Destra di Popolo.net

BOLSONARO NON RICONOSCE LA VITTORIA DI LULA, SPEGNE LE LUCI E VA A DORMIRE

Ottobre 31st, 2022 Riccardo Fucile

IL CRIMINALE CHE HA FATTO MORIRE 300.000 BRASILIANI DI COVID E MASSACRATO L’AMAZZONIA ESCE DI SCENA

Ai ministri che hanno provato a contattare Jair Bolsonaro dopo la sconfitta contro Lula, lo staff non ha potuto far altro che rispondere: «Il presidente è andato a dormire».
L’ormai ex presidente brasiliano non avrebbe accettato la vittoria di Luiz Inacio Lula da Silva per poco più di un punto percentuale, ma secondo i media locali che citano i collaboratori vicini al presidente «non c’è il clima per contestare il successo di Lula».
L’ipotesi di ricorsi o contestazioni al risultato certificato dal Tribunale superiore elettorale sembrano al momento almeno congelate. Bolsonaro pare sia davvero andato a dormire, o almeno abbia seguito gli ultimi sviluppi al buio, visto che secondo alcuni cronisti appostati fuori dal palazzo presidenziale a Brasilia, le luci si sarebbero spente alle 22.06.
Lo smacco per Bolsonaro si carica ulteriormente anche per la portata storica della sconfitta. Come ricorda il quotidiano Folha de Sao Paulo, nella storia democratica brasiliana non era mai successo che un presidente uscente non fosse riuscito a farsi rieleggere.
Ci era riuscito nel 1997 Fernando Henrique Cardoso e poi lo stesso Lula nel 2006. La rielezione dopo il primo mandato era arrivata anche per Dilma Rousseff nel 2014. Lo stesso quotidiano comunque avverte che, nonostante la sconfitta, l’evidente spaccatura nell’elettorato dimostra anche quanto sia ancora forte il sostegno per Bolsonaro, che potrebbe ripresentarsi alle elezioni del 2026 per succedere a Lula.
(da agenzie)

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LULA ELETTO PRESIDENTE DEL BRASILE PER LA TERZA VOLTA: “HANNO PROVATO A SEPPELLIRMI MA SONO RISORTO”

Ottobre 31st, 2022 Riccardo Fucile

BIDEN SI CONGRATULA: “LAVOREREMO INSIEME PER CONTINUARE A COOPERARE”… DOPO LE FALSE ACCUSE E IL CARCERE, E’ ARRIVATO IL MOMENTO DELLA VITTORIA

