Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
LEGA 29,9%, PD 21,8%, M5S 21,5%, FDI 8,6%, FORZA ITALIA 6,5%, ITALIA VIVA 2,9%, +EUROPA 2,7%, LEU 2,7%, VERDI 2%… CENTRODESTRA 45%, M5S + AREA CENTROSINISTRA 53,6%
La Lega resta il primo partito ma sotto la soglia psicologica del 30 per cento. Per la seconda settimana consecutiva si ferma al 29,9. Ben lontana dal 34,3 delle Europee. Questa la fotografia scattata dal sondaggio di Ixè per la trasmissione di Rai3 Cartabianca. Italia Viva, la neonata creatura renziana, al debutto non sfonda. Arriva al 2,9 per cento.
Il Partito democratico – secondo partito – non sembra subire troppi contraccolpi, anzi sale dello 0,2 per cento: al 21,8 dal 21.6.
Lieve calo per i Cinquestelle che inseguono al terzo posto con il 21,5 per cento e una flessione dello 0,4.
Ma a chi sottrae voti il partito di Renzi, visto che i dem sono in crescita? “In realtà soprattutto al Pd (quasi il 2 per cento) – spiega Alex Buriani, direttore di ricerca di Ixè – ma il partito di Zingaretti recupera a sinistra e dall’astensione. Ci sono molti movimenti in questi giorni”.
Significativi gli smottamenti nell’area di centrodestra con Forza Italia che scende di quasi un punto, dal 7,4 al 6,5 per cento. Il partito di Berlusconi è ormai stabilmente superato da quello di Giorgia Meloni, reduce dalla kermesse di Atreju nel fine settimana. Fdi sale all’8,6 dall’8,3 per cento.
Tra le formazioni minori, marcia indietro per +Europa dal 4 al 2,7 per cento. In calo la Sinistra al 2,7 mentre Europa Verde sale al 2 (+0,4 per cento).
Per quanto riguarda i leader politici, risale di due punti la popolarità del premier Giuseppe Conte: dal 47 al 49. Stabilmente al primo posto. Al secondo posto Matteo Salvini (al 34), ora tallonato da Giorgia Meloni al 32.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
SE IL PREFETTO CONFERMASSE LA MISURA CI SAREBBE LA CONFISCA, IN VIOLAZIONE DELLA DECISIONE DEL GIP E DELLE NORME INTERNAZIONALI… A LORO VOLTA PREFETTO E VIMINALE SONO INDAGATI DALLA PROCURA
La Sea Watch 3 resta ancora ferma, sotto sequestro, a Licata.
Se da un lato alla ong è stata notificata la fine del sequestro probatorio disposto dalla Procura di Agrigento dopo l’ingresso in porto a Lampedusa della nave della ong tedesca lo scorso 29 giugno — quando era rimasta bloccata 17 giorni in mare dopo aver soccorso 53 naufraghi — la Capitana Madeleine Habib non può togliere ancora gli ormeggi che da tre mesi legano la Sea-Watch 3 alla banchina del porto di Licata.
Il 2 settembre, spiegano dalla ong, «ci è stato notificato il sequestro cautelare amministrativo della nave, insieme a una nuova sanzione amministrativa di 16.666 euro», che Carola Rackete, comandante della nave al momento dei fatti, e Sea-Watch sono obbligati a pagare in solido.
«Se confermata dal Prefetto, tale misura segnerebbe la definitiva confisca della nave».
Il ruolo del Decreto Sicurezza bis
La spiegazione del sequestro amministrativo viene fatta risalire dai legali della Sea Watch alle evoluzioni del Decreto Sicurezza bis. Nella prima versione del testo, infatti, la confisca era applicabile solo in caso di «reiterazione» della condotta.
Nel caso della Sea Watch 3, però, non ci sarebbe stata alcuna reiterazione, dicono i legali: alla nave vengono contestati due momenti, a due giorni di distanza, della medesima vicenda.
«Attraverso un’interpretazione distorta e politicamente rivolta al blocco della nave a ogni costo, si giustifica la “reiterazione” con l’ingresso, avvenuto il 26 giugno, e la sosta della Sea-Watch 3 nelle acque territoriali quando, il 28 giugno, nell’impossibilità di effettuare l’approdo in porto, osteggiato dalle autorità , gettava l’ancora in attesa di sviluppi e nella speranza di non essere costretta a entrare non assistita», si legge nella nota della organizzazione.
