Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
SCONTRO TRA I SENATORI: “UN PROBLEMA I POST VIOLENTI DI BEPPE”… L’IRA DI CASALEGGIO
Alla fine tentano di dire che il problema è WhatsApp, con le sue risposte troppo immediate (le conversazioni tra eletti a 5 stelle nelle ultime settimane sono finite in scintille).
E poi i soliti giornalisti, che travisano tutto e, guarda caso, se vedono in diretta streaming i senatori mettere nero su bianco, come uno dei problemi di cui parlare, «il grillismo che con la sua rigidità diventa bigottismo», pensano sia una notizia.
Ci fanno un titolo. Battono le agenzie.
La riunione della resa dei conti era stata organizzata per cercare di placare gli animi, per non dare in pasto all’opinione pubblica l’immagine di uno scontro fratricida tra chi pensa che abbia ragione Grillo (si torni subito a votare, vadano tutti a casa e porcellum sia), e chi dice — come ancora ieri Luis Orellana — che con quella legge alle elezioni non si può tornare, e che di un Letta bis bisogna parlare tutti insieme.
Così, a Vito Crimi ed Elena Bulgarelli — in vacanza dalle stesse parti in Sardegna era venuta in mente un’idea di “problem solving”: «Dividiamoci in gruppi di 6, 6 senatori ciascuno, i dispari tracceranno la cronologia di quel che è successo, i pari tireranno fuori liste di problemi».
Poi bisognerà riunirsi ancora, mettere insieme gli elenchi, ma prima di tutto giù a distribuire cartoncini («che colore di pennarello vuoi?») e scene che perfino gli uomini della comunicazione riuniti in quelle ore alla Casaleggio Associati — saltano sulla sedia.
A Milano si narra di un Gianroberto Casaleggio furioso per la figura da “dilettanti”, di un Grillo altrettanto basito davanti alla diretta streaming che pure era stata caldeggiata — dai falchi — per stanare chi non intende seguire alla lettera “il progetto”, chi si sente già “onorevole” e non “portavoce”.
Alla fine, si cerca consolazione nella reazione della rete («Alcuni parlano di prova di democrazia»), ma si conclude — alla Nanni Moretti — «con questi senatori non vinceremo mai. Le tecniche di selezione, al prossimo giro, dovranno cambiare».
Intanto, a Roma, l’esperimento si trasforma in autogol: invecedi isolare il dissenso, la divisione in gruppi ha il potere di moltiplicarlo.
In tutti i cartoncini che diligentemente i senatori vanno a leggere tra i problemi vengono fuori «I post di Grillo» o — per dirla con Enza Blundo (che poi in finale di riunione se la prenderà con i giornalisti che travisano) — «il grillismo quando si configura con una rigidità paragonabile al bigottismo che impedisce di capirsi ».
E ancora: «L’aggressività , sia verbale che scritta».
E infine, per bocca dell’ultraortodossa PaolaTaverna (autrice della poesia in romanesco antidissidenti): «Un problema con la Comunicazione scelta dallo staff».
È lo stesso Claudio Messora, che sa bene di essere messo sotto accusa, a twittare ironico il link dello streaming aggiungendo: «Non potete perdervelo».
A quel punto il capogruppo Nicola Morra è furioso.
Alla proposta della Bulgarelli di tracciare gli argomenti e rimandare a oggi la discussione dice no, appoggiato da Laura Bottici.
Si comincia a parlare.
Stefano Lucidi pone il «problema non risolto sul ruolo della comunicazione » e parla di «poca trasparenza nella gestione economica del gruppo», concludendo: «Non abbiamo ben capito chi determinerà nei prossimi mesi la linea politica».
Endrizzi torna a chiedere a gran voce il portale per interagire con la base.
Sara Paglini vuole chiarezza su cosa intende fare il gruppo in caso di caduta del governo.
Ma è soprattutto il walzer dei falchi: Morra invita a non parlare con la stampa e dice che «gli errori non possono più essere tollerati». Vito Crimi ribadisce che la linea è solo e soltanto «tutti a casa », Alberto Airola sostiene che qualsiasi ipotesi di governo a 5 stelle si infrangerebbe contro Napolitano e contro il Pd, mentre per Laura Bottici il portale interessa fino a un certo punto, perchè «se la Rete chiede alleanze, allora la Rete non ha capito».
Infine Barbara Lezzi: «Dico ai colleghi che vanno a sfogarsi con i giornalisti: andatevene a casa anche voi, state danneggiando il Movimento. Il linguaggio di Grillo è quello che ci ha portati fino a qui».
Secondo round stamattina.
La parola spetta alle colombe, se non sono ancora volate via.
Annalisa Cuzzocrea
argomento: Grillo | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
FESTA PD A TORINO, TENSIONE IERI SERA IN PIAZZA D’ARME
«Il Pd non può subire i ricatti del Pdl». «Vorrei sapere cosa ne pensi di Berlusconi, ha già tanta gente che lo difende, non c’era bisogno che lo facessi tu».
Se il «processo» di domenica pomeriggio nella sede del Pd non era bastato, ieri sera alla festa dei democratici in piazza d’Armi Luciano Violante ha fatto il bis.
L’ex presidente della Camera partecipava a un dibattito con il vice ministro Stefano Fassina e il deputato Andrea Giorgis.
Incontro più volte interrotto dalle contestazioni della platea. Che ha attaccato Violante per le sue posizioni sulla decadenza di Berlusconi da senatore, ma se l’è anche presa con Fassina: governo delle larghe intese, finanziamento ai partiti, crisi economica.
Il dibattito è stato più volte interrotto, finchè i protagonisti hanno deciso di concedere ai militanti il microfono perchè potessero esprimere le loro opinioni.
Violante ha difeso le sue: «Le regole vanno applicate a tutti, anche al nostro peggiore avversario. Altrimenti rischiamo che Berlusconi, che è un condannato e condannabile, passi per vittima».
Sul finale è arrivata la proposta di Fassina: «Si faccia un’assemblea interna al Pd di Torino in cui possano parlare tutti, ma con ordine e in modo civile. Perchè se chi è in platea pensa che noi sul palco siamo tutti delinquenti, è inutile parlarsi».