Luiz Inacio Lula da Silva è stato eletto presidente del Brasile per la terza volta, superando al ballottaggio il presidente sovranista, Jair Bolsonaro. «Il Brasile è tornato» sulla scena globale, ha detto Lula dopo aver vinto. «Hanno cercato di seppellirmi vivo ma sono risorto. Oggi l’unico vincitore è il popolo brasiliano. Sarò il presidente di tutti: riuniamo la famiglia».
È stata una delle elezioni più polarizzate della storia del colosso sudamericano, che restituisce la foto di un Paese spaccato.
Il Tribunale superiore elettorale ha ufficializzato la vittoria, col 98,86% del totale delle sezioni scrutinate, Lula ha ottenuto il 50,83% dei voti (59.596.247), contro il 49,17% di Bolsonaro (57.675.427).
L’ex sindacalista è stato presidente per la prima volta nel 2003 e poi confermato nel 2006. Dopo i guai giudiziari, Lula è tornato alla vita politica e oggi si appresta a guidare nuovamente il Brasile.
La festa e la delusione
Scoppiano felicità e tristezza in tutto il Brasile. Caroselli di auto e moto, grida dalle finestre degli appartamenti, suoni di clacson e bandiere al vento riempiono le strade delle principali città. Da una parte i sostenitori dell’ex sindacalista, in lacrime di gioia, dall’altra il silenzio di delusione dei fan di Jair Bolsonaro. In una nazione spaccata a metà, le elezioni più polarizzate della storia del Paese si riflettono negli umori dei suoi cittadini, divisi da opposte tifoserie come in una finale della nazionale di calcio.
A Rio de Janeiro, la seconda metropoli più grande del gigante sudamericano, gli elettori in festa si sono riversati sulla spiaggia, inondando con la loro allegria il quartiere di Copacabana. Mentre anche dalle favelas sui morros (colline) partono fuochi di artificio a illuminare il cielo carioca.
Il ritorno del sindacalista
La presidenza del Brasile è così tornata nella mani di Lula, candidato del Partito dei lavoratori (Pt), alla guida del Paese già dal 2003 al 2011. Dopo un serratissimo testa a testa ha battuto il rivale di estrema destra, il capo di stato uscente Jair Bolsonaro. In quella che rappresenta una sfida personale, un riscatto politico ed umano dopo aver scontato 19 mesi di carcere sulla base di false accuse per corruzione, oltre al riaffermarsi di un progetto di società ben preciso, il 77enne Lula ha scelto come vice Geraldo Alckmin, ex avversario di destra alle presidenziali del 2006. L’alleanza con questo devoto cattolico, governatore di San Paolo, mira a creare un fronte repubblicano contro l’estrema destra per sbarrare la strada a Bolsonaro.
Brasile, la dura accusa di Lula a Bolsonaro: “Hai permesso che più di 300mila persone morissero inutilmente”
Di Lula i media e lui stesso ricordano spesso le origini molto umili, figlio di una famiglia povera e analfabeta di Caetes, nello Stato brasiliano rurale di Pernambuco, dove è nato il 6 ottobre 1945. A 7 anni, con la madre e i 7 fratelli e sorelle si trasferì nella città costiera di Santos, nello Stato di San Paolo, ma Luiz Inacio dovette lasciare la scuola dopo la quarta elementare. La sua vita lavorativa cominciò a 12 anni, come lustrascarpe e venditore di strada, mentre a 14 trovò il suo primo lavoro regolare in una fabbrica di rame. Quindi proseguì gli studi e ricevette un diploma equivalente al conseguimento della scuola superiore.
Nel 1956 nuovo trasferimento nella città di San Paolo, dove Lula con la famiglia visse in una piccola stanza nel retrobottega di un bar. A 19 anni perse il mignolo della mano sinistra in un incidente, mentre lavorava come operatore di una pressa in una fabbrica di componenti automobilistici e fu allora che si avvicinò al sindacalismo, osteggiato dalla dittatura militare al potere in Brasile, e per reazione la sua visione politica si indirizzò a sinistra.
Nel 1978 Lula fu eletto presidente del sindacato dei lavoratori dell’acciaio di Sao Bernardo do Campo e Diadema, le città dove si trova la stragrande maggioranza delle industrie automobilistiche e componentistiche e tra le aree più industrializzate del Paese. Il 10 febbraio 1980, un gruppo di professori universitari, dirigenti sindacali e intellettuali, tra cui Lula e Chico Mendes, fondarono il Partido dos Trabalhadores (PT), ovvero Partito dei Lavoratori, di sinistra e con idee progressiste.
