Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
GIACOMAZZI SULLA SAN GIORGIO E’ RIMASTO ACCANTO AI SUOI PASSEGGERI… HA UNA PROFONDA FERITA ALLA TESTA
Il letto del comandante è intatto, si vede che gli incubi continuano e non riesce ancora a dormire bene.
Argilio Giacomazzi ha portato nella sua cabina, su al piano ufficiali della nave anfibia San Giorgio, il sacco nero con i resti di ciò che aveva sul traghetto Norman Atlantic.
Il suo alloggio, si direbbe, è riconoscibile soprattutto dall’odore acre del fumo rimasto attaccato alla pelle.
Lui però adesso è vestito di blu, come un marinaio qualunque, e ha una grossa ferita alla nuca, retaggio dell’ultima drammatica notte passata sulla sua nave.
Sul letto ci sono anche due torce gialle, forse le avrà usate proprio per coordinare i soccorsi, prima di dire lunedì pomeriggio addio per sempre allo scafo della sua vita. Quello che ha abbandonato per ultimo, come dettano le regole della marineria.
E quando è salito a bordo della San Giorgio, e da comandante è diventato passeggero anche lui, Giacomazzi ha voluto incontrare i «suoi» naufraghi giù al ponte garage della nave anfibia, la grande nave dei soccorsi della nostra Marina Militare.
Tanto tempo passato insieme a loro, proprio per riparlare di quella notte, ricordare i momenti estremi, ma anche confortarsi e provare a ripartire, perchè «comunque il mare resta amico», ricorda lui ai passeggeri stremati da altre 48 ore supplementari di dondolìo con le onde forza 5.
«Come una specie di terapia di gruppo…», dice uno dei sopravvissuti provando a strappargli un sorriso. Il comandante annuisce.
Sul ponte garage della San Giorgio un grande cartello rosso ricorda a tutti che è «vietato fumare» e viene allora da pensare che forse un cartello così c’era anche nel garage della Norman Atlantic, prima che qualcosa andasse storto.
Ma forse è stato utile incontrarsi proprio in un altro garage, perchè così funziona, come dopo un incidente tremendo in Formula Uno: il pilota deve subito ripartire. Altrimenti la paura lo bloccherà per sempre.
La paura, però, qui sulla nave dei naufraghi che tornano a riva è una presenza buia e immanente e infatti si materializza nella sua enormità alle otto di sera, quando la San Giorgio finalmente attracca nel porto di Brindisi, a Costa Morena.
Ed è in quel momento esatto che i naufraghi cominciano a gridare, tutti insieme, come scossi da un mostro profondissimo, nascosto negli anfratti della coscienza.
La voglia di mettere i piedi per terra è così grande che ogni secondo che passa diventa insopportabile, e anzi aumenta la frustrazione di questi uomini e queste donne e questi bambini prigionieri del mare da quasi cento ore.
Hanno mangiato baccalà e carote rosse, questo ieri era il menu della San Giorgio e certo l’hanno gradito, dopo aver mangiato solo fumo per due giorni.
La nave San Giorgio è una città in mezzo al mare, un piccolo porto e anche un piccolo aeroporto perchè gli elicotteri vanno e vengono in continuazione, perchè comunque i soccorsi non sono ancora finiti e se possibile c’è ancora qualcosa da fare, magari un corpo da recuperare e restituire alle famiglie.
«Comandante Giacomazzi in plancia», si sente ogni tanto chiamare dall’altoparlante di bordo.
E il capitano della Norman Atlantic sale a confrontarsi con gli ufficiali della Marina Militare.
Ora lui è indagato, come l’armatore, per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e lesioni; ma i passeggeri non lo trattano affatto con disprezzo, anzi sembrano mostrare umana comprensione, si avvicinano a lui con rispetto.
Non c’è odio nei riguardi dell’anti-Schettino.
Appena la San Giorgio attracca a Brindisi, sale la polizia giudiziaria mandata dalla Procura per interrogarlo.
Prima di andare a casa e riabbracciare la sua famiglia deve raccontare agli inquirenti tutto quello che ricorda di quella notte e se ci può essere stato uno sbaglio da parte di qualcuno, o altro di peggio.
Lui e i 22 membri del suo equipaggio saranno portati a Bari per parlare con gli inquirenti
«Comunque è finita», dice nel momento di scendere, dopo che il marinaio armaiolo ha sparato la sagola in mare per assicurare la San Giorgio alla Costa Morena.
Forse stanotte riuscirà a dormire.
Fabrizio Caccia
(da “il Corriere della Sera“)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
L’AGENTE CHE ISPIRO’ IL FAMOSO FILM: “COLLEGHI SEMPRE PRONTI A SPARARE. E SE SEI NERO E’ PEGGIO”
Frank Serpico, il più famoso simbolo mondiale della lotta alla corruzione nelle forze di polizia, oggi è un vecchietto magro con degli occhiali da sole sportivi e se ne sta seduto in un diner di fronte fiume Hudson, nel nord dello stato di New York.
Fra gli anni ’60 e i ’70 Serpico era l’unico poliziotto a denunciare la corruzione sistematica della dipartimento di polizia di New York, e per tutta risposta veniva spostato di quartiere in quartiere: quando uno spacciatore gli sparò al volto in un casermone di Williamsburg, Brooklyn, i colleghi non chiamarono i soccorsi.