(da “La Stampa”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
IL MINISTRO PIÙ VICINO AL PREMIER, FOLGORATO DA MATTEO, PER ORA PUà’ RIMANERE CON I PIEDI IN DUE SCARPE POI, SE SI ANDRà€ ALLE ELEZIONI, CI SARANNO ALTRE PRIMARIE
“Se come ha detto anche in questi giorni, Matteo lavorerà per innovare ma anche per unire e costruire e non per dividere, io sono pronto a votare per lui”.
Il “vice-disastro” (così lo definì Matteo Renzi, in un’intervista memorabile a La Stampa, in quanto vice di Veltroni reduce dal disastro elettorale del 2008), Dario Franceschini sale sullo stesso palco dal quale l’ex rottamatore ha dichiarato la sua “disponibilità ” a guidare il Pd e fa il suo endorsement a favore del nemico del passato. Un endorsement, a nome di tutta la sua corrente, annunciato, anticipato già dal pomeriggio.
Con un tam tam inquieto. Renzi, nelle vesti di trionfatore della Festa democratica, non si può osteggiare.
Le telefonate di riflessione e di confronto tra i rappresentanti di Area Dem erano partite già domenica sera, con tanto di pressing di Piero Fassino.
E dunque, il dado è tratto di lunedì. Un dato non piccolo per le dinamiche interne dei Democratici.
La cabina di regia di via del Nazareno fino all’altroieri era stata appannaggio del ministro per i Rapporti con il Parlamento, insieme al premier, Enrico Letta e all’ex segretario, Pier Luigi Bersani.
Loro avevano gestito le primarie (insieme, contro il Sindaco di Firenze).
Loro avevano preso le decisioni nella fase post elettorale.
Loro si erano messi d’accordo su Epifani (sempre più reggente a questo punto).
Ora i giochi cambiano. Ma Franceschini ci tiene a dire che questa scelta non confliggerà con il governo e con il ruolo di Letta “perchè i talenti vanno usati tutti ed è impossibile non riconoscere l’autorevolezza e la competenza con cui Letta sta facendo il premier”.
Il presidente del Consiglio e il suo ministro si sentono tutti i giorni.
E dunque, Franceschini ha avvisato Letta dell’annuncio che stava per fare. Il premier ribadisce che vuole rimanere neutrale e che l’importante per lui è un Pd unito.
E d’altra parte, Matteo s’è impegnato in questa direzione, fanno notare persone a lui vicine.
E dunque, con tutti i rischi del caso (vedi il caso Veltroni segretario e caduta del governo Prodi), per ora va bene così.
Poi, in caso di elezioni, ci saranno altre primarie. E si vedrà .
A chi non va bene per niente è Pier Luigi Bersani, sempre più isolato. Che infatti a Franceschini dice: “Prima di sostenere qualcuno vorrei sapere le sue idee”.
Bersani un candidato non ce l’ha. Cuperlo l’ha tirato fuori D’Alema, e i due ormai non si parlano più.
E ogni altra ipotesi (da Epifani al capogruppo Speranza) passava per l’accordo con Letta e Franceschini.
“Certo, Cuperlo mi rappresenta di più”, commenta adesso uno dei suoi, Alfredo d’Attorre. Cuperlo intanto ribadisce che non si tira indietro.
Chissà se lo farà invece il Lìder Maximo, chiarito che il giovane Matteo non ascolta il suo consiglio di non correre per la guida del Pd ma di “accontentarsi” di fare il premier.
Chi ha cambiato idea in mezza giornata è stato Beppe Fioroni.
In mattinata ad Agorà fa un endorsement per Letta. E nel pomeriggio si corregge: “Con un candidato all’80 per cento non ce ne sono altri”. Ricomposizione dell’area cattolica popolare. E non solo. Del fronte dei vecchi “rottamandi”. Uno era proprio Fioroni. L’altro era Veltroni, che su Renzi sta da tempo, nonostante lui fosse il “disastro” in persona.
“Dunque Matteo Renzi vuole ‘rivoluzionare’ il Pd insieme a Franceschini, Fioroni, Veltroni, Bettini, Fassino. Sarà un congresso divertente…”.
Sintetizza così su twitter Matteo Orfini. Lui è di quelli che resta su Cuperlo, insieme ai Giovani turchi.
“Overbooking?”, ironizza sempre in un tweet Andrea Orlando. Finirà che l’area degli ex Ds diventerà minoranza.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
SARA’ SUBITO BRACCIO DI FERRO SULLA DURATA DELLA PRIMA SEDUTA… CASINI: “BERLUSCONI SI DIMETTA”
Seduta lunga o seduta breve? La prima notizia è che sull’affaire Berlusconi si comincia a litigare subito.
Perfino su quando deve cominciare e quanto deve durare la prima seduta della giunta per le immunità di palazzo Madama.
Cosa succederà il fatidico lunedì 9 settembre, la data più citata dell’estate per via della decadenza di Berlusconi da senatore?
Di certo, non bisogna attendere una settimana per scoprire che da una parte c’è il presidente di Sel Dario Stefà no, deciso a percorrere un calendario molto stretto con sedute lunghe a partire proprio da lunedì 9, e in questo alleato del Pd, dei grillini e del montiano Della Vedova.
Dall’altra c’è il Pdl in netta minoranza
Lo scontro sui tempi, che anticipa la profonda spaccatura sulla legge Severino e sulla decadenza del Cavaliere, si materializzerà subito.
Siamo a domani, alle 13 e trenta, quando alla fine dei lavori d’aula è previsto l’ufficio di presidenza della giunta.
E lì, nell’avito palazzo di Sant’Ivo alla Sapienza, partirà la sfida tra destra e sinistra su Berlusconi e sul calendario dei lavori
I telefoni sono già bollenti, ma i conti sono presto fatti.
Per prassi, l’ufficio di presidenza può decidere solo all’unanimità .
Non vale la logica dei numeri che pure, in questo caso, giocherebbe a favore della sinistra per un voto.