Nel 1982 aggiunse il soprannome Lula al suo nome legale e si candidò a una carica pubblica per la prima volta, come governatore dello Stato di San Paolo. Perse, ma aiutò il suo partito a ottenere un numero sufficiente di voti, tali da sopravvivere. Nelle elezioni del 1986, Lula conquistò un seggio al Congresso brasiliano. Tre anni dopo, quando era ancora deputato, si candidò alla presidenza come esponente del PT. Nonostante fosse molto apprezzato da una grossa fetta della società brasiliana, non piaceva agli imprenditori e ai banchieri. Fu preso di mira dai media e penalizzato da alcuni brogli durante le elezioni.
Per diversi anni proseguì le sue battaglie politiche ma senza candidarsi, salvo poi ritentare di conquistare la presidenza nel 1994 e nel 1998. Finalmente eletto presidente nel settembre 2002 e riconfermato ad ottobre 2006, Lula ha posto i programmi sociali in cima alla sua agenda politica, con “Fame Zero” e “Bolsa Familia”. Durante la sua presidenza, grazie a nuove politiche di welfare, milioni di brasiliani hanno sensibilmente migliorato la propria condizione di vita. Il ceto medio brasiliano è così arrivato a raggiungere il 54% della popolazione nel 2013. Tra il 2004 e il 2012, grazie alle politiche ambientali della presidenza Lula, la deforestazione amazzonica è diminuita da 27.700 km all’anno a 4.500 km. Con il programma “Luz Para Todos” (Luce per tutti) il governo Lula aveva come obiettivo l’universalizzazione dell’accesso all’energia elettrica, impegnandosi affinche’ 1,4 milioni di case rurali fossero raggiunte dall’energia elettrica nel 2006, ma il traguardo non fu conseguito.
Anche questa ennesima campagna elettorale è stata particolarmente intensa per il veterano Lula. Non ha esitato a mettersi in gioco sui social, mostrandosi su TikTok mentre si allenava in modo intensivo e col sorriso, conquistando in pochi giorni piu’ follower di Bolsonaro, terzo politico più popolare in rete. Un Lula che fa sport, balla, piange nel raccontare il carcere.
In un accorato appello ai brasiliani ha sottolineato che il voto servirà a «porre fine alla guerra» avviata nel Paese a suo dire «da quando l’attuale presidente» è salito al potere, nel gennaio 2019. Ha descritto il rivale come «disumano» e «incompetente» per «non aver versato una sola lacrima» per le oltre 685 mila vittime del Covid-19, per aver «diviso le famiglie» e «trasformato vecchi amici in nemici»; e ha invitato i brasiliani a sceglierlo per «ricostruire il Paese che sogniamo, basta con tanto odio, distruzione, bugie, sofferenza e morti». Al centro del programma di governo del candidato di sinistra ci sono il credito per le imprese, l’adeguamento del salario minimo, il ripristino di programmi come “Minha casa minha vida” – per agevolare l’acquisto della prima casa – e “Luz para todos”, per portare l’elettricità da fonti rinnovabili nelle aree rurali.
Così Lula vuole porsi in continuità con i suoi precedenti governi, fortemente focalizzati sulla lotta contro la povertà. Il numero di persone che soffrivano la fame in Brasile è calato di 10 milioni di unita’ in 20 anni, tra il 1992 e il 2013. Inoltre il candidato del Partito dei lavoratori ha promesso di «porre fine all’estrazione illegale di oro e combattere seriamente contro la deforestazione», impedendo che gli alberi vengano abbattuti per fare spazio a pascoli e piantagioni di soia, oltre a voler restituire i giusti poteri ad autorità di monitoraggio come l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali (Ibama), indebolite negli ultimi quattro anni.
Il Brasile è ancora attanagliato dalla piaga della corruzione, da cui Lula – definito da Bolsonaro «un ladro» – non è del tutto immune. Una lunga stagione di scandali, tra cui quello della Petrobas, la compagnia petrolifera nazionale, che nel 2016 ha portato alla destituzione dell’allora presidente Dilma Rousseff, “erede” dello stesso Lula. Lui stesso, nell’ambito dell’Operazione Autolavaggio, è stato arrestato tra aprile 2018 e novembre 2019 dopo la sua condanna per corruzione, salvo poi riacquisire tutti i suoi diritti politici nel 2021, quando la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza e il successivo procedimento.
Lula – al suo terzo mandato presidenziale – si troverà davanti una situazione socio-economica molto complessa. Reduce dalla pandemia e colpito dal carovita globale, il Brasile è alle prese con un tasso di inflazione a due cifre, colpendo decine di milioni di brasiliani. In 33 milioni patiscono la fame e più della metà della popolazione, ovvero 125 milioni di persone, ha problemi alimentari. Una sfida per il presidente che può anche contare sul forte consenso dei giovanissimi dai 16 anni in su che condividono valori e idee con l’ex sindacalista.
(da La Repubblica)

