Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“MI HANNO ACCUSATO PERSINO DEGLI SCONTRINI IN TINTORIA SENZA SAPERE CHE ERANO PER I TAPPETI ROSSI E GLI ABITI ANTICHI DEI MUSICI”… E DOMENICA 25 ALTRA MOBILITAZIONE DI PIAZZA IN SUO FAVORE
Nega ogni accusa, attacca le opposizioni e riflette sulle sue dimissioni che diventeranno effettive
solo il 2 novembre prossimo.
Dopo le quattro ore trascorse ieri in Procura per rendere dichiarazioni spontanee sul caso delle spese di rappresentanza e degli scontrini di cene istituzionali sospette – vicenda che lo ha costretto all’annuncio dell’addio al Campidoglio in seguito agli esposti di Fratelli d’Italia e M5s – il sindaco di Roma Ignazio Marino ha deciso di parlare oggi nella sala della Protomoteca.
E per questo ha rinunciato all’udienza del processo Ama che di fatto ha aperto la serie di dibattimenti scaturiti dall’inchiesta ‘Mafia Capital’e.
“Gli esposti presentati contro di me sono vergognosi, scritti da persone in malafede o ignoranti” ha subito attaccato Marino, riferendosi alle denunce dei due partiti di opposizione, e ribadendo di non essere indagato.
Ad esempio, ha spiegato, “gli scontrini riferiti alla tintoria non riguardano il lavaggio dei miei vestiti ma di quelli storici dei trombettieri di Vitorchiano che quando grandi autorità sono venuti durante i mesi della mia consiliatura in Campidoglio sono stati ricevuti con un tappeto rosso messo ai bordi della Maserati con cui viene accompagnato il capo dello Stato”.
“Non ho mai – ha poi dichiarato – usato denaro pubblico per miei fini personali, semmai il contrario: a volte ho speso il mio denaro personale per fini pubblici come a New York a inizio settembre quando, al termine di una vacanza negli Usa, decisi di pagare 7-800 euro di hotel di tasca mia nonostante fossi lì per un incontro col sindaco Bill De Blasio”.
“Mi sono dimesso da sindaco – ha spiegato – per un estremo rispetto dell’autorità giudiziaria, dinanzi alla quale volevo presentarmi da dimissionario, per spiegare i fatti relativi agli esposti che mi riguardano”.
Marino e il suo legale Enzo Musco hanno poi sostanzialmente ripetuto, seppure in sinesti e senza scendere nei dettagli, la linea difensiva esposta ieri al pm Roberto Felici e al procuratore aggiunto Francesco Caporale che indagano, ancora senza ipotesi di reato nè iscrizioni, sulle spese del Campidoglio fatte con la carta di credito comunale in dotazione al primo cittadino e sull’aumento del plafond da 10mila a 50mila euro.
Nella sua versione, il sidanco ha respinto ogni accusa. “Non ha mai chiesto quella carta nè l’aumento del massimale di spesa, non ha mai cenato con la moglie nei ristoranti indicati dai documenti contabili nè ha mai usato denaro pubblico per fini diversi da quelli istituzionali” ha raccontato il legale uscendo ieri dal palazzo di giustizia.
Di più: “Le firme sui giustificativi di spesa non sono le sue” ha detto.
In conferenza stampa oggi l’avvocato ha aggiunto: “Chi di voi ricorda con chi è stato a cena 15 mesi fa? Noi abbiamo dato una giustificazione per quanto possibile alle spese sostenute. Ci siamo difesi su tutti i fronti, soprattutto sulla questione degli scontrini, non accusando nessuno, ma descrivendo davanti al magistrato il modo di operare della burocrazia romana”.
“Coloro i quali registravano gli scontrini non commettevano nessun tipo di falsità , perchè non facevano altro che seguire una prassi che il Comune di Roma segue da tanto tempo, convalidata anche dal regolamento Anci, in merito alla restituzione dei rimborsi per l’attività svolta” ha spiegato ancora Musco.
Quanto al suo futuro, Marino ha aggiunto: “Come ho scritto nella lettera di dimissioni del 12 ottobre alla presidente dell’Assemblea capitolina Valeria Baglio e come prevede la legge, ho preso 20 giorni di tempo per riflettere”.
