Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
GLI INVESTIGATORI HANNO SEQUESTRATO UNA DECINA DI CELLULARI PER CAPIRE SE SIANO STATI GIRATI VIDEO VENDUTI. GLI INDAGATI SALGONO A QUINDICI
La chiave di svolta nelle indagini sullo stupro di gruppo perpetrato
nel Parco Verde di Caivano, con due ragazzine di dieci e dodici anni vittime del branco, potrebbe arrivare dalle analisi tecniche della decina di cellulari sequestrati dai carabinieri. Nelle memorie di queste “scatole nere”, gli inquirenti cercano video, conversazioni in chat e lavorano all’ipotesi che uno dei filmatini sia stato venduto nel dark web, dove la richiesta di questo lurido materiale è enorme e può fruttare migliaia di euro.
Un passaggio fondamentale questo, visto che uno degli investigatori davanti a tanto scempio e crudeltà ha chiosato: «Quelli di Palermo (il riferimento è al branco responsabile dello stupro di una 19enne, ndr) rispetto a questi del Parco Verde sono stati meno aggressivi».
In particolare, l’attenzione degli inquirenti sarebbe concentrata sui telefonini di quei due minorenni, figli di capi piazze di spaccio, attive una nel Parco Verde, l’altra nel complesso di edilizia popolare Iacp di via Atellana noto come “‘o bronx”. Figli di personaggi di spicco della criminalità organizzata, ragazzi che appartengono alla cosiddetta “borghesia delle piazze di spaccio», pieni di soldi, abiti firmati, spocchia da camorristi.
Tutti sapevano e nessuno ha parlato. Tra i cellulari sequestrati, figurerebbe anche quello in uso alla mamma di una delle due ragazzine. Un atto finalizzato ad accertare eventuali responsabilità in tema di controllo genitoriale. E come era accaduto nove anni fa, quando fu uccisa Fortuna Loffredo, nel Parco Verde è scattato il coprifuoco per i bambini, ancora una volta i più penalizzati, ora costretti a stare in casa per la psicosi degli orchi, i cui nomi erano noti in tutto il quartiere.
I telefoni cellulari sequestrati per ordine della procura. Potrebbe essere lì la chiave dell’indagine sullo stupro ripetuto ai danni delle due cuginette di 11 e 12 anni a Caivano, in provincia di Napoli. Si tratterebbe di una decina in tutto. L’obiettivo è capire se in quei telefoni e nelle chat di messaggistica istantanea ci siano tracce di video girati nel momento delle violenze, filmati che potrebbero essere stati prodotti proprio durante le violenze.
I telefoni — ormai vere e proprie scatole nere dell’esistenza — potrebbero celare quei tasselli che mancano all’indagine partita dalla denuncia delle due cuginette, poco più che bambine. Denuncia che è nata dopo che il fratello 17enne di una di loro ha ricevuto un messaggio tramite i social in cui veniva sollecitato a fare attenzione alla sorella. Da lì l’allarme lanciato ai genitori, la denuncia e un effetto valanga che ha portato il Tribunale dei minori a trasferire le due bambine in una casa famiglia per preservare la loro incolumità. Se fossero rimaste lì avrebbero forse rischiato ritorsioni da parte dei coetanei accusati di aver abusato di loro.
Secondo la ricostruzione, le due ragazzine venivano avvicinate appena scendevano di casa. Poche parole di circostanza spiccicate in dialetto: «Andiamo a farci un giro»; quello era il momento in cui le due cuginette capivano che sarebbero nuovamente finite in quell’autorimessa abbandonata, nei pressi della piscina abbandonata, in cui la loro infanzia era finita.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
“RICEVIAMO DECINE DI TELEFONATE OGNI GIORNO. MOLTI VOGLIONO RESTARE ANCHE UNA SOLA NOTTE O VENIRE A FARE IL BAGNO DOVE LO HA FATTO LA PREMIER”
«Giorgia? Viene qui da quattro anni e non è cambiata da quando è diventata premier. Neppure Lollobrigida. Se ne va sempre in giro dai contadini a fare la spesa…». I doppi cancelli di masseria Beneficio riaprono dopo due settimane da residenza estiva della Meloni’s family.