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LA REGIONE SICILIA, NELL’ERA MUSUMECI, HA SPESO 22 MILIONI DI EURO PER UN CONCORSO CHE HA PRODOTTO 170 POSTI DI LAVORO

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

IN PRATICA OGNI CONTRATTO È COSTATO PIÙ DI 129MILA EURO ALLE CASSE DELLO STATO: LA QUESTIONE È FINITA ANCHE AL PARLAMENTO EUROPEO, VISTO CHE I FONDI ERANO COMUNITARI

Una spesa di 22 milioni finanziata con fondi comunitari. Un pacchetto da 1.701 tirocini attivati. E, alla fine, un flop da tutti i punti di vista: la stessa Regione ammette che l’avviso 22, la misura cardine per il rilancio del mondo delle professioni nell’era di Nello Musumeci e di Antonio Scavone, ha prodotto appena 170 posti di lavoro.
La media è terrificante: ogni contratto è costato alle casse pubbliche oltre 129mila euro. “I dati in nostro possesso – ammette in una nota interna il dirigente generale del dipartimento Lavoro Gaetano Sciacca – ci dicono che il 10 per cento ha instaurato un rapporto di lavoro successivo al tirocinio”. Tutto il resto del denaro è andato sprecato.
La questione, così, è finita al Parlamento europeo, dove l’ha portata il verde Ignazio Corrao.
“Per i futuri tirocini serve una commissione che ne verifichi la correttezza. Devono essere inseriti dei paletti all’interno dei bandi che prevedano, ad esempio, di impedire alle aziende che hanno usufruito di tirocinanti senza poi assumerli, di partecipare a successivi reclutamenti”.
(da agenzie)

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DENTRO AL RAVE PARTY DI MODENA NORD, TRA SBALLO E MIGLIAIA DI GIOVANI ACCAMPATI

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

DAVANTI AD UN MURO DI AMPLIFICATORI BALLANO CENTINAIA DI GIOVANI

Una distesa di camper e automobili, dentro e fuori un capannone industriale dismesso a poche centinaia di metri dal casello di Modena nord. Un viavai continuo giovani e musica incessante a tutto volume che avvolge le campagne tutto intorno. Questo il primo impatto con il rave party che dalla serata di ieri sta andando in scena in via Marino alla periferia di Modena.
Un afflusso davvero considerevole di giovani da diverse parti fino da altri paesi, Francia su tutti, sta caratterizzando la festa abusiva per il ponte di Halloween, che almeno nelle previsioni degli organizzatori dovrebbe proseguire fino al 31 ottobre o addirittura alla mattina del primo novembre.
Una grande quantità di ragazzi in camper, molti altri in auto. I mezzi sono stati posteggiati all’interno dello stabile, che si presenta come un capannone vuoto circa 2500 metri quadrati, ma anche nei terreni dell’azienda dismessa. Centinaia e centinaia di mezzi su cui di fatto i partecipanti hanno messo in programma di vivere per circa tre giorni.
Cuore dell’evento, ribattezzato Witchtek 2k22, ovviamente il capannone, cui interno è stato impianto audio. Un vero e proprio muro di casse che pompano instancabili musica tecno ha volume elevatissimo e davanti al quale ballano centinaia di giovani. Nell’area sono stati allestiti diversi stand commerciali, vendono cibo bevande e merchandising vario.
Chi non possiede un veicolo è accampato in tenda e nelle vigne intorno alla struttura, e conduce una vita da campeggio a tutti gli effetti.
Lo sballo è la consuetudine. Durante il nostro sopralluogo abbiamo potuto osservare in prima persona lo scambio e il consumo di cocaina e di pastiglie di indubbia natura, insieme alla presenza di persone in evidente stato di alterazione psicofisica.
Questa mattina, sono usciti dallo stabile in barella e poi accompagnati in ospedale dal 118 due giovani in stato di semicoscienza.
Il viavai di persone è costante ed è difficile stabilire con precisione il numero di partecipanti all’evento, ma si stimano tra le 2000 e le 3000 persone presenti. Il tutto avviene all’interno dell’area privata e non ci sono stati disordini di alcun tipo fino ad ora.
Mentre un elicottero della Polizia di Stato sorvola l’area da metà mattina, le Forze dell’Ordine sono concentrate nella rotatoria del Vecchio Casello di Modena Nord. Presenti Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza, anche con tre camionette di agenti in tenuta antisommossa. La Polizia Locale di Modena chiude invece gli accessi all’area, isolando di fatto il cavalcavia sopra l’autostrada. Nella frazione di Tre Olmi la viabilità è regolare.
(da ModenaToday)

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IL RAVE PARTY A MODENA CONTINUA: L’ORDINE DI SGOMBERO DEL MINISTRO DELL’INTERNO, PIANTEDOSI, NON È STATO ESEGUITO

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

COME MAI SALVINI NON SI INDIGNA COME QUANDO AL VIMINALE C’ERA LAMORGESE? PERCHE’ NON CHIEDE LE DIMISSIONI DI PIANTEDOSI?

