Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
MILITA NEGLI AUTONOMISTI DI LOMBARDO, E’ STATO SENATORE DI FORZA ITALIA
Salvatore Ferrigno, candidato alle elezioni regionali in Sicilia nei Popolari Autonomisti, è stato arrestato nella notte.
L’accusa nei suoi confronti è voto di scambio politico-mafioso. Insieme a lui sono finiti in carcere il boss Giuseppe Lo Duca e Piera Lo Iacono, che avrebbe fatto da intermediaria tra il politico e la mafia.
L’indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Ferrigno, che milita nella formazione di Raffaele Lombardo, è nella coalizione che appoggia il candidato alla presidenza Renato Schifani. Secondo gli inquirenti Ferrigno avrebbe promesso favori e denaro all’esponente di Cosa nostra in cambio di voti. A sostegno dell’accusa ci sono diverse intercettazioni ambientali, alcune di pochissimi giorni fa.
L’inchiesta della Dda
L’inchiesta coordinata dalla Dda nasce da un’indagine dei carabinieri sui clan mafiosi della provincia di Palermo. Alle scorse amministrative di giugno finirono in carcere, sempre con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso, i candidati al consiglio comunale di Palermo Francesco Lombardo e Pietro Polizzi, entrambi del centrodestra. Anche a loro la Procura contestò di aver stretto un patto con la mafia che prevedeva appoggio ai clan in cambio del sostegno elettorale. Ferrigno è originario di Carini in provincia di Palermo. È stato parlamentare di Forza Italia nel 2006, eletto nella circoscrizione estera per il Nord e Centro America. «Le sue convinzioni politiche e l’assoluta dedizione all’Italia in una visione di progresso civile e di lealtà agli Stati Uniti hanno motivato la sua discesa in campo – diceva di lui il Giornale degli Italiani all’Estero – Persona capace, preparata e generosa, piace agli italiani d’America per il suo parlare schietto e senza virtuosismi dialettici e le ambiguità che hanno contraddistinto altri personaggi che hanno calcato gli stessi scenari lasciando dietro di sé qualche perplessità e molta indifferenza». Tra i fondatori dell’associazione Azzurri nel mondo della California, ha vissuto molti anni a Filadelfia e ha fatto il broker assicurativo.
I soldi
Durante la legislatura in cui è stato deputato nazionale è stato componente della commissione Difesa. Nel 2008 l’allora presidente della Regione Lombardo lo nominò consulente per i rapporti tra la Regione e i siciliani all’estero. Nel presunto patto siglato c’era anche una somma di denaro. Ferrigno e Lo Duca si erano accordati inizialmente su 20mila euro per ognuno dei quattro paesi del palermitano in cui il mafioso avrebbe dovuto sostenere l’aspirante deputato regionale. Poi la somma era scesa a 5mila.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“SE SBANDIAMO RISCHIAMO LA BEFFA”… I COLLEGI UNINOMINALI IN BILICO E’ L’INCUBO INCIUCIO
Soltanto le urne potranno dire se davvero il Sud giocherà un ruolo decisivo alle elezioni del 25 settembre.
Ma l’incubo del quasi-pareggio in Senato turba i sonni di Giorgia Meloni. Premier designata del nuovo governo di centrodestra a un passo dal traguardo, ma con la paura che la rimonta del Movimento 5 Stelle possa all’ultimo momento cambiare le sorti dei collegi uninominali del Rosatellum nel Mezzogiorno.
Con la variabile reddito di cittadinanza che potrebbe improvvisamente pesare. E i richiami al «nuovo inciucio» che sarebbe in preparazione dal palco di Piazza del Popolo a Roma sono proprio il modo che la leader di Fratelli d’Italia ha trovato per esorcizzare questa paura.
