoledì sera scorso, dopo il disastro alle amministrative del M5S e dopo l’annuncio di Giuseppe Conte di voler mettere la parola fine sulla diatriba infinita attorno al limite dei due mandati, quando aveva fatto intendere che non c’era aria di deroghe.
Di Maio raduna i fedelissimi, gli stessi con i quali aveva anche gestito la partita del Quirinale utilizzando diplomazie parallele a quelle ufficiali del suo partito, e illustra la road map: «Entro due settimane usciamo dai 5 Stelle ».
Invece la situazione precipita prima, la botta definitiva la dà due giorni fa Roberto Fico, altro compagno della primissima ora, quando utilizza parole durissime nei suoi confronti. Forse però a questo punto poco importa: la senatrice Simona Nocerino sorride, «io comunque male che vada un lavoro ce l’ho, torno in Unicredit». La collega Antonella Campagna fa lo stesso: «È una liberazione ».
Così il salto nel buio mette quasi di buonumore e, mentre Mario Draghi parla, il ministro ha una specie di sorriso sulle labbra che dissimula con fatica.
Nella sala dell’albergo nel centro di Roma affittata al volo per la conferenza stampa a fine giornata l’aria è frizzante, non sembra una scissione ma un party, i parlamentari con il posto riservato davanti al palchetto si abbracciano tra loro. «Ma vi assicuro che la scelta è stata sofferta, si rompono amicizie e rapporti», dice Primo Di Nicola.
Quando arriva Di Maio si alzano tutti in piedi e lo applaudono per oltre un minuto. Parte la diretta social, nel video appaiono le facce dei presenti e nel giro di qualche secondo nelle chat del M5S vengono rimossi i transfughi intravisti e che erano in dubbio: le scissioni oggi si consumano anche così.
Comunque, il piano – assicurano i suoi – c’è: prima la creazione dei gruppi, comunicata dallo stesso Di Maio dopo il voto sulla risoluzione in aula prima a Maria Elisabetta Casellati e poi, guarda la vita, a Fico. Le due componenti di Senato (dove si tratta con Centro democratico, Maie e Italia al centro per avere un simbolo necessario alla formazione del gruppo) e Camera cercheranno di pescare a piene mani nel centro e non solo tra gli ormai ex 5 Stelle; e anche nelle regioni e nei consigli comunali dove c’è il M5S in queste ore si stanno registrando gli stessi addii, perché la scissione è verticale e va a cascata, la prima volta nella loro storia.
E poi c’è il progetto politico vero e proprio da lanciare a settembre, ottobre. Beppe Sala e il finanziatore Gianfranco Librandi, Federico Pizzarotti, Bruno Tabacci, Luigi Brugnaro: gli interlocutori principali sono questi, ma un occhio speciale va a ciò che avviene nella Lega, all’amico Giancarlo Giorgetti e a tutto il gruppo di insofferenti alle paturnie di Matteo Salvini. «La prima forza politica in Parlamento ha messo in discussione il lavoro del governo per racimolare pochi punti di consenso », sono le parole di Di Maio.
Nel suo intervento per motivare la scissione cita David Sassoli, dice che «noi siamo dalla parte giusta della storia», tira in mezzo anche la pandemia, i no vax, i no Green pass: «Chi dà soluzioni semplici e problemi complessi non avrà la fiducia dei cittadini».
Il «percorso di maturità» del M5S si era ormai interrotto, per cui eccoci arrivati al bivio nel quale Di Maio e i suoi si sono ritrovati: «In questi giorni travagliati ho tenuto a mente di aver giurato sulla Costituzione della Repubblica, gli interessi del Paese vengono prima di quelli del tuo partito». Così Di Maio quasi si commuove quando ringrazia il suo ormai ex Movimento, ma «da oggi ci mettiamo in cammino assieme ad altri interlocutori che lavorano nei comuni». Il tutto si chiude l’abiura, una consapevolezza, un capovolgimento dell’idea che aveva fatto grande il M5S: «Ora posso dire che uno non vale l’altro».
