Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA DIREZIONE SLITTA A LUNEDI 10
«Non sono amareggiato. Risolveremo tutto, vedrete… ». Epifani mostra ottimismo. Ma è costretto ad ammettere che quanto è accaduto nell’Assemblea democratica di sabato è «umiliante».
«Il Pd non è nel caos ma dobbiamo finirla di dare al paese uno spettacolo che non ci onora: questo tormentone ci umilia».
Garantisce inoltre, il segretario democratico, in un comizio alla festa del partito a Modena, che la data delle primarie sarà quella indicata, e cioè l’8 di dicembre.
E di slittamenti, nonostante le lungaggini delle regole che per l’appunto non si è riusciti a cambiare, non ce ne saranno.
Quindi, stop ai sospetti dei renziani – ma anche dei “giovani turchi”, supporter dello sfidante Gianni Cuperlo – su Bersani
Tuttavia il percorso sarà deciso dalla direzione.
Era convocata per venerdì prossimo, ma slitterà . Marina Sereni, alla quale spetta il compito della convocazione, dice che probabilmente la direzione si terrà lunedì 30. E non sarà una passeggiata.
«Siamo al cortocircuito e dobbiamo venirne a capo», ragiona Roberto Morassut che nel “comitatone” per le regole del congresso aveva proposto diverse mediazioni sulla questione che ha provocato il flop dell’Assemblea, la separazione cioè tra segretario e candidato premier. Voluta dai bersaniani e dalla sinistra del Pd, dopo che l’accordo sembrava essere stato trovato, è stata bocciata.
Ha rappresentato il casus belli. Renzi si è sempre detto contrario. Bindi è scesa in trincea.
Ora i renziani chiariscono il punto: «In direzione ciascuno si prenderà le sue responsabilità », fissa i paletti il renziano Guerini.
Del resto lo Statuto e quindi le regole del partito si possono cambiare solo in Assemblea. Se leadership (del partito) e premiership coincidono, come è sempre stato, così sarà . Spetta sempre a Epifani cercare di evitare lo scontro e la rigidità delle posizioni.
Il segretario pertanto lancia un appello: i candidati segretari – ad oggi Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella – non si arrocchino ma aprano.
Quando sarà il momento delle primarie per Palazzo Chigi, abbiano la generosità di cancellare di fatto l’automatismo secondo il quale, e a norma di Statuto, solo il futuro segretario del Pd può candidarsi.
Se Enrico Letta, l’attuale premier, vorrà correre, non sia certo escluso.
Insomma, le modifiche bloccate dal caos dell’Assemblea possono rientrare in gioco «se i candidati alla segretaria – spiega Epifani – sottoscrivessero e si impegnassero a non essere candidati automaticamente alla premiership» una volta eletti alla guida del partito.
L’incertezza è però tanta, e le tensioni crescono.
Letta, chiamato in causa e anche lui accusato di volere intralciare Renzi e perciò di puntare sullo slittamento del congresso, prima di partire per il Canada telefona a Epifani: «Resto fuori dal congresso», fa poi sapere. Lo scontro tra le correnti democratiche e la sorte del governo non siano intrecciati. Però è molto difficile a questo punto che i lettiani nella sfida per la segreteria appoggino il sindaco “rottamatore”.
Paola De Micheli lo dice chiaramente: dopo tutte le bordate di Matteo a Enrico, sarà difficile. Stasera si riunisce di nuovo il “comitatone” per le regole per cercare di salvare il salvabile di un lavoro iniziato a giugno e naufragato.
Giovedì inoltre i bersaniani lanciano la loro iniziativa pubblica a sostegno di Cuperlo.
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica“)
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Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“IL CROLLO DEGLI ALLEATI DI GOVERNO E’ ANCHE COLPA SUA”… “IL PARTITO ANTI-EURO NON SCOMPARIRA'”
«Il segreto del successo della Merkel? E’ la sua popolarità , il suo stile che la fa sembrare sempre una buona manager. Ma soprattutto è riuscita in qualche modo a staccare se stessa, e in una certa misura anche il suo partito, dai problemi che la coalizione di governo ha avuto».