Col presidente Stefà no si riuniscono i due vice presidenti, Giacomo Caliendo (Pdl) e Stefania Pezzopane (Pd), i due segretari, Isabella De Monte (Pd) e Benedetto Della Vedova (Sc) e i capigruppo, Giuseppe Cucca (Pd), Nico D’Ascola (Pdl), Mario Michele Giarrusso (M5S), Enrico Buemi (Nuovo Psi), Mario Ferrara (Gal), Erica Stefani (Lega).
Finirebbe 6 a 5 per lo schieramento Pd, M5S, Sel, Sc.
Invece la decisione su quando deve cominciare e soprattutto quanto deve durare la prima seduta della giunta slitterà a lunedì 9.
È probabile che si comincerà nella tarda mattinata, intorno alle 13, giusto per venire incontro a chi arriva da fuori.
Ma quanto durerà la seduta e che cosa si discuterà ? Qui lo scontro è destinato a diventare rissa.
Stefà no ha già anticipato, in più di una dichiarazione agostana, che darà la parola al relatore Pdl Andrea Augello e prima di lui alle eventuali questioni pregiudiziali, che certamente saranno avanzate dal Pdl.
I berlusconiani lavorano per racimolare tempo, vorrebbero rinviare anche la relazione, vogliono porre subito la questione delle anomalie della legge Severino, il possibile ricorso alla Consulta, l’attesa per l’interdizione.
Fatto sta che il primo atto della giunta sarà quello di votare su come procedere.
Qui si capirà subito che chi “comanda” in giunta in questa legislatura è la maggioranza tra Pd, M5S, Sel e Sc.
Quindi comincerà a parlare Augello, sempre che il Pdl non decida gesti estremi di protesta, come l’abbandono dei lavori
Fuori, del resto, suonano i tamburi di guerra.
Non fa breccia, in nessuno dei due fronti, l’appello di Pier Ferdinando Casini, con un esplicito invito a Berlusconi a farsi da parte, «a dimettersi», ma anche quello ai componenti della giunta perchè votino «secondo coscienza » visto che la giunta «non è una caserma».
Il Pd va per la sua strada. Gli otto componenti sono decisi, avanti in tutta fretta per rispettare la legge Severino e costringere Berlusconi a lasciare il Senato.
Il ministro Dario Franceschini respinge il “ricatto” sul governo e ribadisce che il suo partito è «per l’uguaglianza dei cittadini di fronte alle legge».
Ovviamente il Pdl reagisce furibondo, con una Daniela Santanchè che parla della decadenza del suo leader come di «un vero e proprio colpo di stato».
Il quadro è questo, destinato ad aggravarsi domani quando il Pd confermerà in giunta la sua intenzione di andare avanti rispettando i tempi.
Senza rinvii. Senza escamotage per determinare i rinvii stessi.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
“DAL PD NON MI ASPETTO NULLA,, MA NAPOLITANO PUO’ SALVARMI”
«IL Pd ormai è in pieno congresso, da loro non mi aspetto più nulla». Ad Arcore è il giorno del pessimismo, dei pensieri più cupi.
Al grande tavolo sono seduti i figli del Cavaliere e gli uomini che da una vita reggono le sorti dell’Impero: Fedele Confalonieri, Ennio Doris, Bruno Ermolli.
È il rito del lunedì, la colazione con Marina, Pier Silvio, Luigi e gli uomini-azienda, ma stavolta è diverso.
Tra una settimana esatta si deciderà del destino politico del Fondatore.
È l’ultimo consiglio di famiglia per decidere che linea prendere. E tutti, la figlia Marina con molta forza, suggeriscono al Cavaliere di evitare colpi di testa, di «aspettare ancora ».
Si ma cosa? Per Berlusconi ormai soltanto il capo dello Stato può restituirgli «l’onore politico» con un gesto di clemenza.
Il riconoscimento che non si tratta del dramma personale di un privato cittadino ma di «una questione politica – spiega uno degli uomini in contatto con Arcore – che investe il leader di uno dei partiti che sono il pilastro del bipolarismo italiano».
Insomma, si torna al punto di partenza. Dopo aver esaminato tutti i possibili stratagemmi per prendere tempo nella giunta per le elezioni, la constatazione che il Pd non potrà concedere «mesi» ma al massimo «giorni» riporta Berlusconi a guardare nell’unica direzione possibile: il Quirinale.
«Napolitano si deve muovere prima che il Pd voti la mia decadenza in giunta». Riprende corpo l’idea di chiedere la grazia, avanzata da Piero Longo, poi ritrattata, poi ieri nuovamente rispuntata nelle parole dell’avvocato Franco Coppi ad Affaritaliani: «Fino adesso non è stata fatta nessuna scelta, nè in un senso nè nell’altro.
Non è stata presentata alcuna domanda di grazia al capo dello stato, ma resta una delle ipotesi in campo. Con il presidente Berlusconi non ne abbiamo parlato in questi giorni, ma non è escluso che decida in tal senso».
L’opportunità di una richiesta di clemenza è stata invece discussa a lungo ieri ad Arcore, perchè dopo il pranzo con i vertici aziendali a villa San Martino sono di nuovo piombati gli avvocati. Circola la voce di una domanda di grazia presentata dai figli, ma l’ala dura del partito punta i piedi.
Ricordando a Berlusconi che la concessione di un atto di perdono da parte del capo dello Stato comporterebbe implicitamente la sua «uscita di scena
Senza che questa «pubblica umiliazione» gli serva a evitare altri guai in arrivo, come una eventuale sentenza di condanna al processo Ruby.
Nel braccio di ferro tra falchi e colombe questi ultimi sussurrano tuttavia nelle orecchie del condannato parole suadenti: «Una grazia di Napolitano – è il refrain dell’ala favorevole alla trattativa – ti farebbe uscire dall’agone della politica militante e sarebbe un segnale fortissimo per tutte le procure».
Quello che un amico gli ha consigliato davanti alla tavola imbandita di Arcore è dunque un atteggiamento da «padre nobile » del bipolarismo italiano, che accetta di fare un passo indietro:
«Ti devi rassegnare a un ennesimo atto di generosità politica verso l’Italia».