Quattro stelle, sei camere, sette bagni, otto o nove ospiti, una piscina e la cucina da cui la premier e il ministro dell’Agricoltura hanno lanciato l’ascesa del granchio blu made in Italy a tutela dell’italianissima vongola. A far da contorno pietra bianca, tanta privacy e diversi ettari di ulivi.
Quasi una prigione dorata per Meloni però che, racconta dispiaciuto chi lavora nella struttura, «non ha praticamente mai potuto lasciare la masseria». Al punto che il mini-break albanese dall’amico Edi Rama sembra assume quasi i contorni di una fuga liberatoria. «Il drone però non l’abbiamo visto» raccontano.
Né, a dispetto degli anni precedenti e alle aspettative di imprenditori e ras locali, si è vista la mega-festa di fine vacanze che da queste parti era considerata ormai una tradizione. «Questione di opportunità».
Ciò che non è mancato è il cibo. Locale (con un Lollobrigida raccontato alle prese con decine di cassette di frutta e verdura, oltre che mozzarelle e burrate) e, a volte, cucinato. Come i panzerotti caldi preparati da un cuoco del posto. O i dolci – torte alla frutta soprattutto – fatti arrivare appositamente.
Il gruppo, del resto, è affiatato e resta sempre lo stesso. Il compagno Andrea Giambruno con la piccola Ginevra, la sorella Arianna con Lollobrigida e il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, assieme alla moglie Laura e alle loro due figlie.
Unico (o quasi) ospite occasionale accolto il vicepremier Matteo Salvini. Qui attorno al tavolone in marmo rosso sotto una pergola di vite, fulcro dell’enorme cortile, è nato il tentativo di “patto della masseria” contro la concorrenza sleale d’autunno.
Dettaglio non da poco per chi ha dovuto in qualche modo gestire il climax degli sbarchi, gli albori dell’affaire Vannacci e i primi scambi sulla Manovra. Certo, il tutto a bordo di una piscina con tanto di palma svettante che ha stuzzicato molti. «Riceviamo decine di telefonate ogni giorno. C’è tanta curiosità. Molti vogliono restare anche una sola notte o venire a fare il bagno dove lo ha fatto la premier» spiegano, precisando però come finiscano tutti respinti perché la struttura viene prenotata solo settimanalmente e solo per intero.
«In maniera quasi esclusiva a turisti americani». Ma anche a qualche italiano in tutta evidenza. Con metà governo schierato proprio a Ceglie Messapica per “La Piazza” di Affariitaliani.it, i tre trulli comunicanti che hanno ospitato Giorgia e Giambruno ora hanno infatti già un’altra prenotazione. A nome di chi? Ironia della sorte Licia Ronzulli.
(da il Messaggero)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
PARTENZE A RAFFICA DALLA TUNISIA: ALTRO CHE ACCORDI PER LIMITARE GLI ARRIVI, VI SIETE FATTI PRENDERE PER IL CULO… INVECE CHE DIMETTERSI PER LA VERGOGNA FANNO LA GUERRA ALLE ONG
Quasi tutti partono dalle coste tunisine. Il memorandum cui
Giorgia Meloni ha lavorato a lungo con l’obiettivo di impegnare il presidente tunisino Kais Saied ad arginare le partenze dei migranti diretti in Italia non ha effetti pratici di alcun tipo.
Oltre 400 persone sbarcate a Lampedusa dalla mezzanotte all’alba di oggi, 1.826 in 63 sbarchi ieri, tra soccorsi in mare e diversi arrivi autonomi. Sono numeri record quelli di queste ore, mai registrati in precedenza.