Jan-Werner Mà¼ller, politologo tedesco che dirige il dipartimento per gli Studi europei a Princeton, uno degli studiosi di politica del vecchio continente più influenti negli Usa (in Italia è uscito di recente il suo L’enigma democrazia, Einaudi) ritiene che la Merkel abbia anche l’enorme capacità di scaricare gli insuccessi sugli altri.
FUORI I LIBERALI
«I suoi alleati di governo, i liberali, non entreranno al governo per la prima volta dal dopoguerra, un disastro per loro. In modo molto intelligente, Merkel è riuscita ad addossare loro tutte le conflittualità e le prove d’incompetenza del governo. Lei stessa si comporta ormai più da presidente della Germania che da Ceo, che deve rendere conto di quello che fa. Ma attenzione: è lei che ha voluto questa coalizione, la voleva ancora, era il suo dream team. Quindi, sebbene non sarà percepito così, questo dovrebbe essere anche un suo insuccesso».
Come giudica l’Alternativa, ha potenziale per crescere?
«Personalmente non li chiamerei un partito populista: se uno si oppone a temi europei, questo non fa di lui automaticamente un populista. Sono riusciti a evitare di apparire una tipica formazione di estrema destra, come il partito di Joerg Haider in Austria o di Le Pen in Francia. Sono guidati da professori. E sebbene ha Germania abbia la fama di essere molto rispettosa dei professori, ami i titoli Prof., Professor Doktor, e via dicendo, direi che hanno ottenuto il loro risultato nonostante i professori, non grazie ai professori. Molto dipenderà adesso dal fatto se riusciranno a istituzionalizzarsi. Se sapranno raccogliere parte dei bacino del partito conservatore, quello che percepisce la Cdu come troppo liberal, per usare un termine americano, troppo permissiva sui temi morali. Non credo che spariranno. E la cancelliera avrà un problema: se la politica europea sarà percepita come insoddisfacente, cresceranno».
Visto dall’Italia, un tema è stato quasi assente dal dibattito politico tedesco: l’Europa. Perchè?
«Una combinazione di più motivi. Merkel non aveva interesse a fare dell’Europa un tema più ampio. Il suo interesse razionale e la sua strategia elettorale suggeriscono: meno si dice, meglio è. La Spd e i verdi hanno sostenuto le sue politiche, quindi non potevano attaccarla di punto in bianco rimanendo credibili. Più importante ancora: è rischioso chiedere più integrazione, o qualsiasi cosa dia più potere e soldi a Bruxelles — ciò che molti cittadini temono come una Transfer Union nella Ue. Molti politici rifuggono temi perchè impopolari. Però potrebbe essere una decisione sbagliata: se una maggiore integrazione si renderà necessaria, ci sarà l’impressione che questi temi non siano stati adeguatamente discussi e che tutto il processo dell’integrazione europea manchi di legittimità . Nel breve, è rischioso il dibattito, a lungo termine più rischioso non averlo».
Come descriverebbe la campagna della Merkel?
«Merkel non ha detto quasi nulla sulle questioni più controverse e si è spesso appropriata delle politiche dei suoi avversari. Il calcolo, in parte, è stato: gli elettori dell’opposizione non andranno a votare, visto che non c’è molto in palio. Una strategia nota come “de-mobilitazione asimmetrica”: tutti diventano disinteressati, ma quelli dell’opposizione di più. Il problema è però se questo atteggiamento non possa creare un gruppo di elettori insoddisfatti, che ritengono che la Cdu si sia spostata troppo a sinistra, diventando, di fatto, un partito socialdemocratico in economia, e simile ai verdi sui temi sociali. Merkel è così popolare che per lei questo non è un problema, ma per i suoi successori lo sarà ».
Perchè la Spd non è stata percepita come una vera alternativa?
«Hanno tre grandi problemi. Il primo: il dilemma strutturale di molti partiti socialdemocratici in Europa negli ultimi decenni: come rappresentare la classe operaia che si va restringendo (e spesso soffre), conquistando allo stesso tempo i voti della classe media centrista. Come per i socialisti francesi, che ora hanno dei veri avversari a sinistra. Secondo: il partito ha dato l’impressione di non saper decidere se rigettare o far propria l’eredità di Schrà¶der. Terzo: hanno scelto con Steinbrà¼ck un candidato “merkeliano”, ma che doveva difendere un programma più a sinistra di quel che ci si aspettava. E questo ha creato un problema di credibilità ».
