Destra di Popolo.net

LA MAMMA CHE CHIEDE ALLA BANCA I SOLDI PER CURARE LA FIGLIA MALATA: “LA MALATTIA NON ASPETTA, PREFERISCO PAGARE”

Novembre 30th, 2022 Riccardo Fucile

NELLA REGIONE SICILIA GOVERNATA DAL CENTRODESTRA LE LISTE DI ATTESA SONO TROPPO LUNGHE

Cira Maniscalco ha una figlia di 8 anni che soffre di una rara malattia neurologica. Per garantire le cure alla bambina ha chiesto un finanziamento di 30 mila euro a una banca.
Perché nella sua città, Palermo, e nella sua regione le visite e gli esami hanno liste d’attesa troppo lunghe.
Lo spiega lei stessa in un’intervista a la Repubblica raccontando di un encefalogramma fatto dopo pochi giorni pagato 250 euro: «Non è stata una scelta, ma una necessità. Mia figlia ha una rara patologia neurologica che richiede controlli annuali.
A maggio il medico le ha prescritto un elettroencefalogramma nel sonno, tecnicamente chiamato polisonnografia, con priorità breve, da eseguire cioè entro dieci giorni.
Sono andata al centro prenotazioni dell’ospedale pediatrico Di Cristina. Mi è stato risposto che l’esame non si poteva prenotare. Dopo le mie proteste, mi hanno detto che si poteva fare a novembre. Allora mi sono rivolta a un centro privato. Dopo due giorni l’esame è stato eseguito al costo di 250 euro. Nel pubblico non avrei pagato, perché mia figlia ha diritto all’esenzione per patologia».
Cira dice che questa cosa succede molto spesso: «L’anno scorso ho pagato una risonanza magnetica pediatrica. In ospedale avrei dovuto attendere otto mesi. In un centro diagnostico privato l’esame è stato eseguito dopo due giorni per 300 euro. Ma i bambini con un tumore al cervello non possono aspettare. E noi genitori siamo disposti anche a indebitarci. Ho chiesto un finanziamento a una banca, pago una rata da 280 euro al mese e ho ancora davanti dodici anni di pagamenti. Ora, con l’aumento dei prezzi e il caro-bollette, non arrivo nemmeno a fine mese. Devo chiedere ai miei genitori i soldi per la spesa».
E questo perché «in Sicilia non esiste la Neurochirurgia pediatrica e sono costretta a continue trasferte all’ospedale Meyer di Firenze. La Regione rimborsa solo parte delle spese, il resto è a carico nostro. È vergognoso che le famiglie debbano pagare anche esami di routine che dovrebbero essere garantiti in tempi accettabili dalle strutture pubbliche».
(da agenzie)

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GENOVA, ARRESTATI TRE NEONAZISTI: PEDOPORNOGRAFIA, MUTILAZIONI E SPARATORIE DI MASSA NELLA CHAT DELL’ORRORE

Novembre 30th, 2022 Riccardo Fucile

OPERAZIONE DELLA DDA

In un gruppo Telegram veniva incoraggiata ed esaltata la discriminazione razziale etnica e religiosa.
Tre ragazzi accusati di farne parte sono stati arrestati oggi, nell’ambito dell’operazione Blocco Est Europa della polizia, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova.
Nelle chat incriminate venivano osannati gli autori di sparatorie nelle scuole elementari e medie. I video delle stragi, inoltre, venivano condivisi nella chat e le gesta fatte oggetto di intenzioni emulative. Alcuni dei membri avevano infatti inaugurato una vera e propria “campagna di addestramento” al tiro con armi ad aria compressa utilizzando come “bersaglio” effigi di importanti cariche dello Stato in varie zone abbandonate del capoluogo ligure.
L’obiettivo ultimo consisteva nella realizzazione di un “progetto stragista” di enormi dimensioni alle Istituzioni democratiche.
Per questo tra le accuse contestate, a vario titolo, figura l’apologia di gravi delitti (omicidi e stragi) anche di tipo terroristico, assieme all’istigazione alla violenza sessuale su minori e diffusione di materiale pedopornografico.
Il tutto condito da copioso materiale di stampo suprematista: xenofobo, misogino, omofobo, antisemita e filonazista.
Contenuti che spaziavano dalle immagini di coprofagia a quelle di necrofilia, di decapitazioni, torture ed esecuzioni provenienti dagli ambienti jihadisti, mutilazioni e automutilazioni. I messaggi venivano scambiati tra ragazzi giovani, tra i 14 e i 21 anni. Le attività di indagine sono scattate dopo una segnalazione al Commissariato di P.S. online, e sono state svolte dal Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica Liguria e dalla D.I.G.O.S. di Genova.
(da agenzie)