Molti viaggiano su fragili barchini in ferro. All’hotspot di contrada Imbriacola ci sono, adesso, 4.121 persone presenti (tra cui centinaia di minori non accompagnati) e a causa della finestra di meteo favorevole con mare calmo che durerà ancora qualche giorno, si prevedono sbarchi, fra oggi e domani, per almeno altri duemila migranti. La Prefettura di Agrigento ha già disposto l’imbarco di 740 migranti sul traghetto di linea Galaxy che giungerà in serata a Porto Empedocle. Non solo soccorsi in mare. Ci sono anche arrivi direttamente sulla terraferma: 6 i gruppi che sono stati ritrovati e bloccati dai militari della tenenza della guardia di finanza e carabinieri. Una motovedetta della Capitaneria è intervenuta nei pressi della scogliera di Cala Galera dove c’erano 47 persone, avevano lasciato alla deriva il natante.
Ocean Viking verso Genova (nonostante il meteo in peggioramento)
Alla nave ong Ocean Viking, che ha a bordo centinaia persone soccorse in più operazioni, il Viminale ha assegnato il porto di sbarco di Genova, dall’altra parte d’Italia. Una piccola parte di migranti sarà sbarcata a Vibo. Poi il lungo viaggio verso nord. Ma c’è allerta meteo domenica lungo la costa tirrenica, come evidenziato per primo da Sergio Scandura di Radio Radicale. Perturbazione che Ocean Viking rischia di centrare “in pieno”. Una di quelle che le organizzazioni umanitarie hanno definito “rotte vessatorie”, accusando il governo italiano di voler tenere lontane le navi ong dalla rotta del Mediterraneo centrale, nonostante da settimane sia stata la Guardia costiera stessa a chiedere il supporto e a organizzare i soccorsi di varie imbarcazioni “civili”. Un cortocircuito ormai evidente. Sono le leggi internazionali a prevedere che i naufraghi vadano assicurati nel “luogo sicuro” più vicino. Tocca ribadirlo. Non porto ma “luogo” di garanzie per diritti e convenzioni. Tradotto: in questi casi, dovrebbero essere le coste siciliane o calabresi.
Secondo il diritto internazionale, un luogo sicuro per sbarcare dovrebbe essere assegnato “con la minima deviazione dal viaggio della nave” e dovrebbe essere fatto ogni sforzo “per ridurre al minimo il tempo delle persone soccorse a bordo della nave che presta assistenza”, vale a dire il prima possibile.
Le ong non decidono di “portare” ma decidono di “salvare” persone in mare in fuga dagli “orrori inimmaginabili della Libia” (definizione dell’Onu).
Salvarli è un dovere oltre che un obbligo, lo dimostra il fatto che la stragrande maggioranza dei salvataggi viene effettuata dalla guardia costiera italiana nel Mar Ionio e al largo di Lampedusa. Il ministro dell’Interno Piantedosi ritiene probabilmente che la nave umanitaria stessa sia un Place of Safety (POS, porto sicuro). Ma sembra una posizione fragile, perché per le convenzioni internazionali, POS è il luogo a terra più agevole da raggiungere ove si conclude il soccorso e lo sbarco va assicurato al più presto dallo Stato di quel luogo. Il tema è evidentemente politico.
I costi dei soccorsi sono giganteschi anche per navi come Geo Barents e la Ocean Viking, che sono espressione di Ong strutturate come Medici senza frontiere e Sos Mediterranée. I costi stellari del carburante necessario per coprire tratte così lunghe hanno di fatto già costretto molte navi di organizzazioni con meno fondi a fermarsi. La nave Aurora della ong Sea Watch, che nei giorni scorsi anziché dirigersi a Trapani che era stato indicato come porto sicuro ha attraccato a Lampedusa dove ha fatto sbarcare 72 migranti, è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni.
Il decreto varato dall’esecutivo Meloni delinea un vero proprio “codice di condotta” per le navi ong: stop al trasbordo dei naufraghi (cioè quando una nave più piccola compie un soccorso e poi trasferisce su una nave più grande i naufraghi per continuare a operare altri soccorsi) e ostacoli, nei fatti, ai soccorsi multipli (a meno che non siano richiesti dalle autorità della zona Sar). C’è l’obbligo di chiedere il porto di sbarco all’Italia immediatamente dopo aver effettuato il primo salvataggio.