La crisi viene percepita in modo molto diverso in Germania e in altri Paesi Ue. Crede che la Germania non sia riuscita a spiegare la propria strategia?
«E’ complicato. Il governo tedesco ha spiegato la sua strategia che consiste nel combinare austerità e riforme strutturali nei Paesi in crisi. Ma la spiegazione spesso non è stata accettata e io personalmente credo anche che non sia corretta (almeno, come dimostra l’esperienza tedesca con Schrà¶der). Anche dove i cittadini vedono la necessità di avere cambiamenti strutturali (e perfino di un nuovo contratto sociale), hanno buone ragioni per ritenere che l’austerità non li possa realizzare, e perfino disperare che esista un reale meccanismo in grado di autorizzare un nuovo contratto sociale. In generale è problematico discutere di questioni europee ponendo un Paese contro un altro. Non si tratta di Germania contro la Grecia, il conflitto taglia le società in modo trasversale. Ma per adesso, non abbiamo le strutture politiche per affrontare simili questioni e conflitti pan-europei».
Quali sono i rischi della strategia tedesca per l’Europa?
«Ci sono rischi ben noti: l’austerità che porta a un avvitamento a spirale, dal quale i Paesi non riescono a uscire. E rischi meno tangibili: i cittadini sentono che i cambiamenti strutturali (anche quando necessari) sono realizzati da un establishment politico la cui legittimità è drammaticamente calata. Temo che questo sia il caso di Italia e Grecia. Le larghe coalizioni di governo possono solo accentuare la percezione che i populisti cercano di rafforzare: che i vecchi partiti — se vuole, la casta — si curano solo di restare al potere, di occupare lo Stato. I cittadini possono così cominciare a pensare che il vecchio establishment è sinonimo di sistema democratico, e che l’unico modo di liberarsi dei primi e di liberarsi anche del secondo. Un pensiero molto pericoloso».
Habermas parla di fallimento delle elite tedesche nell’affrontare la crisi. E’ d’accordo?
«Sì, ma è un fallimento molto specifico. Non è un fallimento manageriale. Merkel è un manager estremamente competente. C’è un fallimento nel far comprendere come la Germania abbia beneficiato dell’euro, un fallimento nell’ammettere che la combinazione di austerità e riforme strutturali possa anche non funzionare, e un fallimento nel pensare come possa funzionare una legittima, efficiente Unione europea. E’ troppo facile dire che questo è un fallimento personale di Merkel. Il suo interesse personale, un interesse razionale, era di non affrontare questi temi. Sono i media, e l’opposizione che l’avrebbe dovuta sfidare di più».
M. Gergolet
(da “il Corriere della Sera“)
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Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
I VANTAGGI DELLA CAPITALE TEDESCA VISTI DAGLI ITALIANI CHE LAVORANO LI’
È domenica pomeriggio e sto per andare a seguire i risultati dello spoglio elettorale alla sezione del mio quartiere di un partito di sinistra.
È una cosa che non ho mai fatto, prima d’ora; ma stavolta, per varie ragioni, ho la sensazione che queste elezioni possano essere realmente determinanti per il futuro del mio Paese. Eppure non ho votato.
Questi due fatti non sono in contraddizione: il mio paese è l’Italia – ma quello in cui abito, e in cui si svolgono queste elezioni per certi versi cruciali per noi che pure non vi partecipiamo, è la Germania.
Con qualche pausa e qualche ritorno, sono quattro anni che vivo a Berlino.
È difficile ammettere di fare parte di una tendenza – in senso sia sociologico che modaiolo. I tuoi motivi ti sembrano sempre più validi, o più personali, o più complessi di quelli degli altri, che fanno la tua stessa scelta sentendosi speciali come te.
Eppure il trasferimento a Berlino è sempre più popolare fra gli italiani della mia età , benchè la questione, come molte tendenze simili, sia in qualche misura sovraesposta.