La stessa ordinanza del giudice di Agrigento di non convalida dell’arresto di Carola Rackete, ricordano ancora da Sea Watch, «aveva ritenuto inapplicabile il pacchetto sicurezza bis nella fattispecie».
«Il sequestro cautelare amministrativo è palesemente illegittimo alla luce dello stesso decreto sicurezza bis nella sua prima versione: un oltraggio all’intelligenza», commenta Alessandro Gamberini, legale difensore di Sea-Watch.
L’organizzazione comunica di avere intrapreso azioni giuridiche contro l’allora decreto-sicurezza bis, le multe e il sequestro.
«La legge sul pacchetto sicurezza calpesta il dovere di un comandante di portare in salvo naufraghi soccorsi in mare e colpisce la dignità di un Paese che oggi considera una nave che salva vite, adempiendo a un dovere di legge e a un obbligo morale, come una minaccia alla sicurezza e all’ordine pubblico», aggiunge Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch. «Chiediamo anche che si faccia luce sulla responsabilità di chi ha ordinato che quell’ingresso fosse impedito».
Ora il sequestro amministrativo, per la comandante Carola Rackete, «è una perdita di tempo ingiustificabile e un abuso volto a impedire gli sforzi per salvare vite. Se i governi non agiscono, come cittadini europei dobbiamo fare in modo che nessuno muoia in mare, almeno fino a quando non ci sarà un adeguato dispositivo di soccorso e alternative sicure e legali alla migrazione, non nelle mani dei trafficanti».
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
LE RIPETUTE PRESSIONI DEL PRESIDENTE USA APRONO ALLA RICHIESTA DI IMPEACHMENT
“Fammi un favore. Si parla molto del figlio di Biden, che Biden fermò l’indagine e molte persone vogliono sapere, così tutto quello che puoi fare con il procuratore generale sarà grandioso. Biden è andato in giro a dire che aveva bloccato l’indagine, quindi se puoi darci un’occhiata. A me sembra orribile”.
Sono alcune delle frasi tratte dalla telefonata – di cui è stata diffusa la trascrizione declassificata e senza omissis – tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodimir Zelenskij.
La trascrizione della telefonata del il 25 luglio del 2019 conferma che durante la telefonata Trump chiese al presidente ucraino di contattare il ministro della Giustizia Usa William Barr per discutere la possibile apertura di un’indagine per corruzione su Joe Biden e suo figlio. Zelenskij avrebbe dovuto collaborare con il suo avvocato personale, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, e con il segretario alla giustizia, William Barr, per “guardare” (ossia indagare) sui Biden.
“Bene – afferma il presidente Trump – perchè ho sentito che un procuratore molto bravo era stato allontanato e questo è davvero ingiusto. Giuliani è un uomo altamente rispettato, è stato il sindaco di New York, un grande sindaco, e vorrei che ti chiamasse. Ti chiedo di parlarci assieme al procuratore generale. Rudy (Giuliani, ndr) è molto informato su ciò che è successo ed è un ragazzo in gamba. Se potessi parlarci sarebbe grandioso. L’ex ambasciatrice degli Stati Uniti era sgradevole, e così la gente con cui aveva a che fare in Ucraina, volevo che lo sapessi”.
“Volevo parlarti del procuratore”, risponde Zelenskij. Primo di tutto capisco e sono a conoscenza della situazione. Dopo che abbiamo conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento, il prossimo procuratore generale sarà al cento per cento una persona mia, un mio candidato, che sarà votato dal Parlamento e comincerà a lavorare da settembre. Lui o lei si occuperanno della situazione, specialmente dell’azienda a cui hai fatto cenno… A proposito, ti chiedo se hai altre informazioni da fornirci, sarebbe molto utile per l’indagine. Sull’ambasciatrice concordo al cento per cento. Ammirava il mio predecessore, non avrebbe accettato me come nuovo presidente”.
Trump: “Ti faccio chiamare da Giuliani e farò in modo che lo faccia anche il procuratore generale Barr e andremo a fondo sulla vicenda. Ho sentito che il procuratore era stato trattato molto male. Dunque, buona fortuna per tutto. Prevedo che la tua economia migliorerà sempre di più. È un grande Paese. Ho molti amici ucraini, persone incredibili”.