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L’ASSESSORA LEGHISTA DI ARDEA SI “ASSUME” DA SOLA

Novembre 30th, 2022 Riccardo Fucile

PARTECIPA AL CONCORSO DEI VIGILI URBANI NEL SUO COMUNE E VINCE

Assessora ad Ardea, con delega ai servizi demografici e al personale, ha preso parte al concorso per tre posti da vigile urbano bandito dallo stesso Comune di Ardea ed ha già superato la preselezione. Una vicenda che sta sollevando numerose polemiche sul litorale romano quella con al centro la leghista Luana Ludovici.
Eletta nella scorsa consiliatura con una civica e passata poi con il Carroccio, diventando anche coordinatrice cittadina del partito di Matteo Salvini, l’assessora Ludovici si è ricandidata quest’anno ed è stata eletta a giugno in consiglio comunale. Scelta poi dal sindaco Maurizio Cremonini, di Fratelli d’Italia, per far parte della giunta, si è dimessa da consigliera e al suo posto è entrato a far parte dell’assise civica il cugino Giovanni Giovannelli.
Nella Lega l’amministratrice, che in passato ha lavorato prima come operaia e poi come segretaria, ha fatto carriera in fretta ed era stata anche scelta come assistente dall’eurodeputata Anna Cinzia Bonfrisco. Ora l’imbarazzante partecipazione alla selezione pubblica, per titoli ed esami, avviata dal Comune di Ardea per assumere a tempo pieno e indeterminato tre agenti di polizia locale.
L’assessora Ludovici ambisce a entrare a far parte di quel personale comunale su cui lei stessa ha la delega. Ed è già tra gli ammessi al concorso. Su 134 aspiranti vigili ce l’hanno fatta a superare la preselezione soltanto in 22: l’esponente leghista è tra questi.
(da La Repubblica)

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SALVINI E MINNITI DENUNCIATI ALLA CORTE PENALE DELL’AJA PER “CRIMINI CONTRO L’UMANITA'”

Novembre 30th, 2022 Riccardo Fucile

L’ACCORDO CON LA LIBIA SUI MIGRANTI: “COMPLICITA’ CON LA GUARDIA COSTIERA LIBICA”

Hanno rafforzato la Guardia costiera libica nella piena consapevolezza della fine terribile che avrebbero fatto i migranti raccolti in mare e riportati in Libia: sistematicamente seviziati nei lager di detenzione. Perciò alcuni politici italiani, maltesi ed europei di primissimo piano tra cui l’ex ministro dell’Interno e attuale responsabile delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sono stati denunciati alla Corte penale dell’Aja per “crimini contro l’umanità”.
Sono stati l’Ecchr, il Centro europeo per i diritti umani e costituzionali, e la Sea Watch a presentare la denuncia penale alla Corte dell’Aja, anche contro l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, l’ex Alto rappresentante della Ue Federica Mogherini, l’ex e l’attuale premier maltesi, Robert Abela e Joseph Muscat, l’ex direttore di Frontex Fabrice Leggeri e altri. L’accusa è di “complicità” con la Guardia costiera libica nella “privazione della libertà”.
Il consulente dell’Ecchr: “Respingimenti e torture, un vero sistema criminoso”
Chantal Meloni, docente di diritto penale internazionale alla Statale di Milano che ha lavorato al caso come consulente giuridico dell’Ecchr, spiega a Repubblica che “abbiamo lavorato su dodici episodi di intercettazioni di migranti e rifugiati in mare avvenuti tra il 2018 e il 2021, che sono stati ricostruiti e documentati nel dettaglio e che dimostrano la violazione gravissima di molte leggi internazionali. Ma oltre che sui singoli casi ci siamo concentrati sul contesto nel quale tali operazioni avvengono, che abbiamo ricostruito come un vero e proprio sistema criminoso”.
Un anno fa l’Ecchr, insieme alla Federazione Internazionale per i Dirittti Umani e Lawyers for Justice in Libya aveva già presentato all’Aja trecento pagine di denuncia “sulle condizioni di detenzione in Libia, sul sistema di torture, abusi e violenze che vige nei centri per i migranti”. Stavolta, quindi, “siamo andati avanti, abbiamo cercato di dimostrare che ci sono responsabilità europee” nel drammatico destino dei migranti che vengono raccolti in mare dalla Guardia costiera libica e riportati nel Paese nordafricano.
L’accordo sotto accusa con la Guardia Costiera libica
“Le responsabilità penali non riguardano Stati o istituzioni, ma direttamente i politici”, spiega ECCHR. “Queste persone, legate da un accordo, hanno disegnato un sistema di respingimenti che si è basato su un rafforzamento della Guardia costiera libica, ben sapendo cosa succede in Libia”. Come spiega ANdreas Schuller, direttore del programma Crimini internazionali dell’Ecchr, “il trattamento e le condizioni di detenzione disumani inflitti ai migranti in Libia sono ben noti da anni. La Libia non è un posto sicuro per rifugiati e migranti”.
Nel documento presentato all’Aja dall’Ecchr si legge in particolare che “nell’ambito degli atroci crimini commessi contro migranti, rifugiati e richiedenti asilo, la presente denuncia giunge alla conclusione che le operazioni con le quali vengono intercettati e riportati in Libia, più che come operazioni di ‘soccorso in mare’, si configurino come crimini contro l’umanità sotto forma di grave privazione della libertà personale”.
Grazie all’adozione da parte della Germania del diritto internazionale, l’Ecchr è già riuscito negli ultimi anni a trascinare davanti ai tribunali tedeschi gli aguzzini del regime siriano di Bashar Assad. Due sono stati già condannati a pene di detenzione lunghe grazie alle testimonianze dei migranti che erano stati seviziati nelle camere per le torture
(da La Repubblica)