L’incubo di Giorgia
«Qualcosa non torna, se sbandiamo all’ultimo tornante rischiamo la beffa. Non possiamo permetterci un pareggio in Senato», avrebbe detto Meloni ai compagni di partito secondo un retroscena di Repubblica. Il motivo è quello che è circolato sui giornali in questi giorni: nei sondaggi prima dello stop per la par condicio il Movimento 5 Stelle era dato in forte rimonta. Grazie soprattutto ai voti che arrivavano dal Sud. Che potrebbero rimettere in discussione la vittoria di Salvini, Meloni e Berlusconi nei collegi uninominali del Rosatellum. In Puglia, soprattutto. Ma anche in Campania e in Sardegna. Insieme alla Sicilia, si tratta delle regioni in cui risiede il maggior numero di percettori del sussidio voluto dai grillini. Il ragionamento sotteso è che se i candidati di Conte dovessero spuntarla in una decina di sfide in Senato, secondo i calcoli di Fdi, a Palazzo Madama la maggioranza di centrodestra si fermerebbe a quota 102-103 (sui 200 parlamentari che compongono la Camera Alta). Il governo Meloni avrebbe i numeri per nascere. Ma sarebbe una nascita zoppa. Alla mercé dei centristi. Che diventerebbero indispensabili per la sopravvivenza della maggioranza. Con tutti gli annessi e connessi che la storia del centrodestra ha insegnato in questi anni dal 1994.
Dàgli all’inciucio
Per questo la leader di Fdi dal palco di Roma ha lanciato l’allarme-inciucio. Perché la sua paura è che qualche patto “di Palazzo” dopo il voto le scippi Palazzo Chigi. Oppure (ed è peggio) che si trovi lei stessa a doverne fare per diventare presidente del Consiglio.
Da parte sua il leader dei grillini per ora si schermisce. E in un’intervista rilasciata oggi al Fatto Quotidiano dice che «noi 5Stelle ci rivolgiamo a tutto il paese. Io sono il presidente del Consiglio che durante la pandemia, di fronte al collasso del Nord, intervenne con cinque variazioni di bilancio. Facemmo investimenti per oltre 130 miliardi, andati in gran parte proprio a quella parte del paese aggredita per prima e in forma più grave dal Covid. E anche dei 209 miliardi del Pnrr, la maggior parte andrà alle regioni del Nord».
Chiudendo anche lui agli “inciuci”: «Abbiamo già precisato che non siamo disposti ad ammucchiate indistinte. Riteniamo che il paese abbia bisogno di un chiaro progetto politico per rialzarsi. E quel progetto è il nostro».
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
LA GAFFE A PORTA A PORTA
Aprendo l’ultima (prima del silenzio elettorale e del voto di domenica 25 settembre) puntata di “Porta a Porta”, Bruno Vespa aveva definito quel che hanno messo in scena tutti i leader politici dei partiti candidati come “la più brutta campagna elettorale degli ultimi tempi”.
E a chiudere il cerchio ci ha pensato Matteo Salvini che, nel corso del suo intervento in trasmissione, si è reso protagonista di una gaffe parlando del presidente dell’Unione Italiana Ciechi che si è candidato al Senato proprio con la Lega.
Mario Barbuto era ospite, proprio con Matteo Salvini, di Bruno Vespa. Il suo nome è stato inserito nelle liste del Carroccio per Palazzo Madama, provocando anche un forte dissenso all’interno dell’Unione italiani ciechi e ipovedenti che guida da anni. Il leader della Lega, per spiegare questa scelta, ha detto: “Confrontandosi con Mario (Barbuto, ndr) si capisce un mondo che teoricamente è al buio. Però, portarlo con me in Senato sarà una speranza, un occhio, un futuro per milioni di italiani troppo spesso dimenticati”.
Al netto della bontà della scelta di candidare una personalità del mondo civile come rappresentante di una parte della popolazione con difficoltà visive, parlare di “occhio in Parlamento” riferendosi a una persona non vedente non è dialetticamente corretto. Si tratta evidentemente di una gaffe.
Non appena pronunciata quella frase, infatti, lo stesso Salvini prova a cercare nuove parole e concetti per rinsaldare il suo pensiero. Ma, ormai, era inciampato davanti a quella telecamera che ha immortalato il momento. Un momento della “più brutta campagna elettorale degli ultimi tempi”.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
“IN ITALIA LE COPPIE OMOSESSUALI NON SONO LEGALI”
Dopo anni di battaglie, prima dialettiche e poi politico-parlamentari, nel 2016 l’Italia riuscì a scrollarsi di dosso vecchi retaggi culturali approvando e facendo entrare in vigore la legge sulle unioni civili.