Gli aiuti
Ora i membri del Congresso americano indagano per appurare se Trump nella telefonata abbia offerto in cambio il ripristino degli aiuti congelati alcuni giorni prima il colloquio. Lo riportano alcuni media Usa.
Nella trascrizione prima di chiedere a Kiev di accendere un faro sul figlio di Joe Biden (che era membro del board della società energetica ucraina Burisma group il cui proprietario era stato indagato dalla procura locale), Trump ricorda: “Direi che facciamo molto per l’Ucraina”, più di quanto faccia l’Europa. Zelenskij risponde dicendo che Trump ha “assolutamente ragione” e che i paesi europei “non stanno facendo abbastanza per l’Ucraina”.
A maggio il procuratore generale dell’Ucraina aveva detto che non c’erano prove di azioni illecite da parte di Hunter Biden, il figlio del candidato democratico alle presidenziali del 2020.
Pelosi: “Trump risponderà delle sue azioni”
Donald Trump non è “al di sopra della legge” e risponderà del suo comportamento, ha detto la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, dopo la diffusione della trascrizione.
“Il fatto è che il presidente degli Stati Uniti, violando le sue responsabilità costituzionali, ha chiesto a un governo straniero di aiutarlo nella sua campagna politica, a spese della nostra sicurezza nazionale, minando anche l’integrità delle nostre elezioni”, ha detto Pelosi secondo quanto riporta la Cnn. “Questo non è accettabile. Ne risponderà davanti alla legge. nessuno è al di sopra della legge”, ha aggiunto la speaker della Camera, che ieri ha annunciato l’avvio di un procedimento per l’impeachment.
Intanto sono 205 i deputati americani finora a favore dell’inchiesta per aprire l’impeachment contro Trump, secondo i calcoli del New York Times.
Il quotidiano scrive che oltre due terzi dei 235 deputati democratici hanno già dato il loro sostegno. La maggioranza richiesta è di 218.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
IN REALTA’ ERA CONTE A TRATTARE LA REDISTRIBUZIONE IN EUROPA… MA SE FOSSE VERO, VORREBBE DIRE CHE PER LA DICIOTTI SMENTISCE LA “DECISIONE UNANIME DEL GOVERNO” CHE LO HA SALVATO DALLA GALERA E CHE E’ COLPA SUA SE SOLO IL 3,7% DEI PROFUGHI E’ STATA RICOLLOCATO (SALITO ALL’8% CON IL NUOVO GOVERNO)
Matteo Salvini continua a raccontare che l’accordo europeo raggiunto a Malta per la ripartizione dei migranti è una fregatura perchè il 90% dei migranti non arrivano a bordo delle navi delle ONG ma con i barchini e i barconi degli scafisti.
Questo è vero oggi così come è vero quando lui era ministro dell’Interno, quando però la guerra la faceva solo alle navi umanitarie.
Ma Salvini, nella sua opera di riscrittura della realtà aggiunge anche un particolare inedito. Tutto quello che stato fatto suoi migranti è esclusivamente merito suo.
Oggi a Radio Radicale il leader della Lega ha detto «vorrei ricordare al presidente del Consiglio Giuseppe Conte che i capi di governo europei ero io a contattarli per risolvere le ridistribuzioni dei migranti e non lui, lui si rivendeva solamente i risultati».
In pratica secondo l’ex ministro dell’Interno lui lavorava dietro le quinte per la redistribuzione dei migranti mentre Conte semplicemente faceva il lavoro di pubbliche relazioni e si prendeva tutti i meriti. Ma è davvero così?
Prendiamo ad esempio il caso di Nave Aquarius. Erano i primi giorni di giugno del 2018, il governo gialloverde aveva giurato da poco più di una settimana e in mezzo al mare c’era una nave di una Ong con 629 persone a bordo che Salvini non voleva far sbarcare.
La soluzione arrivò quando la Spagna si offrì di farsi carico dei migranti dopo che il Governo aveva chiesto un generico “gesto solidarietà da parte dell’UE”. I migranti vennero appunto portati in Spagna con la scorta di due navi della nostra Guardia Costiera.
