Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
SONO 365MILA I RAGAZZI CHE, IN MANCANZA DI FAMIGLIE CHE POSSONO SOSTENERLI ECONOMICAMENTE, DEVONO ALTERNARE IMPIEGO E STUDIO… QUASI TUTTI VENGONO PAGATI IN NERO E SPESSO DEVONO SOTTOSTARE A CONDIZIONI DI LAVORO AI LIMITI CON LO SCHIAVISMO… LA VITA UNIVERSITARIA COSTA TRA I 9MILA AI 17MILA EURO L’ANNO
«Ho fatto la cameriera, la lavapiatti, la caregiver, ho guadagnato meno di 5 euro l’ora, ma ne ho bisogno: la mia famiglia non può sostenermi, mi pago da sola la spesa, i libri, la stanza in affitto a Viterbo dove gli alloggi studenteschi son pochissimi e io non ho borsa di studio». Stella, 25 anni, fuorisede a Biologia, è una di quelle che studiano e lavorano. Meglio: lavorano per studiare. D’altronde se tra tasse, mensa, materiali, bus, sport e un letto, la vita universitaria costa tra 9 mila e 17 mila euro l’anno, chi poggia su spalle fragili in famiglia come fa?
«L’anno scorso mi pagavo gli studi lavorando tutti i giorni senza dare nemmeno un esame — dice ancora Stella — Adesso 3 o 4 volte a settimana servo al ristorante o aiuto una signora in difficoltà. È tutto in nero ma i soldi mi servono e per quella donna sono una lucina nel buio della sua depressione».
Né «choosy» né «bamboccioni» — sfortunatissime definizioni di vecchi ministri — sono almeno 365 mila gli studenti lavoratori che si dichiarano tali, uno su cinque, mai così tanti dal 2008.
Ma lavorare non è sempre una libera scelta, anzi «spesso è un cammino obbligato per le difficoltà economiche e le carenze del diritto allo studio: solo il 40% potrebbe permettersi l’università senza un impiego», commenta Camilla Piredda che per l’Udu, con Cgil e Fondazione Di Vittorio, ha lavorato a un’indagine sugli studenti lavoratori.
6 su 10 hanno enormi difficoltà a frequentare le lezioni, più della metà non ce la fa a stare in regola con gli esami. «È un circolo vizioso: devo lavorare di più per pagarmi l’università ma se lavoro di più ho meno tempo per studiare», ragiona Luca Spanò, 23 anni, al quarto anno di Scienze storiche e cooperazione internazionale. «Ho chiesto la carriera part time, do esami da non frequentante, la media è buona ma vado a rilento. Se lavori tutto il weekend, il lunedì stai ko».
Come il 67,4% dei coetanei, Luca vive a casa coi suoi. Solo che a casa sono in 7, fratelli, genitori, nonni, il salotto è una camera da letto. «A 18 anni mamma mi disse: se vuoi fare l’università pagatela da solo». Ha fatto il cameriere, l’addetto alla sicurezza nei musei, il banconista, lo stagista retribuito dalla Regione: «40 ore a 800 euro, una follia, non c’è rispetto dei contratti, ti fanno lavorare al posto di un assunto e ti chiedono di recuperare i giorni di malattia. Nessuno conosce i propri diritti».
I contratti, quando ci sono, sono a tempo, interinali, a chiamata, part time involontari. Michelangelo ha 21 anni, viene da Latina, a Roma studia Scienze politiche ed è dipendente di un’agenzia interinale che fornisce camerieri extra agli alberghi con un contratto a somministrazione, sono stati i primi a metterlo in regola.
(da La Repubblica)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
A SOSTENERE VANNACCI IL COMITATO “IL MONDO AL CONTRARIO”, COMPOSTO DA EX MILITARI E NEOFASCISTI
Magari sarà pure vero – come prevede con la consueta modestia Roberto Vannacci – che il generale sospeso dall’esercito porterà a casa le sue 6-700 mila preferenze in tutta Italia. Di sicuro lo farà senza l’aiuto del corpaccione della Lega, il partito che lo ha candidato. Il patto con Matteo Salvini sembra più che altro la solitudine dei numeri primi.
Il leader del Carroccio lo ha voluto a tutti i costi, su di lui punta le proprie fiches di rilancio, e sempre con lui chiuderà la campagna per le Europee a Milano e a Roma. Ma dietro alla coppia c’è una specie di deserto, una diffusa e ostentata indifferenza che a seconda di come andrà il voto potrebbe portare con sé la resa dei conti.