Non pronunciarono il codice di uomo a terra, quello che invece è risuonato nelle radio della polizia lo scorso 19 dicembre quando Ishmael Brinsley ha fatto fuoco, sempre a Brooklyn, su due poliziotti per vendicare i recenti omicidi di afroamericani da parte delle forze dell’ordine.
La solidarietà di corpo, quella che i poliziotti di New York hanno espresso più volte voltando le spalle al sindaco di Bill De Blasio, colpevole di aver criticato la decisione del Grand jury di non incriminare il poliziotto che ha strangolato Eric Garner, per Serpico non ha mai funzionato.
Nemmeno dopo lo scoppio dello scandalo Serpico ha mai ricevuto un’onorificenza. La gloria, Frank l’ha avuta soprattutto grazie al film di Sidney Lumet sulla storia, dove è interpretato da Al Pacino, ma in cambio ha da quarant’anni un frammento di pallottola nel cranio.
«Vedi quanto è bella la natura qui?» dice indicando gli aceri «puoi stare con la mente tranquilla, lucida, che è l’unico modo per riconoscere le menzogne».
Questi luoghi Serpico li ha scoperti perchè i suoi colleghi poliziotti investivano qui, in proprietà immobiliari, i soldi della corruzione.
«Come facevano a riciclare? chiedo «Quale riciclare, compravano e basta, erano poliziotti, nessuno controllava».
Serpico è ancora sulla scena pubblica soprattutto come punto di riferimento nella lotta alla corruzione e alle brutalità della polizia: a intervalli regolari scrive articoli, rilascia lunghe interviste ai giornalisti e s’impegna anche in prima persona nei casi legali, come consulente.
Negli anni ’90 ad esempio ha aiutato Joe Tromboli, un poliziotto degli affari interni del suo vecchio dipartimento a mettere in moto la commissione Mullen.
«Per lui ho anche scritto una lettera a Clinton, ‘ o pezz e novanta , ma mi ha risposto che non poteva farci niente. Non ho rispetto per questa gente, o pesce puzz ra capa .
Sul presente della polizia americana Frank ha pochi dubbi: è ancora corrotta, seppur non più in modo sistematico.
In compenso è aumentato, e parecchio, il livello di brutalit�
«Sono violenti e impreparati. Sparano per un nonnulla, tanto sanno che saranno sempre assolti. Io ho informazioni di prima mano sulla polizia americana ma chiunque può vedere le decine di video su Internet. Il sistema peggiora”.
Racconta di Michael Bell, un ragazzo ventunenne del Wisconsin, biondo, occhi azzurri, ucciso durante un controllo di polizia con un colpo in testa mentre era ammanettato, di fronte alla madre.
Il giorno dopo doveva testimoniare su un incidente che coinvolgeva il poliziotto che gli ha sparato. Dopo aver provato a contattare il governatore, il procuratore di stato, tutti i maggiori media nazionali e pure Oprah Winfrey, il padre del ragazzo ha chiesto aiuto a Serpico.
Grazie ai suoi consigli e sei anni di battaglie è riuscito ad ottenere un risarcimento di 1,75 milioni di dollari.
«Anche perchè il ragazzo era bianco» annota Frank, poi aggiunge «Il padre, veterano, è sopravvissuto a tre guerre, il figlio non è sopravvissuto all’America.
Bell ha usato quei soldi per promuovere una legge che prescrivesse indagini esterne per i casi di cittadini morti durante la custodia delle forze di polizia.
«Altrimenti si assolvono da soli. Come sei? Non colpevole. Avanti un altro. Come sei? Non colpevole».
Dopo lunghi anni di battaglie la sua proposta è diventata da poco legge di Stato. «È un grande risultato, anche perchè ha ottenuto l’appoggio di molti sindacati di polizia. Una cosa incredibile».
Un altro episodio di brutalità che sta molto a cuore a Frank è quello di Eric Garner, l’afroamericano strangolato a morte in agosto, in pieno giorno, da un poliziotto, nonostante avesse provato a dire per ben tre volte che non riusciva a respirare.
Il video, eloquente più di mille parole, è finito in mondovisione grazie a YouTube. «Se sei nero è sempre peggio in America. Prendi il film con la mia storia, il rapinatore che inseguo prima di finire in un conflitto a fuoco con dei colleghi è nero, nella realtà era bianco. Come la polizia anche Hollywood è razzista».
Il problema per Serpico è che gli Stati Uniti sono un Paese consacrato alla violenza. «La più grande industria è quella della guerra qui. Siamo un popolo spiritualmente in bancarotta».
Aveva votato per Obama, ma ne è rimasto a dir poco deluso «Per non parlare – aggiunge – della lotta a coloro che rivelano informazioni riservate. Per aver raccontato la verità sono dovuti andare a nascondersi dalla democrazia. Bella democrazia. Snowden, Manning, Assange, sono degli eroi».
Sul futuro dell’umanità Serpico non è ottimista.
«Al giorno d’oggi le persone credono di essere intelligenti se hanno una laurea o fanno soldi, ma la vera saggezza è quella del contadino. La vita è semplice. Non può esserci piacere se non c’è anche sofferenza ma le persone oggi non lo capiscono: la speranza è diventata una cosa personale. Ognuno di noi deve cercare la propria via per l’onestà » conclude, poi saluta e si dirige a suonare il suo flauto giapponese in riva all’Hudson, che, quassù, è ancora cristallino.