Anche perchè l’alternativa al momento non c’è. La rottura avrebbe un costo politico e aziendale non quantificabile. E le elezioni non ci sarebbero prima della prossima primavera, quando comunque il Cavaliere non sarebbe più candidabile.
Così le trattative proseguono frenetiche, con gli ambasciatori del Pdl che provano a cercare sponde nel Pd per non arrivare al voto sulla decadenza «almeno fino a quando Berlusconi non inizierà a scontare la sua pena».
In modo da consentire al Quirinale di intervenire con la grazia o la commutazione della pena.
La carta più forte che le colombe provano a gettare sul tavolo è quella del ricorso a Strasburgo di Berlusconi.
Che sarebbe già stato spedito alla Corte dei diritti dell’uomo. Nel Pd hanno obiettato che il Cavaliere non può fare ricorso contro una decadenza che ancora non è stata “inflitta” dalla giunta, ma i berlusconiani hanno ribattuto che il condannato si rivolge a Strasburgo perchè l’incandidabilità della legge Severino è già scattata.
Tutti sono diventati esperti giuridici, si compulsano precedenti nella disperata ricerca di un appiglio per allontanare il voto.
Ma per l’interessato, convinto che solo Napolitano lo possa tirare fuori dai guai, ormai è soltanto un chiacchiericcio di fondo.
Francesco Bei
(da “La Repubblica)
argomento: Berlusconi, Napolitano | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
PARTITA LA BATTAGLIA CON LA RACCOLTA DI 40.000 FIRME
Ai ferri corti. Anzi, se potessero lo caccerebbero a pedate.
Non si sono mai amati il Pd napoletano e gli arancioni del sindaco Luigi De Magistris.
Di necessità però ne hanno fatto una virtù, insomma il voto del Pd a favore della giunta. Ma adesso, al giro di boa di metà consiliatura, il Pd e diverse realtà della cosiddetta società civile si accingono a raccogliere quarantamila firme per un referendum consultivo il cui senso è, sarà una requisitoria contro la Giunta di “Giggino” De Magistris.
Il quesito deve essere ancora definito.
Gino Cimmino, segretario provinciale del Pd, sintetizza: “Vogliamo che i napoletani esprimano un giudizio sull’azione amministrativa della giunta De Magistris”.
Il renziano Umberto De Gregorio, pur fortemente critico nei confronti del sindaco, sostiene che i quesiti referendari debbano essere quesiti su atti concreti dell’amministrazione.
“Io, per esempio, avrei voluto chiedere la non riapertura al traffico del lungomare. Ma l’annuncio del sindaco – dice De Gregorio – di confermare la chiusura del lungomare fino quando nn termineranno i lavori della Riviera di Chiaia, ha nei fatti annullato l’esigenza del referendum”.
Un altro acerrimo critico nei confronti del sindaco è Enzo Ruggiero fino a ieri segretario di Idv e soprattutto sostenitore convinto della giunta.
Ruggiero vorrebbe semplificare il quesito in una banale contrapposizione: “Considerate un bene o un male il lavoro fin qui svolto dalla giunta De Magistris”?.
Come reagisce il sindaco? Con indifferenza.
Ai quotidiani locali dichiara di rispettare l’istituto referendario, ma è perplesso sull’operazione politica: “A Roma si governa con la destra di Berlusconi e a Napoli si attacca una giunta di sinistra?”.
Replica Andrea Cozzolino, eurodeputato Pd: “Non spetta a lui giudicare l’ammissibilità del quesito referendario.
La sua reazione è una difesa del Palazzo e una chiusura al confronto con la città ”.
Guido Ruotolo
argomento: Napoli | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
PER (NON) ABOLIRE L’IMPOSTA NE METTONO UN’ALTRA E RISPARMIANO SU OCCUPAZIONE E CONTROLLI FISCALI
L’abolizione dell’Imu su prime case e terreni agricoli è “una vera e propria manovra di finanza pubblica da quasi cinque miliardi di euro” realizzata “senza mettere le mani nelle tasche degli italiani”.
Renato Brunetta, ancora ieri sul Giornale, festeggiava la fine dell’imposta sugli immobili coi toni d’un trionfo guerresco.
Pure Enrico Letta, a fine Consiglio dei ministri, era felicissimo per “la necessaria riforma del’Imu e il cambiamento radicale di una tassa che ha riscontrato vari punti di iniquità ”.
Angelino Alfano, al suo fianco, sprizzava soddisfazione: “È un decreto tax free”, si vantava in anglosiculo.
È così? Non proprio. Come sempre, il diavolo è nei dettagli. E il decreto del governo abbonda in dettagli.
TAX NON FREE
Almeno una nuova tassa, o meglio un aumento di imposizione, nel testo c’è e serve a coprire la tutela di 6.500 esodati.
Sostanzialmente viene dimezzata la deducibilità delle assicurazioni sulla vita e sugli infortuni, il che comporta che una certa quota di italiani pagherà più Irpef.
Si tratta precisamente di di 6,3 milioni di italiani che dovranno sborsare in media duecento euro circa in più all’anno (il prelievo medio dell’Imu sulla prima casa era di 195 euro a contribuente).
COPERTURE BALLERINE
I soldi per abolire l’Imu 2013 dovrebbero arrivare dal gettito Iva dovuto al pagamento di dieci nuovi miliardi di debiti commerciali della Pubblica amministrazione, da alcuni tagli lineari al bilancio dei ministeri e da un condono per le concessionarie di slot machine che evasero il fisco tra il 2004 e il 2007: invece di 2,5 miliari potranno cavarsela sborsando 620 milioni.
Problemi: non è detto che si riesca a pagare abbastanza in fretta i fornitori della P.A. ed è dubbio pure che tutte le concessionarie — alcune in forte perdita — siano in grado di pagare forti somme in così poco tempo.
E la situazione è già critica: ad agosto il fabbisogno (quanto spende lo Stato) è salito a 9,2 miliardi, contro i 6 del 2012.
