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IL “SUCCESSONE” DI FRANCESCA DONATO A PALERMO: 0,33%

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

NON E’ RIUSCITA NEANCHE A OTTENERE UN POSTO IN CONSIGLIO COMUNALE

Arancine amare. Anzi, amarissime. Si era candidata a Palermo tentando di utilizzare come grimaldello dei consensi le sue paradossali uscite no vax (e non solo) sulla pandemia Covid.
Ma i cittadini del capoluogo siciliano non hanno premiato gli sforzi biennali di Francesca Donato. La sua lista per le Amministrative (sostenuta anche da personalità come l’ex magistrato Antonio Ingroia) non è riuscita a superare la tagliola di quella soglia di sbarramento del 5% e l’europarlamentare – ex leghista – non avrà un posto nel Consiglio Comunale.
I risultati dagli scrutini di Palermo sono molto vicini all’essere ufficiali, ma le dinamiche non sono destinate a cambiare.
Questa mattina, poco dopo le otto, all’appello mancavano solamente 45 sezioni sulle 600 presenti in tutta la città e la lista “Rinascita Palermo” si è fermato al 3% (o poco più). Cosa vuol dire questo? Niente seggio in Consiglio Comunale, come scritto nel comma 3bis dell’articolo 4 della Legge Regionale Siciliana (regione a Statuto speciale): “Non sono ammesse all’assegnazione dei seggi nei consigli comunali dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, le liste che non hanno conseguito almeno il 5 per cento del totale dei voti validi espressi. Al fine della determinazione del quoziente elettorale circoscrizionale non si tiene conto dei voti riportati dalle liste non ammesse all’assegnazione dei seggi”.
Palermo, ovviamente, è sopra i 15mila abitanti e occorreva almeno il 5% dei voti a una lista per ottenere un seggio. Cosa che non è accaduta a Francesca Donato che, dunque, potrà continuare a svolgere le proprie funzioni di Europarlamentare (ma non più della Lega, visto che il Carroccio l’ha cacciata nell’ottobre dello scorso anno.
E c’è di più: perché la sua lista a Palermo ha ottenuto poco più di 6mila voti (circa il 3% rispetto al totale dei voti conteggiati), ma solo 625 aventi diritto (lo 0,33%) hanno deciso di votare esclusivamente lei come futura sindaca di Palermo.
(da agenzie)

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ALESSANDRA GHISLERI: “IL FUTURO È DI LETTA E MELONI”

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

“IL SORPASSO DI FRATELLI D’ITALIA SULLA LEGA? IL PARTITO DI MELONI IN QUASI TUTTO IL NORD HA ACQUISITO PICCOLI PORTATORI DI VOTI DA FORZA ITALIA E DALLA LEGA”… “I 5 STELLE SONO NATI SU TANTI NO, NON POSSONO PIÙ TORNARE INDIETRO. NON SAREBBERO PIÙ CREDIBILI”