(da la Repubblica)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
LA GIORNATA DI IERI A MONTECITORIO E I COMMENTI DEI PARLAMENTARI
Istinto primordiale: tuffarsi nella tonnara grillina. Le sinapsi dei cronisti sfrigolano con un mucchio di pensieri malevoli. I 5 Stelle si dividono, si sfasciano. Quando? Adesso. Calma.
Inquadrare la scena, cronaca: il premier Mario Draghi, tra poco, chiederà al Senato di essere autorizzato a mandare altre armi in Ucraina; Giuseppe Conte pretenderebbe invece che ogni spedizione fosse preceduta da un passaggio parlamentare (l’ambasciatore russo Sergej Razov ha già ringraziato, soffiando sulfureo compiacimento); Luigi Di Maio, colpevole di essersi indignato per tanta ostilità nei confronti del governo, è stato sottoposto a brutale processo dal tribunale contiano. Provocazione, sfida, apocalisse. «Giggino sta raccogliendo firme tra i parlamentari del Movimento». Se ne va, prima di essere espulso. Dalla buvette di Palazzo Madama arrivano risate cimiteriali.
Circoletto intorno a Matteo Renzi, che ingoia (letteralmente, tipo fachiro) due pizzette sotto le occhiate adoranti di Francesco Bonifazi, l’amico tesoriere sempre abbronzato come Carlo Conti. L’intervento di Renzi in aula, poco fa, di un’altra categoria (ad alcuni può apparire presuntuoso, egocentrico, spregiudicato: però rispetto alla media dei senatori è legittimato a considerarsi un incrocio tra Churchill e De Gasperi, ma forse più Churchill). Anche oggi è il più veloce di tutti: «I grillini sono finiti. Si stanno dividendo per capire chi entrerà nel prossimo Parlamento».
Interviene Pier Ferdinando Casini (che pure si è esibito in un intervento pieno di saggezza): «Io invidio Renzi perché è giovane e bello» (sguardi maliziosi). Il socialista Riccardo Nencini: «Scusate, io vado».
Il botto dei 5 Stelle diffonde un certo, innegabile buon umore (avevano promesso di aprire questo luogo sacro come una scatoletta di tonno, un po’ di rancore ci sta). Portaborse: «Ragazzi, è fatta». Il ministro Federico D’Incà e il sottosegretario Enzo Amendola (gran mediatore) sono riusciti a limare anche l’ultima virgola di una risoluzione che mette d’accordo tutte le forze di governo e consente a Draghi di partecipare al prossimo Consiglio europeo. Il voto, però, sembra ormai un dettaglio.
Tutti guardiamo Di Maio: eccolo laggiù, in fondo al corridoio con le pareti foderate di velluto. È livido, teso, gelido. Gira voce che avrebbe arruolato oltre 30 deputati (destinati ad aumentare dopo i ballottaggi delle comunali) e una decina di senatori, ci sono i primi nomi (Castelli, Spadafora), il gruppo si dovrebbe chiamare «Insieme per il futuro», sembra abbiano già una sede.
Da una porta spunta Giorgio Mulé, sottosegretario alla Difesa: FI, potente, informato. «Una scissione così non la organizzi in una mattina. È chiaro che Di Maio l’aveva preparata, con cura, da settimane». Continui. «Conte umiliato. Ha perso la faccia e la truppa. Dopo aver inutilmente minacciato Draghi, non solo vota la risoluzione di maggioranza, ma si ritrova con mezzo partito” . Salute del governo?
«Cagionevole. Però non sarà ricoverato. Andrà avanti con le pasticche».