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DALLE CARTELLE AL CONTANTE, TUTTI I FAVORI DEL GOVERNO A CHI SI NASCONDE AL FISCO

Novembre 30th, 2022 Riccardo Fucile

L’UNICA STRETTA E’ SULLE PARTITE IVA MORDI E FUGGI PERCHE’ “LE USANO GLI IMMIGRATI”

Strizzare l’occhio a chi evade o vorrebbe farlo. A chi si “dimentica” di pagare la dichiarazione o la cartella. A chi tiene nel retrobottega il Pos. A chi preferisce girare con i contanti in tasca.
La prima manovra del governo Meloni è piena di questi segnali, diventati norme di “tregua fiscale”, perché non si parli di condoni. I condoni invece ci sono. E se le misure sembrano meno dannose di quanto annunciato è solo per la moral suasion del presidente Mattarella.
Voluntary e depenalizzazione
Senza gli alert del Quirinale, gli azzardi del governo si sarebbero spinti ben oltre. Non è un mistero che si lavorava a una voluntary disclosure per sanare i capitali detenuti all’estero. Tramontata. Come pure il colpo di spugna su tutti i reati di natura tributaria, civili e penali legati all’evasione. Senza eccezioni, compresi mafia e riciclaggio. Troppo, persino per un governo di destra.
Contante
E così, nel giorno in cui Mattarella fermava il rialzo del tetto al contante a 5 mila euro nel decreto Aiuti quater poi trasferito in manovra, il ministero dell’Economia usciva con una nota: “Nessun condono penale”. Una smentita (del ministro Giorgetti) che svelava il tentativo (attribuito al suo viceministro Leo che ha la delega alle finanze). Sul contante la Lega aveva provato con 10 mila euro. Fratelli d’Italia dimezzava il limite, spiegando: “Serve ai turisti”.
La battaglia sui Pos
Era una promessa fatta agli esercenti e commercianti in campagna elettorale. Ed ecco che arriva anche la sospensione delle sanzioni per i pagamenti con il Pos fino a 60 euro. L’obbligo di legge rimane, ma levare la sanzione è come cancellarlo. Piccolo problema: incentivare i pagamenti digitali è un obiettivo del Pnrr perché scoraggia l’evasione. L’Europa si farà sentire: “Il Pnrr va attuato”, diceva ieri la portavoce della Commissione. E venerdì arrivano a Roma gli ispettori Ue per la visita canonica (prevista) sul Pnrr.
Le cartelle
Anche qui l’obiettivo, caldeggiato soprattutto dalla Lega era molto più ambizioso: cancellare tutte le cartelle fino a 5 mila euro (all’epoca del governo Draghi volevano fino a 10 mila euro). Lo stralcio si è fermato ai ruoli affidati fino al 2015 e fino a 1.000 euro per cartella. Basta però avere più cartelle, ciascuna non superiore a mille euro – Iva, Irpef, multe – e il tetto è superato. Per i debiti sopra i 1.000 euro si deve solo l’imposta in rate fino a 5 anni, senza sanzioni, interessi, rate. E poiché qui sono in ballo cartelle fino al 30 giugno 2022, l’italiano che non evade, paga le tasse, tutte e in tempo, si chiede se ne vale la pena.
La pace col fisco
Ben dieci modi per ricucire i rapporti con l’Agenzia delle entrate. “Ci si siede a tavolino e si tratta”, spiega il viceministro Leo. Mai legge di bilancio fu più generosa nell’offrire soluzioni: tra ravvedimento operoso e conciliazioni giudiziali, tutte scontatissime a prezzo di saldo con sanzioni mini.
Le partite Iva “apri e chiudi”
L’unica stretta del governo, in chiave anti evasione, è su chi apre una partita Iva e poi la chiude per non pagare tasse, soprattutto nel commercio, nei negozietti. Ecco il motivo: “Lo fanno soprattutto gli extracomunitari, non lo permetteremo più”, diceva il 18 agosto la candidata Giorgia Meloni. Detto fatto.
(da La Repubblica)