L’esempio più lampante è ciò che sta avvenendo nel collegio Nordovest, quello dove la Lega dovrebbe o potrebbe andar meglio, assieme al Nordest. I due territori storici del partito. Nel gioco delle preferenze – tre per ogni elettore, con alternanza di genere – e quindi dei santini da distribuire agli eventi, nei banchetti e nei mercati, nessuno dei candidati leghisti ha scelto di far spazio a Vannacci.
Ci sono i ticket, ad esempio l’uscente Angelo Ciocca con la piemontese Gianna Gancia, oppure l’ex sindaco di Adro Oscar Lancini con Simona Bordonali; il tris con il candidato forte, fosse pure per fare una bella figura con Salvini che tanto lo pompa, non vuole però farlo nessuno.
Anche perché Vannacci stesso, in piena trance agonistica, convinto di poter prendere più voti anche del presidente di Forza Italia Antonio Tajani, non fa coppia con nessuno, elettoralmente parlando. Il generale che ha «disonorato la divisa» – così recitava il provvedimento della Difesa – è fisso in televisione, va in giro a presentare i suoi libri, i giornali locali lo intervistano a tutto spiano ed è a posto così.
Giusto i fedelissimi del “Capitano”, coloro i quali devono tutto a Salvini, si stanno esponendo per Vannacci. Tipo il vicesegretario Andrea Crippa e il commissario (liquidatore) della Lega Nord per l’Indipendenza della Padania Igor Iezzi: portaborse di Salvini quand’era parlamentare europeo, il primo, sin dagli anni ’90 compagno di scorribande milanesi del vicepremier il secondo, nominato a fare la guardia del bidone del guscio vuoto di via Bellerio.
E tutti gli altri che contano? Il presidente della Lombardia Attilio Fontana, con un tempismo ragguardevole se si pensa che siamo in piena campagna elettorale, è volato negli Stati Uniti. Prima Chicago, poi Indianapolis, «con l’obiettivo di attrarre nuovi investimenti sul territorio» fanno sapere dal palazzo della Regione. Insieme a Giancarlo Giorgetti, lo stesso Fontana aveva già annunciato di non voler votare per Vannacci.
La stessa cosa che hanno fatto Massimiliano Fedriga e Luca Zaia, i presidenti di Friuli Venezia-Giulia e Veneto. Sceglieremo candidati del territorio, è la formula di rito, dove la notizia è che hanno ancora voglia di barrare il simbolo della Lega l’8 e 9 giugno.
Le sezioni della Lega lo ignorano beatamente, per un evento a Milano ha dovuto fare mente locale di qualche vecchio amico disposto a ospitarlo, a Pavia s’è fatta viva una leghista candidata al Consiglio comunale.
Non gli manca però il supporto del suo comitato denominato “Il mondo al contrario” e composto da ex militari e neofascisti, piccola ossatura di un futuro partito, chissà. E anche Roberto Jonghi Lavarini, alias il “Barone nero”, famoso per l’inchiesta sulla “lobby nera” (finita in un nulla di fatto), fa sapere che quel pezzo di estrema destra anti-Nato e filorussa voterà Vannacci con «l’obiettivo pragmatico di contrastare la sinistra mondialista arcobaleno».
(da la Repubblica)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
IL SETTORE NORD SI SOLLEVA, QUELLO SUD SI ABBASSA DI 1.5 MILLIMETRI ALL’ANNO… EMERGONO NUOVE INCERTEZZE SUL PONTE
La faglia dello Stretto di Messina è ancora attiva, si trova nell’entroterra calabro. È quella che diede origine al devastante terremoto di magnitudo stimata 7.1 del 28 dicembre 1908 che, anche per l’effetto del maremoto che seguì, distrusse Messina e Reggio Calabria. La faglia, denominata W-Fault, venne identificata nel 2021. Grazie a nuovi dati satellitari del programma europeo Copernicus, ora gli studiosi coordinati da Giovanni Barreca, in un’anticipazione sulla rivista dell’Università di Catania, hanno confermato l’attività tettonica di W-Fault che mostrano «come il settore compreso tra Cannitello, Villa S. Giovanni e Campo Calabro (a Nord della faglia, ndr) sia in sollevamento, mentre quello a sud del torrente Catona (a Sud della faglia, ndr) è in abbassamento con tassi di movimento superiori a 1,5 mm per anno».