L’autore, che usa lo pseudonimo di Quit, è giornalista, blogger e scrittore. Nel 2-013 ha vinto il Mia award per il miglior articolo del web. Il suo sito è www.quitthedoner.com
(da “la Repubblica”)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
LA SCOMPARSA DEL GIORNALISMO
La notte di Capodanno non guasterebbe un minuto di raccoglimento per la scomparsa del giornalismo.
Una categoria che, pur generalmente malfamata, nel secolo scorso vide l’Italia primeggiare nel mondo con fuoriclasse come Montanelli, Bocca, Biagi, Rinaldi.
E oggi si può dichiarare, salvo sparute eccezioni, ufficialmente estinta.
Costretti (spesso da se stessi) a scodinzolare appresso a Re Giorgio e alla Regina Clio mentre fanno gli scatoloni per lo Storico Trasloco (più o meno come nel 2013: il Quirinale costa il triplo di Buckingham Palace, ma i bagagli se li fanno loro da soli). Ridotti ad applaudire per la seconda volta una conferenza stampa di Sua Eccellenza Renzi che li aveva appena sbeffeggiati, anzichè alzarsi e lasciarlo lì a parlare da solo di Fonzie, Al Pacino e Newsroom.
Intenti a magnificare l’eroica impresa del comandante Argilio Giacomazzi, meritevole di encomio solenne per aver fatto il minimo sindacale del suo dovere sulla nave Norman in fiamme, non scappando come uno Schettino qualunque.
Impegnati a camuffare da reportage sul Natale le più invereconde marchette agli sponsor pubblicitari, i giornalisti italiani fanno di tutto per giustificare la pessima fama di cui godono.
Tant’è che tra le figure più credibili per gli italiani la nostra sfugge ai radar, ben al di sotto dei politici (accreditati di un ragguardevole 3%).
Intanto l’Ordine dei giornalisti, indaffaratissimo a processare Barbara D’Urso perchè si permette di fare domande (si fa per dire) ai politici senza essere iscritta all’Albo, non trova nulla da ridire sullo spettacolo avvilente di un premier che risolve la crisi di Europa (uno dei due giornali del suo partito) trasferendone la sede a Palazzo Chigi e sostituendo la redazione col suo ufficio stampa (pagato da noi).
Forse perchè Renzi ne ha fin troppi di giornali di partito: quelli di Forza Italia.
Ormai la stampa berlusconiana è una e trina.
Il Foglio di Giuliano La Prostata non ha più dubbi e lecca sempre e solo Renzi (“le tempie appena segnate ai primi capelli bianchi… esalta l’aspetto di luce… tono sordo di sfida al dio invisibile dell’austerità economica che abita l’Olimpo della Banca centrale tedesca… uno schiocco di parole… ottimista spumeggiare di certezze… sintomatica percussione… rappresentazione di metalinguaggio e mimica facciale… e lui non ci casca”: copyright Salvatore Merlo).
Libero lecca l’altro Matteo, Salvini, senz’abbandonare il vecchio Silvio.
Al Giornale invece si consuma il dramma di Sallusti. Già molto provato dal rientro a casa della Daniela dopo anni di tournèe nei talk show, Zio Tibia se l’era cavata leccando sia Renzi sia Silvio.
“Renzi ha le palle”, titolò qualche mese fa: e non alludeva a quelle che racconta, ma al coraggio dimostrato col Patto del Nazareno (e in effetti per accordarsi con B. ci vuole un bel coraggio).
Ora che però il padrone sta per tornare a piede libero e, almeno a parole, dà segni di insofferenza verso il governo, lo Zio Tibia non sa più chi leccare.
Nel dubbio, ha sdoppiato il Giornale. La parte sinistra della prima pagina è tutta lingua: “Il premier asfalta i nemici del Nazareno”.
La parte destra invece tutta frusta: “Il governo non sa contare i morti”,“Tesseramento truffa: abbiamo iscritto il Duce al Pd (firmato Renzi)”, “Catasto, prima stangata dell’anno”. Idem nelle pagine interne, anzi alterne: una leccata nelle pari e una scudisciata nelle dispari.
Due Giornali al prezzo di uno (per onestà con i lettori bisognerebbe cambiar testata). Il tragicomico caso di sdoppiamento,che costringe Sallusti & C. a intingere la penna ora nella saliva ora nel curaro, è dovuto a una malaugurata penuria di ordini precisi. Bei tempi quelli di Prodi e di B.: si sapeva subito chi menare e chi accarezzare.
Ora il padrone tentenna, cambia idea ogni due per tre.
Ha persino tolto il veto su Prodi al Quirinale (tanto a fotterlo ci pensa il Pd).
Mettetevi nei panni di Tibia, che stava già caricando a pallettoni Paolo Guzzanti per una nuova serie a puntate del caso Mitrokhin.
Ma si può vivere così? Una prece.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
IL METODO DI CALCOLO UFFICIALE DA’ UN RISULTATO FALSATO PERCHE’ SPALMA IL PRELIEVO ANCHE SUI REDDITI CHE NON HANNO PAGATO IMPOSTE
La pressione fiscale reale “supera abbondantemente il 50%”.
E’ quanto emerge da una ricerca della Fondazione dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Rimini, secondo la quale il metodo utilizzato per calcolare il peso delle tasse sui redditi dei contribuenti è basato su presupposti sbagliati .
Di conseguenza “l’impatto reale non è quello dai più stimato. Tanto che si deve parlare di un’autentica ‘bugia’”.
La pressione fiscale viene infatti ricavata come rapporto tra prelievi coattivi e Pil.