E a chi lo incalza su un possibile ripensamento, ribadisce: “Se ho scritto che volevo prendere tempo per valutare, significa che lo pensavo e lo penso ancora”. Il suo mandato scadrà ufficialmente il 2 novembre.
“Sto molto, molto, molto bene. Sono tranquillo come sempre” aveva detto Marino arrivando in Campidoglio ed entrando nel palazzo dall’ingresso principale, cosa che aveva evitato negli ultimi dieci giorni. Intanto i suoi supporter tornano a mobilitarsi. Per domenica 25 ottobre alle 12 in piazza del Campidoglio hanno indetto un nuovo appuntamento per chiedergli di ritirare le dimissioni.
“L’8 ottobre 2015 la democrazia e la città di Roma hanno subito una profonda ferita – si legge nella pagina Facebook “Marino ripensaci” – Il sindaco, eletto con il 64% dei voti dei romani è stato costretto a presentare le proprie dimissioni a seguito di una serie di manovre politiche. Forte del massiccio consenso popolare che sta ricevendo in queste ore ritorni sui suoi passi”.
Viola Giannoli
(da “La Repubblica“)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
IL 42,5% DEI PENSIONATI SOTTO I 1.000 EURO, IL 12% SOTTO 500 EURO
Nella manovra ci sono solo “interventi selettivi, parziali” sulle pensioni, mentre “serviva una riforma”.
Il presidente dell’Inps, Tito Boeri, critica gli interventi previdenziali contenuti nella Legge di Stabilità varata dal Governo, nel giorno in cui l’Istituto rende noto il bilancio sociale 2014 che mostra che quasi un pensionato su due in Italia prende meno di 1000 euro, quasi 1 su 8 addirittura meno di 500 euro.
Nella manovra “ci sono interventi selettivi, parziali che creano asimmetrie di trattamento”, ha affermato Tito Boeri. “Sarebbe stato importante fare l’ultima riforma delle pensioni. Aggiustamenti e piccole riforme ce ne sono già stati tanti”.
Secondo il numero uno dell’Inps “presumibilmente, in assenza di correttivi” gli interventi sulle pensioni contenuti nella legge di stabilità non saranno sufficienti e “daranno la spinta ad ulteriori misure parziali che sono, tra l’altro, molto costose”.
“Speriamo che il 2016 sia finalmente l’anno di un intervento decisivo, organico e strutturale sulle pensioni. Avremmo voluto che il 2015 fosse l’anno dell’ ultima riforma delle pensioni, purtroppo non sarà così”
IL BILANCIO 2014 DELL’INPS
Conti ancora in rosso per l’Inps nel 2014, seppur in lieve miglioramento. La gestione economico-patrimoniale ha presentato un risultato di esercizio negativo per 12,4 miliardi, in lieve miglioramento (+361 mln) rispetto al disavanzo dell’esercizio 2013. La situazione patrimoniale netta, pari a 9,028 milioni a inizio 2014, si attesta a fine esercizio a 18,407 miliardi “per effetto del risultato economico di esercizio negativo, del contributo per il ripianamento al disavanzo della gestione ex inpdap per 21,698 miliardi nonchè della costituzione della riserva patrimoniale per 166 milioni del fondo di solidarietà residuale”.
Il 42,5% dei pensionati italiani (6,5 milioni di persone), ha un reddito da pensione inferiore ai 1.000 euro.
Ci sono inoltre 1,88 milioni di pensionati (12,1%) con assegni inferiori ai 500 euro.
Nel 2014 il flusso di lavoratori in cassa integrazione è stato di 1,2 milioni con un calo del 21,3% sul 2013.
La spesa complessiva per ammortizzatori sociali nell’anno è stata pari a 22,6 miliardi con un calo del 4,2% sul 2013.
Compresi i contributi figurativi per la cig si sono spesi 6,1 miliardi (-8,8%); per le indennità di disoccupazione si sono spesi 13,1 miliardi (-3,6%, tre milioni di persone interessate); per la mobilità si sono spesi 3,4 miliardi (+2,7%).
I dipendenti pubblici a tempo indeterminato scendono sotto quota 3 milioni.