Ufficialmente siamo in ventimila; le stime di chi è qui senza registrarsi all’anagrafe raddoppiano questa cifra. Il totale raggiunge più o meno la capacità dello stadio olimpico di Roma, o un quinto della città di Bologna, per farsi un’idea.
L’espressione «fuga dei cervelli», oltre a essere orribile, spiega tutto questo solo in minima parte. Si riferisce a chi cerca strade adatte ai suoi talenti, opportunità estremamente qualificate che nel nostro Paese mancano.
Conosco gente che è qui per questo: Irene è ricercatrice alla Humboldt-Università¤t a un’età a cui in Italia ci si trascina nel purgatorio del post-doc; Stefania e Gigiotto, in pochi anni, hanno trasformato quello che a Napoli era un piccolo spazio d’arte indipendente in una galleria solida e molto riconosciuta.
Ma sono relativamente pochi i casi di chi parte con un seme in mano sapendo di trovare una terra fertile.
Gli italiani che incontro qui sono in larga parte gli studenti Erasmus che nell’estasi dell’alba dopo la festa decidono di restare; i neolaureati che preferiscono affrontare il giro di chiglia dello stage in un posto in cui è probabile che porti a qualcosa; quelli che vogliono aprire un bar o un ristorante in un’economia in crescita e in un sistema meno rapace e bizantino.
E poi c’è la cosiddetta diaspora digitale, di cui faccio parte anche io: la categoria in rapida crescita dei freelance a cui basta un computer per lavorare, che finiscono qui senza sapere bene cosa stanno cercando ma con la sensazione generica, dubbiosa, che a casa non c’è.
È un complesso di ragioni che porta tutte queste persone (tutti noi) a Berlino, in questo momento specifico.
Una di esse è indubbiamente il fatto che siamo in tanti a farlo, il che c’entra con il conformismo ma anche con la consapevolezza che troverai tutta una comunità ad accoglierti e aiutarti in un passo che – per quanto smussato dall’unità d’Europa – è comunque doloroso e difficile. (Anche dal punto di vista pratico: anni fa mi mandarono su Facebook i numeri di tre medici che praticavano qui parlando italiano; ora aprono commercialisti e studi di psicanalisi.)
Ma credo che la ragione principale sia legata a ciò che l’economista Charles Tiebout chiamava «votare coi piedi»: esprimere la propria opinione circa un sistema politico limitandosi ad abbandonarlo, in favore di uno ritenuto migliore.
In fondo, oggi il mio voto l’ho espresso così. È in parte una mossa vigliacca e rinunciataria, e forse è anche per questo che, dopo un po’ che si è via, si comincia a faticare a seguire l’attualità politica italiana: c’entra la rabbia che questa suscita in chiunque vi partecipi, ma anche la vergogna di chi sente, col sollievo dell’egoista, il peso di essersene lavato le mani.
A Berlino c’è il sussidio, e il «bonus-bebè» è uno stipendio di un anno, e gli affitti seppur in crescita sono calmierati; in Italia, almeno visto da qui, c’è quel cruciverba indecifrabile costellato di affetti e frustrazioni, di speranze e di strade sbarrate, che è l’Italia.
Ha fatto meno venti il primo inverno che sono stato qui, e Christina guardando il mezzo metro di neve in terrazza pensava a casa sua a Baden-Baden, quattro paralleli più a sud. Era appena stata a Firenze, e non capiva come fosse possibile che un italiano volesse davvero vivere in un posto così.
Me lo chiedevano in molti, all’inizio. Ora non lo chiedono più.
Vincenzo Latronico
(da “il Corriere dela Sera”)
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Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA PAURA DEL PD: UNA CRISI ORA AIUTEREBBE BERLUSCONI
A un passo dalla crisi di governo, con le dimissioni del ministro Saccomanni sul tavolo, Enrico Letta ha deciso: l’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento sarà bloccato fino al 31 dicembre.
Un congelamento che costa un miliardo di euro, ma che serve al premier per tamponare la falla politica che rischiava di mandare a fondo l’intera barca del governo
La mossa successiva è già stata discussa ieri mattina in una telefonata tra Letta e Saccomanni, durante la quale il capo dell’esecutivo ha fornito «piena copertura politica» al ministro dell’Economia.