Cercare subito uno del Pd. Ma niente: camminano veloci, sguardi accigliati dietro le mascherine, scuse miserabili: devo tornare in aula, aspetto la telefonata di mia moglie. Si volta il comunista (non è un modo di dire) Marco Rizzo, che parlava con il suo unico senatore rosso, Emanuele Dessì, ex grillino. «Emanuele, dai: fagli vedere la fotocopia». Dessì tira fuori un foglio, è il programma del M5S, con cui fu eletto nel 2018: ripudio della guerra, disarmo, Russia partner economico, riformare la Nato. «All’epoca, il capetto dei 5 Stelle era Di Maio — dice Rizzo — Ma non stupitevi. Questi si dividono su un tema gigantesco come la guerra solo per aggirare il limite del doppio mandato. Ricordo che Bertinotti e Cossutta, un argomento così, lo affrontarono invece con un cipiglio memorabile».
Paragoni con Di Maio e Conte? «Sarebbe come paragonare la compagna di scuola con Sharon Stone» (poi, boh: s’avvicina Stefania Craxi e gli urla: «Rizzo, tu dovevi sposarmi!». E lui: «Ma tu sai che io ho fatto molto di più!»).
Compare Antonio Razzi: «Nei momenti epocali ci sono sempre». Un fine notista: «Non trovi siano indecenti tutti questi uomini che vengono nel Salone Garibaldi senza calzini?». Un tipo basso, rotondo, sudato, chiede: «S’è per caso visto Matteo Salvini?». Ma oggi Salvini potrebbe presentarsi vestito da Batman, nessuno se lo filerebbe. Piuttosto: notizie di Beppe Grillo? Allora due cronisti partono e vanno ad aspettarlo all’hotel Forum — suite con vista sui Fori, perché l’Elevato adora il lusso — anche un po’ per vedere se ricomincia con il solito rosario di insulti, «Giornalisti fantasmi/ cadaveri che camminano/ lombrichi destinati all’estinzione», o se ha capito che stavolta è il suo Movimento a rischiare brutto, e noi invece siamo ancora tutti qui, al nostro posto, a raccontare.
(da il Corriere della Sera)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
I GRILLINI RESTANO IN CINQUE
Gli effetti della scissione grillina arrivano anche a Strasburgo, dove due eurodeputate elette con il M5s hanno deciso di seguire Luigi Di Maio nella creazione del nuovo partito Italia per il futuro.
A lasciare la delegazione Cinque stelle sono state Chiara Gemma e Daniela Rondinelli, che così riducono a cinque i membri del gruppo M5s al Parlamento europeo.
Il nuovo movimento guidato dal ministro degli Esteri già domani dovrebbe avere il primo appuntamento organizzativo, con un’assemblea convocata da Di Maio a cui dovrebbero partecipare tutti i gruppi parlamentari, a cui avrebbero aderito almeno 60 tra senatori e deputati. Ed è arrivata intanto una nota ufficiale degli europarlamentari del Movimento Tiziana Beghin, Fabio Massimo Castaldo, Laura Ferrara, Mario Furore e Sabrina Pignedoli: «Il rispetto del mandato elettorale è da sempre uno dei valori fondanti della buona politica. I cittadini – scrivono in merito alla scissione emersa dopo l’addio di Di Maio – ci hanno eletto con il simbolo del Movimento 5 Stelle e a questo noi restiamo fedeli. Rinnoviamo la fiducia al progetto e ai principi contenuti nel nuovo Statuto, agli attivisti che hanno scelto a stragrande maggioranza la guida di Giuseppe Conte e al nostro Presidente».
(da Open)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
A CASA DEI DUE VENTENNI TROVATO MATERIALE ESPLOSIVO
Materiale esplosivo fabbricato in casa, volantini minatori contro la Polizia di Stato e propaganda razziale, etnica e religiosa sono i motivi che hanno spinto le autorità di Terracina ad arrestare due giovani ventenni pontini.
Residenti a Terracina e Fondi (Lazio), i due ragazzi divulgavano pensieri basati sulla superiorità di chi appoggiava l’ideologia nazista e fascista. L’ordinanza è stata emessa dal gip del Tribunale di Latina su richiesta del Procuratore Capo della Procura della Repubblica a seguito delle indagini degli uffici investigativi iniziate tra settembre e ottobre 2021.