TASSE EVENTUALI
Esistono anche queste. Il decreto, infatti, è dotato di una cosiddetta “clausola di salvaguardia” fatta solo di aumenti d’imposta.
Tradotto: se le coperture ufficiali dovessero non funzionare, ipotesi tutt’altro che implausibile, scatterebbero automaticamente altre misure.
Queste: “L’aumento della misura degli acconti dell’Ires e dell’Irap, e l’aumento delle accise”.
TAGLI TREMONTIANI
Circa un miliardo di copertura del decreto arriva da tagli lineari a 35 autorizzazioni di spesa di vari ministeri: si tolgono fondi alle assunzioni di nuovi agenti di polizia e pure di altri ispettori contro l’evasione fiscale.
Trecento milioni vengono poi sottratti alla manutenzione della rete ferroviaria, 250 al fondo per l’occupazione e trecento al settore elettrico (ve ne parliamo qui accanto).
LA RATA FANTASMA
È la seconda. A sentire il governo o Brunetta l’Imu è già stata abolita, ma la seconda rata è ancora lì: se non si trovano i soldi nella legge di stabilità , a dicembre tutti dovranno pagare mezza Imu.
IL GIOCO DELLE TRE CARTE
Prima carta: abolita l’Imu. Ammesso che sia vero, questo vale per il 2013 essendo le coperture una tantum. Seconda carta: la service tax. Che la chiamino Taser o in un altro modo al momento dovrà portare a Stato e Comuni lo stesso gettito dell’odiata Imu. Terza carta: il federalismo.
Nel 2014 l’imposta patrimoniale sugli immobili sarà gestita dai Comuni: toccherà ai sindaci tartassare i loro elettori, ma solo fino a un tetto massimo.
Quale tetto? Facile: il gettito Imu stimato per l’anno prossimo. Il banco vince sempre.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: denuncia | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
BERSANI VERSO IL SOSTEGNO A CUPERLO… MARINI ROMPE CON AREADEM
Per capire lo choc in casa democratica, bisogna andare indietro di quattro anni, quando Dario Franceschini tifava per Lapo Pistelli a Palazzo Vecchio e invece il “rottamatore” Renzi — allora senza ambizioni di leader nazionale — vinse a man bassa e diventò sindaco di Firenze.
E chi l’avrebbe detto che il cattolicodemocratico Franceschini avrebbe proprio lui aperto la breccia renziana alla scalata del Pd?
È uno scossone, qualcuno parla di terremoto. Non solo perchè scompagina le correnti del partito e rompe una maggioranza interna bersanian- franceschiniana-lettiana consolidata, ma soprattutto perchè, per la prima volta, gli ex comunisti rischiano di perdere il controllo della “ditta”.
Renzi, il cattolico ex Margherita, è super favorito. A contendergli la segreteria per ora sono in tre — il dalemiano Gianni Cuperlo, l’outsider Pippo Civati, Gianni Pitella — che messi insieme, dice Beppe Fioroni, non fanno il 20% di consensi.
A restarci male, anzi malissimo, è Pierluigi Bersani. Ancora davanti ai primi lanci di agenzia, il bersaniano Nico Stumpo nicchiava: «Vediamo, non dice proprio che appoggia…».
Il punto è che dopo la sfida delle primarie del 2009 (in cui Bersani battè Franceschini e diventò segretario), i due, entrambi emiliani, si erano presi bene.
In nome della mescolanza delle culture di provenienza — comunista l’uno, democristiano l’altro — hanno costruito un buon tratto di Pd. Insieme con Enrico Letta.
Il premier è stato informato dell’endorsement che l’amico ministro stava per compiere. Pare abbia dato il placet e i lettiani, pur restando per ora alla finestra come il loro presidente del Consiglio, si adegueranno. Ovvio che poi nulla è pacifico come lo si racconta.
Basta zoomare sulla stessa corrente di Franceschini, Areadem, per trovare uno sfarinamento. Franco Marini, storico leader dei Popolari, che in Franceschini ha avuto il suo pupillo, è poco convinto. Renzi ha offeso Marini (e non l’ha votato per il Quirinale) e Marini ha picchiato duro contro Renzi.
Avvisaglie di avvicinamento comunque c’erano. Antonello Giacomelli, franceschiniano, una settimana fa aveva annunciato di appoggiare il renziano Dario Parrini per la segreteria toscana del partito.
Ma nel rimescolamento delle carte a perdere pezzi sono i bersaniani.
Bersani ha cercato un candidato anti Renzi che raccogliesse un’ampia maggioranza interna. Non lo ha trovato e ora, se non vuole rimanere isolato, darà i suoi voti a Cuperlo.
Fino a qualche settimana fa, i bersaniani avevano tentato di convincere Cuperlo a fare un passo indietro; avevano anche saggiato l’ipotesi di gettare nella corsa Stefano Fassina; avevano ipotizzato la candidatura di Letta prevedendo una fine imminente della legislatura.
Una costola bersaniana, guidata dal segretario emiliano Bonaccini, è diventata renziana. Cuperlo, che ha in D’Alema e nei “giovani turchi” i suoi sponsor, corteggia da tempo Bersani. La sinistra ex Pds-Ds si ricostituirebbe in una minoranza.
Ma quanto è contento Renzi dell’abbraccio dei big? Molto poco: «Non mi imprigioneranno…», ha ripetuto.
Il “rottamatore” sa che la sua forza sta nella lontananza dalla nomenklatura, e tuttavia se vuole guidare il partito ha bisogno di alleanze.
Da tempo i renziani denunciano il pericolo che «tanti nel Pd per opportunismo vogliano salire sul carro di Matteo».
Dario Nardella avverte: «Non è che oltre la rottamazione c’è il riciclaggio, Matteo non farà mai accordi, patti alla vecchia maniera ».
E’ a un Pd federale che Renzi pensa.
Infine c’è Rosy Bindi, che oggi scioglierà la riserva e indicherà il suo candidato alla segreteria. Fioroni parla di «candidato unico, se Renzi ha l’80% non ce ne sono altri…».