Nel 2014 i ‘travet’ erano 2.953.000 con un calo del 2,8% (circa 90.000 unità ) sul 2013. Rispetto al 2011 quando erano 3,23 milioni i dipendenti pubblici, grazie al blocco del turn over, sono diminuiti di quasi 300.000 unità .
L’Inps ha inserito per la prima volta nel 2014 tra i lavoratori dipendenti pubblici iscritti anche quelli a tempo determinato portando il totale complessivo a 3,22 milioni (2,95 milioni i dipendenti a tempo indeterminato, 270 mila circa quelli a tempo determinato).
Nel complesso il numero dei lavoratori iscritti all’Inps (privati e pubblici) è risultato pari nel 2014 a 22.067.086 unità con aumento di 142.821 lavoratori rispetto ai 21.924.265 del 2013.
L’aumento è dovuto solo all’inserimento nel totale dei dipendenti pubblici a tempo determinato
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
IN SENATO NON C’E’, AL TESORO LA STANNO SCRIVENDO: ALLORA COSA HA VOTATO IL CDM ?
In Senato scrutano l’orizzonte in attesa della Legge di Stabilità come nel romanzo di Buzzati
dalla Fortezza Bastiani sorvegliavano le mosse dei Tartari: aspettano, aspettano ma non arriva nessuno.
Giovedì o pure venerdì, la previsione che girava ieri nei palazzi romani per vedere finalmente scritta nero su bianco una manovra che il governo ha approvato giovedì scorso.
Questa circostanza apre (per l’ennesima volta) una serie di questioni che attengono alla legittimità dell’azione del governo e al suo rispetto delle forme che la garantiscono, oltre che — si parva licet — a quello delle regole più in generale.
La prima cosa da ricordare è anche la più ovvia.
La legge 196 del 2009 che regola le “leggi di contabilità e di finanza pubblica” all’articolo 7 prescrive una cosa molto semplice:il disegno di legge di Stabilità va presentato“alle Camere entro il 15 ottobre di ogni anno”, come pure il ddl Bilancio dello Stato.
Tradotto: quella manovra non va solo approvata in Consiglio dei ministri il 15 ottobre e poi consegnata al Parlamento quando il governo è più comodo come sta accadendo ora. Le leggi di Stabilità e Bilancio, peraltro, vanno approvate entro la fine dell’anno,pena l’esercizio provvisorio sui conti pubblici: consegnarle in ritardo vuol dire comprimere la possibilità per le Camere di esaminarle con attenzione, salvo poi lamentarsi dei ritardi e approvare tutto col voto di fiducia.
La seconda cosa da tenere a mente è meno immediatamente percepibile, ma non meno importante: cosa ha votato il Consiglio dei ministri il 15 ottobre?
Pier Carlo Padoan, sabato in un convegno, ha voluto “ringraziare pubblicamente ” — e “uno per uno” — tutti “i miei colleghi che senza alcun limite di tempo e di orario”, e a parità di “remunerazione”, “stanno lavorando affinchè questa legge sia finalmente definita e quindi trasmessa al Parlamento e al Quirinale”.
Il ministro dell’Economia in realtà voleva solo smentire problemi coi dirigenti della Ragioneria generale — irritati per un taglio del 20% al “Fondo dirigenti”e che venerdì non hanno accettato di fare straordinari — ma ha finito invece per testimoniare che la manovra viene in realtà scritta giorni dopo la sua approvazione.
E non si tratta di limature o raccordi di legge: a quanto risulta al Fatto e persino a quanto si desume dai documenti ufficiali, ci sono aspetti essenziali della legge di Stabilità che vengono definiti giorni dopo la sua approvazione.
La maggior parte dei ministri, peraltro, non sanno neanche di cosa si tratta e non hanno una visione complessiva del ddl: rivela una fonte qualificata che in Consiglio, giovedì, l’articolato da esaminare (quello preparato da Tesoro e Palazzo Chigi) è stato mostrato agli interessati solo all’ultimo minuto su alcuni tablet.
Ora i ministri hanno sicuramente votato, ma cosa?
Matteo Renzi, in conferenza stampa, ha spiegato con tanto di slide che al rinnovo dei contratti degli statali sarebbero andati 300 milioni di euro, mentre nel comunicato ufficiale di Palazzo Chigi uscito qualche ora dopo c’è scritto 200 milioni.