Soprattutto gli ha fornito «ampie garanzie» sul rientro al 3% nel rapporto defcit/pil.
Per l’Iva, però, il piano prevede un ridisegno complessivo della giungla delle aliquote che diventerà operativo a partire dal primo gennaio 2014 e che servirà a scongiurare definitivamente l’aumento di quella maggiore.
Intanto, dopo una riunione segreta venerdì pomeriggio, oggi un’altra riunione ristretta di governo – alla presenza di Saccomanni e con i tecnici della Ragioneria – consentirà di mettere la bollinatura finale sulle coperture per evitare l’aumento del primo ottobre.
«Il famoso miliardo lo abbiamo trovato », annuncia trionfante un ministro del Pdl in serata, «ma adesso sarebbe bene che i nostri e quelli del Pd evitassero la gara per attribuirsene il merito»
Certo, l’aver coperto il miliardo per rinviare l’aumento dell’Iva non alleggerisce il peso della legge di Stabilità .
«I partiti possono fare tutto quello che vogliono – ripete in queste ore Fabrizio Saccomanni – ma non mi possono chiedere di sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil».
Un impegno non da poco visto che per correggere lo scostamento dello 0,1 per cento (attualmente il rapporto è al 3,1%) occorre trovare un altro miliardo e 600 milioni di euro da qui a fine anno.
E tuttavia, benchè il clima nella maggioranza, dopo il drammatico ultimatum del ministro dell’Economia, si sia in parte rasserenato, la strada per Letta resta tutta in salita.
I problemi stavolta non vengono solo dal Pdl, dove i falchi intravedono la possibilità di dare la spallata finale all’esecutivo, ma anche dal partito democratico.
Nel Pd infatti è diffusa la convinzione che il ministro Saccomanni si stia comportando «troppo alla Monti», regalando un vantaggio tattico a Berlusconi.
«Se dopo avergli intestato lo stop dell’Imu – si sfogava ieri mattina un autorevole esponente democrat alla lettura dell’intervista del ministro dell’Economia – consentiamo al Cavaliere di addossarci l’aumento dell’Iva, gli stiamo regalando la campagna elettorale. E stavolta rischia anche di vincere».
Per mettere il Pdl con le spalle al muro e costringere ognuno ad assumersi le proprie responsabilità , Letta ha deciso quindi di giocare d’anticipo.
Anzi, come ha detto in conferenza stampa, «all’attacco ».
Cosa abbia in mente lo ha anticipato venerdì a Mario Monti, salito al primo piano di palazzo Chigi per perorare nuovamente quel «patto di coalizione» richiesto invano a luglio.
Si tratta in sostanza di procedere a un Letta bis senza crisi di governo.
«Anzichè morire di agonia – gli ha suggerito Monti – perchè non metti nero su bianco un nuovo programma di governo impegnativo per tutti?».
«È quanto intendo fare – gli ha risposto Letta – e poi mi presenterò in Parlamento per chiedere ai partiti una nuova fiducia. Perchè in questo modo non si può più andare avanti».
Una ripartenza insomma, un nuova spinta che lo tolga dalla palude in cui sembra piombato in questi giorni.
Un nuovo programma che faccia perno sulla legge di stabilità . Anche perchè Letta non intende fare la fine di Monti. Sabato il Professore era a Yalta, invitato a una conferenza internazionale, e incrociando Dominique Strauss-Kahn si è sentito soprannominare «Montroeder ».
«Il Montroeder, unione di Monti e Schroeder, è quell’animale politico che fa le riforme giuste e poi perde le elezioni».
Dall’altra parte del fiume il Cavaliere attende paziente che il Pd si faccia saltare i nervi e ponga fine all’esperienza Letta.
Anche se i pensieri di Berlusconi sono ancora concentrati, più che sull’Iva, sulla questione decadenza.
Il leader di Forza Italia vede avvicinarsi la scadenza fatidica della cessazione dello scudo senatoriale e teme che dalla procura di Bari possa arrivare un nuovo tsunami. Per questo, raccontano, il Cavaliere ieri è tornato ad accarezzare l’idea di andare in televisione e raccontare la sua «verità ».