Il contrasto di velocità
Barreca, ricercatore di Geologia strutturale all’Università di Catania, spiega che i dati InSAR (Interferometric Synthetic Aperture Radar) hanno catturato tra il 2018 e il 2022 i movimenti orizzontali e verticali del suolo con precisione millimetrica. «Il limite tra la zona in sollevamento e quella in abbassamento è un contrasto di velocità abbastanza netto e con sviluppo rettilineo, tipicamente associato a strutture tettoniche attive», dice Barreca. «La prova indipendente rafforza dunque i risultati dello studio, ponendo la W-Fault come l’elemento sismotettonico chiave per tutta l’area dello Stretto di Messina. Ciò dovrebbe rivestire notevole importanza in relazione alla progettazione di future infrastrutture nell’area, in quanto l’ubicazione, i tassi di attività tettonica e le dimensioni della faglia rappresentano gli elementi fondamentali per la stima delle azioni sismiche di progetto, come ad esempio l’accelerazione orizzontale attesa al sito in condizioni dinamiche». Il riferimento chiaro è al progetto del ponte sullo Stretto.
La faglia e il ponte sullo Stretto
Per la società Stretto di Messina non vi è il rischio sismico in quanto il ponte sarebbe in grado di resistere a scosse superiori a magnitudo 7.1. «Il potenziale sismogenetico dello Stretto di Messina non è in grado di produrre terremoti superiori a 7.1 della scala Richter», viene sottolineato in una nota della Società. «In ogni caso il ponte è progettato per restare in campo elastico anche con magnitudo superiore. Il progetto definitivo del ponte è corredato da oltre trecento elaborati geologici frutto di nuova e più ampia documentazione a varie scale grafiche, realizzata con l’ausilio di circa 400 indagini puntuali, tra sondaggi geologici, geotecnici e sismici».
Visioni diverse
Il professore e ingegnere Antonino Risitano, ex preside della facoltà di Ingegneria di Catania, non è contrario al ponte, anzi si definisce a favore di un ponte sicuro. Afferma però che allo stato attuale «è tecnicamente impossibile realizzare un ponte a campata unica sullo Stretto». La sua è una battaglia pubblica, «non ideologica», che esprime con studi scientifici e divulgazione. «Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche non vi sono gli strumenti tecnici necessari», afferma.
Prof. Risitano: incertezze sui livelli di sicurezza
Secondo Risitano «i calcoli contenuti nel progetto definitivo del ponte non sono sufficienti: sono parametri al ribasso per un’opera che invece dovrebbe garantire livelli di sicurezza altissimi».
Per comprendere la complessità della questione non si può permettere che «nel corso della vita del ponte vi siano danni anche a un singolo bullone». Risitano sostiene: «Il progettista si rappresenta l’esigenza di testare la resistenzaa fatica dei quattro cavi principali, che sono dei prototipi e che costituiscono i componenti strutturali più importanti di un ponte sospeso a campata unica. Se non si hanno certezze sui cavi principali nessuna attività può essere avviata». Risitano conclude: «Si potrà pensare di realizzare il ponte a unacampata quando potremo utilizzare le fibre di carbonio. Il problema attuale è che non esiste la tecnologia per formare delle funi con fibre di carbonio».
(da corriere.it)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
CON TUTTO IL REPERTORIO DI FACCETTE E SMORFIE, PER ESALTARE L’AZIONE DEL GOVERNO. DIETRO L’OPERAZIONE C’È IL TIMORE PER I SONDAGGI PER LE EUROPEE IN CALO DA SETTIMANE
La smorfia con cui, da attrice consumata, accompagna la scelta di farsi una tv tutta sua e chiamarla «TeleMeloni», entra di diritto nella galleria delle hit della campagna elettorale. E rafforza la tendenza Giorgia: c’è solo la premier, senza contraddittorio, a suonarle all’opposizione, ad attaccare l’Europa, a magnificare il proprio operato con dati incerti ma presentati come inoppugnabili.
Ventidue minuti di racconto di una sola verità, naturale evoluzione di una comunicazione a senso unico, che dal 4 gennaio – giorno dell’ultima conferenza stampa – si nutre di soliloqui, se si esclude qualche intervista pubblica a giornalisti non ostili.
Non basta la Rai in agitazione per le pressioni del governo, non bastano le affettuosità di Mediaset, non basta la postura benevola dei giornali controllati da un deputato della Lega, Antonio Angelucci, che punta anche ad acquistare un’agenzia di stampa: la presidente del Consiglio ironizza su chi ironizza per questa influenza sui media che neppure Silvio Berlusconi poteva vantare.