I risultati delle elezioni comunali e dei referendum non spostano decisamente il Paese verso una coalizione, anche perché gli italiani hanno ancora tanta paura dell’ignoto indotto da pandemia e guerra e tuttavia premiano le due forze che stanno provando a pianificare il proprio futuro: i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e i Democratici di Enrico Letta.
Non è ancora detto che potrebbero diventare loro i partiti-guida alle prossime elezioni politiche. L’analisi di Alessandra Ghisleri, leader di Euromedia Research, lo conferma: anche stavolta i numeri elettorali non parlano da soli: bisogna saperli leggere, per capire quali scenari preparano. Con una responsabilità in più: oramai i leader interpretano il mondo attraverso i sondaggisti e dunque i più professionali di loro sono diventati le “Sibille” della politica italiana.
Affidarsi a voi non è peccato, ma farne derivare ogni decisione non trova che sia abdicare alla loro funzione: da leader a follower?
«Non è sbagliato. È sbagliatissimo! I sondaggi vengono fatti per capire qual è il mood dell’opinione pubblica. Se tu rispondi direttamente al sondaggio, vuol dire che non lo hai capito. Il leader deve studiare i dati e decidere autonomamente il da farsi. Programmare un percorso».
Sul flop dei referendum tante cause. Ma chi li ha promossi, non li ha poi abbandonati per strada?
«Chi grida allo scandalo sono gli stessi che non hanno cavalcato più di tanto i referendum. Chi ha raccolto le firme, ha un po’ abbandonato il campo».
Leggendo bene i dati dei referendum, scopri che la separazione delle carriere ha avuto un milione e 700mila sì in più rispetto ad altri quesiti: un voto pensato?
«Un voto consapevole, per chi ha votato: in genere i più adulti. Può disturbare l’idea ma i più giovani sono rimasti abbastanza insensibili. E questo non è un buon segnale: la società cambia per loro e per quelli di loro che saranno classe dirigente».
Quando è chiamato a votare quasi un italiano su cinque, è lecito aspettarsi un trend: non pensa che invece abbiamo la conferma di tendenze note, i sindaci uscenti sono intoccabili, mentre una qualche differenza possono farla candidati assai azzeccati o assai infelici?
«È così. Sui sindaci uscenti c’è da fare una riflessione importante. Escono da due anni di pandemia, da una gestione complicata. Si premia il sindaco, la persona. Pensiamo a Bucci, a Genova: l’altra volta si era candidato col centrodestra, stavolta lo ha fatto da solo, col sostegno del centrodestra. Ha allargato il “mercato”. La gente si affeziona a chi fa bene ed è competente. La Lista Bucci ha superato in voti la lista che l’aveva trainato: la Lega».
Elezioni e referendum che umore restituiscono del Paese?
«Una insofferenza verso un sistema politico che pensa di conquistare il consenso con le strette di mano durante la campagna elettorale. Insofferenza verso una politica che non tiene conto di quel che la gente sente e vede tutti i giorni, dal costo della vita al lavoro difficile. Ma quel che manca è una pianificazione del futuro del Paese, dire chiaro: ci metteremo tot anni, ma cambieremo le cose per davvero. Tutto sembra gestito in emergenza».
L’effetto-guerra più lo spettro recessione, chi ha aiutato? E a chi può dare una spinta nei prossimi mesi?
«L’effetto-guerra per noi è economico. Se uno avesse votato ai referendum, sapeva che non avrebbe avuto nessun beneficio economico. Sul medio periodo la guerra può mettere in difficoltà un sistema nel quale nulla è stato pianificato, anche perché gli italiani sono molto pigri e vorrebbero essere accompagnati in ogni percorso».
Nel Lombardo-Veneto si registrano diversi sorpassi dei Fratelli d’Italia sulla Lega; piccoli avanzamenti ma simbolici: la frenata di Salvini non si ferma più? E i Fratelli diventano partito nazionale?
«Lei dice sorpassi simbolici e io penso che nei simboli ci sia sempre qualcosa da studiare e da capire. Da mettere a frutto. A Verona sembra che i Fratelli d’Italia abbiano più voti della Lega e così anche in altre realtà del Nord. Il partito di Meloni in quasi tutto il Nord ha acquisito piccoli portatori di voti da Forza Italia e dalla Lega. A Meloni, considerata troppo legata a Roma, mancava una rete al nord. E le mancava una classe dirigente importante. Non a caso la sua Convention l’ha fatta a Milano. Dimostrando, ecco il punto, che lei sta costruendo un percorso. Lei ogni volta conta i suoi voti. Anche a costo, talora, di perdere col candidato. Per lei conta più il partito del leaderismo. Una scuola più antica e diversa dagli altri. Con Salvini la Lega non è più la Lega della Padania, ma la Lega di Salvini».
Partita patta per il Pd?
«Credo che i buoni risultati di Azione e Più Europa e quelli negativi dei Cinque stelle pongano un problema a Letta, che pure sta facendo la sua pianificazione: ricostruire storia e valori per tutti quei movimenti che si sono allontanati».
I 5 Stelle sono residuali: l’unica chance è tornare alle origini antisistema? O sono dentro una gabbia
«Loro sono nati su tanti No. Essendo stati al governo e avendo messo le mani nel sistema, non possono più tornare indietro. Non sarebbero più credibili. Devono costruire un percorso».
Il futuro è di Letta e Meloni?
«Le tendenze vanno in quella direzione, ci sono due partiti che si confrontano come centro-destra e come centro-sinistra, due percorsi diversi ma simili. Stanno lavorando sulla loro strada, cercando il proprio baricentro».
(da la Stampa)

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LA LEGA SI PREPARA A SPEDIRE SALVINI AI GIARDINETTI: IL “CAPITONE” ESCE A PEZZI DAL DOPPIO FLOP REFERENDUM-AMMINISTRATIVE: IN 22 COMUNI SUI 26 PIÙ GRANDI IL CARROCCIO È FINITO DIETRO FRATELLI D’ITALIA

