VOTO EUROPEO: PAURE DELLA VIGILIA E FUTURI SCENARI
STRATEGIE E PROSPETTIVE DEI TRE MAGGIORI PARTITI
A una settimana dal voto e con i partiti euro-scettici (M5S, Lega, Fratelli d’Italia, la stessa Forza Italia) che potrebbero nel complesso superare la soglia del 50 per cento, speculare sul dopo è inevitabile.
Tra i vertici politici è un esercizio inevitabile, fondato però sulle sabbie mobili perchè il voto del 25 è probabilmente davvero imprevedibile. Ma ognuno, si sa, ha in mente uno scenario preferito e cerca di costruirlo orientando gli ultimi giorni della campagna.
Come si è capito da tempo, Renzi fa la corsa su Grillo. Il deputato Genovese è stato sacrificato alla Camera proprio per tamponare il “battage” grillino.
E infatti l'”Unità ” titolava ieri mattina: «Il Pd spiazza Grillo». Con ciò confermando il calcolo elettoralistico dietro la decisione di votare l’arresto.
Il problema del premier è soprattutto uno: allargare il più possibile la forbice delle percentuali fra il Pd e i Cinque Stelle.
Nel 2013 Bersani e Grillo arrivarano quasi alla pari e solo il premio di maggioranza salvò i democratici e la legislatura.
Oggi Renzi sa che la sua vittoria non sta tanto nella percentuale (benchè il 33 per cento sia un po’ la soglia magica), quanto nella forbice: sette-otto punti o più sarebbero i gradini del trionfo; viceversa un distacco di un paio di punti, o magari tre, renderebbe inestricabile una matassa politica già abbastanza complicata.
Anche per questo la campagna renziana è tutta “tagliata” su Grillo, a costo di suscitare critiche e qualche dubbio.
Ma Renzi ha un solo risultato utile, la vittoria, ed è logico che giochi le sue carte senza risparmio, anche a costo di qualche scivolata di stile.
Quanto a Grillo, il suo scenario prediletto è fin troppo ovvio: arrivare a ridosso del Pd, se non proprio al primo posto nella graduatoria; costringere Renzi sulla difensiva; chiuderlo nel circuito ristretto della sua maggioranza, in cui aumenterebbe il peso contrattuale di Alfano; lucrare sull’involuzione del sistema e l’eventuale fallimento delle riforme.
Non è una strategia sofisticata, certo, ma è tipica di una forza che raccoglie malessere e rancore sociale come se avesse una rete a strascico.
Peraltro l’esperienza storica insegna che i movimenti populisti vivono una parabola abbastanza breve, a meno di non conoscere un’evoluzione politica.
Grillo non si evolve e tuttavia resta in apparenza sulla cresta dell’onda. Il voto servirà a verificare questo paradosso.
Poi c’è Berlusconi. Nel sentire comune Forza Italia è destinata al collasso. Ma anche qui c’è un elemento d’imprevedibilità , per quanto pochi riescano a vedere la lista oltre il 19-20 per cento.
Non a caso Berlusconi adombra un ritorno alla grande caolizione, nel tentativo di avviluppare Renzi e salvare il salvabile.
Ma è un’ipotesi di fantapolitica. Il Pd non potrà mai accettarlo, specie se i Cinque Stelle uscissero dal voto europeo sulle ali di un buon risultato.
Il punto è un altro: se la somma dei consensi al Pd e a Forza Italia fosse molto al di sotto del 50 per cento, il destino delle riforme, almeno della nuova legge elettorale, sarebbe segnato.
Il che avrebbe conseguenze insondabili sul futuro della legislatura perchè la stessa filosofia del “renzismo” come novità politica si fonda sulla riforma elettorale.
E non una riforma qualsiasi, bensì quella il cui testo era nato dall’intesa con Forza Italia.
Ciò tuttavia presuppone un duopolio che è ormai saltato nel paese, benchè non ancora in Parlamento.
Stefano Folli
(da “il Sole24ore“)
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