DECRETO RIMPATRI, LO SPOT DI UN VENDITORE DI FUMO CHE SI INVENTA PERCORSI INESISTENTI
LE PAROLE SENSATE DI GABRIELLI RIPORTANO ALLA REALTA’: “IN ITALIA MANCA UNA MODALITA’ DI ACCESSO LECITO. NO ALLE MULTE ALLE ONG”
E’ stato firmato il decreto rimpatri. “Se un migrante può stare in Italia si deciderà in 4 mesi e non in due anni”, annuncia il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio alla firma dell’accordo che nasce dal lavoro di squadra tra Farnesina, Viminale e ministero della Giustizia.
“Un primo step”, avverte Di Maio. Che non comporta “oneri di spesa per la semplice ragione che questo tipo di decreto inverte l’onere della prova”. In pratica verranno rifiutate le richieste che arriveranno dai migranti provenienti dai paesi ritenuti sicuri dall’Italia, a meno che il singolo richiedente non riesca a dimostrare che la sua situazione è tale che un ritorno in patria gli potrebbe arreccare gravi danni.
E dunque se prima la valutazione delle singole domande veniva gestita dalla commissione asilo che era costretta a fare delle istruttoria che duravano mesi, adesso sarà lo stesso richiedete a dover fornire le prove.
“Per tutti i casi – precisa Di Maio – in cui si dovessero verificare discriminazioni la nostra costituzione, le nostre leggi tutelano i diritti dell’individuo. Verificheremo con le nostre strutture che non ci siano violazioni dei diritti dell’individuo”.
“Sui circa 7.000 arrivi di quest’anno – ha spiegato Di Maio – oltre un terzo appartengono a uno di questi Paesi. Per molte di queste persone dobbiamo attendere due anni ora per oltre un terzo degli arrivi acceleriamo le procedure”.
“Non urla ma fatti”, rincara il capo del M5s Luigi Di Maio. Poi ringrazia il Marocco che è uno dei paesi entrati nella lista dei Paesi che parteciperanno al programma di rimpatrio. “In questi anni noi non abbiamo rafforzato le nostre relazioni con il Marocco, manchiamo da un po’. Sicuramente sarà oggetto di uno dei miei prossimi viaggi, insieme alla Tunisia dove vedremo il gruppo di lavoro misto italo-tunisino per implementare l’accordo sui rimpatri”.
Oltre al Marocco, sono dodici i Paesi inseriti nel nuovo decreto interministeriale sono Algeria, Tunisia, Albania, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Senegal, Serbia e Ucraina.
Le domande di protezione internazionale “occupano di fatto un grande spazio nel lavoro dei tribunali”: con il decreto sottoscritto da Di Maio, Bonafede e dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, l’iter per l’esame di tali domande per chi proviene dai 13 paesi sicuri indicati nell’elenco sarà più semplice e quindi più rapido. “Ci sarà una valutazione caso per caso naturalmente – ha spiegato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede – ma sarà diverso il meccanismo dell’onere della prova: non ci sono i presupposti in mancanza di prova contraria”.
I rimpatri saranno garantiti con “un fondo che può arrivare fino a 50 milioni di euro, mentre attualmente dispone di cifre irrisorie 2-4 milioni di euro”, precisa il titolare della Farnesina, che specifica come il fondo non “serve per pagare le spese di rimpatrio ma permette di implementare gli accordi attraverso i progetti di cooperazione allo sviluppo”.
Dal Festival delle Città interviene sul tema immigrazione, Franco Gabrielli: “In Italia non esiste una modalità di accesso lecito e a questo bisogna metterci mano”.
Per il capo della polizia il tema dell’immigrazione “poggia su tre pilastri: la gestione dei flussi, i rimpatri e l’integrazione”. Per gli stranieri che restano in Italia “è necessario costruire percorsi di integrazione altrimenti si creeranno condizioni favorevoli a illegalità , degrado, criminalità e terrorismo”.
Si è detto contrario alle multe alle ong.
Allora precisamo le bufale del nuovo decreto:
1) L’Italia aveva accordi di riammissione con i seguenti Paesi: Nigeria, Marocco, Egitto e Tunisia, come da atti ufficiali del Ministero degli Interni. Quindi Di Maio racconta una prima balla quando dice che adesso si aggiunge il Marocco, in quanto c’e’ sempre stato. Tra le righe lo ammette lui stesso quando afferma: “e’ anche colpa nostra se non abbiamo rafforzato le relazioni”
2) Non esiste alcuna inversione dell’onere della prova: basta consultare la normativa precedente per capire che era sempre il richiedente asilo che doveva presentare gli elementi necessari per giustificare la sua richiesta di protezione internazionale, anche per i Paesi che Di Maio indica.
3) Quello che Di Maio non dice. In quattro mesi non fa un bel nulla per una semplice ragione: le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono appena 20 in tutta Italia, istituite nell’ambito delle Prefetture. Sono composte da un funzionario di carriera prefettizia, uno della polizia di Stato, un rappresentante dell’ente locale e uno dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (UNHCR). I tempi per smaltire le richieste vanno da 1 a 2 anni. Senza contare che è possibile fare ricorso contro la decisione. Quindi o si moltiplicano le Commissioni o si raccontano solo balle.
4) Di Maio continua a parlare di 40 milioni per finanziare il fondo di cooperazione, poi ammette quello che abbiamo scritto ieri: ci sono solo 2 milioni. La balla ha origini salviniane e lui gli va dietro: i 40 milioni non sono mai stati realmente stanziati perchè non ci sono. Sono stati usati 2 milioni per i rimpatri e non per la cooperazione. Quindi senza soldi non si fa un rimpatrio in più, tanto per capirci.
5) Di Maio ammette che vanno valutate in ogni caso “singolarmente” le richieste (come avevamo sottolineato ieri) altrimenti si violerebbero le convenzioni internazionali. Quindi i tempi non cambiano con espulsioni di massa come qualcuno voleva far intendere.
6) Ritorniamo al problema di fondo: una terzo dei nuovi arrivi è rappresentato da tunisini, ma il governo di Tunisi accetta solo due voli settimanali per i rimpatri (ogni rientrante è scortato da due agenti di polizia italiana). Di fatto sono piu’ quelli che arrivano che quelli che vengono rimpatriati.
Di Maio annuncia finalmente che andrà in Tunisia, ma se ci va senza un progetto di sviluppo per l’economia tunisina (infrastrutture che creino lavoro locale) continueranno gli sbarchi, nessuno si illuda.
7) Ha ragione Gabrielli quando afferma che il tema dell’immigrazione “poggia su tre pilastri: la gestione dei flussi, i rimpatri e l’integrazione. Per gli stranieri che restano in Italia è necessario costruire percorsi di integrazione”. E’ evidente che a Di Maio (come a Salvini) della “integrazione” non frega una mazza.
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