LA LEZIONE DELLA FAMIGLIA, LO SLOGAN PER IL “POPOLO”: LA TERZA VIA DI KAMALA HARRIS
“FATEVI I FATTI VOSTRI QUANDO SI TRATTA DI DIRITTI RIPRODUTTIVI”
«Run, Kamala, run, non lasciare che nulla ti spaventi», la incitava il papà al parco quand’era bambina. E lei ha corso, e corso, e corso, fino alla sera magica di Chicago. Completo scuro, la camicetta con il collo a sciarpa ormai tra i capi distintivi del suo guardaroba, scenografia solenne e bandiere americane: nel pubblico moltissime donne sono vestite di bianco in omaggio alle suffragette, Harris no. Se vincesse a novembre sarebbe la prima donna, la prima donna nera e la prima persona di discendenza asiatica, ma nel discorso più importante della sua vita ha deciso di lasciarlo sullo sfondo per presentarsi prima di tutto come un’americana, figlia della «più grande nazione sulla Terra». «U-S-A!», «U-S-A», grida la folla agitando cartelli con la stessa scritta e non era la prima volta in questi giorni che chiudendo gli occhi si sarebbe potuto pensare di essere a una convention repubblicana, tanto che nel pomeriggio sembrava persino plausibile la voce dell’arrivo di George W. Bush.
Obamiana nel raccontare la sua biografia e nel volere unire le due Americhe, ma meno messianica, più «normale»: se Obama sul palco del 2008 aveva grandi colonne romane alle spalle, come se fosse un Dio, lei parlava con dietro una scenografia che evocava il suo passato di procuratrice, quando si presentava, «ogni giorno con orgoglio davanti a un giudice con cinque parole: Kamala Harris, per il popolo».
Testa bassa verso l’obiettivo, come le ha insegnato la mamma, e pochi fronzoli, tanto che alla fine sul palco dello United Center non sono salite né Taylor Swift né Beyoncé. Le star c’erano ma nessuna, a parte un po’ Oprah Winfrey, ha rubato la scena rischiando di far passare i democratici come gli amici dei ricconi di Hollywood scollegati dalle preoccupazioni degli ordinary americans.
Se Harris sia riuscita, da vicepresidente poco popolare, e per molti con un profilo troppo di sinistra, a reinventarsi e convincere gli elettori che sarà «il presidente di tutti gli americani», e soprattutto di quella classe media dalla quale ha ricordato di venire, lo diranno i sondaggi dei prossimi giorni, ma lei e il suo team hanno superato la prova di una convention non facile, ribaltata e riorganizzata in meno di un mese.
Tanto Milwaukee era stata la celebrazione di un clan, quanto Chicago è stato uno sforzo corale. Da Pete Buttigieg a Gretchen Whitmer ai vecchi leoni come i Clinton e Bernie Sanders, tanti volti, tanti discorsi efficaci. Ma anche la conferma, a giudicare dall’affetto con il quale l’hanno accolto, che Harris ha fatto centro nello scegliere Tim Walz come compagno di squadra, a proposito di empatia e «normalità».
Altro obiettivo raggiunto, avere dimostrato, a chi ancora nutriva dei dubbi, che il ritiro di Biden era necessario: l’uscita di scena del presidente ha sciolto quel nodo allo stomaco di cui aveva parlato Michelle Obama (passaggio che infatti dicono non sia stato molto apprezzato alla Casa Bianca). I riferimenti a lui, a parte l’abbraccio della prima sera, sono stati frettolosi, come se lo avessero voluto archiviare con Trump, di cui però si è parlato incessantemente, in un’era «pesante» da chiudere in fretta, presentando Kamala come la candidata del cambiamento, non l’incumbent che in un certo senso è.
Via i toni cupi del Paese in lotta per la sopravvivenza della democrazia, avanti con la gioia — evocata praticamente da ogni oratore — e con il nuovo slogan: libertà, una parola che funziona e ribalta completamente la narrazione repubblicana. Loro, è il messaggio, vogliono imporvi come vivere e pensare, noi democratici vi diciamo di essere liberi nel rispetto degli altri. «Fatevi i fatti vostri», soprattutto quando si tratta dei diritti riproduttivi, è stata tra le frasi più ripetute.
Un tema minacciava di macchiare la festa democratica, le proteste pro Gaza, ma non ci sono stati cortei imponenti, e Harris, pur insistendo sul diritto all’autodeterminazione dei palestinesi, non ha concesso nulla ai radicali, togliendo subito dal tavolo l’ipotesi di un embargo sulla vendita di armi a Israele.
Tutta la convention è stata molto «da terza Via», centrista. L’obiettivo sono chiaramente gli indipendenti e i repubblicani anti Trump, ma la strada per novembre è ancora in salita, i sondaggi sono buoni ma non ottimi, come hanno ripetuto qui tutti i big della campagna. Kamala sa che, come le diceva il papà, non può fermarsi (infatti ha continuato la campagna anche in questi giorni) se vuole convincere gli americani a «scrivere il prossimo grande capitolo della storia più straordinaria mai raccontata».
(da Il Corriere della Sera)
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