Con il tricolore sullo sfondo, “gli appunti di Giorgia” vanno presto oltre il resoconto degli ultimi atti del governo, a partire dal piano casa. Diventano una difesa, impermeabile a qualsiasi contestazione, di una gaffe come quella del redditometro: «Non avevamo reintrodotto il grande fratello fiscale», dice Meloni. «Però abbiamo deciso di sospendere il decreto», aggiunge.
Magari è una contraddizione, ma chi può contestarla? Il centrodestra, nella versione meloniana, «è sempre stato contrario al redditometro». Che però, prima ancora che da Renzi nel 2015, fu regolato dal governo Berlusconi nel 2010. Il cuneo fiscale? «Il Pd in dieci anni non l’ha mai tagliato». E si sorvola, nella narrazione di «TeleMeloni», sul fatto che il governo Conte sostenuto dai dem avesse adottato questa misura nel giugno del 2020.
La premier dice che «mai nessun governo ha messo tanti soldi nella Sanità», ma si riferisce a cifre assolute, non rapportate al Pil. Un crescendo di asserzioni traballanti, per difendere la propria azione e per non perdere terreno elettorale rispetto ad alleati e avversari. L’assegno unico universale è uno «strumento utile», e semmai «è folle la procedura d’infrazione aperta dall’Ue», attacca la premier.
Il finale è riservato ad Elly Schlein, con toni drammatici: «La segretaria del Pd ha detto di recente che in questo anno e mezzo starei cancellando la libertà delle persone: accusa singolare per chi ha votato i provvedimenti per chiudere la gente in casa nella pandemia. Ma chiedo a Schlein – dice Meloni – quali sono le libertà cancellate da questo governo. Le nostre sono battaglie di libertà. Ci dica di cosa parla ma ci dica qualcosa di concreto perché la libertà è stata sempre limitata solo dalla sinistra. Il punto è che i cittadini lo hanno capito».
Affermazione che contiene perlomeno un’omissione sottolineata da Giuseppe Conte, rimasto fuori dalla polarizzazione del confronto: la leader di Fratelli d’Italia, l’11 marzo del 2020, quando era appena esplosa l’emergenza Covid, chiedeva «un approfondimento sulla nostra proposta di chiudere tutto».
Va così, nella campagna orbaniana di Giorgia Meloni, dritta verso la meta senza domande. Con la spinta “istituzionale” di un convegno sul premierato animato da Pupo e Iva Zanicchi o della firma di un accordo di programma (domani, a Palermo).
Con il traguardo dell’unico vero comizio in programma, il primo giugno: anche lì, a piazza del Popolo, ci sarà solo lei, sostenuta dai candidati sindaci di FdI. Ma con un’inquietudine crescente, quella per sondaggi che non sono entusiasmanti, che vedono ridursi la forbice proprio con il Pd messo nel mirino, e che hanno portato la premier a far diffondere ai suoi il verbo della prudenza: «Va benissimo se non andiamo sotto il dato delle Politiche».
(da La Repubblica)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
“SE SPINELLI NON PAGAVA, TOTI RALLENTAVA LE PRATICHE”: I MESSAGGI VIA INTERVISTA E LA PACE SULLO YACHT
Sarà interrogato lunedì 27 maggio Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Authority portuale di Genova che dal 7 maggio scorso è in carcere a Marassi nell’ambito dell’inchiesta sul presunto giro di mazzette in Regione Liguria. Sarà un tappa cruciale per gli inquirenti che puntano a chiarire quello che viene considerato il modus operandi scientifico di Giovanni Toti nei rapporti con gli imprenditori coinvolti anche negli appalti dell’area portuale. Secondo una fonte investigativa citata dal Secolo XIX, il metodo del governatore della Liguria sarebbe «lo specchio di un vero e proprio sistema correttivo con al centro Toti».
Il meccanismo Toti
Per gli inquirenti genovesi, il meccanismo applicato dal governatore della Liguria, ai domiciliari dal 7 maggio, prevedeva che se un imprenditore finanziava il suo partito, lui si attivava in tutti i modi per aiutarlo. Ma se i finanziamenti promessi non arrivavano o ritardavano, scattava una sorta di vendetta o veniva recapitato all’imprenditore un messaggio, anche per vie traverse, per metterlo in guardia.