Tutto ciò ha permesso a persone dello stesso sesso di convolare a nozze (nella forma civile) e di vedere (parte) dei loro diritti riconosciuti a livello nazionale.
Tutto ciò, nonostante la prossimità temporale, deve essere sfuggito al deputato di Fratelli d’Italia – responsabile della “Cultura” del partito di Giorgia Meloni – Federico Mollicone, visto che sostiene che in Italia le coppie omosessuali non siano legali. Anzi: “Non sono ammesse”.
Nel corso di un’intervista rilasciata a RTV, la televisione della Repubblica di San Marino, il deputo di Fratelli d’Italia stava parlando di uno dei casi che hanno connotato (negativamente) una delle peggiori campagne elettorali della storia dell’Italia Repubblicana: il caso Peppa Pig e delle “due mamme” orso.
“Stiamo parlando di un cartone animato per bambini in età pre-scolare, quindi bambini di 4 anni. Ditemi voi se dei bambini di 4 anni possano essere abituati, possano elaborare concetti complessi come le adozioni omosessuali e comprenderli e magari vederseli presentati come un fatto assolutamente naturale quando non è un fatto naturale”.
Gli intervistatori lo interrompono sottolineando un dato di fatto: “Però li vedono nella realtà. Nella realtà li incontrano”.
E qui arriva il colpo di teatro di Federico Mollicone che, riprendendo la parola, dice che nelle idee di Fratelli d’Italia non ci sia alcuna discriminazione ma che in Italia i matrimoni gay non siano permessi.
“Attenzione, devono essere i genitori… Quello che abbiamo detto e aggiunto è che non c’è alcuna discriminazione, fermo restando che bisogna ricordare che in Italia le coppie omosessuali non sono legali, non sono ammesse”.
In realtà, bisogna ricordare che le coppie omosessuali sono legali e ammesse nel nostro Paese. Lo prevedono i vari commi della legge numero 76 del 20 maggio del 2016, quella sulle Unioni Civili.
Inoltre, anche al di là della suddetta normativa, sia l’omosessualità che le coppie omosessuali erano e sono legali nel nostro Paese.
Dunque, è una gaffe figlia di una scarsa conoscenza della materia, o un avviso ai naviganti su quel che ci aspetta con Fratelli d’Italia al governo?
(da NextQuotidiano)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
DUE MINUTI DI DELIRIO: “NON CAPISCO PERCHE’ I RUSSI SI SIANO RITIRATI DA KIEV”
Le parole hanno un peso, soprattutto quelle pronunciate a pochi giorni da una tornata elettorale. E ora, dopo aver indossato per mesi la maschera dell’uomo “deluso” da Putin per il suo comportamento nei confronti dell’Ucraina, Silvio Berlusconi cambia la propria versione dei fatti.
Ora cerca e trova giustificazioni per l’atteggiamento bellico del capo del Cremlino, spiega quali erano i piani della Russia e, non contento, palesa al mondo gli errori strategici di Mosca. Non sull’offensiva, ma sul fatto di non aver accerchiato Kyiv.
Il tutto in poco più di 2 minuti, mentre era ospite – in collegamento – di Bruno Vespa a “Porta a Porta” (su Rai 1).
“Putin è caduto in una situazione veramente difficile e drammatica. Dico è caduto perché è stata una missione delle due Repubbliche filorusse del Donbass che è andata a Mosca, ha parlato con tutti quanti, con le radio, la stampa, le tv, con la gente del partito, con i ministri del partito, e poi con Putin e gli hanno detto: ‘Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze contro le nostre forze sui nostri confini, siamo a 16 mila morti, per favore difendici, perché se non ci difendi tu non sappiamo dove potremmo arrivare’. Putin è stato spinto dalla popolazione russa, dal partito, dai ministri, a inventarsi a questa operazione speciale, per cui le truppe russe sarebbero dovute arrivare a Kiev in una settimana, e sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky, e un’altra settimana tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista e imprevedibile da parte delle truppe ucraine, che poi sono state anche foraggiate con armi di tutti i tipi da parte dell’occidente. E oggi aumentano i morti, la situazione è diventata difficile da tenere sotto controllo, anche perché, non ho capito il motivo, le truppe russe si sono sparse in giro per l’Ucraina, mentre secondo me avrebbero dovuto soltanto fermarsi intorno a Kyiv. Mi sento male quando sento parlare dei morti, ho sempre ritenuto la guerra la follia delle follie, vedere quello che sta avvenendo adesso, con persone che ammazzano, la considero una cosa folle inimmaginabile”.