La collaborazione fra stato e ong di fatto è però indispensabile
La collaborazione fra stato e ong di fatto è però indispensabile per soccorrere barchini alla deriva in mare, ma viene sottaciuta e praticamente non commentata dalla maggioranza, in evidente imbarazzo sul tema. In un caso qualche tempo fa la Guardia costiera di Lampedusa ha finito il carburante per le sue motovedette e la Capitaneria di porto ha dovuto derogare al decreto Piantedosi, chiedendo alle navi della flotta umanitaria di aiutarla compiendo più salvataggi. Ricette facili per affrontare un fenomeno epocale come quello migratorio non esistono, e questi mesi estivi lo stanno mettendo in chiaro per l’ennesima volta.
“Quasi 10 ore di operazioni senza sosta – fanno sapere da Ocean Viking, nave di Sos Mediteranee – il team della Ocean Viking ha assistito diverse imbarcazioni e ha evacuato i sopravvissuti in coordinamento con la Guardia Costiera italiana tra Lampedusa e la Tunisia fin dalle prime ore del mattino”. La nave è “attualmente in navigazione verso Genova, il porto lontano assegnato dalle autorità italiane per lo sbarco dei superstiti”. Intanto sulla rotta Tunisia-Lampedusa i barchini continuano a viaggiare. E le condizioni meteo nei prossimi giorni peggioreranno.
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
SI INIZIA CON LA GRECIA, OBIETTIVO LASCIARSI ALLE SPALLE I PROBLEMI ITALIANI
Si parte, dunque. O meglio, si riparte. Obiettivo: lasciarsi alle spalle i problemi italiani. Appena rientrata dalle due settimane di puro relax nella masseria di Ceglie Messapica, la premier Giorgia Meloni ha di nuovo la valigia in mano. Martedì si cena in Grecia, per un bilaterale con il presidente ellenico Kyriakos Mitsotakis. Il primo della lunga serie di incontri che vedrà, a settembre e a ottobre, la presidente del Consiglio più all’estero che a palazzo Chigi.
Non tutte missioni indifferibili, va detto. Ma d’altro canto l’autunno a Roma sarà difficile, “impegnativo”, per usare le sue parole. Una legge di Bilancio con pochi margini di manovra (non ci sono soldi), il malcontento sociale cresciuto a colpi di caro-inflazione, taglio del Reddito di cittadinanza e nessuna risposta sul salario minimo, ma anche alleati pronti a entrare in modalità “campagna elettorale” per le Europee di giugno. Tutte faccende che impensieriscono non poco la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che presto dovrà confrontarsi con nuovi sondaggi. Meglio girare alla larga, quindi. E regalare all’opinione pubblica un’immagine di governo che vola alto, impegnato in tavoli internazionali anziché nelle beghe di cortile. Tanto più che, all’estero, il cerimoniale impedisce anche troppe intrusioni di domande.
Si inizia con la Grecia, quindi. Meloni ha bisogno di legare con il governo di Atene sia perché Mitsotakis può rappresentare, negli equilibri europei, il ponte tra Conservatori e Popolari sia perché Italia e Grecia hanno in comune molte battaglie da combattere contro i Paesi del Nord: dalla riforma del Patto di Stabilità (i vincoli pre-Covid torneranno in vigore nel 2024 e l’Italia dovrà ulteriormente stringere la cinghia) alle politiche migratorie nel Mediterraneo.
Una settimana dopo, nel weekend del 9-10 settembre, la premier dovrà volare a New Dehli, in India, dove si terrà il diciottesimo G20 presieduto dal primo ministro Narendra Modi. Nell’agenda del vertice internazionale – a cui parteciperanno tra gli altri anche il presidente americano Joe Biden e il primo ministro britannico Rishi Sunak – ci sarà il cambiamento climatico, la trasformazione digitale e il ruolo delle donne. Dieci giorni più tardi, invece, Meloni avrà un’altra trasferta oltreoceano: lei e il ministro degli Esteri Antonio Tajani saranno a New York per partecipare alla 78esima Assemblea Generale dell’Onu e che vedrà la delegazione italiana impegnata almeno dal 20 al 23 settembre.