Come ricorda La Stampa, sotto la lente degli investigatori ci sarebbero anche delle interviste rilasciate ad arte per mandare segnali ai diretti interessati. E poco conterebbe che Toti, nell’interrogatorio fiume, abbia ammesso che quelle azioni devono essere considerate «attività istituzionali».
Le richieste sullo yacht
Quando il 1 settembre 2021 Toti va a trovare l’imprenditore Aldo Spinelli, anche lui ai domiciliari, sul suo yacht «Leila» usato di fatto come ufficio, ci sono due favori richiesti al governatore ligure: occuparsi della vicenda della spiaggia di Punta dell’Olmo, che vorrebbe annettere a una sua proprietà, e la proroga della concessione del terminale Rinfuse nel porto di Genova.
Toti davanti ad Aldo e il figlio Roberto, anche lui indagato, chiama Spinelli. E all’imprenditore poi chiede dei soldi. Una richiesta che sarebbe emersa in più occasioni nelle intercettazioni e che ammette «gli facevano comodo» in vista delle elezioni di Savona, secondo gli inquirenti. Ma Spinelli non paga finché non vede la pratica approvata.
La pratica Rinfuse rinviata e il rallentamento in attesa dei finanziamenti
Quel ritardo avrebbe indispettito Toti, ricostruiscono gli inquirenti. E il 9 settembre 2021 torna a chiede il finanziamento a Spinelli: «No ti dimenticare di me», gli scrive. Ma l’imprenditore risponde: «No, appena c’è il comitato che va in porto stai tranquillo all’indomani…». Il 17 da Toti partiva un altro sollecito: «La tua roba la discutono il 29, ricordati che io sto aspettando una mano». Davanti ai pm, Toti ha spiegato che quella era solo una «captatio benevolentiae». Il 29 però il comitato portuale rinvia la decisione, quella sera solo yacht era anche prevista una cena di festeggiamento. E Spinelli infuriato il giorno dopo si presenta in Regione. Di quella circostanza, Toti diceva di non ricordare i dettagli: «Penso abbia voluto incontrarmi per farmi le sue rimostranze sull’esito della pratica».
Dopo quella visita di Spinelli, Toti sollecita il sindaco di Genova, Marco Bucci, a «raddrizzare» Giorgio Carozzi, che fa parte del board del porto come rappresentante del Comune. E secondo gli inquirenti avrebbe fatto anche pressioni su Andrea La Mattina, che in quel board rappresenta la Regione. Il 29 ottobre, un mese dopo il rinvio della pratica sul terminal Rinfuse, Spinelli accoglie sul suo yacht l’ex governatore ligure Claudio Burlando e altri esponenti del Pd. A quel «pranzo della lasagna» l’imprenditore racconta come Toti si sia lamentato di aver perso le elezioni a Savona per il mancato finanziamento. Il giorno dopo il governatore ligure torna alla carica sui soldi: «Comunque per Savona non ho visto nulla». Ai pm Toti l’ha definita solo una battuta.
La ritorsione e la pace
Si arriva al 3 novembre quando, secondo gli inquirenti, Toti decide di vendicarsi con Spinelli. Nella chiamata a Signorini gli avrebbe quindi chiesto di rallentare la pratica Rinfuse: «Nessuno fa le corse». Il 13 novembre al Secolo XIX, Toti sembra lanciare un messaggio diretto a Spinelli, quando indica a otto anni il termine logico per la proroga della concessione del Rinfuse, mentre l’imprenditore ne chiedeva 30. Il 1 dicembre tra Toti e Spinelli sarebbe tornata la pace con un pranzo sullo yacht. Il giorno dopo la pratica Rinfuse viene approvata e il terminal viene consegnato all’imprenditore, che alla fine paga. L’8 e 9 dicembre partono quattro bonifici al comitato Giovanni Toti Liguria per 40 mila euro. Il 9 dicembre il governatore ligure lo ringrazia.
(da editorialedomani.it)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
DOMANI L’INTERROGATORIO DI SIGNORINI
I pm di Genova sospettano che Giovanni Toti avesse provato a rallentare l’iter del rinnovo della concessione trentennale del Terminal Rinfuse all’imprenditore Aldo Spinelli, quando si diffuse la notizia – nell’ottobre 2021 – che quest’ultimo aveva incontrato sul suo yacht il rivale principale del governatore, il dem Claudio Burlando, e altri esponenti del Pd ligure.
Una tesi che, se fosse confermata dai fatti, potrebbe peggiorare la posizione di Toti, dimostrando la stretta correlazione tra gli affidamenti portuali e i finanziamenti alla sua attività politica.