Dunque: Putin è stato costretto a questa “operazione speciale” (citando la definizione russa di questa guerra) dalle pressioni esterne e interne. E l’obiettivo del capo del Cremlino era quello di “sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky”.
Ma c’è di più. Berlusconi indossa gli abiti dell’esperto di tattiche di guerra redarguendo Mosca per la gestione delle truppe: “Avrebbero dovuto fermarsi solo a Kyiv”.
Poi, dopo aver detto tutto ciò, ha detto di essere ancora a favore del sostegno militare all’Ucraina. Il tutto nel giro di pochi minuti.
(da agenzie)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEGLI ESPERTI MARK GALEOTTI E IAN BREMMEN
L’ultimo discorso alla nazione del presidente Vladimir Putin ha acceso i timori del popolo russo, che confidavano nel fatto di non essere coinvolti nella guerra scoppiata sul suolo ucraino. Il dissenso, duramente represso, si è iniziato a far sentire più forte per le strade di Mosca, e questo potrebbe pesare nello sviluppo del conflitto. Ne parlano su Repubblica Mark Galeotti – professore all’University College London, membro del più prestigioso think tank di Difesa britannico “Rusi” e tra i massimi esperti inglesi di Russia, sulla quale ha scritto oltre venti libri – e su Corriere Ian Bremmer, politologo e scrittore americano, presidente e fondatore del think-tank Eurasia Group, che si focalizza sul rischio politico globale.
“Putin ha rotto un implicito patto con la sua popolazione, e cioè: la mia guerra non toccherà la vostra vita quotidiana. Ora, invece, sono molti i russi coinvolti, direttamente o indirettamente. Non potranno più essere indifferenti”, spiega Galeotti, “Sulle minacce nucleari per ora sta bluffando. Per me, al momento, è estremamente improbabile che la Russia le utilizzi. La Cina non sarebbe affatto contenta”.
Ad ogni modo, se dovesse decidere di ricorrere comunque alla soluzione atomica, la sua scelte avrebbe delle conseguenze anche a lui sfavorevoli, dice Galeotti:
“L’Occidente risponderebbe con devastanti attacchi, non nucleari, contro obiettivi russi. Per esempio, contro le loro navi da guerra nel Mar Baltico. O bloccando e aggredendo l’exclave di Kaliningrad. Certo, non vedremo le truppe Nato marciare verso Mosca. Ma sarà guerra aperta tra i due blocchi. A quel punto, l’Occidente farà di tutto per un cambio di regime al Cremlino: Putin sarà diventato troppo pericoloso e bisognerà rimuoverlo o eliminarlo, a tutti i costi. Anche le élite russe lo sanno bene”.