Ma, notano i commercialisti, “l’esigenza di stimare una misura di Pil confrontabile con quello degli altri paesi ha portato ad includere” nella misura del prodotto interno lordo “anche l’economia sommersa“.
Di conseguenza “il valore di pressione fiscale ufficiale che ne risulta spalma il prelievo tributario anche sui redditi che, in realtà , poichè occultati al fisco, non hanno pagato imposte, sottostimando conseguentemente il sacrificio sopportato dalla parte di Pil effettivamente incisa dal prelievo fiscale”.
Risultato: “Mentre nella classifica della ‘pressione fiscale ufficiale’ l’Italia, con il 43,8%, è al quinto posto in Europa, dopo l’Austria, in quella della ‘pressione fiscale effettiva’ è assolutamente prima con il 52,2%, distanziando di oltre 2 punti percentuali la seconda, rappresentata dalla Danimarca”.
Si tratta di 8,4 punti percentuali in più rispetto al dato ufficiale.
“A questa quota percentuale — precisa la ricerca — si arriva inventariando tutte le imposte e le tasse attualmente previste dal nostro ordinamento, quantificando il livello di pressione fiscale attualmente esistente sulle persone fisiche e determinando la ripartizione del peso fiscale per ente impositore (Comuni, Province, Regioni, Stato)”.
L’attenzione della Fondazione “si è concentrata sui redditi da lavoro dipendente, sui quali il livello di pressione raggiunge livelli impressionanti, condizionandone pesantemente il livello dei consumi”.
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
PER I MAGISTRATI SONO TANTE LE COSE CHE NON QUADRANO
Primo punto: troppi passeggeri sulla nave. 478 dicono i documenti ufficiali «ma ce n’erano altri 18 in overbooking» oltre ai clandestini.
Secondo punto: i clandestini, appunto. Dal racconto dei testimoni erano una dozzina almeno ma soltanto tre sono arrivati vivi in Italia.
Terzo punto: il carico. Troppi camion, troppo pesanti, probabilmente mal disposti e soprattutto con troppe cisterne.
Quarto: le «operazioni di evacuazione della nave», si legge nel decreto di sequestro, effettuate non «secondo i protocolli », almeno a sentire il racconto dei testimoni. Quinto: «l’effettiva dotazione di sicurezza di bordo e la conformità alle norme» con alcune scialuppe che non sono state calate e che non erano abbastanza per tutti i passeggeri.
Sesto e ultimo: lo “scippo”, o meglio il tentato scippo, del relitto da parte dell’armatore.
Eccoli, ricostruendo gli atti che il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe e il sostituto Ettore Cardinali stanno mettendo insieme in queste ore, tutti i lembi del grande buco nero che ha inghiottito la Norman Atlantic e i suoi passeggeri.
LA ANEK LINES SOTTO ACCUSA
A bordo c’erano più passeggeri di quanti erano consentiti. Diciotto in eccesso, senza contare i clandestini. Di questo dovrà risponderne la Anek Lines, la compagnia di navigazione che aveva a disposizione la Norman.
«Una pratica, quella dell’ overbooking – spiegano fonti della Capitaneria di porto – purtroppo comune in certi periodi dell’anno in alcuni porti ma assolutamente illegale. Non è un particolare: così com’era, la nave non sarebbe potuta partire». Ora gli investigatori aspettano anche di capire dalla documentazione di bordo se fosse stato superato il numero massimo di persone che la nave poteva ospitare, e cioè se accanto al problema amministrativo ci sia anche uno di sicurezza. Certo al di là dei passeggeri, il carico che trasportavano era pesantissimo, probabilmente disposto male e sicuramente con troppe cisterne di olio che immediatamente hanno preso fuoco e facilitato il diffondersi delle fiamme
I PROFUGHI NASCOSTI
Oltre ai 496 passeggeri a bordo viaggiavano molti clandestini, saliti a Patrasso e nascosti sotto le ruote dei camion degli autotrasportatori.
Erano nei tre piani (0, — 1 e — 2) che componevano il garage della nave.
«Quando abbiamo visto il fumo – hanno raccontato i tre arrivati a Bari agli uomini della Polizia di frontiera che sta svolgendo un grande lavoro in questi giorni – siamo usciti dai nostri nascondigli e con noi c’erano almeno altre 8-9 persone. Un marinaio ha aperto la porta e noi siamo scappati. Ci siamo buttati in mare e abbiamo trovato una zattera. Così ci siamo salvati». I clandestini a bordo, dunque, erano sicuramente più di dieci.
L’ALLARME INCENDIO
«Il sequestro della nave è necessario per accertare l’esatta dinamica dell’incendio e le operazioni di evacuazione della nave». Quel che fino a ieri era il racconto dei passeggeri diventa oggi un sospetto ufficiale della Procura che nel contestare i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo al comandante, Argillo Giacomazzi, e all’armatore Carlo Visentini, hanno spiegato alle autorità ilperchè fosse necessario sequestrare la nave.
«Ha sentito la sirena?», «chi vi ha avvertiti?», «i membri dell’equipaggio vi hanno aiutati nelle operazioni di salvataggio », hanno chiesto gli investigatori a tutti i passeggeri secondo un modello pre-organizzato dalla Capitaneria di porto.
In mare non ci dovrebbe essere nulla di improvvisato. All’allarme incendio dovrebbe corrispondere una rigidissima procedura di sicurezza della nave, prevista da un manuale di bordo che comprende tutte le specifiche attività da espletare in casi di questo tipo, così come previsto dal Safety Management Code.