I sospetti dei magistrati emergono durante l’interrogatorio di Toti, il 23 maggio scorso.
Chiede il pm: “Per quale motivo lei in data prossima al 30.10.21 scrive un messaggio a Spinelli in cui si lamenta di non aver visto nulla per le elezioni di Savona? Spinelli le aveva promesso un finanziamento per le elezioni di Savona?”.
La risposta di Toti pare un’ammissione: “C’era stato un pranzo con tutto lo stato maggiore de Pd di cui aveva parlato la stampa e cui aveva partecipato Spinelli. Non ricordo il momento preciso in cui mi aveva fatto la promessa. Preciso che nel frattempo avevo saputo che il finanziamento di cui ho detto prima non era arrivato e quindi mi lamentavo, anche un po’ ironicamente, con lo stesso Spinelli”.
È qui che i pm incalzano il governatore: “Se c’era l’urgenza di approvare la proroga, e se era una pratica ‘strategica’ per la Regione per quale motivo il 3.11.21 chiede a Signorini (Pier Emilio, l’allora presidente dell’Autorità Portuale, ndr) di rallentare la trattazione della pratica? ‘no, no, lasciali lì, butta anche avanti il Comitato Portuale! Tanto nessuno fa le corse, per quella roba lì, tranne loro…’. Lo stesso concetto – prosegue la domanda del pm – viene ripetuto nella telefonata con Signorini del 23.11.21 (…)”.
Toti è preso in contropiede, nega: “Non è vero che io ho chiesto di rallentare la pratica perché non era arrivato il finanziamento di Spinelli ma la mia intenzione era di dare tempo a tutti i soggetti coinvolti di elaborare un testo finale della delibera di proroga che fosse condiviso da tutti e superasse così le perplessità dei due commissari riottosi”.
Qui gioca a sfavore di Toti, però, l’intervista al Secolo XIX del 13 novembre 2021 in cui affermava che “non c’è nessuna fretta per questa pratica”: “La pratica, alla luce delle notizie che avevo, pareva avviata nella direzione giusta e quindi non c’era alcuna esigenza di bruciare i tempi”. Peccato che l’inchiesta abbia poi mostrato le spinte di Toti per l’ok alla concessione trentennale del Terminal.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
IL CASSONE NON E’ STATO IN REALTA’ IMMERSO PERCHE’ IL BASAMENTO DI POSA DEL CASSONE NON SAREBBE CONSOLIDATO IN MODO SICURO… LA DENUNCIA DELL’ING SILVA SUL POSSIBILE COLLASSO DELL’OPERA
La posa del primo cassone della nuova diga di Genova è stata una “non posa”. Il cassone, arrivato dal porto di Vado al traino del rimorchiatore Gianemilio C, è arrivato regolarmente nel sito del previsto affondamento, senza essere immerso. In margine alla cerimonia di venerdì, si è imputato il ritardo al maltempo nella zona del “campo prova n. 1” ma altre fonti hanno riferito il ritardo alle condizioni dello “scanno”, il basamento di posa del cassone, che non sarebbe consolidato in modo sicuro.
Nella giornata di sabato il cassone è stato zavorrato di acqua e materiali inerti e la procedura di affondamento dovrebbe compiersi entro le 24 ore successive. Ma su tutta l’operazione restano importanti incognite.
Ai primi del mese l’Autorità di sistema portuale di Genova, come ha rivelato il Secolo XIX , aveva sollevato rilievi rivolgendosi al consorzio costruttore della diga, rilevando “ritardi nell’esecuzione dei Campi Prova per cause unicamente imputabili a codesto Appaltatore”.
Questo in una nota del 2 maggio, a firma di Giuseppe Galluzzo (direttore lavori) e Marco Vaccari (responsabile unico procedimento), cui la settimana successiva seguiva un’altra nota di Vaccari: “Alla luce del fatto che la posa dei cassoni cellulari lungo l’impronta della nuova diga foranea di Genova è prevista a partire dal 24 maggio p.v., in assenza delle risultanze dei Campi Prova necessarie per la verifica dei requisiti di progetto e la definizione del necessario dettaglio del trattamento dei fondali, sarà unicamente onere e responsabilità di codesto Appaltatore di intraprendere ogni azione necessaria a garantire la piena realizzabilità dell’opera a regola d’arte, in accordo ai requisiti di progetto e alle previsioni contrattuali, assicurando il completamento dei lavori entro gli inderogabili termini del 30 novembre del 2026”.