E ancora: sempre nel comunicato ufficiale si cifra la spending review per il 2016 a 5,8 miliardi di euro, mentre nel documento spedito a Bruxelles lo stesso giorno (Draft Budgetary Plan 2016) si parla di una revisione della spesa pari allo 0,5% del Pil, cioè 8 miliardi.
Quale cifra hanno approvato i ministri?
Un altro esempio: sempre Palazzo Chigi inserisce tra le misure approvate per il 2016 l’estensione della no tax area ai pensionati; il ministro Giuliano Poletti, però, venerdì 16 ottobre ha spiegato che la norma è rinviata al 2017.
Cosa hanno votato i ministri?
E infine: è vero che ora il Tesoro tenta di correggere un effetto non voluto dell’abolizione della Tasi che apre un buco da centinaia di milioni nei bilanci dei Comuni?
I ministri lo sanno e, nel caso, cosa avrebbero votato?
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
LA “STRANA” ALLEANZA: SIA IL PD CHE IL CAPOGRUPPO DI FORZA ITALIA BOCCIANO LA RICHIESTA DI UNA RELAZIONE SUI CONTI: “NON DIAMO SPIEGAZIONI”
Il Partito democratico vota contro la trasparenza di Palazzo Vecchio.
Dopo aver ricevuto tre bocciature alle tre richieste di accesso agli atti relativi alle spese di rappresentanza dell’ex sindaco Matteo Renzi, ieri l’opposizione ha presentato un emendamento per chiedere una relazione dell’organo di revisione del Comune (appena nominato dalla prefettura) che “esprima un parere contabile sulle spese di rappresentanza e l’uso del fondo economale del precedente sindaco”.
Per “rendere la massima trasparenza dell’amministrazione nella gestione e nella produzione dei documenti relativi alle spese sostenute da parte degli organi eletti”.
Su 27 presenti in aula l’emendamento ha ricevuto 19 voti contrari e 8 favorevoli.
I 18 consiglieri presenti in aula del Pd hanno detto no in blocco, compreso il presidente del Consiglio comunale Caterina Bitti e Giampiero Maria Gallo, consulente a Roma del governo.
A loro si è aggiunto il voto contrario del capogruppo di Forza Italia, Jacopo Cellai.
A favore hanno invece votato Sel (Tommaso Grassi, Donella Verdi e Giacomo Trombi), Movimento 5 Stelle (Arianna Xekalos e Silvia Noferi) Francesco Torselli dei Fratelli d’Italia e Miriam Amato del Gruppo Misto.
Il capogruppo del Pd Angelo Bassi, contattato telefonicamente, ha preferito non rispondere sul perchè abbiano espresso voto contrario in blocco alla richiesta di una maggior trasparenza in merito alle spese. Stessa linea seguita anche da Biti.
Mentre il sindaco Dario Nardella è in questi giorni a Londra a Londra per partecipare a City Lab 2015, un summit organizzato dall’Aspen Institute.
Da una parte c’è dunque l’attuale premier che alle richieste del Fatto e dell’opposizione non risponde direttamente, sostenendo però di aver pubblicato online tutte le sue spese: ma nessuno le trova tanto che la Corte dei conti ha aperto un fascicolo a seguito dell’inchiesta di questo giornale.
Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
“CE NE SONO TROPPI” L’INCREDIBILE AFFERMAZIONE DEL GABIBBO BIANCO… E QUALCUNO RICORDA L’APPOGGIO DEI PALAZZINARI ALLA SUA CANDIDATURA
Il più felice era il governatore Giovanni Toti, che ha rivendicato la nascita del Piano casa per la
Liguria alla stregua dell’epifania di una creatura diletta: “Ne sono particolarmente orgoglioso, il Piano rimette ordine nelle norme in materia di edilizia, eliminando fonti di confusione e di freno agli investimenti privati. La Liguria sarà all’avanguardia per la riqualificazione dell’esistente e per gli interventi legati a nuovi investimenti nell’edilizia”.
Le associazioni di categoria dei costruttori esultano e intravedono cantieri e ruspe in azione.