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

LA LEGA PRENDE SCHIAFFONI DALLA MELONI ANCHE NELLE ROCCAFORTI STORICHE AL NORD, E NEI COMUNI CON PIÙ DI 15MILA ABITANTI È COSTANTEMENTE SOTTO IL 10%… “SE I SONDAGGI A SETTEMBRE CI DIRANNO CHE ANCHE A LIVELLO NAZIONALE SCENDEREMO PIÙ IN BASSO DI QUELLA QUOTA, BEH, QUALCOSA SI DOVRÀ FARE”

Cadono una alla volta, le roccaforti storiche della Lega. E naufraga il progetto di espansione al Sud con un simbolo nuovo. Matteo Salvini, man mano che va avanti lo spoglio delle amministrative, si ritrova dentro un incubo.
In 22 dei 26 Comuni più grandi finisce dietro Fratelli d’Italia. I sondaggi negativi si tramutano in dati veri. Sconfortanti. La leadership della coalizione è persa.
Il Carroccio arranca dietro Giorgia Meloni a Genova come a Verona, persino a Monza e Como. A Lodi la lista di Salvini è avanti ma la Lega perde la sindaca uscente, Sara Casanova. Non va meglio in Piemonte.
Alessandria è la patria del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari: ma lì un altro primo cittadino uscente, Gianfranco Cuttica, è costretto al ballottaggio e la lista della Lega ha cinque punti di svantaggio rispetto a FdI.
Il copione non cambia in Emilia, fra Parma e Piacenza, e neppure in Toscana, fra Lucca e Pistoia. A L’Aquila i meloniani sono tredici punti sopra i “cugini”.
La vera debacle è al Sud, dove debuttava il simbolo “Prima l’Italia”, embrione di un progetto di aggregazione più ampia (con moderati e civiche) dal respiro nazionale. Il risultato è stato un tonfo: a Palermo “Prima l’Italia” fino all’ultimo rischia di restare sotto il cinque per cento e di non entrare dunque in consiglio comunale. A Catanzaro la Lega sotto mentite spoglie oscilla fra il 6 e il 7 per cento, a Taranto precipita sotto il tre per cento.
Nessuno, nella Lega, immaginava un exploit del partito in queste amministrative. Ma nessuno, d’altra parte, si attendeva un crollo di queste dimensioni. La Lega, salvo rare eccezioni, è costantemente sotto il 10 per cento nei Comuni con più di 15 mila abitanti, in cui si è votato con il sistema proporzionale.
Il 10 per cento, si badi, è la soglia sotto la quale l’ala governista del partito è pronta a far scattare l’alert, a mettere in discussione il segretario. «Difficile accada qualcosa subito – dice un autorevole esponente di quest’ area – ma se i sondaggi a settembre ci diranno che anche a livello nazionale scenderemo più in basso di quella quota, beh, qualcosa si dovrà fare». Il credito di fiducia di Salvini nei confronti dei big si sta esaurendo.
Sempre più forti, nel silenzio ufficiale del movimento, i malumori per alcune scelte del senatore milanese ritenute sciagurate, dall’oscillazione su vaccini e Green pass della scorsa estate, fino al pasticcio del mancato viaggio a Mosca. In mezzo, un’avventura referendaria finita nel peggiore dei modi.
Ora il leader è in una tenaglia: da un lato Giorgia Meloni che parla da maggiore azionista della coalizione e invita gli alleati a mollare Draghi. Dall’altro il pressing appunto della componente istituzionale – Giorgetti, Zaia, Fedriga – che non sono più disposti a sopportare azioni di indebolimento del governo.
E in questa frangia del partito, ieri mattina, si era diffuso il sospetto che Salvini volesse staccare la spina all’esecutivo Draghi, con la convocazione di un consiglio federale con i requisiti dell’urgenza. Alla fine, assente Giorgetti («per motivi familiari di salute», ha detto Salvini) si è parlato di sconti su carburanti ed energia, di rottamazione delle cartelle esattoriali e di superamento della Fornero. Di un incontro da chiedere al premier e al ministro per l’Economia Daniele Franco.
«Nessuno ha fatto una polemica, solo proposte», ha detto alla fine il segretario. Mentre sottotraccia gli altri facevano circolare lo smarrimento per un vertice convocato per parlar d’altro, prima ancora che si conoscesse l’esito (non lusinghiero per la Lega) delle amministrative.
Salvini, intanto, non può che fare buon viso a cattivo gioco.Deve accettare che Meloni si attribuisca il ruolo di «traino della coalizione» ma ribatte dicendo che «la Lega è il collante del centrodestra». E il segretario fa sapere che per lui la partita per Palazzo Chigi non è chiusa a favore dell’alleata-rivale: il leader del centrodestra, dice, lo decideranno gli italiani ma non ora, «alle prossime elezioni politiche».
L’ultimo pallonetto alzato a difesa di un partito sempre più in crisi. L’ultimo sussulto malinconico di un lunedì nero.
(da la Repubblica)