Su tutto: da Ruby ai diritti Mediaset, da Tarantini alle escort.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IL DISTACCO DALLE VUOTE PAROLE DEI POLITICI IN UN DISCORSO A BRACCIO DA BRIVIDI…FRANCESCO RICORDA I GENITORI EMIGRANTI… POI PREGA IN SARDO
Gli occhi indagatori di Jorge Mario Bergoglio scrutano, con l’attenzione che solo lui sa riservare alle persone, la folla di operai e contadini che gli sta davanti.
«Lavoro, lavoro», chiedono alcuni a gran voce. Sembra quasi una contestazione.
Francesco prende allora una decisione. Lascia da parte i fogli del discorso preparato a Roma, e si mette a parlare a braccio.
«La vostra è una preghiera», dice colpendo tutti. Si fa silenzio.
Ed è in quel momento che le lacrime solcano il volto di molti dei disoccupati, uomini e donne che, nella piazza davanti al porto di Cagliari, aspettano il Pontefice in piedi dalle 4 del matti«Desidero esprimervi la mia vicinanza – risponde Bergoglio alle tre persone che lo hanno preceduto negli interventi, un operaio, un’imprenditrice e un pastore – alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassa integrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti. È una realtà che conosco bene. Mio papà giovane è andato in Argentina pieno di illusioni a farsi l’America, e ha sofferto la terribile crisi del Trenta. Hanno perso tutto. Devo dirvi coraggio. Ma sono cosciente che devo fare il mio perchè questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio. Non sia solo il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio. Questo non lo voglio. Ma come pastore e fratello, per darvi questo coraggio »
Francesco sa toccare le corde giuste. E lo ha fatto anche ieri a Cagliari che, per un giorno, sembra una piccola Rio de Janeiro, ricordando nell’entusiasmo con gli oltre 100 mila fedeli sparsi sulle salite del centro i 5 milioni che accompagnarono a luglio il suo viaggio brasiliano. Lavoro è la parola d’ordine della sua visita in Sardegna, sollecitato dalla situazione economica dell’isola – dove l’indice di povertà è doppio rispetto al dato nazionale.
Bergoglio parla di lottare «insieme, per un sistema giusto», per «il lavoro e la dignità », contro un «sistema economico senza etica », che idolatra «il denaro», e «scarta» le persone, «i giovani e gli anziani».
Nelle sue 10 intense ore di permanenza, ha stretto mani, abbracciato con grande calore e tenerezza bambini e malati che lo attendevano nelle tante soste in tutta la città . Poi è passato ai politici.
«Il nostro cuore di figli – ha ammonito nell’omelia pronunciata nel santuario della Madonna di Bonaria – sappia difendere il cuore di Maria da tanti parolai che promettono illusioni».
E nell’aula magna della Facoltà teologica regionale ha continuato: «Ho trovato nei politici giovani un’altra maniera di pensare la politica, non dico migliore ma un’altra maniera. I giovani possono portare una musica loro, diversa dalla nostra. Non abbiamo paura, apriamoci alla loro visione, i giovani cercano questa chiave diversa. Ci servirà sentire la musica di questi politici giovani».
Ha poi pronunciato una preghiera in sardo.
Pranzato con culurgiones (ravioloni) e porceddu, assaggiato Vermentino e Cannonau.
Spronato i ragazzi invitandoli a «prendere il largo e a gettare le reti ». «Io non vengo qui a vendervi illusioni – ha chiarito – seguire Gesù è impegnativo, vuol dire non accontentarsi di piccole mete, ma puntare in alto con coraggio».
E poi, riferito a sè stesso: «Non è che io mi sento Tarzan, forte. Nei momenti più bui ho sempre guardato Gesù, e mi sono fidato: non mi ha lasciato da solo».
Marco Ansaldo
(da “La Repubblica“)
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Settembre 23rd, 2013 Riccardo Fucile
MA ANCHE SOLLIEVO: “QUANDO SI TROVA CON LE SPALLE AL MURO, NON PERDE DI VISTA L’INTERESSE COLLETTIVO”
Lo straordinario successo che gli elettori tedeschi hanno attribuito ad Angela Merkel premia i risultati tangibili ottenuti nel governare il Paese ma anche il fatto che, sotto la guida della cancelliera, la Germania è diventata indiscutibilmente la potenza egemone del Continente.