Però un abbraccio tra Fioroni e Renzi è assai complicato, e Fioroni sarebbe sul punto di passare dall’altra parte, con i profughi del Pdl e i centristi, quando lo scacchiere politico si sarà del tutto scompaginato.
Cautela di Alessandra Moretti e del gruppo dei “non allineati”. Ironie del “turco” Orfini («Rivoluzione Renzi con Franceschini, Fassino, Fioroni, Veltroni, Bettini… bel congresso»); impegno di Civati: «Contrasterò le larghe intese dc-Renzi».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »
Settembre 3rd, 2013 Riccardo Fucile
CORSI E RICORSI: DAL MAGGIO 2006 AL LUGLIO 2007: TANTO SERVàŒ AI DEPUTATI PER “ACCOMPAGNARE” PREVITI ALLA PORTA DELLA CAMERA
È già successo tutto sette anni fa, quando la Camera doveva votare la decadenza di Cesare Previti e impiegò esattamente 14 mesi a fare ciò che avrebbe potuto e dovuto fare in un solo giorno.
Il 4 maggio 2006, all’indomani della sua quarta rielezione a deputato al seguito di Berlusconi, Previti viene condannato dalla Cassazione a 6anni per corruzione giudiziaria nel caso Imi-Sir e si vede annullare l’assoluzione per il caso gemello del lodo Mondadori, con rinvio a nuovo processo d’appello.
L’indomani, l’onorevole neopregiudicato si consegna di buon mattino al carcere di Rebibbia.
E subito la sua cella, nel braccio G16 di Rebibbia, diventa meta di un pellegrinaggio incessante di esponenti della Casa delle libertà : il presidente emerito della Repubblica Cossiga, il presidente del Senato Pera, il senatore Guzzanti, gli onorevoli Cicchitto, Bondi, Pecorella, Lainati, Craxi (figlia), Gardini, Cantoni, Giro, Simeone, Marini, Jannarilli, Cicolani, Barelli, Antoniozzi, i sottosegretari Santelli, Grillo e Di Virgilio, l’europarlamentare Tajani, il capo della segreteria di Berlusconi, Valentino Valentini e Paolo Cirino Pomicino in veste di cicerone (lui conosce la strada).
Berlusconi invece preferisce restare a distanza di sicurezza da Rebibbia. Non si sa mai.
Però invia all’amico detenuto un affettuoso telegramma: “Ci vediamo a casa martedì”. Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, organo di Rifondazione comunista, pubblica un editoriale dal titolo“Salviamo Previti. Come? Con una legge ad personam: l’amnistia”.
Immediata l’adesione del vicecoordinatore forzista Cicchitto: “Può servire per chiudere una guerra civile fredda iniziata almeno dal 1992, che è tuttora in atto ed è durissima”.
La legge ex Cirielli riserva ai detenuti ultrasettantenni la possibilità di trascorrere la detenzione agli arresti domiciliari.
Così, con fulminea rapidità e con un’interpretazione estensiva della legge, decide il giudice di sorveglianza Laura Longo (Magistratura democratica), che concede pure all’onorevole detenuto due ore quotidiane di libera uscita per “soddisfare le sue indispensabili esigenze di vita”.
Un beneficio di solito riservato ai diseredati senza famiglia e soli al mondo, dunque impossibilitati a mandare qualcuno a fare la spesa al posto loro.
“Nelle due ore libere Previti potrebbe andare in Parlamento”, dice il suo legale.
Ma, almeno per i primi tempi, l’illustre assistito preferisce altri itinerari.
Intanto la giunta per le elezioni della Camera, presieduta da un suo caro amico, l’onorevole avvocato forzista Donato Bruno, deve decidere sulla sua decadenza da parlamentare, visto che la condanna prevede la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Ma, anzichè prender atto della sentenza e applicarla, la giunta si arroga il diritto di sindacarla per mesi e mesi, invadendo le prerogative sovrane del potere giudiziario. Previti la butta in politica, ingaggiando un difensore molto speciale: l’avvocato Giovanni Pellegrino, dalemiano, presidente Ds della provincia di Lecce, già senatore per varie legislature ed ex presidente della commissione Stragi.
Bruno se la prende comoda: il 7 giugno 2006, un mese dopo la sentenza, annuncia che la giunta si occuperà “quanto prima” del caso.
Ma poi non dà più sue notizie fino alla pausa estiva. Invano il gruppo dei Verdi scrive ai presidenti della Camera e della giunta per sollecitare la decadenza di Previti da deputato, visto che oltretutto aveva “annunciato più volte che si sarebbe dimesso, ma a tre mesi dalla sentenza non c’è traccia della lettera di dimissioni” (la missiva, mai vista da alcuno, è ben custodita in un cassetto dal capogruppo di Forza Italia, Elio Vito).
Nel frattempo si lavora all’indulto, che nell’originaria versione Buemi (centrosinistra) cancella addirittura le pene accessorie: quanto basterebbe per conservare il seggio parlamentare al deputato-detenuto domiciliare.
Poi almeno quella vergogna viene cancellata.
A fine luglio l’indulto più ampio della storia repubblicana — tre anni di sconto anche per i condannati per corruzione giudiziaria — è legge: votano sì il centrosinistra, l’Udc, Forza Italia e un pezzo di An, con la scusa del sovraffollamento delle carceri; votano no l’Idv, la Lega, il resto di An e si astengono i Comunisti italiani.
Salvato dal carcere grazie all’ex Cirielli e liberato dai domiciliari grazie all’indulto, Previti dovrà scontare solo 3 anni su 6, dunque può accedere in “affidamento in prova ai servizi sociali”.
Cioè scontare la pena a piede libero.
Il 3 ottobre il presidente Bruno e il capo del comitato sulla incompatibilità , il ds Gianfranco Burchiellaro, sostengono di non potersi occupare del caso finchè la Cassazione non depositerà le motivazioni della sentenza.
Ma è una scusa che non sta in piedi: le sentenze della Cassazione sono immediatamente esecutive fin dal deposito del dispositivo.