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“CONTE NON E’ L’UOMO GIUSTO PER IL MOVIMENTO”: L’EX SINDACO GRILLINO DI PARMA, PIZZAROTTI, AFFOSSA LA LEADESHIP DELL’EX PREMIER

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

“AVREBBE DOVUTO CREARE UN MOVIMENTO NUOVO: QUESTO NON LO PUÒ CAMBIARE DA DENTRO, NON NE HA L’AUTORITÀ. MEGLIO DI MAIO: QUELLO DI OGGI È BEN DIVERSO DA QUELLO DI UNA VOLTA. IL PROBLEMA È CHE IL M5S ORA NON ESPRIME VALORI NÉ OBIETTIVI”

«Ha vinto il modello Parma e ora credo che si debba puntare a un modello Italia, a una rivoluzione che parta da qui».
A mezzanotte Federico Pizzarotti arriva al comitato di Michele Guerra, che fu suo assessore e che ora è nettamente in testa nel ballottaggio. Lo abbraccia ma guarda già oltre la città che ha governato per dieci anni. Guarda alle prossime Politiche e a Roma, con l’ambizione di un seggio da deputato.
I 5 Stelle sono spariti, non esistono più a Parma.
«Non solo a Parma. Nel 2012 le Regionali in Sicilia anticiparono il boom del Movimento. Ora credo che sarà l’inverso: le prossime annunceranno il declino finale».
Per Enrico Letta Parma può essere «una mosca cocchiera, avanguardia di uno schema nazionale».
«Sono d’accordo. Parma è un laboratorio, serve un’alleanza larga: il Pd, con la sinistra, il centro di Italia viva e gli ambientalisti. La formula ereditata da Zingaretti e Bettini, il campo largo del Pd con i 5 Stelle, non funziona più. Lo dice anche l’aritmetica».
E Conte, che era «il punto di riferimento fortissimo» della sinistra?
«Non penso sia l’uomo giusto. Avrebbe dovuto creare un Movimento nuovo: questo non lo può cambiare da dentro, non ne ha l’autorità. Per ora cerca l’identità solo sui giornali».
Meglio Di Maio?
«Il Di Maio di oggi è ben diverso da quello di una volta. Certo, ha fatto tutto e il contrario di tutto. Ma proprio per questo, è uno che può cambiare il Movimento. Il problema però è che il M5S ora non esprime valori né obiettivi. Deve cambiare politica. La spinta propulsiva anti sistema e anti tutto è finita».
Serve un nuovo Ulivo?
«Sì, anche se non serve rifarsi a modelli del passato. Il centrosinistra deve essere largo, deve riassorbire, non necessariamente dentro il Pd, quelle aree uscite con la segreteria Renzi. Come Mdp e Articolo 1. Ma anche loro devono fare ordine: ci sono più sigle che esponenti. Serve qualcuno che riesca a conciliare campi diversi».
Letta? O Bonaccini?
«Letta con le Agorà ha cominciato un giusto percorso. Bonaccini ha tutte le caratteristiche per essere un buon leader, ma non entro nelle questioni interne del Pd».
C’è anche l’incognita della legge elettorale.
«Io sono per il ripristino delle preferenze. L’affluenza non premia il modello politico italiano. Il Parlamento è stato mortificato, i parlamentari vengono considerati inutili e sono invisibili. Bisogna cambiare modello e agganciare i parlamentari ai territori».
Non c’è il rischio dell’aumento del voto di scambio?
«Nessun modello è perfetto. Senza preferenze, le liste bloccate le fa il segretario».
E il centro di Calenda? A Parma è restato fuori, a differenza di Italia viva.
«La sua è stata un’operazione miope e poco coraggiosa. Credo che in questo nuovo modello ci debba essere anche l’area politica di Calenda. Ma non necessariamente lui».
(da il Corriere della Sera)