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FRATELLI D’ITALIA DIFENDE IL BONUS SMARTPHONE NATALIZIO DEI DEPUTATI: “INCLUDE LA CANCELLERIA”

Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile

MA L’ATTO DELLA CAMERA SMENTISCE FDI: “MATERIALI NON COMPRESI NEI 5.500 EURO”… STIPENDIO PIENO ANCHE AGLI ASSENTEISTI… IL M5S SI DIVIDE SUL PROVVEDIMENTO

Fratelli d’Italia difende il maxi-bonus per smartphone, tablet e airpods per i deputati, deliberato a un mese da Natale.
Secondo il deputato meloniano Paolo Trancassini, che da questore della Camera ha firmato il provvedimento del 24 novembre raccontato oggi da Repubblica, ci sarebbe addirittura un “risparmio contabile con l’ottimizzazione della spesa”.
FdI non fornisce numeri su questo risparmio, ma secondo il deputato i questori avrebbero semplicemente “provveduto a unificare due capitoli di spesa che da sempre prevedono somme disponibili per i deputati. Da una parte ci sono i 2. 500 euro a mandato per i deputati per acquistare materiale informatico e dall’altra ci sono gli oltre mille euro all’anno per acquistare materiale di cancelleria”.
Insomma, a suo dire oggi il nuovo bonus coprirebbe entrambe le voci, quelle per telefonini e pc e quelle per bloc notes e penne. Una “ottimizzazione della spesa che produce più praticità per i parlamentari”.
Le carte di Montecitorio
Gli atti della Camera però parlano chiaro. Il bonus per le dotazioni tecnologiche nella scorsa legislatura era di “2.500 euro” (determina dei questori numero 0016497 del 2018) ora è di “5.500 euro” (det. 0024059 del 24 novembre 2022). Proprio nell’ultima determina è scritto chiaramente che i prodotti di cancelleria, all’allegato 2 della nuova disciplina, “non concorrono alla determinazione dell’importo di 5.500 euro”. Solo a chi non bastasse questa fornitura di centinaia fra buste, lettere, cartelle, fermagli, pennarelli ed evidenziatori è data la possibilità di attingere dai 5.500 euro per ottenerne altri ancora, come extra. Insomma, funziona così: il bonus per pc, smartphone e tablet dei deputati viene moltiplicato del 120%, sotto Natale, e nell’elenco degli oggetti che la Camera in teoria può rimborsare con questo contributo sono stati inseriti anche alcuni prodotti di cancelleria. Che però Montecitorio già fornisce in prima battuta, gratuitamente, ai parlamentari e che dunque non intaccano il nuovo maxi-gettone.
M5S si divide
Oltre a FdI e alla Lega, anche il questore del Movimento 5 Stelle ha firmato le nuove regole sui rimborsi tecnologici. Ma non tutti nel partito di Giuseppe Conte difendono la mossa. Stefano Buffagni, ex vice-ministro dello Sviluppo, non ricandidato per il tetto del doppio mandato, attacca su Facebook: “Mentre il Paese versa in grosse difficoltà, le famiglie non arrivano a fine mese, le bollette volano alle stelle, trovo intollerabile, ma soprattutto politicamente suicida, avallare decisioni di questo tipo”, scrive Buffagni.
“Ho contribuito al taglio dei costi della politica, ho restituito più di 300 mila euro netti, non di certo per poi vedere questi autogol. Questa è una scelta che il Parlamento si poteva e doveva risparmiare”.
Cancellate le penali
Altra novità rispetto alla scorsa legislatura: nel 2018, sotto la presidenza di Roberto Fico, furono inserite alcune penali per limitare l’erogazione dei fondi e punire gli assenteisti. Erano previste trattenute nel caso in cui un parlamentare non partecipasse ad almeno il 50% delle sedute in Aula o non presentasse almeno l’80% delle proposte di legge in formato elettronico, per risparmiare sulla carta. Di questo passaggio, nel provvedimento varato il 24 novembre, non c’è più traccia. Nessun commento, sul punto, dai nuovi questori.
(da La Repubblica)