Salvini in quell’occasione dichiarò che «con altre navi come Aquarius, adotteremo lo stesso atteggiamento» e successivamente annunciò che «Entro fine mese avrò una missione spero risolutiva in Libia».
Manco a dirlo la missione libica non fu affatto risolutiva.
Venne poi il caso dei 450 migranti salvati da due navi di Frontex. Era il luglio del 2018 e fu Conte a scrivere ai capi di Stato e di governo una lettera per chiedere di contribuire alla ripartizione dei migranti. La “crisi” si concluse quando Francia e Malta annunciarono la volontà di accogliere rispettivamente 400 e 50 migranti.
Nell’occasione Salvini telefonò al premier per fare i «complimenti al presidente Conte per i risultati che sta ottenendo nella gestione dei 450 immigrati».
Quindi è da escludere che in quel caso l’accordo sia stato promosso da Salvini.
A fine giugno fu la volta di Lifeline (la nave per cui Toninelli chiese l’indagine di bandiera), alla fine i migranti sbarcarono a Malta ma l’Italia si impegnò per un accordo di ripartizione. Quindi se dovessimo dare retta a Salvini quella volta fu lui a fare arrivare i migranti.
Ad agosto del 2018 la Commissione Europea coordinò l’intesa per un nuovo caso Aquarius, quello dei 141 migranti che vennero ripartiti tra Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Lussemburgo.
Un’altra crisi fu quella della fine settembre del 2018. Protagonista sempre la nave Aquarius questa volta con 58 migranti a bordo. Lo stallo si risolse con lo sbarco a Malta in seguito ad un accordo a quattro tra Portogallo, Spagna, Francia e Germania.
In quel caso l’Italia però non ha avuto un ruolo di primo piano nelle trattative perchè la soluzione arrivò su iniziativa della Francia: «Malta e Francia ancora una volta si fanno avanti per risolvere l’impasse dei migranti» dichiarò il premier maltese Muscat. Si stava forse prendendo i meriti dell’operato di Salvini?
Più in generale, ci sono, a smentire Salvini, i documenti e le dichiarazioni di Palazzo Chigi dove si parla delle interlocuzioni del Presidente del Consiglio con gli altri Capi di Stato e di Governo. Ci sono le ricostruzioni giornalistiche che mostrano come i casi di crisi spesso e volentieri siano stati risolti anche senza un impulso italiano.
In più di un’occasione poi è stato il Presidente del Consiglio a risolvere lo stallo autorizzando lo sbarco.
È successo alla fine del famoso “caso Diciotti” ed è successo poche settimane fa quando Conte — con una lettera — ha comunicato a Salvini la sua intenzione di autorizzare lo sbarco dei migranti a bordo di Open Arms.
Per la cronaca non risulta che quando Conte si è assunto la “piena responsabilità ” per quanto accaduto con la Diciotti Salvini abbia mai detto che era stata un’idea sua. Anzi tutti si sono sforzati di dire che fu una decisione collegiale del Governo, anche se mancano atti ufficiali a dimostrarlo. Tra l’altro nel caso della Diciotti i migranti finirono in Italia (a Rocca di Papa) e in Albania, che non è un paese della UE.
Ma prendiamo per buona la sua versione. Ovvero che era lui a trattare con i Capi di Stato europei. Questo significa che Salvini faceva gli accordi e poi li faceva annunciare a Conte. Per quale motivo?
Qual è la ratio politica dietro a questa scelta, la generosità ?
Eppure avrebbe potuto facilmente capitalizzare anche quel lavoro “sottotraccia” per far vedere quanto era operoso. Oppure lo faceva magari per spogliarsi della responsabilità davanti agli elettori, per non lasciare tracce visto che quegli accordi prevedevano quote anche per l’Italia?
Ma se fosse vera la versione di Salvini allora dovremmo ammettere che è di Salvini la colpa se nella maggior parte dei casi di “crisi” in cui c’è stato un negoziato i migranti di fatto sono rimasti in Italia.
Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI ha raccolto i dati riguardanti tutte le 25 “crisi” che si sono verificate quando Salvini era al Viminale e che quindi — stando a quanto raccontato dall’ex ministro — sarebbero stare “risolte” grazie al suo intervento.