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E ANCHE ZEMMOUR CE SE LO SIAMO LEVATO DALLE PALLE

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

ALLE ELEZIONI LEGISLATIVE IN FRANCIA IL SUO PARTITO, “RECONQUETE”, SI FERMA AL 4%. NESSUN SEGGIO… MACRON AVANTI PER UN SOFFIO (9 CENTESIMI DI VOTO) SU MELENCHON

È la disfatta più completa e repentina della politica francese: Éric Zemmour eliminato al primo turno (di nuovo, dopo la presidenziale), il partito Reconquête si ferma al 4 per cento, e nessuno degli altri candidati ha qualche speranza di entrare in parlamento.
Domenica sera il candidato di estrema destra ha dato appuntamento ai suoi sostenitori a Cogolin, incantevole villaggio provenzale vicino a Saint Tropez, nella circoscrizione del Var dove Zemmour si era presentato sperando di raccogliere il voto dei facoltosi e non più giovani nostalgici della Francia che fu. Ma intorno alle 21, davanti al ristorante Chez Nous (A casa nostra) di Rue Nationale – che trionfo di simboli nazionalisti – uno Zemmour dalla voce affaticata si è presentato davanti alle telecamere e ai pochi fan: «Vi ringrazio, mi sarebbe piaciuto essere il vostro rappresentante. Dobbiamo continuare a batterci, ormai siamo l’unico partito di destra».
Ma come battersi, senza neanche un deputato? Zemmour è a terra, finisce il discorso in cinque minuti, cancella tutti gli inviti tv e poi si chiude nel ristorante. Solo il 5 aprile scorso scriveva su Twitter, sicuro: «Sarò presidente della Repubblica. O capo dell’opposizione».
Zemmour volava nei sondaggi, faceva comizi da 20 mila persone, e molti tradivano Marine Le Pen – prima fra tutte la nipote Marion Maréchal – per passare dalla parte del vincitore predestinato.
Invece Zemmour, con i suoi eccessi e la sua violenza verbale, ha finito per stare antipatico ai francesi rafforzando senza volerlo la rivale del Rassemblement national.
(da agenzie)

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CONTE E’ SVAPORATO, SALVINI E’ ORMAI INCAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

QUATTRO ANNI FA ALBEGGIAVA IL GOVERNO GIALLOVERDE, ED ERA IL SOL DELL’AVVENIRE POPULISTA… NON SAPPIAMO SE ESSERE PIÙ STUPEFATTI DALLA FACILITÀ CON CUI IL PATRIMONIO È STATO ACCUMULATO O DALLA RAPIDITÀ CON CUI È STATO DILAPIDATO

Fa impressione pensare che quattro anni fa – giugno 2018 – albeggiava il governo gialloverde, ed era il sol dell’avvenire populista.
Quattro anni più tardi, i leader del partito giallo e del partito verde, allora titolari di un complessivo cinquanta per cento (33 più 17), si industriano in surreali conferenze stampa con cui eludere la personale rovina: Giuseppe Conte svaporato al culmine del mercimonio esercitato con un Movimento che, come Isabella di Castiglia, si concede a chi lo piglia, e Matteo Salvini, ormai incapace di intendere e di volere, e umiliato al nord dalla destra romana di Giorgia Meloni.
Non so se essere più stupefatto dalla facilità con cui il patrimonio è stato accumulato o dalla rapidità con cui è stato dilapidato, ma forse devo conservare lo stupore per il prossi
Ora non vorrei equiparare due leader imbarazzanti come Salvini e Conte a qualche predecessore, magari discutibile ma di altra levatura, però il modo allucinato di votare degli italiani negli ultimi trent’ anni, all’inizio con la perfetta e inesorabile alternanza fra destra e sinistra, e soprattutto negli ultimi quindici, con gli effimeri trionfi di Silvio Berlusconi (2008), Matteo Renzi (2014), Beppe Grillo (2018), Matteo Salvini (2019), e già si annuncia Giorgia Meloni, ecco, mi fa ricredere su una frase di Leonardo Sciascia, che non mi era mai piaciuta ma ora mi pare perfetta. Il fascismo, diceva, appendeva la sua bandiera al corno del popolo, la democrazia lascia che ognuno si appenda alle corna la bandiera che crede, ma alla fine il popolo cornuto era e cornuto resta.
Mattia Feltri
(da “la Stampa”)