Il 6 ottobre invece la premier sarà a Granada, in Spagna, per il vertice informale dei capi di Stato e di governo che anticiperà il Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre a Bruxelles a cui Meloni dovrà prendere parte e provare, in quella sede, a imporre la propria visione su politiche migratorie e Patto di Stabilità. Difficile che ci riesca vista la ritrosia dei Paesi “frugali” e vista la frenata economica della Germania. Nel mezzo sono previste altre due missioni, ancora da definire sul calendario. Una in Albania per incontrare – stavolta ufficialmente e non più come durante le vacanze – il premier Edi Rama. L’altra in Israele, per ricambiare la visita del primo ministro Benjamin Netanyahu che a marzo era stato a Roma e l’aveva invitata a Tel Aviv in autunno. Prima della fine dell’anno, quasi sicuramente a novembre, nel pieno della discussione parlamentare sulla legge di Bilancio, la premier volerà anche a Pechino per una missione complessa e strategica: comunicare alla Cina l’uscita dalla Via della Seta. Meloni sarà anticipata questa settimana da Tajani. Al suo ritorno, la premier dovrà occuparsi dei problemi di casa nostra a partire da una legge di Bilancio che si annuncia complicata. L’occasione per rilanciare il partito arriverà in dicembre con la festa di Atreju, grande appuntamento per lanciare la campagna elettorale delle Europee 2024
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
PER I RINNOVI SERVONO OTTO MILIARDI
Otto miliardi difficili se non impossibili da trovare, una grande
incognita sulla manovra, che lunedì inizia il suo percorso.
Risorse indispensabili per i rinnovi di tutti i contratti della Pubblica Amministrazione, che a questo punto sono a rischio. Risorse che, secondo i sindacati, sarebbero comunque insufficienti. «Un’indicazione realistica», come ha avuto invece modo di dichiarare il ministro della Pa Paolo Zangrillo, che la prossima settimana vedrà il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Vuole capire su quali risorse potrà contare, nella prossima legge di Bilancio, per avviare la “nuova” tornata di rinnovi 2022-2024. Senza avere la pretesa di recuperare tutta l’inflazione perché costerebbe quanto una manovra intera, sempre parole del ministro.
Per mettere insieme le risorse della tornata precedente (2019-2021) ci sono volute quattro leggi di Bilancio, ed è ancora da completare: «Ci rimane la dirigenza – spiega il presidente dell’Aran (l’agenzia che si occupa della contrattazione pubblica) Antonio Naddeo – Per la dirigenza medica siamo in dirittura d’arrivo, ci vediamo il 5 settembre. Per i comparti istruzione e ricerca ed enti locali attendiamo ancora l’atto d’indirizzo dei rispettivi ministeri».
A rendere più difficile la partita dei nuovi rinnovi il fatto che l’anno scorso non siano state stanziate risorse, perché si è data priorità ai ristori a famiglie e imprese. I dipendenti pubblici si sono dovuti accontentare di una modesta indennità, costata un miliardo e mezzo, e comunque da rifinanziare. Se neanche quest’anno il governo trovasse risorse sufficienti, – e sembrano essercene tutte le premesse visto che al Meeting di Rimini Giorgetti ha messo le mani avanti, affermando che «non si potrà fare tutto» – i sindacati non lo accetteranno. «Non facciamo stime – dice la segretaria generale della Fp Cgil Serena Sorrentino – Diciamo che con un’inflazione a lungo a due cifre il governo non può pensare di non rinnovare i contratti (dentro ci sono quelli di sanità ed enti locali che in questa fase sono particolarmente sotto pressione visto l’aumento del disagio sociale) o di appostare cifre irrisorie».