Emerge così che durante il periodo dei “porti chiusi” solo il 3,7% dei migranti è stato ricollocato. Ora che c’è il nuovo accordo i ricollocamenti sono saliti all’8%.
Non è moltissimo visto che la maggior parte dei migranti rimane in Italia ma in confronto alla gestione di Salvini è sicuramente un successo. «Con le 24 “crisi in mare” della gestione Salvini — scriveva Matteo Villa qualche giorno fa — sono sbarcate 1.359 persone in Italia, di cui 598 (il 44%) sono state ricollocate»
Questa è la dimostrazione plastica che anche con i porti chiusi i migranti sbarcavano lo stesso, sia che fossero a bordo delle navi delle ONG che negli altri casi (ovvero la maggioranza). Questo significa che Salvini portava di fatto migranti in Italia e che quei leghisti che oggi criticano la “sola” di Conte e Lamorgese in realtà stanno criticando una strategia (quella dei ricollocamenti) rivendicata proprio dal leader della Lega.
Non è fantastica l’era della post verità ?
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
L’EX VICEPREMIER AUSTRIACO STRACHE, DOPO ESSERE STATO TRAVOLTO DALL’IBIZA-GATE, COINVOLTO IN UN ALTRO SCANDALO: RIMBORSI FASULLI PER LUI E LA MOGLIE MESSI IN CONTO AL PARTITO
Vi ricordate di Heinz Christian Strache, il sovranista che voleva vendere il suo paese ai russi? L’ex vicepremier di Sebastian Kurtz oltre che rappresentante del FPOE aveva fatto ridere mezzo Europa quando aveva offerto una avvenente ragazza, spacciatasi per figlia di un magnate russo, contratti governativi in cambio di sostegno politico in un video poi pubblicato da Der Spiegel.
Del video, in cui si parlava anche di presunte orge con minorenni, non si è ancora scoperto l’autore, anche se qualche sospetto si indirizzò su Jan Bà¶hmermann e sul Zentrum fà¼r Politische Schà¶nheit.
Intanto però a pochi giorni dalle elezioni politiche in Austria un nuovo scandalo scuote il Fpoe e il suo ex presidente, che si era dimesso la scorsa primavera per l’Ibizia-Gate. La procura sta infatti indagando per peculato per le ‘spese pazze’ che Strache avrebbe messo in conto al partito.
Secondo il quotidiano Der Standard, Strache e sua moglie Philippa, referente del partito per la tutela degli animali e candidata alle politiche, avrebbero disposto di 42.000 euro al mese.
Martedì prossimo, due giorni dopo la tornata elettorale, il direttivo della Fpoe di Vienna si occuperà della questione. Il giornale Die Presse ipotizza addirittura la sospensione dell’ex leader.
Preoccupa anche l’arresto dell’ex guardia del corpo di Strache, che negli ultimi anni avrebbe raccolto grandi quantità di materiale compromettente sul politico. L’arresto è scattato ieri dopo la perquisizione della sua abitazione.
Il quotidiano Die Presse parla di cifre diverse (ovvero diecimila euro più l’affitto di una casa per 2500 euro per entrambi) ma dice anche che il segretario provinciale del partito Dominik Nepp ha annunciato un’indagine confermando che alcuni pagamenti sono continuati anche dopo le dimissioni e che i soldi verranno chiesti indietro a Strache. L’inchiesta verrà aperta la prossima settimana, ovvero dopo il voto del 29 settembre.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
DA LEZZI A GIARRUSSO, DA MORRA AD AIROLA… NON HANNO FIRMATO TONINELLI E TAVERNA
Settanta senatori su un totale di 103 che vanta il MoVimento 5 Stelle firmano un documento che chiede le dimissioni di Luigi Di Maio da Capo Politico del M5S.
Secondo il Corriere della Sera in prima fila nella richiesta di dimissioni ci sono Nicola Morra e Mario Giarrusso.
Per il Messaggero invece tra i firmatari non ci sono nè Danilo Toninelli nè Paola Taverna che rimangono fedeli al mandato di Di Maio.
Nel documento uscito dalla riunione di Palazzo Madama ieri c’è la messa in discussione dei punti 5 e 7 della costituzione pentastellata, e in particolare la figura del capo politico, eletto due anni fa nell’Italia a 5 Stelle di Rimini.