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C’È VITA IN LOMBARDIA PER IL CENTROSINISTRA: IL PD HA STRAPPATO LODI ALLA LEGA CON UN GIOVANE CANDIDATO, IL 25ENNE IMPIEGATO BANCARIO E CINTURA NERA DI JUDO ANDREA FUREGATO

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

MONZA, SESTO SAN GIOVANNI E COMO VANNO AL SECONDO TURNO, ANCHE SE NEI PRIMI DUE CASI È AVANTI IL CENTRODESTRA… I DEM PERÒ GONGOLANO IN VISTA DELLE ELEZIONI REGIONALI DEL 2023: “È STATO SPEDITO L’AVVISO DI SFRATTO A FONTANA”

Una vittoria e tre ballottaggi, di cui uno partendo in vantaggio e senza nemmeno il candidato del centrodestra. In Lombardia, dopo il primo turno, il centrosinistra guarda con più ottimismo alle Regionali del prossimo anno.
Appuntamento rimandato al 26 giugno per due capoluoghi di provincia e nella ex Stalingrado d’Italia, Sesto San Giovanni.
A Lodi il Pd, con un volto giovane e un campo largo, è invece riuscito a strappare alla Lega uno dei Comuni simbolo della sconfitta dem alle amministrative del 2017.
Il centrodestra può inseguire la riconferma a Sesto, dove ha sfiorato la vittoria al primo turno, e a Monza dov’è in vantaggio. Mentre a Como non rientra neppure nel ballottaggio per un pugno di voti.
Il prossimo anno si gioca il futuro della Regione: per il centrosinistra «l’inversione di tendenza in Lombardia è iniziata».
«Vincere a Lodi significa vincere le politiche del prossimo anno», aveva detto il segretario Pd Enrico Letta chiudendo qui la campagna elettorale. Andrea Furegato, 25 anni, impiegato bancario e cintura nera di judo, il secondo più giovane nella storia della città, sostenuto da una coalizione composta da liste civiche e dal M5S, ha battuto al primo turno con il 58,9% dei voti l’uscente Sara Casanova (37,2%).
«Sarò il sindaco di tutti i lodigiani – commenta dal quartier generale -. Il nostro dovere era quello di mandare a casa il centrodestra e ce l’abbiamo fatta».
A Sesto il sindaco Roberto Di Stefano è in vantaggio di dieci punti sullo sfidante Michele Foggetta, segretario locale di Sinistra Italiana e a sorpresa uscito vincitore dalle primarie.
Polemiche roventi in campagna elettorale su entrambi i fronti. Foggetta è finito sotto accusa per certe vecchie dichiarazioni contro Israele, la Lega per aver scelto come capolista l’assessore Claudio D’Amico, noto per essere l’uomo che ha costruito assieme a Gianluca Savoini i rapporti tra la Lega e l’entourage di Putin.
A Monza il sindaco uscente di Forza Italia Dario Allevi cercava il bis (impresa mai riuscita ai predecessori). Esce dal primo turno in testa col 47,6% sul dem Paolo Pilotto (39,8%), mentre a Como il centrosinistra con Barbara Minghetti è in testa con il 39,3%: contro di lei il 26 giugno ci sarà Alessandro Rapinese, che per la terza volta consecutiva cerca di conquistare la poltrona, e non il centrodestra di Giordano Molteni.
«La vittoria a Lodi e i ballottaggi a Como e a Monza dimostrano che il centrosinistra in Lombardia cresce rispetto al centrodestra a trazione Lega – dice il segretario del Pd lombardo, Vinicio Peluffo -. A Lodi la scommessa più audace, un test nazionale. Questa vittoria è la via da percorrere per le regionali. L’avviso di sfratto a Fontana è già stato spedito».
(da Corriere della Sera)