Le prime risposte che ha la procura non sono rassicuranti: praticamente tutti i passeggeri hanno risposto che non si è sentito allarme nessuno ha indicato loro i percorsi da prendere per raggiungere le posizioni di sicurezza o comunque le scialuppe di salvataggio, anche i salvagenti si riuscivano a recuperare con molta fatica.
Tutte dichiarazioni che ora dovranno essere riscontrate con il racconto che nella notte hanno offerto gli uomini dell’equipaggio e il comandante – difeso dagli avvocati Vito Melpignano e Alfredo Lonoce – interrogati dalla procura e dagli uomini dell’ammiraglio Giovanni de Tullio.
LA STRUMENTAZIONE DI BORDO
Il sequestro della nave è stato necessario, scrivono gli investigatori nel decreto, anche per verificare la «effettiva dotazione di bordo e la conformità alle normative».
Non solo: ieri gli uomini hanno bussato alla sede della compagnia per sequestrare documenti. Il problema nasce dalle dichiarazioni dei superstiti ma anche dal racconto dei soccorritori.
I posti sulle scialuppe non erano abbastanza anche perchè non tutte le scialuppe sono state calate in mare. La prima lancia è scesa vuota per un quinto mentre almeno un’altra non è stata nemmeno calata quando invece, anche in caso di blackout, dovrebbe poter essere sganciata manualmente.
Proprio sulle scialuppe c’è poi un particolare che non fa stare sereni gli inquirenti. Molti passeggeri hanno raccontato di aver visto tanta gente cadere in mare mentre cercava di salire.
«Sono sospese in aria, bisognava attaccarsi e darsi una spinta per salire. Due persone dell’equipaggio ci aiutavano a salire a bordo ma il vento era molto forte, non si vedeva nulla, i mezzi si muovevano molto e in tanti sono caduti».
Sulla mancanza delle misure di sicurezza hanno presentato denuncia il legal team di “Giustizia per la Concordia” che denunciano tra le altre cose il Rina, il registro ministeriale, per non aver fermato la nave dopo l’ispezione del Paris Mou.
LO “SCIPPO”
L’ultima parte dell’indagine riguarda quanto accaduto l’altra notte attorno al relitto. Il procuratore ha raccontato che nelle acque albanesi sono arrivati alcuni rimorchiatori, «probabilmente mandati dalla società armatrice» che volevano prendere la Norman. «Avrebbero compiuto il reato perchè solo i rimorchiatori della ditta da noi incaricata potevano prendere la nave».
Tra l’altro l’incidente con le due vittime albanesi è capitato proprio a uno dei rimorchiatori privati.
Ma gli armatori, tramite il loro legale, Gaetano Castellaneta, hanno atto sapere di offrire la massima collaborazione agli investigatori.
«A bordo di quella nave, per primi, dobbiamo salire noi» ha ribadito il procuratore Volpe. «Soltanto così si potrà sapere la verità ».
Giuliano Foschini
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
“TANTI COLLEGHI DORMIVANO NEL GARAGE SUI LORO MEZZI: NON SO QUANTI SIANO RIUSCITI A SALVARSI”
Se ne sta su un sofà bordeaux all’ingresso dell’hotel Nettuno, dove hanno trovato accoglienza i naufraghi trasportati in elicottero verso la Puglia nelle prime fasi dei soccorsi al Norman Atlantic. Ha un giubbotto beige, un pile verde e un paio di scarpe da ginnastica.
Le mani ancora sporche stringono il piccolo cellulare mentre scrive alla famiglia.
Si chiama Marios Orfeas Moravicki, ha 41 anni ed è un autotrasportatore greco. Ce lo indica Urania, un’altra sopravvissuta al rogo del traghetto incendiatosi domenica 28 al largo di Corfù con circa 500 persone a bordo: “Lui ha partecipato ai soccorsi”.
Gli occhi velati di stanchezza e i capelli spettinati camuffano un ordine interiore che gli permette di ricordare ogni momento di ciò che ha vissuto a bordo e del tentativo di salvataggio al quale ha partecipato assieme a un collega e a due passeggeri.
“Con un altro camionista, Iannis, e una coppia di turisti siamo scesi dal ponte del capitano verso la prua per provare ad agganciare il traghetto al rimorchiatore”, dice a ilfattoquotidiano.it.
Inizia così il suo racconto, dopo una premessa: “C’erano tanti colleghi che dormivano nel garage, mi hanno detto che avrebbero riposato nei loro mezzi. Non so in quanti siano riusciti a salvarsi”.
Non perde la calma, non versa una lacrima nè accenna mai un sorriso. “Sono salito a Igoumenitsa durante la notte, ho dormito in cabina con altri tre. Sbarcato ad Ancona, avrei dovuto proseguire verso la Francia”.
Non ci è mai arrivato, poco dopo è scoppiato l’inferno. Ore in balia del mare, poi i primi soccorsi.
Dopo aver sedato l’incendio, grazie ai rimorchiatori della famiglia Barretta e ai vigili del fuoco di Brindisi, sono partiti i tentativi d’agganciare la Norman.
“Il nostromo era greco e sapeva che Iannis aveva qualche conoscenza di navigazione. Ha chiesto a lui di scendere, io mi sono offerto per dargli una mano. Altri due passeggeri sono venuti con noi. Non so perchè non c’era qualcuno dell’equipaggio”.