Racconta Simone Canettieri:
A capeggiare questo Putsch anti-Di Maio un correntone di storici esponenti grillini: da Barbara Lezzi a Nicola Morra, passando per Alberto Airola e Mario Giarrusso.
Con loro gran parte dei parlamentari arrivati al secondo mandato, e non solo.
Nella lista dei 70 non ci sono però l’ex ministro Danilo Toninelli (ora in corsa per un posto da capogruppo) nè la pasionaria Paola Taverna.
Entrambi sono ancora fedeli alla linea del Capo, seppur con le rispettive perplessità . Il problema, però, è il resto della truppa, pronta a rovesciare quello che fino a poco tempo fa sembrava uno strapotere intoccabile.
L’accelerazione è arrivata ieri pomeriggio quando i senatori hanno chiesto a Gianluca Perilli, vicecapogruppo facente funzione da quando Stefano Patuanelli è diventato ministro dello Sviluppo economico, di far arrivare a Di Maio la richiesta di convocare tutti gli iscritti del M5S su Rousseau.
Davanti ai dubbi burocratici sui passaggi interni, si è arrivati alla raccolta di firme: il 70% dei senatori chiede che Di Maio attivi la piattaforma online per mettere subito le mani sullo Statuto.
Il piccolo golpe a 5 Stelle arriva mentre Di Maio è negli USA per l’assemblea generale dell’ONU. «E proprio perchè passerà gran parte del tempo fuori dall’Italia non potrà continuare a gestire così il Movimento: serve una svolta. La nostra non è un’iniziativa contro, ma “per”», specifica Emanuele Dessi, che ha presentato il documento.
I “ribelli” chiedono un organismo nuovo dedicato alla gestione del Movimento composto di 10 membri, tra cui anche i capigruppo M5s di Camera e Senato e il garante del Movimento, Beppe Grillo.
E’ una delle proposte, riferiscono senatori del M5s, avanzate oggi in occasione dell’assemblea del gruppo in cui è emersa la volontà di alcuni di procedere alla modifica dello Statuto del M5s nella parte relativa ai poteri del capo politico.
Il più arrabbiato è Mario Giarrusso: “Se penso che Di Maio abbia troppi poteri? Sì, dovrebbe lasciare tutti gli incarichi. Non vedo quale esperienza possa vantare agli Esteri. Abbiamo perso 6 milioni di voti, siamo in minoranza in Consiglio dei ministri”, dice all’Adnkronos.
E conferma le indiscrezioni secondo cui alcuni senatori starebbero preparando un documento per chiedere a Di Maio di fare un passo indietro: “Ci stiamo lavorando”.
“Noi dobbiamo riportare la democrazia nel Movimento”, rimarca Giarrusso, che invoca il ritorno sulla scena del garante e fondatore del M5S: “Chiediamo a gran voce un intervento di Beppe Grillo”.
Lo difendono Barbara Floridia, Mauro Coltorti e Marco Croatti. Ma i ribelli non vogliono Toninelli come candidato capogruppo, mossa che sarebbe stata orchestrata da Di Maio per sedare l’onda.
Scrive ancora il Messaggero che per il ruolo ricoperto da Francesco D’Uva si sono fatti avanti in undici: Emanuela Corda, Sebastiano Cubeddu, Gianfranco Di Sarno, Leonardo Donno, Paolo Giuliodori, Anna Macina, Pasquale Maglione, Marco Rizzone, Francesco Silvestri, Raffaele Trano e Giorgio Trizzino.
Un caos di cordate pronte a scontrarsi tra di loro. Sapendo che ci sarà tempo fino a lunedì per ritirare la candidatura e trattare nuove posizioni nel direttivo. Il vero scontro che si profila all’orizzonte è tra Macina e Silvestri (in tandem con il fichiano Riccardo Ricciardi).
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
SERVE IL VOTO FAVOREVOLE DI ALMENO CINQUE REGIONI, FORZA ITALIA SI ASTIENE DALLA PAGLIACCIATA
Mentre si avvicina la scadenza del 30 settembre, ultima data per i consigli regionali per la richiesta di referendum sulla legge elettorale come indicato da Matteo Salvini, Silvio Berlusconi dà ordine ai suoi di non far passare le proposte in Liguria e in Veneto, sabotando così di fatto il piano del Capitano.