Il 7 ottobre comunque arrivano anche le motivazioni. Ma la giunta temporeggia per un altro paio di settimane. Bruno preannuncia “un’istruttoria per il cui svolgimento ci sono fino a quattro mesi di tempo”. Poi, il 26 ottobre, finalmente si comincia. Ma per rinviare subito al9 novembre,quando sarà ascoltato Previti. O, meglio, dovrebbe. Infatti non si presenta.
E chiede di sospendere il giudizio per un altro mesetto, per quattro motivi: 1) ha chiesto l’affidamento ai servizi sociali e sostiene che, se gli fosse concesso, questo estinguerebbe l’interdizione; 2) la sua condanna definitiva non avrebbe “il carattere dell’irrevocabilità ” perchè l’ha impugnata, in quanto viziata da “errore materiale o di fatto”; 3) il mandato di parlamentare non può essere assimilato “tout court alla nozione di pubblico ufficio” visto che il legislatore fa “esclusivo riferimento alle amministrazioni locali” (un consigliere circoscrizionale condannato deve andarsene, un deputato no); 4) ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la sentenza “persecutoria”, e se questo venisse accolto “legittimerebbe un giudizio di revisione” del suo processo.
L’onorevole usa e getta
In attesa del quadruplice miracolo, i capigruppo del centrosinistra decidono di “non accelerare e non ritardare i tempi”.
Il 9 novembre, per non parlare di Previti (peraltro assente), la Cdl s’inventa un diversivo e inscena una rissa col centrosinistra a causa di alcuni articoli pubblicati dall’Unità su presunti brogli alle ultime elezioni.
Il 16 novembre nuova riunione, ma solo per convocare Previti il 23.
L’Unione (centrosinistra) propone di sospendere fin da subito Previti dallo stipendio che continua indebitamente a percepire dal Parlamento (13 mila euro al mese, al netto dei gettoni di presenza e benefit). Ma non se ne fa nulla.
Il 22 Previti annuncia che l’indomani non verrà perchè sarà a Milano a discutere la sua richiesta direvisione della sentenza di Cassazione .E chiede un rinvio a dicembre. Sempre disponibile, la giunta lo riconvoca per il 6 dicembre. Belisario (Idv) si dimette per protesta. Il 6 dicembre, sette mesi dopo la condanna, Previti si materializza dinanzi al comitato incompatibilità della giunta.
Ma solo per chiedere un mese in più per studiare le carte. Poi esce e fa per tornare a casa. Ma poco dopo rientra: ha appena saputo proprio in quegli istanti, che la Cassazione ha deciso che l’altro processo a suo carico, lo Sme-Ariosto, deve traslocare da Milano a Perugia e lui vuole chiederle di rimangiarsi il verdetto Imi-Sir dichiarando anche l’incompetenza dei giudici ambrosiani. Bruno si affretta a dargli ragione.
La giunta si riconvoca per il 14 dicembre, quando il comitato incompatibilità si esprime a maggioranza per la decadenza. Ma intanto c’è Natale, poi Capodanno, poi l’Epifania. Se ne riparla il 25 gennaio 2007.
E ricomincia la manfrina. Burchiellaro illustra alla giunta perchè il comitato ha deciso per la decadenza. Pecorella ribatte che bisogna congelare tutto finchè la Cassazione non si sarà pronunciata sul ricorso straordinario di Previti. Burchiellaro propone un compromesso: Previti decade dal mandato parlamentare, ma non per sempre.
Con effetti reversibili: viene sostituito provvisoriamente dal primo dei non eletti di Forza Italia, per poi rientrare in Parlamento nel caso in cui il servizio sociale estinguesse la pena accessoria, o la Cassazione accogliesse il ricorso contro la condanna.
Nascerebbe così la figura del deputato supplente, “usa e getta”. È una boiata pazzesca, smentita da tutte le norme, ma in giunta, per seguitare a perdere tempo, si finge che la tesi regga e si continua a discutere della “decadenza reversibile”, con biglietto di andata e ritorno, quasi che il Parlamento fosse un hotel a porte girevoli. Il 1° febbraio nuovo rinvio.
Previti scrive a Bruno: “Auspico che la giunta possa concludere la discussione non prima del 15 febbraio 2007”. Infatti il Tribunale di sorveglianza ha fissato l’udienza sulla sua richiesta di servizio sociale per il giorno 14. Subito accontentato.
La giudice Longo decide il 19: Previti lascia i domiciliari e viene affidato “in prova” a una comunità di recupero per tossici e alcolisti del Ceis di don Mario Picchi, come “consulente legale”: potrà uscire di casa dalle 7 alle 23. Il 23 febbraio la Corte d’appello di Milano condanna Previti ad altri 18 mesi per Mondadori, poi confermati in Cassazione.
Passa un altro mese e in giunta non accade nulla di importante. Barbieri dell’Udc ricorda che “il deputato missino Sandro Saccucci, condannato per l’uccisione di un giovane comunista, fuggito in Spagna dopo la condanna di primo grado, portò regolarmente a termine il suo mandato parlamentare”; e pure Toni Negri, condannato per banda armata, Massimo Abbatangelo, condannato per un assalto a colpi di molotov a una sede del Pci, e Francesco Moranino, condannato per vari omicidi e fuggito in Cecoslovacchia prima di essere graziato dal presidente Saragat.
Dunque anche Previti deve restare deputato. Il 21 marzo la giunta torna a riunirsi, ma i tre deputati di An che si erano iscritti a parlare non si presentano. Tutto rinviato. Il 28 marzo l’an Gamba propone di studiare una forma di“sospensione temporanea”.Il 4 aprile l’an Consolo chiede che Bruno investa il presidente della Camera Bertinotti della questione.
Bruno promette di approfondire la questione con gli uffici della Camera. Consolo chiede di rinviare il voto a dopo il 23 maggio, quando la Cassazione discuterà il ricorso di Previti per “errore di fatto”. Alla fine, ed è la prima volta dopo molti mesi, la giunta decide qualcosa.