Un risultato che la nazione tedesca ha vanamente inseguito per 150 anni al prezzo di stragi e distruzioni, e che ora ha ottenuto in modo pacifico, e tutto sommato consensuale, grazie all’esistenza della Ue.
E grazie all’accortezza con cui la Merkel ha saputo gestirne i meccanismi.
Ora che la cancelliera viene riconfermata alla guida della Germania e dell’Europa, la reazione nelle altre capitali, al di là dei messaggi protocollari di felicitazione che cominciano a piovere su Berlino, è insieme di sollievo e di preoccupazione.
Il sollievo nasce dal fatto che l’Europa crede di sapere che cosa aspettarsi dalla leadership di Angela Merkel.
Molti capi di governo sono convinti di conoscere quali siano i margini di manovra che hanno a disposizione quando devono negoziare con la leader tedesca.
Ed hanno avuto negli anni più difficili della crisi la prova che la cancelliera, pur cercando di anteporre gli interessi della Germania a quelli dei suoi partner, alla fine, quando si trova con le spalle al muro, non perde di vista l’interesse collettivo.
Come ha dimostrato appoggiando la scelta di Draghi di schierare la Banca centrale europea a difesa della tenuta della moneta unica: un’opzione che a Berlino raccoglieva ben pochi consensi.
Ora il fatto che la Merkel esca enormemente rafforzata da queste elezioni la pone in una posizione di forza anche nei confronti di quelle frange del suo stesso partito che negli anni passati hanno spinto la cancelleria verso posizioni di eccessiva intransigenza.
I falchi dell’ortodossia monetaria, che si annidano soprattutto nelle fine della stessa Cdu-Csu, oltre che nel partito liberale escluso dal Parlamento, avranno almeno in teoria minori possibilità di condizionare le scelte del governo tedesco in senso anti-europeo.
La preoccupazione che serpeggia delle capitali è dovuta invece al fatto che una vittoria tanto schiacciante della cancelliera non può che rafforzare ulteriormente l’egemonia di Berlino sul resto dell’Europa.
La Merkel ha dimostrato che i tedeschi condividono in larghissima maggioranza sia la filosofia sia il modo in cui il governo tedesco ha gestito la crisi dell’euro.
Una filosofia e un metodo che hanno creato non poche difficoltà ai partner della Germania e che hanno suscitato anche dissensi profondi in molti Paesi.
Da una parte qualcuno può nutrire la speranza che la cancelliera, allontanata la preoccupazione di farsi rieleggere alla testa della Germania, potrà dedicare il suo terzo mandato a perseguire l’interesse comune europeo piuttosto che l’interesse particolare del suo Paese.
Ma il consenso che la sua politica di severità e rigore ha riscosso presso gli elettori tedeschi legittima invece l’aspettativa che Berlino si rafforzi nella convinzione che le scelte fatte fino ad ora fossero quelle giuste.
E dunque che non si debba deviare dalla strada già imboccata.
Per questo motivo, dietro le dichiarazioni di soddisfazione per la vittoria della cancelliera, sono molte le capitali europee che sperano di vedere la Merkel costretta ad una grande coalizione con gli avversari socialdemocratici.
Il passaggio della Germania da un governo di centro-destra ad uno di centro- sinistra offre ai partner di Berlino maggiori margini di manovra.
I socialdemocratici si sono dimostrati finora più sensibili alle sofferenze patite dai Paesi che la Germania ha costretto ad una politica di sangue, sudore e lacrime.
E c’è la speranza che la Merkel, per ottenere il voto dell’Spd, sia obbligata ad ammorbidire in qualche modo la linea del rigore sia all’interno sia all’esterno della Germania.
Ma le aspettative non possono che essere limitate. Anche i socialdemocratici, se pure saranno chiamati al governo, devono comunque prendere atto che la linea dura della signora Merkel in Europa ha ottenuto una valanga di consensi.
E non potranno non tenerne conto.
Andrea Bonanni
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