Spiega oggi Carmelo Lopapa su Repubblica:
C’è l’ordine perentorio di Salvini di far votare entro il 30 settembre ai rispettivi consigli regionali una delibera per chiedere la consultazione popolare (in tempo utile per andare alle urne in primavera), con l’obiettivo di cancellare la quota proporzionale dal Rosatellum e andare a un maggioritario puro.
E arriva, in queste ore, l’ordine di scuderia, adesso ufficiale, di Silvio Berlusconi ai propri consiglieri: non votare quel provvedimento, astenersi.
Ennesima fonte di veleni: in Liguria e Veneto dove si tornerà al voto nel 2020 i consiglieri hanno fatto sapere ad Arcore che i governatori ricandidati (Toti e Zaia) non li vorranno in lista, se davvero si asterranno.
Per la Lega la storia del referendum sarà una discriminante. Sta di fatto che Salvini rinvia definitivamente il vertice con Berlusconi e Meloni sulle regionali (si sarebbe dovuto tenere ieri): «Troppo impegnato per questa settimana».
Costituzione alla mano, serve il voto in almeno 5 regioni sulle 6 governate (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Sardegna).
Berlusconi ha fatto già sapere domenica che un ritorno al maggioritario non lo convincono. E infatti ci sono problemi anche in altre regioni:
Succede che il Consiglio regionale abruzzese è paralizzato per lo scontro.
In quello piemontese, il presidente forzista Alberto Cirio ha dato indicazione distinta da quella di Arcore: votare a favore.
Nel Veneto della Lega “bulgara” il voto è slittato a oggi, come pure in Sardegna.
Nella Liguria di Giovanni Toti il testo è stato bloccato in commissione.
In Lombardia il governatore leghista Attilio Fontana ha preteso una full immersion con voto entro giovedì e ordine perentorio ai forzisti di adeguarsi.
(da agenzie)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
MA NON AVEVA DETTO CHE SI SAREBBE DIMESSO? … DIA UNA LEZIONI AI “BANCHIERI” E AGLI “ARRIVISTI” CHE CITA OGNI CINQUE MINUTI: RINUNCI ALLO STIPENDIO
C’era un tempo in cui i parlamentari del MoVimento 5 Stelle si facevano chiamare cittadini-portavoce. In quel periodo gli eletti del M5S non potevano andare in televisione e se lo facevano venivano espulsi. Perchè la comunicazione si faceva in Rete.
Poi le cose sono cambiate. Il MoVimento è diventato non solo un partito che si confronta con i giornalisti (secondo modalità ben precise) ma addirittura si stanno aprendo spazi per esercitare il dissenso.
Una cosa fino a pochissimo tempo fa impensabile. Ma grazie a Gianluigi Paragone anche il sogno di un M5S meno totalitario può diventare realtà . L’ex direttore de La Padania come è noto non ha votato la fiducia al Governo Conte: si è astenuto ma in base allo statuto del gruppo parlamentare pentastellato andrebbe espulso.
Dal momento che non risultano avviate le pratiche per l’espulsione Paragone continua a picconare il governo sostenuto dal suo partito. Ad esempio due giorni fa a Quarta Repubblica da Nicola Porro ha definito «un tradimento e un patto molto squallido» l’ipotesi di alleanza “civica” con il PD in Umbria.
Ieri su Rai Tre a Cartabianca Paragone è tornato a fare il dissidente. Sostiene infatti che finchè gli sarà data la possibilità di dissentire non ha motivo di andarsene dal M5S.
Invero sta dicendo che non se ne andrà finchè non lo cacciano. Ma davvero il MoVimento può tollerare ancora a lungo la sempre più ingombrante figura del senatore di Varese?
Ad esempio ieri sera da Bianca Berlinguer più che un esponente del 5 Stelle Paragone sembrava uno della Lega. Ne aveva per tutti ovviamente ma soprattutto contro il governo dove il suo partito ha la quota di maggioranza ed esprime il Presidente del Consiglio.
Paragone ritiene infatti che il Conte bis sia «un governo di sistema, di Palazzo, è un governo che ha prescindere dalla durata dell’esecutivo terrà puntellata la legislatura».
Il che è la stessa cosa che dice Salvini quando parla di inciuci, di patti per la poltrona e accusa di tradimento i poltronari del M5S.