Ovvero: non sono stati conclusi i campi prova da cui deriva la sicurezza, preventiva e indispensabile, che le tecniche applicate abbiano escluso il pericolo di cedimento della struttura.
Un problema di sicurezza diventato esplicito durante la cerimonia di venerdì, davanti al ministro Matteo Salvini (nella foto alla cerimonia di venerdì 24 maggio) titolare del dicastero delle Infrastrutture che sulle opere pubbliche ha compiti inderogabili di vigilanza.
Tutto in uno scenario in cui i lavori sono già indietro: a fine 2023 l’avanzamento era a 2,5% invece di 12% del cronoprogramma.
E la prova sarebbe stata compiuta senza questo essenziale requisito. Circostanza che con ogni probabilità, scatenerà le domande e le proteste delle opposizioni in Liguria e a Roma.
Il primo cassone, 40 metri x 25 e alto 22, è tra i più piccoli del progetto, sarà posato a 20 metri nel tratto di mare meno profondo, ma la quota dei prossimi oltre 100 cassoni scenderà sino a 50 metri.
All’epoca il direttore tecnico, ingegner Piero Silva, denunciando l’alto rischio di collasso della struttura, chiese invano di ridimensionare il progetto pur mantenendo le funzionalità principali, oltre a quella dichiarata da Signorini, ex presidente del porto che aveva lavorato all’opera: permettere l’accesso delle portacontainer giganti alle banchine in concessione a Msc e al Gruppo Spinelli. Silva lasciò l’incarico.
(da Telenord)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
LE QUERELE TEMERARIE PER INTIMIDIRE I MEDIA SONO IN PAUROSO AUMENTO
Chi manifesta per il bene pubblico dà fastidio, non solo in Italia. In Europa sono decine i casi di attivisti trascinati in tribunale perché si mettono contro chi ha potere. Contarli è difficile e spesso neanche finiscono sui giornali: CASE, la rete che si batte contro le querele temerarie, nel 2023 ne ha censite 820 solo in Europa (250 in più rispetto all’anno prima). Una battaglia ad armi impari: cittadini soli contro chi ha tempo e soldi da perdere in battaglie legali che mirano a far passare ogni voglia di scendere in piazza. È il caso di Nawojka Ciborska, studentessa polacca di 21 anni che ha indispettito la società polacca Gaz System dopo un articolo su una protesta ambientalista. Il colosso vuole 4.500 euro per danno d’immagine, lei non sa dove trovarli. E la risonanza della manifestazione conta poco, se l’obiettivo è che non succeda più. Lo stanno imparando i cittadini di San Vito in Cadore (Belluno), come scritto da Giuseppe Pietrobelli sul Fatto: dopo essersi battuti contro la variante per Cortina, incompiuta rifinanziata per le Olimpiadi invernali, il commissario del Comune ha chiesto un risarcimento danni da più di 100 mila euro. L’accusa? “Eccesso di ricorsi” e “diffamazione aggravata” dall’aver trovato spazio sui giornali. Un caso che ha pochi precedenti, come quello in Friuli. Qui protagonista è il gruppo Danieli: l’acciaieria che volevano costruire a Porto Nogaro è saltata anche per la petizione da 24 mila firme dei residenti. La società ha chiesto di sapere i nomi e cognomi dei sottoscrittori: la Regione si è opposta, ma è partita la querela contro uno dei promotori. Ambientalisti, animalisti e difensori del territorio finiscono sempre più spesso nel mirino. A fine marzo è toccato a Laura Zorzini di Ribellione Animale: la questura ha chiesto la sorveglianza speciale dopo essere stata filmata mentre faceva scritte con gessetti davanti al municipio di Trieste e a opporsi è stato il tribunale.