Migliaia di persone, tra cui molti stranieri, hanno raggiunto tra la serata di sabato e la notte un capannone abbandonato a nord di Modena, nei pressi della fiera e non lontano dall’uscita dell’autostrada dove si tiene un grande rave party di Halloween.
Il raduno è ancora in corso sotto la stretta vigilanza di polizia e carabinieri, nonostante in giornata il ministro degli interni Matteo Piantedosi avesse chiesto al prefetto di far sgomberare immediatamente l’area.
L’evento «Witchtek» — questo il nome che si trova in rete —, tenuto sotto controllo da polizia e carabinieri, ha creato disagi in città, con blocchi stradali, code e traffico in tilt.
In mattinata il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva dato mandato al prefetto di Modena e al capo della Polizia di adottare, raccordandosi con l’Autorità giudiziaria, ogni iniziativa per interrompere il rave e liberare l’area al più presto.
Nel pomeriggio era anche iniziata una trattativa tra le forze dell’ordine, polizia e carabinieri presenti, per invitare i giovani — circa 3.000 sinora, giunti anche da Francia, Spagna, Germania e Austria — a lasciare l’area. Nel frattempo era stato convocato da parte della prefettura di Modena un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per la mattinata, per fare il punto sulla gestione della situazione. Le forze dell’ordine stanno prendendo i numeri di targa delle auto parcheggiate attorno al deposito.
Per motivi di sicurezza sono state chiuse anche uscite autostradali sull’A22 a Carpi e Campogalliano, oltre a Modena Sud in A1.
Musica e balli sono andati avanti tutta la notte, le persone sono arrivate con camper e auto e l’intenzione è quella di rimanere fino a martedi. Non sono mancati momenti di tensione nella notte — riferisce il quotidiano cittadino La Gazzetta di Modena — con lancio di qualche petardo e razzo nautico.
Il resto della giornata è però trascorso in relativa tranquillità: il viavai dei partecipanti al rave è proseguito, alcuni hanno anche montato tende all’esterno del capannone abbandonato (una ex azienda agricola). Il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, che ha preso parte al comitato in prefettura, in una dichiarazione ha sollecitato a «garantire nei tempi più rapidi possibili il ripristino della legalità in quell’area della città, tutelando l’ordine pubblico e l’incolumità di tutte le persone, che è fondamentale, agendo senza forzature, quindi, ma con determinazione e continuità dell’azione».
(da agenzie)

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I SERVIZI SEGRETI INGLESI: “I RUSSI RIMUOVONO I RESTI DI POTEMKIN, SIGNIFICA CHE SI RITIRANO DA KHERSON”

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

LA RIMOZIONE DEI RESTI DELLO STATISTA RUSSO DALLA SUA TOMBA NELLA CATTEDRALE E’ CONSIDERATO UN SEGNALE DELLA FUGA

Secondo quanto affermato nel suo report sulla guerra in Ucraina, l’intelligence del ministero della Difesa del Regno Unito sostiene che la rimozione dei resti del famoso statista russo del XVIII secolo Grigory Potemkin dalla sua tomba, nella cattedrale di Kherson a est del Dnipro, insieme all’evacuazione dei civili, costituiscano un segnale dell’intenzione della Russia di ritirarsi dalla regione.
«Il 27 ottobre 2022, il governatore nominato dalla Russia della regione di Kherson occupata dall’Ucraina, Vladimir Saldo, ha affermato che più di 70.000 persone avevano ormai lasciato la città di Kherson. Il 26 ottobre 2022, Saldo ha anche affermato che la Russia aveva rimosso i resti del famoso statista russo del XVIII secolo, il principe Grigory Potemkin, dalla sua tomba nella cattedrale di Kherson a est del Dnipro», si legge nel report.
«Nell’identità nazionale russa, Potemkin è fortemente associato alla conquista russa delle terre ucraine nel XVIII secolo e sottolinea il peso che Putin quasi certamente attribuisce alla giustificazione storica percepita per l’invasione. Questa rimozione simbolica di Potemkin e l’esodo civile probabilmente anticipa l’intenzione russa di accelerare il ritiro dall’area», si legge ancora nel report.
(da Globalist)