Sono attimi concitati, c’è una sola cosa che Marios non ricorda, gli orari. “So che era buio, usavo il cellulare come torcia. La nave era inclinata e ho pensato che il rimorchiatore ci avrebbe aiutato a rimetterci in equilibrio. E poi ho pensato che avrebbe potuto trainarci verso costa. Vedevamo quella albanese. Ci hanno detto che eravamo a circa 15 miglia”.
Quando arrivano a prua, secondo il racconto di Marios, i quattro passeggeri vengono aiutati dall’equipaggio solo via radio: “Ci dicevano quale cavo dovevamo lanciare e dove attaccarlo. Il primo capitano parlava in italiano con il rimorchiatore, poi in inglese al nostromo che via radio traduceva in greco a noi. Per prendere le decisioni ci mettevamo molto tempo”.
Non vanno a buon fine più tentativi. “Abbiamo gettato i cavi della nave verso il rimorchiatore. Ma ogni volta che riuscivamo ad agganciarlo si rompeva. È successo quattro volte con i cavi disponibili sulla Norman. Il migliore era quello del rimorchiatore. Grazie a quello siamo rimasti agganciati, credo, per due ore”.
È stato chiesto a qualcuno dell’equipaggio di venire dove vi trovavate voi? Marios risponde impassibile: “Iannis ha detto alla cabina che era impossibile tirare il cavo in quattro, oltretutto a mani nude. Era molto pesante. Lo abbiamo passato dalla prua al ponte”. Non è bastato. Quando sono arrivati gli elicotteri, Marios è salito a bordo.
Si trova in Puglia da due giorni, prima in provincia di Lecce poi a Brindisi. Nella serata di martedì gli viene comunicato che probabilmente riuscirà a rientrare in Grecia entro Capodanno. Potrà iniziare il 2015 a Nausa, con la sua famiglia.
La normalità che diventa fortuna. “Non ho bisogno di fortuna. Ne ho avuta tanta, sono qui e il prossimo anno lo vivrò”.
Antonio Massari e Andrea Tundo
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
TRA LA GRAVITAS DEL PRESENTE E LA FIDUCIA NEL FUTURO
Dal discorso alle alte cariche dello Stato, per gli auguri natalizi, è venuta fuori una data: il 13 gennaio, giorno in cui Matteo Renzi chiuderà la presidenza italiana dell’Ue davanti all’Europarlamento.
Dal secondo discorso, quello al corpo diplomatico, è venuto fuori l’aggettivo: “imminenti”, riferito alle dimissioni dal secondo mandato al Colle.
Stasera Giorgio Napolitano compirà il terzo atto del suo particolare addio al Quirinale, fatto a tappe più o meno annunciate.
Ore 20.30, in diretta tv, a reti unificate sulla Rai.
Il momento del congedo dal Colle, dopo nove anni di permanenza sullo scranno più alto delle istituzioni, sarà consumato così. Nessuna platea di rappresentanti istituzionali, nessun ambasciatore.
Solo, davanti ad una telecamera nel suo studio al Quirinale. Ammessi solo i più stretti consiglieri, quelli con i quali oggi Napolitano si è consultato sul suo ultimo discorso per gli italiani. Il messaggio è tutto per loro, per il paese che lo guarderà dall’altra parte dello schermo.
Nessuna data precisa sull’addio. Così trapela dal Quirinale.
Nella sua mezz’ora di intervento in diretta tv, Napolitano darà per scontate le sue dimissioni a breve. Cadranno all’incirca nella settimana che seguirà il discorso di Renzi a Strasburgo, a metà gennaio dunque.
Ma il capo dello Stato intende sviluppare il tema del suo congedo con un approccio del tutto nuovo, un metodo innovativo, dicono i suoi.
Una formula segreta di cui sono a conoscenza solo i più stretti collaboratori del presidente.
L’intento è lasciare il segno anche nell’ultima comunicazione diretta alla nazione. Anche perchè si annunciano polemiche e chissà se anche un po’ di concorrenza.
La sfida c’è tutta: in contemporanea al discorso del presidente, Beppe Grillo ha annunciato un suo “contro-discorso” sul blog del Movimento Cinque Stelle, mentre Matteo Salvini ha annunciato che Radio Padania trasmetterà il discorso che Sandro Pertini pronunciò dal Colle a fine anno 1983.
Napolitano punterà sulla fiducia nelle possibilità del paese di superare la crisi economica e sociale. Ma non c’è da aspettarsi un messaggio tutto di segno ottimistico, quella di domani non dovrebbe essere una riflessione tutta incentrata sulla certezza che ormai cambiamento e riforme sono avviati sui binari giusti.
Naturalmente, Napolitano non sconfesserà i primi due atti del suo congedo a tappe, non rinnegherà l’appoggio incondizionato che ha tributato al governo Renzi soprattutto nel discorso alle alte cariche dello Stato.
Ma quello di domani per l’ultimo dell’anno sarà un discorso “serio”, si sussurra al Colle, con luci e ombre, spie di ottimismo ma anche allerta sui segnali di sfiducia verso i partiti e verso le istituzioni tutte che arrivano dal paese.
La scenografia dovrebbe restare la stessa dell’anno scorso.
Sullo sfondo, il tricolore e la bandiera europea, una copia originale della Costituzione, l’arazzo di Lille che ha accompagnato quasi tutti i discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica (nel 2009 fu proprio Napolitano a fare un’eccezione scegliendo come sfondo la finestra che dà sui giardini del Quirinale). Tutto uguale, tutto cambiato. Tutto pronto per l’ultimo atto.