Il rinnovo dei contratti non è l’unica urgenza della Pa. I concorsi non hanno ancora avuto l’impulso annunciato e gli uffici continuano a svuotarsi per i pensionamenti. «Anche se a fine anno si arrivasse alle 170 mila assunzioni annunciate dal ministro, non si coprirebbe neanche il turnover». dice Sorrentino. Una soluzione parziale potrebbe essere l’assorbimento dei 40 mila idonei delle graduatorie “uniche”, valide per diverse amministrazioni. Oltre ai sindacati, a chiederlo sono anche gli interessati, in particolare i 15 mila funzionari del concorso bandito con la riapertura delle procedure nel 2020, a rischio di decadenza perché la graduatoria scadrà il prossimo febbraio. Di loro, a guardare i numeri dei sindacati, ci sarebbe un gran bisogno. Ma le amministrazioni fanno fatica a programmare il fabbisogno, le procedure non aiutano: rischiano che non li chiami nessuno, e che si debba ricominciare daccapo, con un nuovo concorso .
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
RECORD: IN 6 MESI 26 VIAGGI PER UNA MEDIA DI 12.000 EURO: PESANO PASTI E ALBERGHI… SUPERA DRAGHI, RENZI, GENTILONI E CONTE
Nei primi sei mesi di governo, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha speso più dei suoi ultimi predecessori in missioni e viaggi istituzionali in Italia e all’estero. A certificarlo sono i report sugli “Importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici”, resi noti dalla Presidenza del Consiglio fino al mese di aprile, gli ultimi dati disponibili. La leader di Fratelli d’Italia è la premier che negli ultimi anni ha speso mediamente di più per ogni missione nei primi sei mesi di governo: più degli esecutivi di Draghi, Conte-2, Renzi e Gentiloni. Il record riguarda soprattutto le spese legate a pernottamenti e pasti. Buona parte di questi costi sono spesso necessari (a partire dall’utilizzo del volo di Stato) e, in molti casi, obbligatori perché per i movimenti istituzionali della premier devono essere garantite tutte le norme di sicurezza necessarie. A far variare i costi è soprattutto la delegazione istituzionale: Meloni si fa notare per le delegazioni più corpose, con un record di quelli esterni al suo team di Palazzo Chigi.
Le spese sono formate da tre componenti: il costo del trasferimento (aerei, automobili, treni), il pernottamento e i pasti, infine l’indennità di missione. La voce che pesa di più nei viaggi è quella legata a vitto e alloggio e su questo Meloni segna un record rispetto agli altri premier: dei circa 302 mila euro spesi per le sue 26 missioni, circa 194 mila riguardano pernottamento e pasti (pari al 64% della spesa totale). Poco più bassa la percentuale del Conte-2 con 254 mila euro su 410 mila (62%), cifra più alta in valore assoluto ma più bassa in rapporto al numero di missioni (56, il doppio di Meloni). Draghi è al 59% con 50 mila su 86, mentre scendono le spese per vitto e alloggio nei governi Conte-1 (40%), Renzi (39,2%) e Gentiloni (31%).
Il costo medio delle missioni di Meloni è pari a 11 mila 600 euro. Il suo predecessore Draghi, nello stesso periodo, aveva speso 85 mila euro per 11 missioni con una media di 7 mila e 800 euro a viaggio, mentre nei primi sei mesi del governo giallorosso, Giuseppe Conte aveva speso 410 mila euro, però per il doppio delle missioni (56) con una media di 7 mila e 300 euro l’una.
Più bassi invece i costi dei governi Gentiloni e Renzi che, in media, si concentrarono poco sulle missioni internazionali nei primi 180 giorni di governo e più su quelle italiane (dunque meno costose): l’attuale commissario europeo a Palazzo Chigi aveva fatto 34 viaggi per un costo di 196 mila euro (mediamente 5 mila 700 euro), mentre il senatore di Firenze ne aveva fatti 57, per un costo totale di 140 mila euro, 3 mila di media.