Tirano un sospiro di sollievo anche gli edili, 4mila di loro hanno perduto il lavoro negli anni della crisi, e l’altra settimana una delegazione era arrivata in Regione a sollecitare, alquanto bruscamente, la politica a darsi una mossa.
Tutto bene, allora? Mica tanto.
L’approvazione del Piano — è passato in giunta ed entro l’anno arriverà in consiglio — ha già sollevato aspre critiche.
Toti non sì è lasciato sfuggire l’occasione di ricordare a Burlando & Co i danni al territorio ligure prodotti durante il decennio di governo di chi oggi è passato all’opposizione.
Liguria cementificata, dunque. E’ prossimamente ancora cementificabile.
Il nuovo piano casa che avrà carattere permanente, perchè — è stato spiegato nella conferenza stampa di presentazione — cittadini e imprese devono sapere che le loro richieste non decadranno col tempo.
Il Piano — cui dovranno conformarsi gli strumenti urbanistici dei Comuni — è stato concepito all’insegna di un’ampia deregulation, decisa prendendo giustamente spunto dalla farraginosità delle normative precedenti e dall’inutile intreccio di disposizioni in mano alla burocrazia.
Lacci e lacciuoli che secondo Toti hanno scoraggiato gli interventi dei privati e gli investimenti delle imprese.
Con il pretesto di semplificare e disboscare, però, il Piano autorizza interventi edilizi radicali.
Il più pericoloso è l’ampliamento degli edifici esistenti da riqualificare ammesso in tutti i parchi liguri (sono dieci), sotto il controllo dell’Ente Parco.
Entrano dunque nella nuova normativa i Parchi di Portofino, Cinqueterre, Portovenere, Montemarcello Magra, ossia i territori più pregiati e delicati che ne erano esenti.
Toti esulta. “I parchi sono troppi, provvederemo in seguito a ridefinirne i confini e a variare le normative specifiche”.
E’ il grimaldello per aprire i parchi alle ruspe.
Perchè al casale ristrutturato e abitato servirà una strada carrozzabile, e i collegamenti con le utenze e magari sarà necessario costruire un parcheggio o persino una piattaforma per consentire l’atterraggio degli elicotteri.
Il presidio di controllo e verifica sfuggirà delle mani dei comuni, a volte effettivamente troppo rigidi ma comunque sempre all’erta su eventuali scempi, per riposare esclusivamente nei vertici degli Enti che saranno come sempre oggetto di mercimonio politico.
E’ quanto sta già accadendo per la presidenza dell’Ente parco di Portofino
Il governatore nega: “I parchi hanno bisogno di una nuova governance, di manager che sappiano mettere a profitto le bellezza naturali e attirare investimenti.”
Altri punti critici del Piano.
Via l’obbligo del 20% di edilizia popolare.
Sono aboliti i vincoli esistenti alla demolizione di edifici da riqualificare e ricostruire: Il Piano è applicabile anche agli edifici condonati, l’ampliamento degli edifici esistenti è aumentato da 170 metri cubi a 200 metri cubi in proporzione all’edificio esistente.
Qualche zona chiara c’è.
Ad esempio la percentuale degli edifici da ricostruire è stata elevata dal 35% al 50% per quelli che si trovano in aree esondabili o in zona franosa e che sono ricostruiti in zone sicure.
Nessun accenno, solo un generico impegno politico a valutarne la modifica, alla norma, introdotta da Burlando, che consente di costruire fino a cinque metri dall’alveo dei fiumi ma solo in zone non a rischio.
Il Movimento 5 Stelle non ha atteso la conferenza stampa per scendere sul piede di guerra. In una nota Marco De Ferrari, portavoce del Movimento, scrive che “il Piano Casa burlandiano, già definito a suo tempo da associazioni ambientaliste ‘il più devastante d’Italia’, viene rilanciato con maggiore forza e impatto, anche in zone di tutela come i parchi. Li aspettiamo in Commissione e Consiglio. Fermeremo la cementificazione. Ci vuole un PianoSuolo, non abbiamo bisogno di nuova cementificazione! C’è bisogno di un piano che inverta la rotta, avvii la decementificazione, la naturalizzazione, la ripermeabilizzazione del territorio!”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE DI TOTI IN REGIONE LIGURIA DICE CHE STA LAVORANDO PER FARGLI AVERE IL PRESTIGIOSO RICONOSCIMENTO… MA NON SA CHE LO HANNO RICEVUTO VENT’ANNI FA
Proseguendo la tradizione di famiglia per le frasi ad effetto (boomerang) l’assessore all0rubanistica Marco Scajola, nipote dell’ex ministro Claudio che coniò il celebre “a mai insaputa”, in un’intervista al Corriere della Sera è riuscito a superare il celebre parente.