Tutto ha avuto inizio da un volantino minatorio trovato su una macchina della Polizia di Stato parcheggiata di fronte al Commissariato di Terracina. Sopra c’era l’immagine di una persona incappucciata che tagliava la gola a un poliziotto e accompagnata dalla scritta Slaughter Pigs, ovvero “macelliamo i maiali”.
C’erano anche diversi simboli esoterici legati ad AtomWaffen Division, associazione americana terroristica e suprematista che porta avanti ideologie a sfondo nazista.
Le indagini della polizia hanno portato alla scoperta dei due giovani che avrebbero posto i volantini, non solo presso le vetture della polizia, ma anche nei parchi della città frequentati da molti ragazzi.
Successivamente sono state perquisite le abitazioni dei due ventenni, sono state trovate armi da punta e taglio, materiale di propaganda neofascista e un ordigno fatto a mano con potenzialità mortali.
Anche il controllo dei loro dispositivi elettronici ha confermato le posizioni nazifasciste dei due. L’obiettivo dei giovani era creare un gruppo nazifascista per portare avanti azioni violente sul territorio.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
SOLO IL TEMPO DIRA’ CHI HA FATTO LA MOSSA GIUSTA
Alla fine Mario Draghi piega Giuseppe Conte mentre Luigi Di Maio dice addio al Movimento 5 Stelle. Il Senato ha votato compatto la risoluzione di maggioranza sulle armi in Ucraina. Chiudendo così (per ora) le fibrillazioni interne. Ma intanto è arrivata la scissione di Di Maio: più di sessanta parlamentari hanno lasciato i gruppi grillini per un nuovo progetto politico, Insieme per il futuro.
Ed è proprio il futuro ad essere in ballo dopo la diaspora.
Quello del governo Draghi, che torna inaspettatamente in bilico. Quello dell’ex Avvocato del Popolo, che adesso avrà più difficoltà nel seguire le traiettorie politiche spesso tortuose in cui ama avventurarsi il partito di Beppe Grillo. E infine quello del ministro degli Esteri, che lascia proprio mentre il Garante ribadisce che le regole (leggi: il divieto di terzo mandato) vanno rispettate. In cerca di uno spazio politico in un centro già molto affollato.
Proprio le prospettive di Di Maio sono quelle più in discussione in queste ore. L’orizzonte del ministro è quello del Grande Centro e i compagni di viaggio che si sta scegliendo sono molto lontani dal suo vecchio partito. «Ora dovremo toglierci l’etichetta 5 Stelle di dosso», avrebbe sussurrato ieri ai retroscenisti dei quotidiani.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera il fedelissimo Vincenzo Spadafora spiega la linea del nuovo aggregato: «Sosterremo convintamente il governo di fronte alle sfide del Covid, della guerra, della crisi economica, energetica, alimentare e climatica. La cultura politica euroatlantista è la cornice in cui ci muoviamo». Spadafora sogna «una forza che abbia idee e progetti nuovi su cui coinvolgere i cittadini, da Nord a Sud, e offrire agli elettori e al Paese una visione dell’Italia per i prossimi anni»
Poi rivela: «Da ieri i nostri telefoni non hanno smesso di squillare un minuto. Ci sono tante forze e tante energie che cercano una casa, e potremo costruirla insieme, senza re o padroni».
Queste sono le parole. Poi c’è la realtà. Che vede il Centro della politica italiana già piuttosto affollato. E alcuni protagonisti faticheranno a diventare interlocutori dell’ex Capo Politico del Movimento 5 Stelle. Perché lo hanno sempre combattuto (Renzi e Calenda). E perché prima o poi le aspirazioni dovranno fare i conti con la concretezza.