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COMUNALI, MELONI SORPASSA SALVINI ANCHE NELLA ROCCAFORTE DEL VENETO

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

FDI DAVANTI ALLA LEGA IN 10 COMUNI SU 16

Chi sarà il primo, in casa leghista, a trovare il coraggio di alzare la voce, chiedendo conto a Matteo Salvini del vistoso arretramento in Veneto alle elezioni amministrative, a tutto vantaggio di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni?
Il confronto tra i due partiti è finito 10 a 5 a favore di FdI, a dimostrazione che in regione a dare garanzie al Carroccio è soprattutto il traino del governatore Luca Zaia.
Quando non c’è lui di mezzo, la situazione si complica. Non a caso, il presidente della Regione, commentando i risultati, ha cercato di prevenire gli incendi, concentrandosi sulle divisioni della coalizione (in particolare a Verona) e non ha citato nemmeno il cambio di rapporti di forza con FdI.
“I numeri ci dicono che dove il centrodestra corre unito si portano a casa i comuni, dove invece ci si presenta separati, peggio ancora se la separazione è anticipata da dibattiti spesso poco comprensibile ai cittadini, gli elettori giustamente puniscono il centrodestra. La visibilità politica dei dati va a chi rotture non ne crea”.
Zaia ha così lanciato il monito pensando agli strappi di cui porta la responsabilità il vertice milanese della Lega: “Dobbiamo essere uniti, inclusivi, visto che la visione deve essere di una coalizione di centrodestra, però rispettosa di tutte quelle aree moderate che magari non si sentono rappresentate nel panorama politico italiano, ma possono trovare una casa comune”.
L’allarme nasce dal vistoso sorpasso di Giorgia Meloni. In 16 Comuni veneti Lega e FdI erano riconoscibili con il logo sulla scheda. In dieci di questi 16 Comuni ha prevalso FdI, la Lega cinque volte, in un caso il candidato era zaiano. E non si tratta di piccoli Comuni, ma di tutti i tre capoluoghi di provincia.
A Verona Meloni ha incassato l’11,94 per cento (ma ci sono anche i consensi diretti alla lista di Federico Sboarina, candidato sindaco con tessera di FdI), Salvini soltanto il 6,60: 12.276 voti contro 6.786. Praticamente il doppio.
E pensare che la Lega aveva investito molto, anche come sforzo pubblicitario, per valorizzare il voto alla lista, considerando che la base non aveva molto gradito l’acquiescenza al candidato di destra.
Per misurare la crescita della Meloni basti poi pensare che nel 2017 era al 2,7 per cento mentre Salvini stava all’8,8.
A Padova lo stacco è forse ancora più netto, visto che cinque anni fa il candidato sindaco era Massimo Bitonci, leghista doc, molto vicino al segretario Salvini: allora la Lega aveva raccolto il 6,6 per cento, oltre a una dote del 24 per cento della lista Bitonci, mentre FdI era rimasto fermo al 2,2 per cento.
Adesso cambia tutto: la destra all’8,27 per cento, la Lega al 7,35 per cento. Proprio a Padova la base ha contestato la scelta del candidato Francesco Peghin, voluta dall’ex sindaco Massimo Bitonci, considerato troppo estraneo al mondo leghista.
A Belluno, dove il candidato di centrodestra ha vinto al primo turno, Fratelli d’Italia ha avuto il 10,46 per cento dei consensi, la Lega il 9,42 per cento. Non c’è dubbio che la Meloni abbia portato il partito ad essere il primo della coalizione, pur in elezioni amministrative e non politiche.
Poi ci sono gli altri Comuni in cui Fratelli d’Italia prevale: Feltre (8,54 contro 6,97 per cento) nel Bellunese; Abano Terme (12,82 contro 7,36 per cento) e Vigonza (13,86 contro 10,62 per cento) nel Padovano; Silea (16,90 contro 12,45 per cento) nel Trevigiano; Jesolo (12,61 contro 9,98 per cento), Mira (8,57 contro 7,75 per cento) e Mirano (13,65 contro 9,51 per cento) nel Veneziano.
La situazione si rovescia a favore della Lega in cinque comuni: Marcon (14,82 per la Lega, 12,88 per cento per FdI), Santa Maria di Sala (17,92 contro 7,71 per cento), Thiene (7,74 contro 4,15 per cento), Rosà (64,65 voti per la candidata leghista) e Cerea (48,88 per la Lega, 30,93 per Fratelli d’Italia).
C’è poi un sedicesimo caso, il piccolo comune di Tarzo (Treviso) dove Gianangelo Bof ha avuto un plebiscito con l’88,2 per cento, ma si tratta di un candidato di Zaia, nella zona di appartenenza del governatore.
(da agenzie)

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ANALISI YOUTREND: PD PRIMO PARTITO NELLE GRANDI CITTA’, DIETRO C’E’ FDI E CROLLO LEGA, M5S AL 2%