Paragone insiste: «ormai siamo entrati in una logica di potere. Questo è un governo che andrà avanti con il pilota automatico di Mario Draghi, è un governo perfettamente europeista: farà le riforme che chiede l’Europa».
Ma dov’era Paragone quando Tria (il ministro dell’Economia voluto dalla Lega) prometteva all’Europa le riforme richieste?
Dov’era Paragone quando votava la fiducia al governo gialloverde, che nacque esattamente allo stesso modo di quello M5S-PD? Non è dato di saperlo.
Quello che è certo è che ieri sera Paragone ha usato argomentazioni molto simili a quelle della Lega. Ad esempio l’attacco a Lussemburgo, Malta e Olanda perchè sono dei «paradisi fiscali legalizzati dall’Europa». Ma cosa ha fatto la Lega per risolvere quel problema?
L’attacco ai giornalisti (di Repubblica) accusati di nascondere i migranti morti ora che è cambiato il governo perchè “nascondono in fondo ad un articolo la notizia della morte di un migrante trovato morto nella Dora a Bardonecchia”
Secondo Paragone questa notizia con il governo precedente sarebbe finita in prima pagina mentre ora finisce nella coda di un articolo che parla della distensione tra Di Maio e Macron dopo la vicenda dei Gilet Gialli. Quello che Paragone non dice è che la notizia del ritrovamento risale al 7 settembre (ed è stata ampiamente data sui giornali) e che il cadavere dell’uomo era in avanzato stato di decomposizione quindi il decesso risale a diversi giorni prima (il Conte bis ha giurato il 5 settembre).
Siamo al paradosso: un senatore del M5S utilizza la notizia di una morte che in tutta onestà è difficile attribuire alle politiche del nuovo esecutivo per attaccare il governo sostenuto dal suo partito.
Dov’era Paragone quando i migranti morivano nel Mediterraneo mentre Salvini era ministro?
Non risulta che gli oltre mille migranti annegati nei 14 mesi di governo gialloverde siano finiti tutti in prima pagina, anzi.
Se il Senatore Paragone ci tiene così tanto a difendere la Lega, perchè non va con la Lega?
(da “NextQuotidiano”)
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Settembre 25th, 2019 Riccardo Fucile
DOVE I SOVRANISTI PRENDONO IL 55% MA I FIGLI DEI “BUONI PADRI DI FAMIGLIA” URLANO BESTEMMIE CONTRO IL CUORE IMMACOLATO DI MARIA E TUTTI I SANTI
C’è chi beve molto alcol e finisce per chiudersi nella malinconia dei ricordi andati. Poi c’è chi inizia a parlare di tutto senza alcun freno inibitore, lasciando giudizi e lanciando parole di cui poi pentirsi il giorno dopo.
Poi arriva chi si lascia prendere la mano e inizia a vedere tutti i Santi del Paradiso, iniziando a citarli tutti. Uno per uno, senza colpo ferire.
È quanto accaduto ad Arzignano, in provincia di Vicenza, la scorsa notte: la serata di divertimento e movida in piazza si è trasferita per le vie del centro dando il via a una vera e propria gara di bestemmie al buio. Parole irripetibili, da far tremare i crocifissi sulle mura.
Ed è così che la serata nel centro di Arzignano, diventata notte inoltrata e ubriaca dai fumi dell’alcol, ha dato il via a una sagra della bestemmia libera che ha fatto indignare. E questa gara a chi imprecava più in alto, ad alta voce e con gli accostamenti più fantasiosi, è stata anche immortalata da alcuni video
Questo episodio, unito alla rissa che ha coinvolto un 24enne e un minorenne che lo ha colpito senza alcun motivo apparente, ha portato il comune di Arzignano a prendere provvedimenti per regolamentare la movida all’interno del centro città .
«Per via del buio non siamo riusciti a individuare i protagonisti di questa assurda gara di bestemmie, quindi non possiamo prendere provvedimenti contro di loro. Ma è una stupida moda di questi giovani che per sembrare più intelligenti si mettono a gridare per le strade».
Nel filmato, infatti, si ascoltano prima urla indistinte, poi un’escalation di bestemmie che passano di via in via, come fosse un richiamo tra un gruppetto di ragazzi e l’altro.
(da Giornalettismo)
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