Le candidature di un parlamento che ha dimezzato onorevoli e senatori non potranno fare felici tutti. Anzi. Per non parlare dei collegi sicuri. E allora come si arriverà alle elezioni del 2023? E con quali candidati?
Non se la passa meglio il Conte dimezzato. Di Maio gli ha portato via il primato della prima forza politica in Parlamento.
Ha fatto sapere che se lo aspettava e che era solo questione di tempo. Il Corriere della Sera scrive oggi che nella pattuglia dei sopravvissuti del Movimento, più che disperarsi perché «abbiamo perso la Farnesina», si celebra il fatto che «ci siamo liberati del peso di avere uno dei nostri alla Farnesina».
Conte adesso sente di avere le mani libere nel suo rapporto con Draghi. Sarà, ma il dato di fatto è che adesso il M5s si trova di fronte a un bivio. Rimanere nell’esecutivo e non far percepire a nessuno la differenza tra i grillini e i dimaiani. Oppure lasciare la maggioranza per una svolta “a sinistra” allo scopo di recuperare voti.
Ma questa prospettiva è alquanto complicata. In primo luogo perché il M5s rischia di trovarsi proprio quel campo già occupato alle prossime elezioni. E l’uscita di Di Battista ieri fa capire che i rischi ci sono. Poi c’è il fattore Grillo. Un retroscena de La Stampa dice che il Garante potrebbe giocare su due tavoli questa partita. Ovvero ufficialmente stare con Conte e ufficiosamente aiutare Di Maio, che coinvolgerebbe nel suo progetto anche il sindaco di Milano Beppe Sala, molto vicino all’ex comico.
In questo caso il bivio sono le prossime elezioni. Un Grillo non così entusiasta (eufemismo) di Conte potrebbe attendere i risultati per fare quello che aveva in mente di fare già tempo fa: salutare Giuseppe.
Infine c’è Draghi. Che ieri ha incassato il sì del Senato e ha piegato Conte. Ma presto dovrà fare i conti con il bilancino. Perché è probabile che il M5s chieda un rimpasto puntando il ministero degli Esteri. E che, non ottenendo nulla, chieda almeno un riequilibrio per i posti di sottogoverno. Per cominciare.
Perché nel medio e nel lungo periodo la crisi grillina può aprire le porte a una crisi nella maggioranza. Con l’obiettivo, scrive oggi Francesco Verderami, delle elezioni anticipate. Il governo per ora resta in piedi, supererà l’estate e dovrà affrontare la Finanziaria, che Draghi immagina di presentare il 20 di ottobre.
Ma le tante emergenze che dovrà affrontare in questi giorni potrebbero portare a un logoramento interno alla maggioranza. Stretta tra un Conte in pericolo e un Salvini che comincia a sentircisi. E allora a farne le spese potrebbe essere proprio Draghi. E il suo “metodo”, che in molti speravano di portare avanti oltre il 2023. Ma il premier è quello che rischia meno di tutti. Gli altri due nei prossimi mesi si giocano tutto il loro futuro politico.
(da Open)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
“DATE UNA SBIRCIATA AL BANCO ACCANTO”… MA TACERE MAI?
“Vi starete riempiendo di bigliettini in ogni dove, calze, mutande, camicie, risvolti dei pantaloni. Stando alle statistiche almeno uno studente su tre proverà a copiare. Non dico nulla, perché non si deve dare il cattivo esempio. Pronti a copiare? Non si fa, non si dice”: Matteo Salvini manda il suo messaggio di “in bocca al lupo” ai maturandi che oggi stanno sostenendo la prima prova dell’esame di maturità 2022, con un elogio alla furbizia: “Domani quando escono le tracce un’occhiata sul banco della compagna o del compagno più in gamba…”.
Poi un appello ai professori: “Lasciate che questi ragazzi dopo due anni di dad, mascherine, di vita infernale, casini, scuole chiuse si godano la maturità”. E un suggerimento ai ragazzi: “Se avrete un po’ di vuoto buttatevi sull’attualità e date una sbirciata al banco di quella o di quello accanto”.