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OTTANTENNE INDIGENTE RUBA PER FAME IL PANE AL SUPERMERCATO: “NON DITELO AI MIEI NIPOTI”

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

IL TITOLARE LE REGALA LA SPESA: “POTEVA ESSERE MIA MADRE”

“Non chiami i carabinieri, non voglio che i miei nipote lo sappiano”. Sono le parole pronunciate da un’anziana signora di Ferentino, in provincia di Frosinone, al titolare del supermercato del piccolo centro in cui è stata sorpresa a rubare per fame.
E il titolare non solo non ha chiamato le forze dell’ordine, ma ha deciso deciso di regalarle la spesa.
“Poteva essere mia madre – ha raccontato Francesco Sciucco del supermercato Sebòn al Messaggero – non mi sento un eroe e non mi piace apparire, quando posso cerco di aiutare gli altri”.
La signora è un’ottantaduenne del posto, vedova, che vive con una piccola pensione. Ha deciso di non chiedere aiuto ai suoi quattro figli perché anche loro sarebbero in difficoltà. I suoi nipoti sono sette.
Dal supermercato ha preso soltanto beni di prima necessità, come il pane o il tonno.
Quando è stata sorpresa dai dipendenti, aveva paura che i nipoti potessero scoprire il fatto. “Non chiamare i carabinieri”, ha chiesto. Una storia che racconta quanto le difficoltà, purtroppo, si stiano accentuando per diversi cittadini.
(da agenzie)

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CI RISIAMO, PER BERLUSCONI “L’UCRAINA TRATTERA’ SE NON RICEVERA’ PIU’ ARMI”

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

MAGARI DI’ AL TUO AMICO PUTIN DI CONSEGNARE PRIMA LE SUE CHE FACCIAMO PRIMA

Secondo il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, la strada per una trattativa di pace in Ucraina passa per lo stop all’invio di armi al suo governo.
Nell’ultimo libro di Bruno Vespa, il Cav spiega, alla domanda su se si possa arrivare ad un armistizio: «Forse: solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa». Difficile dire se la dichiarazione peserà sul sostegno ai prossimi decreti di invio di armi, in preparazione da parte del governo Meloni.
Berlusconi nel corso dell’intervista, prosegue spiegando di non provare disagio per il fatto che sia proprio una donna a guidare il nuovo governo di centrodestra. «Era logico e naturale che andasse a Palazzo Chigi il leader del partito che ha ottenuto più voti di quelli di Forza Italia e della Lega messi insieme. D’altra parte avevo già detto più volte che Giorgia Meloni aveva tutti i requisiti per guidare il governo», spiega nelle pagine de “La Grande Tempesta”. Meloni ha successo, aggiunge, «Perché rappresenta il nuovo ed è stata molto brava nelle sue apparizioni televisive». Poi un punto dedicato al recente caso del ministero della Giustizia, affidato a Carlo Nordio nonostante le richieste di Forza Italia. L’ex pm, dice Berlusconi, è «uno straordinario professionista. Condivido le sue posizioni sulla riforma della giustizia. La priorità assoluta è la riduzione della durata dei processi» anche se «il no al Ministro della Giustizia ci ha deluso…. Ci è stato chiesto quali sarebbero stati i nostri ministri e noi abbiamo risposto: Tajani agli Esteri, Casellati alla Giustizia e Bernini all’Università. Poi si è parlato dei ministri senza portafoglio E io ero certo che ci fosse l’accordo».
L’incidente è comunque acqua passata: «Il mio intervento per la fiducia al Senato ha garantito una partecipazione appassionata e leale a sostegno del Governo per i prossimi 5 anni di lavoro».
(da agenzie)

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I DUE EGOMANI DI CALENDA E RENZI SONO GIÀ AI FERRI CORTI

Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile

GLI “AZIONISTI” TEMONO CHE RENZI ABBIA STRETTO UN ACCORDO CON LA MELONI PER GARANTIRSI LA PRESIDENZA DELLA COMMISSIONE DI VIGILANZA RAI (CHE VUOLE DARE ALLA BOSCHI)