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LO STUDIO DELLA “SVIMEZ”: IL PNRR ARRANCA AL MERIDIONE, IL MINISTERO DELLE IMPRESE E QUELLO DEL TURISMO HANNO PREVISO RISPETTIVAMENTE SOLO IL 24,5% E IL 28,6% DEGLI INVESTIMENTI DEL PNRR AL SUD

Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile

“IL GOVERNO SA BENE QUALI SONO GLI INTERVENTI DA FARE, DOVREBBE SMETTERE DI FARE L’ARBITRO E FARE IL REGISTA”

La recessione arriverà, ma solo per il Mezzogiorno. Stremato da un’inflazione che sui redditi bassi pesa di più, per via della maggiore quota riservata alle bollette e ai beni di prima necessità, il Sud si allontana già quest’ anno dal resto del Paese, con una crescita inferiore di oltre un punto a quella del Centro- Nord, e mezzo milione di poveri in più, i due terzi di chi, secondo le proiezioni della Svimez, scenderà sotto la soglia di povertà assoluta in Italia.
E per il 2023 il Rapporto Svimez sull’economia nel Mezzogiorno prevede un arretramento del Pil dello 0,4%, contro una crescita dello 0,8% del Centro Nord e una media nazionale dello 0,5%.
«Avremmo voluto presentare una narrazione diversa quest’ anno», ammette il direttore Luca Bianchi, ricordando che nel 2021 la crescita del Mezzogiorno, al 5,9%, era stata persino leggermente superiore a quella della Ue-27.
Acqua passata: la guerra in Ucraina e lo shock energetico hanno riportato ancora una volta indietro le Regioni del Sud, indebolite da un’industria che non decolla, dai giovani che fuggono, se possono senza neanche passare dalle università (chi può sceglie i corsi del Centro-Nord) e da un lavoro estremamente debole, precario, che non offre il supporto che dovrebbe.
Il 34,3% dei dipendenti nel Mezzogiorno ha una paga bassa, inferiore a 10.700 euro lordi annui, il part-time involontario dilaga e i dipendenti a termine sono quasi un quarto del totale. Il reddito di cittadinanza ha portato un po’ di sollievo ma le politiche attive sono un miraggio: solo il 43% dei richiedenti ha sottoscritto il Patto per il Lavoro e, tra questi, meno della metà ha ricevuto un’offerta.
«Il Pnrr è l’ultimo treno per ricomporre la frattura Nord-Sud ed esprimere il potenziale dell’Italia in Europa», afferma Luca Bianchi, mostrando una cartina dove le linee colorate che indicano le linee di collegamento ferroviario veloce si fermano alla Campania.
Il presidente della Svimez Adriano Gianola osserva come costringere le amministrazioni locali, sguarnite di personale specializzato e spesso anche in difficoltà di bilancio, a presentare progetti in tempi brevissimi per ottenere i fondi sia solo uno spreco di risorse: «È una follia lavorare con bandi competitivi su servizi essenziali come la sanità, la scuola e il trasporto pubblico locale. Il governo sa bene quali sono gli interventi da fare, dovrebbe smettere di fare l’arbitro e fare il regista».
Anche perché altrimenti si rischia di non raggiungere neanche la soglia obbligatoria del 40% degli investimenti del Pnrr riservati al Mezzogiorno, fissata proprio per superare i divari territoriali: per il ministero delle imprese e del Made in Italy la quota Sud si ferma al 24,5% e per quello del Turismo al 28,6%.
(da La Repubblica)

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IL COLOSSO MSC PUÒ TORNARE IN CAMPO NELL’ACQUISTO DELL’EX ALITALIA COME PARTNER DI LUFTHANSA

Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile

I TEDESCHI VOGLIONO CHIUDERE L’AFFARE ENTRO FINE ANNO, MA PRETENDONO CHE IL TESORO MANTENGA UN RUOLO MARGINALE PER NON AVERE INGERENZE DAL GOVERNO

Più di un compagnia regionale, meno di una di bandiera. Più voli da Milano, con forte spinta sul cargo da Malpensa, e meno peso all’hub di Fiumicino. Che assumerebbe un ruolo più stagionale, ma sarebbe cruciale per le rotte verso il Nord Africa e il Medio Oriente.
Il piano Lufthansa per Ita prende forma, anche se sul futuro della compagnia nata un anno fa dalle ceneri di Alitalia restano diversi punti interrogativi. Il primo riguarda i futuri soci della compagnia aerea; il secondo la sua valutazione e l’ultimo i tempi per chiudere l’operazione.
L’obiettivo concordato con l’Unione europea prevedeva di definire la privatizzazione entro fine anno. Soprattutto per evitare che il finanziamento pubblico al vettore si configurasse come un “aiuto di Stato”: con l’ultima iniezione di capitale, Ita dovrebbe avere cassa sufficiente per arrivare alla fine di marzo, ma l’obiettivo del Mef e di Lufthansa è quello di chiudere entro dicembre. E per questo in settimana sono attesi a Roma dai vertici di Ita gli emissari di Lufthansa. D’altra parte l’amministratore delegato del gruppo, Carsten Spohr, ha più volte ribadito che se il governo avesse deciso di proseguire con l’opzione tedesca sarebbe stato disposto «a venire a Roma ogni settimana»
A inizio anno i tedeschi avevano presentato un’offerta per Ita insieme a Msc, poi, una settimana fa, il colosso della famiglia Aponte ha annunciato l’intenzione di fare un passo indietro perché sarebbero venute meno le condizioni per portare a termine l’operazione. L’idea di poter creare sinergie però resta viva e Aponte segue da vicino la partita. Peraltro non ha mai nascosto che l’acquisto degli aerei cargo da parte di Msc non è in contrapposizione all’interesse per Ita.
Per Lufthansa, però, è cruciale che il Tesoro sia relegato a un ruolo secondario: non vuole ingerenze nella gestione della compagnia. E per questo al Mef preferirebbe Fs come azionista: se così non fosse, il piano è quello di lavorare a una partnership commerciale come quella che c’è in Germania tra Lufthansa e Deutsche Bahn. Il messaggio che gli emissari di Spohr porteranno a Ita e ai suoi azionisti è che ogni decisione verrà presa in nome dell’efficienza e della marginalità, non degli interessi della politica o dei bisogni di qualche imprenditore.
Motivo per cui non verranno aperte nuove rotte verso il Nord America – le più redditizie del mercato aereo – con i passeggeri italiani che dovranno fare scalo a Monaco o Francoforte. Tuttavia, se gli slot tedeschi arrivassero a tappo, allora potrebbe essere utilizzata Malpensa. L’Italia è il secondo mercato europeo per i tedeschi, per questo Ita non sarà “ridimensionata” come Austrian Airlines o Swiss Air, ma non sarà certo messa in condizioni di fare concorrenza ad Air France.
E in questo senso è probabile che venga rivisto anche il ruolo di Air Dolomiti all’interno del gruppo: il vettore veneto potrebbe essere fuso in Ita, ma se anche così non fosse tra le due compagnie verrebbero create sinergie per evitare duplicazioni. L’ultimo nodo da sciogliere riguarda il prezzo.
Considerando che dal 2014 Alitalia è costata due milioni di euro al giorno allo Stato, e che Ita continua a perdere soldi, la valutazione di inizio anno è crollata a 500 milioni di euro: i tedeschi non sono disposti a spingersi oltre e neppure Msc. A patto che rientri in partita.
(da agenzie)

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I RUSSI SONO STANCHI DELLA GUERRA: DAI SONDAGGI EMERGE IL DISSENSO CONTRO PUTIN