Gli ultimi ritocchi, le consuete prove davanti alla telecamera, le ultimissime revisioni del discorso. Per Napolitano il futuro è fatto di un ufficio da senatore a vita a Palazzo Giustiniani, per la precisione nello studio che fu di Scalfaro.
Per il Colle il futuro è fatto di incognite, almeno fino a fine mese quando in Parlamento inizierà la grande danza dell’elezione del successore con scenografia ancora tutta da inventare.
(da “Huffingtonpost“)
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Dicembre 31st, 2014 Riccardo Fucile
ALLARGATE LE MAGLIE: RISCHIERA’ IL CARCERE SOLO CHI EVADE OLTRE 150.000 (PRIMA 50.000)… E LE FATTURE FALSE SARANNO REATO SOLO SE SUPERIORI AI 1000 EURO
“Abbiamo fatto un decreto sull’abuso del diritto e nessuno ne parla”.
Così il premier Matteo Renzi, durante la conferenza stampa di fine anno, ha puntato il dito contro giornali e tv colpevoli di non dare sufficiente spazio ai contenuti del decreto legislativo in materia fiscale varato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre, insieme alle prime norme attuative del Jobs Act, all’ingresso dell’Ilva in amministrazione straordinaria e al Milleproroghe. Di quel testo, in realtà , si è già scritto molto prima della sua formalizzazione, quando si sono diffuse le prime indiscrezioni sui contenuti.
A far discutere è stata prima di tutto la decisione — confermata nel testo emanato dall’esecutivo e ora all’esame delle commissioni parlamentari — di fissare un tetto di 1.000 euro al di sotto del quale l’emissione di fatture false non è reato.
Come dire che quello che oggi è un illecito penale punito con la reclusione da 18 mesi a 6 anni diventa un semplice illecito amministrativo.
E il colpevole se la cava con una multa.
Lo stesso vale anche per chi si serve di quelle fatture o di altri “documenti per operazioni inesistenti” per truccare la dichiarazione dei redditi con l’obiettivo di evadere le imposte sui redditi o l’Iva.
Non solo: le nuove misure decise dal governo triplicano, da 50mila a 150mila euro, il limite oltre il quale l’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute certificate è punito con il carcere.
Un intervento che, stando a un’indagine de Il Sole 24 Ore, comporterà l’archiviazione di almeno il 30% dei processi per questi reati attualmente in corso nei tribunali italiani.
Le nuove disposizioni, in base al principio del favor rei, saranno infatti applicabili con effetto retroattivo.
Rendendo carta straccia i fascicoli sulle vecchie violazioni tra i 50 e i 150mila euro.
Di seguito, nel dettaglio, le altre principali novità introdotte dal decreto sull’abuso del diritto, che secondo Renzi punta a rendere le Entrate “consulente e non nemico” del contribuente e a “ridurre la pressione burocratica“.
La dichiarazione infedele non è reato se si evadono meno di 150mila euro
Oggi chi, per evadere le tasse, presenta al fisco una dichiarazione infedele, rischia la reclusione da uno a 3 anni se ha “scansato” imposte per oltre 50mila euro.
Il decreto del governo triplica la soglia, permettendogli di mantenere la fedina penale immacolata anche se ne ha evasi fino a 150mila.
Rispetto alle anticipazioni di novembre è cambiato, di poco, solo il livello a cui è stata fissata l’asticella: le bozze parlavano di 200mila euro.
L’altra novità consiste nel fatto che per essere denunciati alla Procura occorrerà sottrarre all’imposizione redditi per almeno 3 milioni di euro, contro gli attuali 2 milioni.
Soglia più alta anche per chi sfugge del tutto al fisco
Per chi non presenta proprio la dichiarazione dei redditi, rendendosi colpevole di omessa dichiarazione, vengono inasprite le sanzioni: se oggi la pena prevista è la reclusione da uno a 3 anni, le nuove misure la portano da un minimo di un anno e sei mesi a un massimo di 4 anni.
Ma, anche in questo caso, aumenta pure la soglia di punibilità : l’imposta evasa dovrà essere superiore a 50mila euro, una via di mezzo tra i 30mila fissati dal governo Berlusconi nel novembre 2011 e i 77mila vigenti fino ad allora.
Il tetto resta invece a 30mila euro per la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, cioè documenti falsi o altri “giochetti” con l’obiettivo di “ostacolare l’accertamento” e “indurre in errore l’amministrazione finanziaria”.
Ma ecco che anche qui le maglie si allargano: dovranno temere la reclusione solo quanti sottrarranno al fisco più di 1,5 milioni di euro. Oggi ne basta uno per rischiare il carcere.
Sale la pena per chi distrugge la contabilità …
L’unico articolo nel quale si intravede un effettivo inasprimento su tutta la linea è quello su “occultamento o distruzione di documenti contabili”, che saranno puniti con la prigione da un anno e sei mesi fino a sei anni, mentre attualmente la pena prevista va da sei mesi a cinque anni.
…ma il fisco dovrà fare in fretta, pena la decadenza
Infine, a dispetto degli appelli della direttrice delle Entrate Rossella Orlandi l’esecutivo non è tornato sui suoi passi riguardo ai tempi a disposizione dell’Agenzia per l’accertamento dell’evasione.