L’unica eccezione è quella del governo Conte-1 che nello stesso periodo di tempo ha speso 318 mila euro, con una media di 12 mila a missione. I due casi però sono difficilmente paragonabili: nei primi sei mesi, il premier gialloverde partecipò a un G7 in Canada, fece due visite negli Usa, tre Consigli europei, un viaggio a Mosca, due visite in Africa e una in India.
Il costo delle missioni del Conte-1 si era notevolmente alzato a metà novembre, superando i 700 mila euro: un’impennata dovuta alla conferenza internazionale sulla Libia che si tenne a Palermo e che portò a ospitare 4 delegazioni libiche.
Per quanto riguarda i viaggi “costosi”, nel primo semestre di governo, Meloni ha partecipato alla Cop27 in Egitto, al G20 in Indonesia e a una missione unica tra India ed Emirati. La spesa media, in sintesi, è quasi uguale, ma il “primo” Conte è andato in posti più lontani e con missioni più prolungate.
A pesare sul costo dei viaggi sono soprattutto le delegazioni che in questi mesi hanno accompagnato la premier. La media delle persone che Meloni ha portato con sé è la più alta, escludendo Draghi: 478 persone per 26 viaggi con una media di 19 persone a missione. Più bassa la media del Conte-2 e di Gentiloni (si fermano a 17 persone per missione) mentre il Conte-1 toccò quota 19, come la premier. Draghi invece arriva a 21 persone, ma c’è un motivo che lo rende poco paragonabile agli altri premier: l’ex banchiere centrale ha svolto solo 11 missioni, concentrate tra maggio, giugno e luglio del 2021. Questo perché l’inizio del suo governo fu durante la pandemia Covid-19 e i viaggi furono ridotti all’osso. Quella delle delegazioni esterne alla Presidenza del Consiglio è un’anomalia meloniana: nelle sue 26 trasferte, sono state ben 30 le persone arrivate “da fuori”. Il quintuplo di quelle di Conte, mentre era stata una soltanto per Draghi e zero per Gentiloni e Renzi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
PRIGOZHIN DA SEMPRE OSSESSIONATO DALLA SICUREZZA: PRETENDEVA CHE VI FOSSERO DEI PARACADUTE, CUSTODIVA LE ARMI DELLA SCORTA IN BUSTE SIGILLATE, CAMBIAVA ALL’IMPROVVISO ORARI E DESTINAZIONE DEI SUOI SPOSTAMENTI
Troppi estranei attorno al jet di Prigozhin nei giorni precedenti al
disastro. Da qui i sospetti di una mano assassina, in grado di preparare la trappola.
Il primo intervento, noto, risale forse a luglio. L’Embraer — secondo il Moskovsky Komsomolets — è parcheggiato a Sheremetyevo, sosta per consentire agli elettricisti di riparare il frigo di bordo.
Non funzionava bene, serviva agli ospiti. Il capo della Wagner lo voleva riempito di succhi di frutta di produzione nazionale, controllati personalmente, così come aveva vietato l’alcol.
Poi il secondo episodio, alla vigilia dell’ultimo volo. Il pilota Rustan Karimov porta a bordo un uomo e una donna, sono interessati all’acquisto del velivolo e restano nell’abitacolo per circa un’ora. Prigozhin pretendeva che vi fossero dei paracadute, custodiva le armi della scorta in buste sigillate, cambiava all’improvviso orari e destinazione dei suoi spostamenti. Solo che negli ultimi tempi le autorità gli avrebbero posto dei limiti, non poteva fare ciò che voleva.
Le indiscrezioni — tutte da confermare — accreditano la tesi del sabotaggio con il ricorso ad una bomba. [.
Mosca ha precisato che serve tempo per l’esame del Dna, per le verifiche sui rottami — sempre che li abbiano conservati come si deve —, per l’analisi delle scatole nere. Gli inquirenti possono riscontrare tracce di esplosivo, le registrazioni, fornire parametri fondamentali su eventuali avarie o fattori esterni, i medici legali stabilire le identità dei dieci corpi. A patto che ci sia la volontà di farlo.