Novembre 29th, 2022 Riccardo Fucile

SONDAGGIO LEVADA: UN NUOVO RICORSO ALLA COSCRIZIONE OBBLIGATORIA MINEREBBE IL SOSTEGNO AL REGIME

La guerra pesa sul morale dei russi. Temono nuove mobilitazioni e che il Paese sia in un vicolo cieco. Non riescono a immaginare il futuro. La maggioranza vuole la pace.
È quanto emerge dagli studi sull’opinione pubblica condotti in novembre dal centro statistico Levada, anticipa a Fanpage.it il sociologo responsabile della ricerca. Se Vladimir Putin ricorresse ancora alla coscrizione obbligatoria — e ci sono indizi che lo farà — potrebbe alienarsi la popolazione. Soprattutto le donne.
Senza un domani
“La gente non vede come la Russia potrà uscire dalla situazione in cui si è messa in Ucraina, e ritiene che neanche al Cremlino lo sappiano”, spiega al telefono da Mosca Alexey Levinson, capo del dipartimento Ricerche socio-culturali dell’istituto di sondaggi. Il Centro Levada è indipendente dal governo, che lo ha dichiarato “agente straniero” ma si guarda bene dal chiuderlo: i sondaggi indipendenti servono anche a Putin. Nella scorsa settimana, Levinson ha condotto una serie di focus group in diverse città. Condivide con noi le sue osservazioni: “La cosa che preoccupa i russi è la mancanza di comprensione del possibile esito di tutto questo”, nota il sociologo. “Non riescono a raffigurarsi un futuro, un ‘dopo’. Non si capisce quali siano gli obiettivi della guerra. Così aumentano sempre più le persone favorevoli a negoziati di pace”.
Si rafforza quindi la tendenza rilevata in ottobre, quando già il 57% degli intervistati era a favore della trattativa. I dati raccolti nell’ultimo mese sono in fase di elaborazione e verranno pubblicati solo nei prossimi giorni. Ma registreranno con ogni probabilità un ulteriore aumento dei “pacifisti”. “Sono soprattutto le donne che vogliono la fine del conflitto”, rivela intanto Levinson. “È un fatto importante: la parte femminile della società è ora leader del ‘partito della pace’”. Che non è un vero partito né è necessariamente contro Putin ma, almeno al momento, è in evidente disaccordo con lui sul da farsi in Ucraina.
Il “partito” delle donne
Il movimento “Resistenza femminista contro la guerra”, insieme a un gruppo di iniziativa di madri dei soldati mobilitati tra settembre e ottobre, ha appena pubblicato una lettera aperta che chiede la fine delle ostilità e la ritirata delle truppe russe dal territorio ucraino. Il documento è indirizzato ai parlamentari della Duma e del Consiglio della Federazione. Contiene anche un appello per l’adozione di leggi contro la violenza domestica. Oltre 32,500 vittime l’anno, secondo dati di Statista. Ma in Russia, a meno che le lesioni non siano gravi, picchiare ogni tanto la moglie non è un reato: Putin lo ha depenalizzato nel 2017.
L’attivismo delle donne contro la guerra si è intensificato, nelle ultime settimane. Si sono costituiti comitati di mamme e mogli dei coscritti, per rivendicare quantomeno i diritti di chi è stato spedito sui fronti ucraini senza neanche un addestramento e un equipaggiamento adeguati. Hanno chiesto più volte di incontrare il presidente.
La pagina del più insistente e critico di questi comitati su VKontakte, il Facebook made in Russia, è stata bloccata dalle autorità. Ma il presidente un gruppo di madri di soldati alla fine lo ha ricevuto. Una farsa: erano tutte dame dell’alta società putiniana, ha scoperto il canale Telegram Mozhem Obyasnit. Gente che nemmeno sotto tortura farebbe mai una domanda scomoda allo zar.
“È tuttavia un segnale importante, chiunque fossero quelle signore: per la prima volta il leader del Cremlino ha riconosciuto che c’è qualcosa che non va”, dice Alexey Levinson. “E che i problemi legati al conflitto in corso sono socialmente sensibili, perché stanno toccando i sentimenti di molte persone”.
Le madri dei soldati in passato hanno avuto un ruolo importante nel contrastare le avventure belliche di Mosca. Negli anni ’80 furono le prime a opporsi alla guerra in Afghanistan. Durante la prima guerra cecena, alla metà degli anni ’90, furono protagoniste di azioni di protesta clamorose diventando il simbolo dell’opposizione pubblica al conflitto, tra i principali motivi che convinsero Boris Yeltsin, il presidente di allora, a dichiarare il cessate il fuoco e a firmare poi un trattato di pace.