Oggi il fisco, in caso di violazioni con rilevanza penale, può contare su un raddoppio dei termini di decadenza, che sono in generale di 4 anni (5 in caso di omessa dichiarazione).
Il decreto licenziato il 24, invece, stabilisce che il raddoppio scatti solo se entro la scadenza ordinaria è stata presentata denuncia in Procura.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 30th, 2014 Riccardo Fucile
MA CON LA UE SI AVVIA LA TRATTATIVA
«Oggi è una giornata storica. Il futuro è iniziato e grazie al voto dei greci presto manderemo in archivio la parola austerità ».
Cinque anni fa Alexis Tsipras militava in un partito che raccattava a stento il 4,9% dei consensi.
Oggi la sinistra di Syriza è in testa a tutti i sondaggi con 3-6 punti di vantaggio su Nea Demokratia il centrodestra del premier Antonis Samaras.
E il 40enne che vuole rivoltare l’Europa come un calzino ha lanciato ieri sera in un bagno di folla al teatro Keramikos il programma elettorale e le parole d’ordine che potrebbero cambiare davvero la storia della Grecia e del Vecchio continente.
«L’Europa deve mettersi in testa una cosa. Quello che conta in democrazia è il voto. E il futuro del mio paese lo decideranno i miei concittadini e non i falchi dell’euro », ha esordito. Compito dei greci è scegliere «tra nuovi tagli e la Troika o la speranza».
Il 25 gennaio, visto da questa sala che trabocca di passione, è già diventato una sorta di catarsi.
«Oggi è l’inizio della fine di chi ha portato la Grecia nel baratro – assicura l’enfant prodige della sinistra europea ai militanti del partito – . Il bello è che il premier e i politici che hanno causato la crisi si presentano come i salvatori della patria dandoci lezioni di europeismo. Ridicolo, visto che arrivano da chi (leggi Samaras, ndr .) è passato in una notte da paladino del fronte anti-Troika a miglior amico di Ue, Bce e Fmi». Applausi
La strada, lo ammette anche Tsipras in camicia bianca quasi renziana, «non è facile». Prima c’è da vincere le elezioni («ribalteremo i pronostici, la gente non vuol buttare alle ortiche cinque anni di sacrifici», ha detto ieri il presidente del Consiglio).
Poi, soprattutto, c’è da cercare alleati per formare un governo e raggiungere in tempi brevissimi – entro fine febbraio – un’intesa con la Troika per sbloccare nuovi aiuti ed evitare il default.
«C’è una sola cosa non negoziabile – è il mantra del leader di Syriza – . Noi vogliamo uscire dal memorandum senza nuovi tagli lacrime e sangue».
Washington, Bruxelles e Francoforte devono mettersi il cuore in pace.
I due miliardi di austerity pretesi in cambio dell’ultima tranche da sette miliardi di prestito resteranno secondo i piani di Tsipras un sogno.
Anzi: «Syriza implementerà da subito il programma di Salonicco ». Tradotto: un ritocco all’insù delle pensioni più basse e dello stipendio minimo, elettricità gratis alle famiglie meno abbienti e nuovi investimenti pubblici. In soldoni, una sconfessione degli accordi già presi con la Troika che per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble «vanno rispettati ».
Il braccio di ferro si preannuncia durissimo.
Anche perchè Syriza chiederà alla Ue un taglio sostanzioso del debito greco, fumo negli occhi per i rigoristi del Nord.
Tsipras però ha teso loro ieri anche qualche piccolo ramoscello d’ulivo: «Teniamo alla stabilità del sistema bancario in Grecia e in Europa – ha spiegato–. Non usciremo dall’euro, non prenderemo decisioni unilaterali sul debito e non toccheremo i risparmi dei privati».
Lotta senza quartiere invece agli evasori. «E’ un assurdo che Samaras chieda il voto a un ceto medio che ha spinto nella povertà massacrandolo di tasse e di tagli agli stipendi mentre non ha torto un capello ai ricchi che non pagano le tasse».
Clima molto pre-elettorale. Aperitivo di una campagna che si preannuncia virulenta e polarizzata e dove «il concetto di Grexit, l’uscita di Atene dall’euro in caso di vittoria di Syriza, sarà utilizzato da Nea Demokratia come arma impropria di terrorismo mediatico».
Gli ambienti europei sono convinti che al momento di sedersi al tavolo delle trattative i toni saranno meno accesi.
E che Tsipras, imbrigliato anche dalla necessità di trovare alleati per varare un governo, abbasserà dopo il 25 gennaio l’asticella delle sue pretese.
Il leader carismatico della sinistra ellenica promette invece battaglia: «Il vento in Europa è cambiato. Podemos è in testa ai sondaggi in Spagna. Ho ricevuto messaggi di solidarietà da Italia, Francia, Bolivia e persino dalla Germania».
E nessuno, è la sua speranza, avrà il cuore di buttare la Grecia fuori dall’euro.
Il finale, nello stile dell’oratore, è pirotecnico.
«Samaras e Venizelos saranno buttati fuori dalle stanze del potere – ha concluso Tsipras – . Ma li diffido dal far sparire documenti ed e-mail firmati in questi anni. Specie quelli con la Troika. Li vogliamo vedere tutti uno a uno». Ovazione.
Dalla sala e dalle strade intorno al Keramikos, intasate di gente che non ha trovato posto nel teatro.
La campagna elettorale è iniziata.
(da “La Repubblica”)
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