Che il dissenso interno possa pesare sul proseguimento della guerra lo dice anche Bremmer:
“Penso che ci sarà un’enorme opposizione ad arruolare 300mila civili. Ci saranno ancora manifestazioni e molte persone proveranno a lasciare il Paese. Il presidente russo potrebbe trasformare la Russia in uno Stato di polizia. Farà incarcerare ancora più cittadini e li terrà dentro. Il punto è che questa pressione domestica minerà la sua capacità di guidare il Paese e quindi di restare al potere. Il dissenso potrebbe diventare rapidamente rivolta aperta. E per il Cremlino potrebbe mettersi male. Ecco perché Putin è pronto ad assumere un controllo dittatoriale sulla popolazione (…). A questo punto il fattore interno peserà amche sulla dinamica della guerra. Cosa che non è avvenuta negli scorsi sei mesi. La mobilitazione dovrà dare risultati tangibili sul campo di battaglia”.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
CENTINAIA DI PERSONE HANNO DECISO DI SFIDARE LA POLIZIA, SUI CARTELLI “NO ALLA MOBILITAZIONE”
“Noi siamo qui. E continuiamo a resistere”, mi ha scritto ieri sera su Instagram (che, ricordiamo, è bloccato nel territorio della Federazione Russa, a meno che non si faccia uso dei servizi VPN) la mia ex studentessa universitaria Uliana, moscovita e poliglotta. Ha la stessa età delle tante ragazze tra i 20 e i 30 anni che, a giudicare dai video prontamente diffusi sul web, hanno costituito lo zoccolo duro dei manifestanti usciti spontaneamente di casa nella giornata del 21 settembre per esprimere il proprio dissenso nei confronti della “mobilitazione parziale” annunciata da Vladimir Putin alcune ore prima.
Il discorso alla nazione del presidente russo, dai toni ancor più cupi e incattiviti di quello con cui era stato dato il via alla cosiddetta “operazione speciale” all’alba del 24 febbraio, è stato trasmesso verso le 9 di mattina (fuso orario di Mosca). Pochi minuti dopo, gli attivisti del movimento “Vesna” (Primavera) avevano già invitato i cittadini russi a far sentire la propria voce nelle strade e nelle piazze di ogni città, alle 19.00 secondo il fuso orario di riferimento. Le prime immagini di raduni e picchetti sono dunque arrivate dall’Estremo Oriente russo, da Jakutsk e Ulan-Ude. E poi, man mano che passavano le ore e la giornata terminava anche a occidente, da Tomsk, Novosibirsk, Ekaterinburg e così via, per arrivare ovviamente a Mosca e San Pietroburgo. Hanno invitato a manifestare anche altri gruppi che erano stati costantemente attivi con iniziative e flash mob pacifisti e antimilitaristi, come le femministe di Feminist Antiwar Resistance, per arrivare ai sodali di Aleksej Naval’nyj.
I numeri sono stati consistenti (alcune centinaia di persone nelle “due capitali” russe, diverse decine di persone nelle altre città), anche se non come quelli delle proteste immediatamente successive all’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina alla fine dello scorso febbraio: d’altronde, gran parte di chi si era esposto allora è già emigrato da tempo, per non parlare del fatto che nel corso dei mesi le pene previste per il “discredito delle Forze Armate” si sono inesorabilmente inasprite, di pari passo con la censura, portando non solo a multe consistenti, ma anche ad arresti e a pesanti condanne penali, incarcerazione compresa. Inoltre va anche considerato che, soprattutto a Mosca e in altri grandi centri meno toccati direttamente dalla campagna militare (la maggior parte dei soldati inviati al fronte proviene infatti da regioni più periferiche e disagiate, come Tyva, Buriazia o Daghestan), durante la primavera e l’estate l’angoscia e lo sdegno di molti cittadini russi avevano ceduto il posto a una sorta di apatica rimozione di quanto stava succedendo.
La guerra in Ucraina, lontana e ormai data per scontata, aveva iniziato ad essere percepita quasi come la guerra in Afghanistan nell’URSS degli anni ’80, tanto più che i cambiamenti provocati dalle sanzioni occidentali si sono rivelati meno radicali del previsto e, per esempio a Mosca, le autorità locali hanno cercato di fare di tutto per eliminare dallo spazio urbano qualsiasi riferimento che potesse riaccendere il pensiero fisso della guerra. E dunque, al di là di qualche Z o V appesa in giro, si è potuto riprendere a fare selfie raggianti sullo sfondo di parchi e fontane colorate, scacciando le emozioni negative e continuando a vivere come se nulla fosse. Ora, però, la mobilitazione rischia di far ripiombare prepotentemente la guerra anche nelle case di chi non ne parlava più da settimane, e con conseguenze davvero impensabili.