Se fosse un racconto d’altri tempi, l’incipit dovrebbe essere «qui si narra la tensione di una coppia in formazione», perché i due protagonisti, i senatori Matteo Renzi da Firenze e Carlo Calenda da Roma, pare siano già ai ferri corti ancor prima di unirsi in matrimonio e dare vita ad una famiglia sotto le bandiere terzopoliste.
Non è solo Enrico Letta a sospettare intese sottobanco di Renzi con i vincitori, accusandolo di aver «piantato le tende nella maggioranza». Il leader di Azione non a caso è più duro con il governo («rispetto a Renzi, in Senato avrei fatto un discorso diverso», ha ammesso in un’intervista sul nostro giornale»).
E dunque, dopo una settimana di legislatura, ha già materia in abbondanza per sospettare la voglia di intelligenza col nemico. «Per me è già un miracolo se i due arrivano a mangiare il panettone», pronostica il dem Francesco Boccia. Del resto, basta sentire gli attacchi di Osvaldo Napoli di Azione a Meloni – «pessimo esordio, premia i furbi e punisce gli onesti» – per registrare due diversi approcci.
Narrano i più informati frequentatori del Palazzo che Calenda si fosse già sfogato prima del dibattito sulla fiducia con una personalità di alto rango istituzionale, guarda caso proprio in quel di Firenze pochi giorni fa. Mettendolo a parte del fatto che con Matteo è costretto a discutere sulle virgole e che la convivenza è ardua se non impossibile. Fin qui niente di sorprendente.
Un pensiero più maligno agli «azionisti» è venuto dopo aver sentito il discorso di Renzi in Senato: quelle carezze di riguardo e quegli attacchi al Pd così ben congegnati e ben accolti, tra risa e applausi, dai banchi del governo, premier inclusa: «Ecco perché Matteo ci teneva a fare la dichiarazione di voto sulla fiducia a nome del gruppo: voleva mandare un segnale». Dopo aver soppesato le aperture a Meloni dell’ex leader del Pd, uno che lo conosce bene, Matteo Richetti, capogruppo alla Camera, ha invitato un suo collega a «ragionare come se lui avesse già deciso di passare ad un appoggio esterno al governo. Dobbiamo prepararci al dopo…».
Ben sapendo che la postura di Azione rispetto all’esecutivo Meloni, pur pragmatica, non prelude a uno scenario di intese, ma a restare in trincea distanti. Il sospetto di alcuni di Azione, (una certezza per i più navigati), è che Renzi abbia già stretto un accordo con Meloni, altrimenti non avrebbe fatto tali aperture.
Un accordo per garantire, alla bisogna, quattro o cinque voti in Senato ai provvedimenti del governo, giustificabili con la dizione «nell’interesse degli italiani». In cambio della presidenza della commissione di vigilanza Rai, che Pd e 5stelle non gli vogliono concedere; e per la quale servono i voti della maggioranza: carica da affidare a Maria Elena Boschi. Soluzione gradita anche al Cavaliere.
Normale dunque che dalle parti di Calenda siano in subbuglio. Tormentati da quella che chiamano «l’indifferenza di Carlo sugli incarichi», terreno in cui è maestro Renzi. Mugugni e recriminazioni cui il capo di Azione reagisce con un’alzata di spalle.
Uno dei suoi colonnelli svela il timore che «se Matteo decidesse di dare un appoggio esterno al governo (votandone le leggi senza avere ministri propri, ndr.), alcuni di noi lo seguirebbero, attratti da possibili poltrone». Intanto gli “azionisti” stanno per ripartire alcune cariche, dopo gli equilibri con Iv messi a dura prova nei gruppi. Le due ex ministre avranno un loro posto in tribuna: Mara Carfagna sarà eletta presidente di Azione il 19 novembre all’assemblea nazionale a Napoli, e Maria Stella Gelmini verrà nominata vicesegretaria e portavoce.
Ma la tensione non si placherà: se si farà la Federazione tra Iv e Azione stilando una carta comune, nessuno scommette sull’approdo in un partito unico tra un anno, come da programma, in vista delle Europee del 2024. Dove il terzo Polo (se arriverà unito) dovrebbe fare l’exploit, seguendo lo schema di Renzi, quello che dal Pd definiscono «il format francese: lui nei panni di Macron, noi estinti come i socialisti del Ps, Conte nel ruolo di Mélenchon…». E Calenda?
(da La Stampa)

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