In Austria, protestava in difesa degli animali anche l’Associazione VGT che nel 2022 si è vista censurare una campagna contro i supermercati Spar. Sotto accusa sono finiti i manifesti con il logo della catena insanguinato per denunciare le condizioni dei maiali. E sono stati bloccati finché la Corte suprema ha stabilito che è “libertà d’espressione”. Proprio contro i mega-allevamenti di Valle de Odieta si è battuto, in Spagna, Luis Ferreirim di Greenpeace. Dopo le proteste, ha ricevuto dall’azienda una proposta di conciliazione insieme ad altri attivisti: hanno rifiutato e attendono di sapere se arriverà la denuncia. I tempi lunghi aiutano a intimidire. Sette anni sono stati necessari per l’assoluzione di Essere Animali, accusata di diffamazione per una video-denuncia su un allevamento di suini in provincia di Forlì-Cesena. La Forestale ha confermato “lo stato di sofferenza degli animali”, ma il blocco delle immagini c’è stato lo stesso. In Bosnia, le studentesse Sunica Kovaević e Sara Tuševljak non sanno se vinceranno in tribunale: si battono contro la costruzione di centrali idroelettriche sul fiume Kasindolska e la società Buk non ha esitato a citarle in giudizio. In Svizzera, nel mirino c’è la Fondazione Bruno Manser Fond, impegnata per i diritti ambientali in Malesia: da anni subisce le denunce del gruppo Sakto che ha creato un sito ad hoc per screditarla. E addirittura l’Onu ha chiesto al governo svizzero un intervento. Anche protestare online pare un problema. In Kosovo, nel 2020 la società austriaca Kelkos Energy se l’è presa con l’ambientalista Adriatik Gacaferi che contestava il loro l’impatto sulle zone protette: gli ha chiesto 10 mila euro, la rimozione di un post critico e una ritrattazione pubblica. La querela è stata ritirata, ma la minaccia era già passata. Nei guai per un post è finito anche l’attivista che, in Portogallo, ha criticato la figlia dell’ex vicepresidente dell’Angola: ha dissentito sulla scelta di partecipare a un reality show per le nozze (con 200 mila euro di vestito), mentre in patria la gente vive in povertà ed è stato querelato dal politico. La causa si è chiusa con l’assoluzione, ma nove anni dopo.
Ad Andorra, Valeria Mendoza Cortés ha rischiato il carcere per “crimini contro il prestigio delle istituzioni” dopo aver parlato di diritti delle donne violati nel principato davanti alle Nazioni Unite. Per scagionarla ci sono voluti cinque anni. In Alto-Adige la maxi-causa è stata un boomerang: nel 2017 l’assessore provinciale e più di 1300 agricoltori se la sono presa con l’Istituto ambientale di Monaco di Baviera per il manifesto “Tyrol Pesticide”. Non solo è finita con l’assoluzione del referente, ma sono stati anche diffusi i libretti con l’uso massiccio dei pesticidi sequestrati dalla procura. Cambiano i Paesi, ma la modalità d’azione delle querele bavaglio sono simili. L’Ue ha appena approvato una legge che le combatte e il Consiglio d’Europa si è detto “estremamente preoccupato” per “le intimidazioni” contro individui o organizzazioni che “agiscono in difesa del bene pubblico”. Chiedono agli Stati di tutelarli in fretta, nel mentre continuano minacce e repressioni.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 26th, 2024 Riccardo Fucile
SECONDO IL REPORT DELLA FONDAZIONE VISENTINI, LA SALUTE MENTALE DEGLI ANZIANI SOLI È A RISCHIO E, VISTO CHE SI FANNO MENO FIGLI, SI VA INCONTRO A UN’EMERGENZA
La solitudine mette a repentaglio la salute degli over-65, contribuendo alla diminuzione della qualità della vita, alla qualità del sonno, allo sviluppo di stress e depressione. È il dato che emerge dal Report sull’Indice di Vicinanza alla Salute realizzato dall’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione Bruno Visentini.
Secondo il rapporto, che ha analizzato diversi ambiti del legame tra salute e anziani, le preoccupazioni maggiori arrivano proprio dall’isolamento. L’indicatore analizzato dai ricercatori relativo a “Individuo e relazioni sociali”, riporta infatti un valore di soli 66 punti, rispetto ai 101 della popolazione generale. Va male anche l’andamento della salute mentale in cui gli anziani ottengono solo 53 punti, rispetto ai 100 rilevati nel 2017.
Secondo l’analisi i più anziani riferiscono sintomi di depressione, scarsa soddisfazione per la propria vita e per il tempo libero. “L’isolamento degli over 65 dovrebbe essere considerato un fattore di rischio sanitario”, sottolinea Duilio Carusi, coordinatore dell’Osservatorio e adjunct professor alla Luiss Business School. “L’Istat l’ha definita una nuova emergenza sociale già nel 2020, quando identificava come persone sole il 40% degli over 74.
Eppure, è un problema ancora poco considerato, opaco, se non invisibile E i più soli spesso sembrano essere gli anziani autosufficienti che non sono seguiti quotidianamente”, conclude.
(da agenzie)
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