Dimostrando di essere forse più a suo agio con le licenze edilizie che con i riconoscimenti paesistico ambientali è riuscito a pronunciare la frase: «Lavoriamo per dichiarare le Cinque Terre patrimonio dell’Unesco, altro che devastatori”.
Non sapeva l’assessore psicologo Scajola che le Cinque Terre sono già patrimonio dell’Unesco.
Insomma, dopo il suo presidente Toti che in campagna elettorale credeva che Novi Ligure fosse in Liguria, ora l’imperiese Scajola dimostra di non saperne un granchè di come stanno le cose nella riviera opposta.
Fin troppo facile la schiacciata offerta a Raffaella Paita, capogruppo del Pd in Regione: «Si vede che le hanno dichiarate patrimonio a sua insaputa.
Aldilà della figuraccia, la gaffe è sintomatica di come l’assessore che ha nelle sue mani il piano casa che si annuncia come quello a più alto tasso di cemento (e quello della giunta Burlando mica scherzava) interpreti il suo ruolo in una regione che, più volte ferita da lottizzazioni, varianti, operazioni immobiliari, avrebbe finalmente bisogno di una vera e propria cultura del territorio.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 20th, 2015 Riccardo Fucile
SI INDAGA SU IPOTESI DI TRUFFA, ABUSO D’UFFICIO E CORRUZIONE… ALL’ORIGINE UN ESPOSTO DEGLI AZIONISTI DELLA BANCA DI SPOLETO
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco è indagato, insieme ad altre sette persone,
dalla Procura di Spoleto in un’inchiesta per corruzione e truffa incentrata sul commissariamento della Banca Popolare di Spoleto (Bps) e la successiva vendita a Banca Desio, avvenuta lo scorso anno.
Lo rivela Il Fatto Quotidiano in edicola oggi, che ricostruisce tutta la vicenda.
Il commissariamento è stato poi annullato dal Consiglio di Stato.
L’inchiesta è partita in seguito a un esposto di soci dell’istituto di credito umbro che si sono visti azzerare il valore della loro partecipazione.
Nell’inchiesta coordinata dal pm Gennaro Iannarone sono indagati anche i commissari nominati da Bankitalia (Giovanni Boccolini, Gianluca Brancadoro e Nicola Stabile), i componenti del comitato di Sorveglianza (Silvano Corbella, Giovanni Domenichini e Giuliana Scognamiglio) e l’attuale presidente di Bps, Stefano Lado, che è vicepresidente di Banco Desio.
Il commissariamento di Bps e della cooperativa Spoleto Crediti e Servizi (21 mila soci), che controllava l’istituto al 51%, fu deciso da Bankitalia dopo un’ispezione avviata nel 2012.
Nel 2014 i commissari decisero di vendere Bps a Banco Desio. La quota di Spoleto Credito e Servizi scese al 10%, con grave danno economico per i soci della cooperativa.
Nello scorso mese di febbraio il Consiglio di Stato ha annullato sia il commissariamento di Bps, sia quello di Spoleto Crediti e Servizi, per cui sono stati promossi ricorsi da parte dei soci della coop per l’annullamento degli atti dei commissari, compresa la vendita dell’istituto di credito.
L’intera vicenda — ricostruita su Il Fatto Quotidiano in edicola oggi — attraverso alcuni esposti, è finita anche all’esame della Procura di Spoleto, che ha avviato approfondimenti sul commissariamento e sulla vendita di Bps, iscrivendo nel registro degli indagati tra gli altri, il nome del governatore di Bankitalia.
“Con riferimento alla notizia comparsa oggi sulla stampa relativa alle vicende della Banca Popolare di Spoleto, la Banca d’Italia non è a conoscenza di alcuna iniziativa dell’autorità giudiziaria”, riferiscono fonti di via Nazionale.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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