E dunque, ieri, centinaia di persone hanno deciso di sfidare la polizia in assetto antisommossa, a volte brandendo piccoli banner con su scritto quello che da ieri è il nuovo slogan contro la politica irresponsabile del Cremlino: “Net mobilizacii” (No alla mobilitazione), in aggiunta al “Net vojne” (No alla guerra) diffuso già da mesi – per cui, non sarà superfluo ricordarlo, si rischia la sopracitata accusa di “discredito”, oltre che di “diffusione di fake news”, dato che ufficialmente in Russia non si dice che è in corso una guerra, nemmeno ora. La componente femminile delle proteste, come si diceva, è stata molto significativa. “Chi è che state proteggendo, voi? Non certo noi!”, hanno gridato alcune ragazze sull’Arbat, una delle arterie centrali di Mosca, di rimando agli agenti di polizia che intimavano loro di andarsene immediatamente. “Non vi vergonate? Tornerete pure voi dentro il Carico 200!”, hanno poi incalzato le ragazze, riferendosi ovviamente al trasporto in patria dei cadaveri dei soldati dentro bare di zinco. Non a caso, un gioco di parole già divenuto virale, e che ha fatto scaturire l’altro slogan chiave della protesta di ieri, è “Net mogilizacii”, letteralmente “No alla tombizzazione”, ottenuto fondendo le parole “mobilizacija” (mobilitazione) e “mogila” (tomba).
Forse per strada, dove non hanno tardato ad arrivare anche i fermi della polizia (più di 1400 le persone trattenute in 38 città, non senza episodi di violenza da parte degli agenti, secondo i dati forniti dall’ONG OVD-info) si sono viste più ragazze che ragazzi perchè, già nel corso della giornata di ieri, numerosissimi giovani russi che rientrano potenzialmente nelle categorie suscettibili di mobilitazione (e non solo) erano impegnati ad acquistare biglietti aerei in modo da lasciare il paese prima di ricevere la temuta chiamata del commissariato militare più vicino. O prima che, in questa congiuntura in cui le misure straordinarie si susseguono alla velocità della luce, venga bloccata l’uscita dalla Federazione Russa a tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile. I voli diretti verso le capitali dei paesi in cui i cittadini russi possono recarsi senza visto hanno avuto un’impennata inaudita di prenotazioni, talvolta fino ad esaurimento posti.
Ad ogni modo, tra i partecipanti alle proteste c’erano, naturalmente, anche ragazzi e uomini. Alcuni di loro, stando a notizie diffuse stamattina, hanno ricevuto la cartolina ufficiale per la coscrizione proprio al commissariato di polizia dove erano stati trattenuti. Il che alimenta i sospetti, ventilati anche dal politologo russo Aleksandr Baunov, che il governo possa decidere di inviare al fronte, a mo’ di punizione alternativa, i soggetti che si rivelino “scomodi”. Tanto più che il decreto firmato ieri dal presidente russo presenta svariati punti ambigui circa la selezione dei potenziali coscritti: il reclutamento coatto come meccanismo repressivo è quindi un’eventualità che al momento comincia veramente a spaventare.
E tra chi ora ragiona sul da farsi ci sono anche molti giovani russi del ceto medio che, dopo il 24 febbraio, si erano limitati a non commentare gli eventi tragici in corso, giustificandosi con un Leitmotiv della Russia putiniana (“Non me ne intendo di politica, non mi va di parlarne”), oppure, addirittura, si erano espressi tendenzialmente a favore dell’“operazione speciale”, argomentando la propria posizione con l’usuale discorso sulla difesa del Donbas russofono e russofilo dai “neonazisti” ucraini. Basta scorrere molti feed del social network russo VKontakte per rendersi conto di quanto simili opinioni fossero capillarmente diffuse all’inizio di quest’anno. Gli stessi feed, però, ieri erano eloquentemente vuoti: nessun repost di dichiarazioni propagandistiche, nessun elogio per la potente Russia che la NATO intenderebbe indebolire e distruggere. La sensazione che si percepisce ora è sintetizzabile con una parola: sbigottimento. Andare al fronte per davvero fa paura, c’è poco da fare.