Giugno 14th, 2022 Riccardo Fucile

LE PIU’ VOTATE? LE LISTE CIVICHE… TESTA A TESTA TRA CENTRODESTRA E CENTROSINISTRA

Pd primo partito e testa a testa tra i due schieramenti di centrodestra e centrosinistra.
È questo quanto riportato dall’analisi Youtrend sul totale dei Comuni con oltre 15mila abitanti (escluse Sicilia e Friuli-Venezia-Giulia).
I dem conquistano la vetta dei consensi con il 17,2 per cento delle preferenze e si piazzano davanti a Fdi (10,3%), Lega (6,7%) e Fi (4,6%). Chi però ottiene la maggior parte dei voti sono le liste civiche: quelle di centrodestra (che raccolgono ben il 22,2%) ma anche quelle di centrosinistra (18,7%).
Nel complesso, le liste di centrodestra ottengono il 43,8% dei voti validi, contro il 41,9% ottenuto dalle liste della coalizione giallorossa, in cui però spicca in negativo il dato del M5s, che raccoglie solo il 2,1%.
Se poi l’analisi si concentra solo sui Comuni capoluogo, il Pd sale ancora ed è primo partito con il 19% dei voti.
Partendo dalla necessaria premessa che è difficile fare un’analisi nazionale di elezioni locali, ognuna delle quali aveva le sue peculiarità, i dati però permettono di capire le tendenze dei singoli partiti sui territori. Così, nonostante le sconfitte di Genova e Palermo, il Pd può rivendicare il buon risultato a livello di lista.
“Quello che già oggi emerge chiaramente è che il centrosinistra vince quando è unito”, ha commentato Enrico Letta nel corso di una diretta Instagram per commentare il voto, “quando lavora in modo più unitario possibile, quando mette in campo candidature credibili. E poi esce fuori il dato forse per noi più importante in questo momento, il Partito democratico è il primo partito d’Italia”.
Come ricordato dall’agenzia Adnkronos, Letta solo venerdì scorso parlava di “un test per il campo largo“. Ora i risultati fotografano nuovi equilibri, soprattutto all’interno della coalizione giallorossa: il Pd, a fronte del crollo M5s, dovrà valutare come far pesare la sua posizione.
E visto l’exploit del terzo polo di Carlo Calenda, il dibattito sulle alleanza è già iniziato. E’ partito per primo il dem Andrea Marcucci. “Il Pd per competere deve avviare un dialogo con Azione, Italia Viva ed i civici”, ha detto. Anche il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore di Base Riformista, parla di “campanello d’allarme”, di “crollo clamoroso” e “preoccupante” dei 5 Stelle su cui riflettere.
Tuttavia dal Nazareno non nascondono che, sebbene ci sia molto da lavorare, allo stesso tempo il Pd primo partito è sempre “più centrale” per la costruzione di qualunque alternativa alla destra.
“L’unico argine a evitare la vittoria delle destre è un centrosinistra, un campo progressista attorno al Pd”, scandisce Letta.
I 5 stelle, è la riflessione tra i dem, hanno i loro guai e non hanno opzioni se non seguire il Pd. E anche il polo riformista di Calenda è tutto da costruire (“non esiste”, è drastico un dirigente dem) e senza il Pd non va da nessuna parte. Quanto a Matteo Renzi poi viene dato ormai a destra. Calenda, si sottolinea, almeno “ha presentato due liste e ha gareggiato, Renzi si è nascosto tra i civici solo per governare e prendere poltrone”.
Sul fronte del centrodestra, anche l’analisi di Youtrend a livello nazionale conferma la tendenza: Fdi ha superato il Carroccio e può rivendicare la posizione dominante all’interno della coalizione.
Lo stacco è netto: 10,3 per cento contro il 6,7% dei leghisti. Un dato abbastanza stabile anche se il focus è solo sulle città capoluogo: Fdi al 10,4 (aumento dello 0,1) e Lega in calo dello 0,4 al 6,3 per cento.
Ormai stabilmente terza Forza Italia che, quasi ovunque (una delle eccezioni è Monza), si conferma all’inseguimento dei due alleati.
Ma il problema della coalizione è riuscire a non litigare, almeno platealmente. La pace interna non ha retto neanche qualche ora dopo il voto: Giorgia Meloni ha invitato Fi e Carroccio ha lasciare il governo e ha protestato per il mancato appoggio alle prossime Regionali del suo candidato Nello Musumeci.
(da agenzie)

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