PERCHE’ I RIMPATRI DEGLI IMMIGRATI IRREGOLARI NON FUNZIONANO
SI PUO’ OPERARE SOLO CON QUATTRO PAESI AFRICANI E OGNI PROCEDURA HA COSTI ALTISSIMI: 800.000 EURO PER 50 MIGRANTI
Silvio Berlusconi promette di rimpatriare 600mila immigrati irregolari in quanto si tratta di una «bomba sociale pronta ad esplodere perchè pronti a compiere reati».
Ma per fortuna non dice in quanti anni intende compiere l’impresa.
Ad esempio nel 2017 ne sono stati rimpatriati 20mila a fronte di 491mila irregolari (dietro la definizione generica ce ne sono molte specifiche) che secondo il rapporto ISMU si trovano attualmente in Italia.
Alessandra Ziniti e Vladimiro Polchi su Repubblica di oggi spiegano che gli irregolari, nel cui computo va calcolato chi non ha ottenuto la protezione internazionale (47mila su 80mila domande nel 2017), sono anche quelli che hanno il permesso di soggiorno scaduto e chi rimane in Italia dopo la scadenza del visto.
Di questi, negli ultimi tre anni, gli stranieri realmente allontanati dall’Italia sono stati 55mila (quasi 20mila nel 2017 considerando anche i respinti alla frontiera, cioè chi è stato bloccato all’ingresso).
Ma di questi solo 18.500, circa uno su tre, sono migranti già presenti in Italia e poi rispediti in patria.
Ma il problema è la mancanza di accordi con i paesi d’origine: l’Italia ne ha con Nigeria, Tunisia, Egitto e Marocco e questi hanno portato a rimpatriare 25mila persone in quattro anni.
Ce ne vorrà di tempo per arrivare a 600mila.
E in più con i paesi dell’Africa subsahariana e di altre zone dell’Europa e dell’Asia accordi non ce ne sono: a quelli che provengono da questi territori si applica il foglio di via che impone loro di lasciare il territorio italiano nel giro di 7 giorni.
Che viene però in molte occasioni disatteso.
Non solo: anche per i paesi che hanno sottoscritto accordi con l’Italia, spiega Repubblica, ci sono possibilità di sfuggire all’iter che prevede la detenzione temporanea in un Cie, l’identificazione certa, la visita medica e il provvedimento di espulsione del giudice prima di essere messi su un aereo o su una nave.
Prova ne sono le ripetute rivolte scoppiate negli ultimi mesi a Lampedusa, dove decine di immigrati tunisini, trattenuti nell’hotspot ben oltre i termini di legge, hanno protestato (anche cucendosi la bocca), riuscendo alla fine a essere portati ad Agrigento dove, in mancanza di posti nei Cie, hanno ricevuto anche loro un foglio di via prima di far perdere le loro tracce.
D’altra parte, in Italia oggi i Centri di questo tipo sono solo 6: a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma e Torino.
Solo 359 i posti disponibili, ben poca cosa rispetto ai migranti che, sulla carta, andrebbero lì trattenuti ed espulsi.
Che, nel 2016, sono stati 2.984, ma di questi solo la metà è stata poi effettivamente riportata nel Paese d’origine.
Per motivi burocratici (come accadde nel caso di Anis Amri, il terrorista della strage di Berlino lasciato andare dal Cie di Caltanissetta perchè il riconoscimento non era avvenuto entro i tempi di legge) o per mancanza di fondi.
Già , perchè poi c’è il problema dei soldi: per portar fuori dall’Italia un espulso ci vogliono 4000 euro più il costo del viaggio che deve essere fatto con la scorta.
Un viaggio, conclude il quotidiano, andrebbe a costare 800mila euro per 50 migranti alla volta.
(da “NextQuotidiano”)
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