Anche perché, come ha detto ieri il sociologo russo Grigorij Judin, in un regime putiniano più poliziesco che davvero totalitario, neanche in questi mesi si è riusciti a delineare una narrazione davvero vincente (e convincente) che possa far sentire il russo medio in una situazione di minaccia esistenziale e spingerlo a lottare in nome di un’idea forte e condivisa dalla collettività. Di fatto, ora pare che la questione sia combattere per la conservazione del potere putiniano. Che in ultima analisi ha meno sodali disposti al sacrificio di quanto sembri, complici anche la generale atomizazzione della società e uno spiccato individualismo che negli ultimi anni ha portato molti, in parole povere, a coltivare il proprio orticello a discapito del senso civico. Ed era come se, in una sorta di tacito patto, il governo si fosse impegnato a non varcare i confini di quell’orticello e i cittadini, da parte loro, a non insinuarsi nello spazio politico. Con la mobilitazione, però, questo patto è stato definitivamente infranto.
Non ci resta quindi che sperare che un’idea forte e condivisa arrivi non dalla vecchia guardia del Cremlino, ma dalla generazione nata tra gli anni ’90 e gli anni 2000 che “è lì e resiste”. E anche da chi fino ad ora è rimasto intorpidito dopo il breve shock di febbraio, ma adesso non può più fare finta di niente. Come ha scritto su Telegram il famoso rapper russo Noize MC, emigrato all’estero mesi fa e promotore della serie di concerti di beneficenza per i profughi ucraini “Voices of Peace”, “basta con l’indifferenza! Quanto sta accadendo riguarda ciascuno di noi. È il momento di svegliarsi ed agire”. A questo appello è seguita una sua nuova canzone, registrata insieme alla cantautrice pop Monetočka, il cui ritornello, fanta-utopico ma non troppo, non necessita di ulteriori commenti: “Ci addormenteremo tra i fumi dell’azoto / e ci rialzeremo giovani / di nuovo insieme. / Vedrai, vedrai, lo so, davvero: / ci sveglieranno con una nuova canzone / che ancora non conosciamo. / E, con le nostre mani fredde, / apriremo le porte delle criocamere… / Non sono bugie della televisione: / tutto questo è proprio reale. / Credimi, credimi…”.
Nel frattempo, è attesa per il pomeriggio di sabato 24 settembre una nuova ondata di manifestazioni pacifiste in tutta la Federazione Russa.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
FILA DI 5 KM E SETTE ORE PER PASSARE IL CONFINE
Non si ferma il flusso delle persone che tentano di lasciare la Russia per evitare una chiamata militare per la guerra in Ucraina. Si sono formate lunghe code ai valichi di frontiera con la Georgia da quando il presidente Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione militare parziale, che potrebbe vedere 300.000 persone obbligate ad arruolarsi. Il Cremlino si è affrettato a smentire e afferma che le notizie sulla fuga di uomini in età da combattimento “sono esagerate”.
Un cittadino che ha preferito restare anonimo ha detto a Rayhan Demytrie della Bbc di aver preso il passaporto e di essersi diretto al confine, senza fare le valigie, subito dopo l’annuncio del presidente Putin perché rientra nel gruppo che potrebbe essere potenzialmente inviato in guerra. “Mi spezzerò il braccio, la gamba… qualsiasi cosa pur di evitare la leva”, ha detto. Alcuni testimoni hanno riferito che la coda di auto al checkpoint di Upper Lars fosse lunga circa 5 km, mentre un altro gruppo ha affermato che ci sono volute sette ore per attraversare il confine. Il video pubblicato dalla Bbc mostra alcuni conducenti che lasciavano le loro auto o camion temporaneamente nel traffico.