Nella Russia di Putin, però, non c’è da aspettarsi alcunché di simile, secondo Levinson. “La realtà sociale è completamente diversa rispetto a quella dei tempi di Gorbachev o di Yeltsin. La repressione del dissenso e la pressione dei servizi di sicurezza e della polizia hanno colpito la propensione a protestare. È già molto che nei sondaggi oggi si possa anche solo pronunciare la parola ‘pace’: nei primi mesi della ‘operazione speciale’ in Ucraina era proibita”. Inoltre, aggiunge il sociologo, adesso a criticare il Cremlino non sono tanto le mamme quanto le mogli dei coscritti: “Ed è una circostanza ricca di conseguenze, perché la madre nella cultura russa gode di un prestigio che la moglie non ha”. Meno influenza sulla società, quindi. D’altra parte, l’età più giovane delle potenziali “nemiche” del regime e la loro maggior presenza nelle attività lavorative potrebbero nel lungo termine creare non pochi fastidi al presidente
Verso una nuova mobilitazione
Fatto sta che anche un nuovo richiamo alle armi probabilmente non provocherebbe rivolte. A Mosca tutti se lo aspettano. La mobilitazione parziale proclamata a fine settembre è stata dichiarata conclusa ma il decreto che la istituiva non è mai stato annullato. Ci sarà pure un motivo. Intanto, è stata annunciata una riorganizzazione degli uffici di leva. Potranno contare su un database elettronico unico dei possibili coscritti, con informazioni particolareggiate su ognuno. Numeri di telefono e indirizzi e-mail compresi. Lo scopo è quello di evitare che si ripeta il caos verificatosi con la prima mandata di reclutati, quando sono state richiamate persone disabili e sono sfuggiti alla cartolina molti degli effettivamente arruolabili.
Le ragioni per mandare altri ragazzi russi a morire ci sono tutte, dal punto di vista del Cremlino: fonti militari e dei servizi segreti hanno raccontato al sito di notizie Important Stories che il governo prevede 100mila perdite entro l’estate tra gli ultimi mobilitati. E che intende rimpiazzare i caduti e i feriti con 120mila reclute. Putin non abbandona l’obiettivo di prendere Kyiv ed è pronto a combattere per anni, dicono le stesse fonti.
Secondo lo Stato maggiore delle forze armate ucraine, una “mobilitazione nascosta inizierà” già dal prossimo 10 dicembre, in Russia. L’impatto sociale sarebbe drammatico. “Prima della mobilitazione di fine settembre i cittadini, sottoposti a una martellante propaganda secondo cui tutto andava bene, erano rimasti praticamente indifferenti alla guerra in Ucraina”, ricorda Alexey Levinson. Poi, tutto è cambiato.
“La mobilitazione ha portato la guerra nelle case. È stata una sveglia per tutti, non solo per i richiamati e per le loro famiglie. Ed è già costata una catastrofe nazionale, con centinaia di migliaia di giovani che son scappati all’estero lasciando indietro i loro cari”.
Il futuro di Putin
Alla mancanza di una prospettiva chiara sul loro futuro i russi sono allenati. “Il regime attuale è sempre stato silente rispetto al futuro, non per qualche arcano motivo di segretezza ma proprio perché non ne ha alcuna idea”, argomenta Levinson.
Durante la preparazione di questa guerra e ancor più dopo l’invasione, Putin ha creato per il suo Paese una sorta di ideologia fondata sui cosiddetti valori tradizionali, sulla contrapposizione all’Occidente e su un imperialismo volutamente malcelato. Ricorrendo ai miti della Storia patria, e quindi al passato, si vogliono stimolare le coscienze e compensare la mancanza di chiarezza sul futuro. La guerra, intanto, serve a stringere la gente intorno alla bandiera.
Il sistema creato nel corso degli ultimi vent’anni da autoritario sta trasformandosi in totalitario e quindi — dicono i politologi — necessita della mobilitazione delle masse per autoconsevarsi. Non bastano più l’apatia e l’indifferenza.
Il sovrano chiama i cittadini a un impegno attivo. Niente più della mobilitazione militare può rappresentare questo impegno. La ricerca di Levada indica però che la mobilitazione militare per i russi è solo “uno shock tremendo che alimenta il pessimismo”, riferisce Levinson. Altro che entusiasmi totalitari.
La prosecuzione della guerra e l’invio di nuova carne da macello sui fronti ucraini — se avverrà — non porterà forse a una Rivoluzione russa del terzo millennio. Ma sulla società avrà conseguenze opposte a quelle cercate dal presidente. Allontanando sempre più le coscienze dei cittadini dalle torri del Cremlino. Con effetti che a lungo andare potrebbero diventare fatali, per il totalitarismo ibrido di Vladimir Putin.
(da Fanpage)

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