Non la decadenza di Previti, ma la data in cui si voterà in merito: nella settimana che inizia il 17 aprile. Cioè quella di Pasqua. Il 17 Nespoli diede garanzie sul fatto che Previti rientri in Parlamento subito dopo il servizio sociale e invoca una bella riforma della materia. Pecorella chiede altri chiarimenti. Sembra il momento di votare, ma Bruno si ricorda che deve riunire urgentemente l’ufficio di presidenza.
E poi Barbieri chiede di parlare di nuovo. Ma ovviamente è assente e si rinvia. L’ultima replica di Burchiellaro è rinviata a maggio, anche perchè la giunta ritiene molto più urgente occuparsi di altri due deputati in odor di decadenza. Il 4 maggio Previti compie un anno d imandato parlamentare abusivo.
L’Udeur diserta la giunta e minaccia di ritirarsene per le beghe politiche di Mastella col resto della maggioranza. La seduta decisiva del giorno 8 slitta a fine mese: il Parlamento chiude dal 20 al 27 per le elezioni amministrative.
Il 23 maggio la Cassazione respinge il ricorso di Previti contro la sentenza Imi-Sir in quanto palesemente “inammissibile”.
I suoi legali, per tutta risposta, annunciano una richiesta di revisione del processo a Brescia.Intanto,quando non si rieduca in comunità ,
Previti è libero di muoversi come meglio crede — a bordo delle sue numerose automobili con autista (una Mercedes, una Range Rover e una Nissan) — dalle 7 alle 23 nella provincia di Roma. Salvo qualche permesso premio per ritemprarsi nella villa all’Argentario, dove un tempo veleggiava sul mitico “Barbarossa” nelle acque dell’allusiva Cala Galera.
Nel tempo libero, a parte qualche partitella al circolo Canottieri Lazio e “la ginnastica agli attrezzi di cui si è dotato in casa”, frequenta il suo studio in via Cicerone. Il 29 maggio la giunta approva (17 sì dal centrosinistra, 8 no dal centrodestra) la proposta Burchiellaro per la contestazione dell’elezione di Previti.
Ma non è finita: ora dovranno passare 20 giorni per convocare Previti e il suo avvocato in udienza pubblica. Poi la giunta dovrà di nuovo votare per decidere se trasmettere all’aula la proposta di decadenza. Ma i 20 giorni diventano 40.
Siamo al 9 luglio. Previti interviene un’altra volta in giunta per dichiararsi vittima di “una vergognosa persecuzione giudiziaria”. Cita “Sansonetti che, da autentico garantista, ha scritto che la mia condanna è avvenuta senza prove”.
“La nobiltà d’animo”
Poi parla il suo avvocato, il dalemiano Pellegrino: il processo Imi-Sir fu “condizionato all’origine” dalle idee politiche di giudici “parziali” (si presume di sinistra, cioè della stessa parte di Pellegrino), dunque “non si tratta di difendere la persona Previti, ma lo status di parlamentare.
Barabba fu assolto, il Nazareno fu condannato. E Socrate fu costretto a bere la cicuta”. Alla fine la giunta si pronuncia per la decadenza di Previti con 16 voti a favore (Unione, assente l’Udeur) e 11 contrari (Cdl, assenti Nespoli e Pezzella di An). Ma non è ancora finita.
Manca il voto dell’aula. Il 31 luglio la Camera è finalmente convocata per votare sulla decadenza. Previti gioca d’anticipo e abbandona il campo prima di esserne espulso: fa leggere una lettera di dimissioni dal capogruppo Vito (che ne elogia la “nobiltà d’ani- mo”), chiedendo che l’aula si pronunci con voto palese.
Lo scopo è chiaro: evitare l’onta di vedersi dichiarare decaduto per effetto di una condanna definitiva. Il che, manda a dire, sarebbe “un atto di sottomissione del Parlamento al potere non sovrano, ma sovrastante dell’autorità giudiziaria, riconoscendole un primato rispetto al Parlamento del tutto estraneo alla nostra Costituzione”.
Ma, per il voto palese su una questione come questa, occorre l’accordo di tutti i gruppi parlamentari: invece uno si sfila, Marco Boato del gruppo misto. Dunque si procede a volto scoperto. Tutti i gruppi, compresa Forza Italia ed esclusi soltanto il Pri di La Malfa e la Nuova Dc di Rotondi, si pronunciano per il sì.
Alle ore 16:57 le dimissioni vengono accolte, in un silenzio tombale, con 462 sì, 66 no e 4 astenuti (su 530 deputati presenti).
Fini, in aula durante la discussione, esce platealmente prima dello scrutinio, seguito da 16 deputati del suo gruppo. Berlusconi non si fa proprio vedere, così come altri 12 forzisti e 8 dell’Udc.
I quattro astenuti sono Laurini e Vitali di Forza Italia, Dionisi dell’Udc e Affronti dell’Udeur.
Alla fine solo Di Pietro e Diliberto, fra i capipartito, esultano perchè “finalmente giustizia è fatta”, mentre il resto dell’Unione tace imbarazzato. La Cdl si scatena, almeno a parole.
Berlusconi grida all’“accanimento” ed esalta il “gesto nobile” dell’amico Cesare. La prima intervista da ex, Previti la regala a Libero . E fa i nomi di coloro che hanno causato la sua cacciata. Non gli esponenti dell’Unione, ma alcuni giornalisti e comici: “Questa gente voleva solo che me andassi perchè dovevano dare soddisfazione ai vari Travaglio, Santoro, alle Iene, al blog di Beppe Grillo. Non si rendono conto che io ho solo fatto un piacere al Parlamento, che votando la mia decadenza si sarebbe squalificato da solo”.
Andrea Romano, già direttore della rivista dalemiana Italiani europei e ora approdato all’Einaudi (Mondadori, Berlusconi), deplora sulla Stampa il vero scandalo del caso Previti. E cioè “la rapidità con cui Previti è stato accompagnato alla porta dalla Camera, rischiando proprio sul finale di apparirci simpatico”.
Diventerà il braccio destro di Montezemolo e poi di Monti, of course.
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidano”)
argomento: Giustizia | Commenta »