La Georgia è uno dei pochi paesi vicini in cui i russi possono entrare senza dover richiedere un visto. La Finlandia, che condivide un confine di 1.300 km (800 miglia) con la Russia, richiede un visto per viaggiare e ha anche segnalato un aumento del traffico durante la notte, ma ha affermato che è a un livello gestibile. Altre destinazioni raggiungibili in aereo – come Istanbul, Belgrado o Dubai – hanno visto i prezzi dei biglietti salire alle stelle subito dopo l’annuncio della chiamata militare, con alcune destinazioni esaurite. I media turchi hanno riportato un forte aumento delle vendite di biglietti di sola andata, mentre i voli rimanenti verso destinazioni senza visto possono costare migliaia di euro. Il ministro degli interni tedesco ha segnalato che i russi in fuga dalla leva sarebbero stati i benvenuti nel suo Paese. Lituania, Lettonia, Estonia e Repubblica Ceca hanno usato invece un tono diverso, dicendo che non avrebbero offerto rifugio ai russi in fuga.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 23rd, 2022 Riccardo Fucile
SALVINI SI CITA ADDOSSO, LA DAMA BIANCA NON PARLA AGLI ELETTORI, PARLA AI NEMICI
Entrano insieme. Giorgia, la dama bianca, mentre Matteo tiene per mano Silvio, come un figlio, o piuttosto come una badante che lo accompagna al microfono. La fissità di Silvio è una maschera che non si modifica mai, mentre il sorriso mostra la sfilza dei denti bianchissimi. Il corpo del capo è quello d’una mummia che sembra aver sfidato le leggi della eternità. Lui è come la celebre cucina pubblicizzata dalla Cuccarini: il più amato degli italiani.
Matteo alza il dito pollice dell’ok. La camicia bianca e la giacca scura: niente più felpe o magliette con slogan. Si tratta di una serata di gala: si va al governo. Gli slogan li portano i ragazzi col cappello blu in testa e i cartelli della Lega. Salvini si cita addosso, si dà il voto da solo. Sfodera un linguaggio da Bar Sport, un discorso non da statista, ma da tribuno, da comizio: basso basso; non ha il lessico e gli argomenti per farlo, va a braccio e sbanda. Pure l’autismo cita. Saprà cos’è? Niente che abbia la forma di un ragionamento. Solo slogan e affermazioni apodittiche. L’idea è quella di prendere per mano l’Italia. «Io voglio governare l’Italia». La mano si agita nell’aria e il dito alzato rotea all’intorno. «Andiamo a vincere». E si applaude da solo.
Ecco ora Giorgia, la prima donna, la Eva della politica italiana. Balla e scuote la chioma bionda. La voce squillante. Ride. La piazza è tutta per lei: «Vi voglio bene», dice. Gli orecchini vistosi, al polso un bracciale tricolore. Lei è la donna della porta accanto. La trovi dal parrucchiere, al mercato e a prendere un caffè al bar. La sua voce suona forte, contiene dentro di sé un senso di rivalsa profondo. La sua voce tradisce qualcosa che va al di là della volontà di governare. C’è un senso di vendetta in quella voce. La dama bianca non è un fantasma, incarna una volontà di rivincita, qualcosa che viene da lontano. Anche lei si autocita. «Facciamo paura?», si domanda. La sua retorica è quella del risentimento e in qualche modo della rabbia. Non parla agli elettori, non parla al Paese, parla agli altri partiti, agli avversari. «Noi lo faremo comunque», dice della riforma presidenzialista. Parla ai nemici, li minaccia. Non fa nomi. Sono gli speculatori, i poteri occulti. L’attacco è a Letta e al Pd. Qualcosa nella sua voce tradisce tuttavia una insicurezza di fondo. Non fa proposte. Combatte l’ultima battaglia, che per lei è la prima. Ogni tanto la parola si inceppa, ma poi alza il tono di voce. Scandisce le parole, e di colpo abbassa il volume e diventa suadente, come se parlasse a contatto del nostro orecchio.
A differenza di Salvini, che è tutto sull’Io, lei usa il Noi. Noi Giorgia. Quello che deve fare lo Stato con gli italiani è «non rompergli le scatole». Siamo alla sezione missina della Garbatella. Non è una statista, forse è un leader, ma non è capace di convincere, non possiede il tocco magico del guru. Parla di cambio del paradigma, ma la frase inciampa subito dopo.
Diventerà pure una presidente di Consiglio, ma non ha la forza di superare la propria partigianeria. Sarà un governo della parte sul tutto. Lo dice la sua mimica, le mani, la voce, le argomentazioni. Non sarà un futuro sereno per nessuno, lo si capisce da quello che dice.
(da La Repubblica)
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