La sua preferenza come traccia di italiano: “Un tema sul Milan? Impossibile, ma sarebbe bellissimo scrivere dello scudetto vinto con Tonali e Leao. Ai miei tempi c’erano i tre olandesi Rijkaard, Gullit e Van Basten con Franco Baresi e Tassotti. Oggi saranno contenti anche gli interisti per il ritorno di Lukaku. Questo va e viene, è un nomade del pallone”.
Salvini – va ricordato – si è diplomato con il voto di 48/60, che corrisponderebbe oggi a 80/100.
(da agenzie)
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Giugno 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DIVENTANO OTTO GLI INDAGATI PER FINANZIAMENTO ILLECITO AI PARTITI E RICICLAGGIO
Si allunga la lista degli indagati nell’inchiesta Lobby nera, relativa alla presunta rete di estrema destra emersa dall’inchiesta di Fanpage su Fratelli d’Italia e sulla campagna elettorale del partito per le elezioni comunali a Milano.
Tra i nuovi nomi che si aggiungono ci sono anche Angelo Ciocca, eurodeputato della Lega, Massimiliano Bastoni, consigliere lombardo del Carroccio e Chiara Valcepina, consigliera comunale di Fratelli d’Italia a Milano.
Tra gli indagati nell’indagine condotta del pm Giovanni Polizzi e della Guardia di Finanza di Milano, aperta lo scorso ottobre per finanziamento illecito e riciclaggio, erano già presenti Roberto Jonghi Lavarini, il capodelegazione di FdI in Ue Carlo Fidanza, Mauro Rotunno, il commercialista vicino al “barone nero” Lavarini, Lali Panchulidze, “la donna del trolley“, presidente dell’Associazione culturale internazionale ecumenica cristiana Italia Georgia Eurasia, e Riccardo Colato, esponente dell’associazione di ultradestra Lealtà e Azione. Gli otto indagati sono accusati a vario titolo di finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio.
Dopo l’apertura dell’inchiesta lo scorso ottobre, i pm hanno chiesto al gip Alessandra Di Fazio una proroga di sei mesi per approfondire le indagini e concludere gli accertamenti necessari per valutare, nei singoli casi, per quali posizioni richiedere il processo e quali sono invece quelle da archiviare.
Nella richiesta di proroga viene infatti specificato che trattandosi di una «vicenda complessa, si ritiene necessario acquisire ulteriori elementi utili a corroborare gli elementi probatori sinora rilevati». L’inchiesta punta a verificare se le parole degli indagati, filmati a loro insaputa dalle telecamere di Fanpage, descrivevano un “sistema” di finanziamenti illeciti a favore di FdI e a Lega.
Il “barone nero” definì Ciocca “il nostro primo referente politico”, con l’eurodeputato che aveva minacciato querele per prendere le distanze da un personaggio scomodo per i suoi trascorsi nell’estrema destra. Nei filmati si potevano ascoltare esponenti del partito di Giorgia Meloni affermare che avrebbero accettato finanziamenti in nero per portare avanti la campagna di Chiara Valcepina.
Fidanza in un’occasione è stato anche registrato mentre faceva un saluto fascista. L’indagine del pm Giovanni Polizzi e della Guardia di Finanza di Milano, aperta lo scorso ottobre per finanziamento illecito e riciclaggio, coinvolge anche il commercialista Mauro Rotunno e Lali Panchulidze, presidente dell’Associazione culturale internazionale ecumenica cristiana Italia Georgia Eurasia, la donna che andava a ritirare il trolley credendo fosse pieno di soldi per la campagna elettorale e invece conteneva libri antifascisti, e l’esponente di Lealtà e Azione Riccardo Colato, che consegnava pacchi alimentari a cittadini italiani in un’iniziativa utilizzata dall’estrema destra sempre a fini elettorali.
(da agenzie)
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