Al centro resta la domanda principale: Prigozhin era davvero sul jet? I dubbi sono diminuiti ma non scomparsi, persino il presidente Joe Biden ha mantenuto una posizione prudente. Al tempo stesso sono continuate le spiegazioni sul perché il Cremlino sarebbe il presunto mandante. Punire il traditore, dare un segnale, eliminare un personaggio ingombrante.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
POCO PRIMA DELL’INCIDENTE IL CAPO DELLA WAGNER DICEVA: “IO NON MENTO, PERCIO’ MEGLIO PER LORO UCCIDERMI, LA RUSSIA E’ SULL’ORLO DEL DISASTRO”
È stato sabotato l’aereo precipitato lo scorso 23 agosto su cui viaggiava Yevgeny Prigozhin insieme ad altri membri della sua organizzazione? E il fondatore stesso del gruppo Wagner era presente sul velivolo?
Sono tante le domande senza risposta. La tesi più accreditata, al momento, è quella del sabotaggio con una bomba a bordo nascosta nella cambusa e fatta deflagrare durante il volo, ma sarà l’inchiesta – se condotta con tutti gli elementi a disposizione, in particolare le scatole nere – a chiarire quanto accaduto.
In qualsiasi caso, dopo l’incidente sono emerse diverse anomalie nei giorni precedenti all’esplosione.
Come riporta il Moskovsky Komsomolets il velivolo ha fatto sosta a Sheremetyevo per riparare il frigo-bar a bordo e il freno del carrello del jet executive RA02795.
E pochi giorni prima dell’ultimo volo, il pilota Rustan Karimov avrebbe fatto salire a bordo del velivolo per circa un’ora un uomo e una donna, apparentemente interessati all’acquisto dell’elicottero, in vendita per 5 milioni di dollari.
C’è poi la figura di Sergey Kitrash, ingegnere della Mnt Aero, società proprietaria del velivolo: l’uomo sarebbe stato presente in tutte le occasioni in cui il velivolo è stato riparato. Sospetti aleggiano anche sul responsabile della sicurezza del velivolo e vicedirettore dell’Anm, Sergei Shtyrkov, a cui sarebbe stato promesso un ruolo più alto nella compagnia di aviazione statale russa Atm.
I comportamenti anomali di Prigozhin e la lite con Putin
A ciò si aggiungono i comportamenti più recenti di Prigozhin: il capo dei mercenari sempre più spesso cambiava all’improvviso orari e destinazioni dei suoi spostamenti (sempre più limitate da Mosca) e voleva essere certo che sul velivolo fossero presenti paracadute e armi nascoste.
Malgrado la smentita ufficiale, il Cremlino viene ritenuto il più probabile mandante. Secondo gli analisti la morte di Prigozhin sarebbe stato un “messaggio” che il Cremlino avrebbe voluto mandare ad altri potenziali ribelli, ma anche per ristabilire l’immagine del proprio potere e della propria autorità.
Secondo quanto riportato da Meduza, subito dopo il tentativo di assaltare il Cremlino, bloccatosi improvvisamente, tra Putin e Prigozhin ci sarebbe stato un incontro di tre ore in cui il presidente russo avrebbe inveito contro il capo dei mercenari, come già emerso da alcune indiscrezioni apparse sui media francesi lo scorso luglio. E anche lo stesso Prigozhin sembra aver mostrato sempre più diffidenza verso il Cremlino.
In un video apparso nelle ultime sul canale Telegram, Prigozhin diceva: «Siamo a un punto di ebollizione. Io non mento, perciò meglio per loro uccidermi. Onestamente dico che la Russia è sull’orlo del disastro. Se i bulloni non vengono subito aggiustati, l’aereo si sgretolerà in aria».
(da Open)
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Agosto 27th, 2023 Riccardo Fucile
I GESTORI DEL LOCALE HANNO CHIESTO SCUSA: “SIAMO DISPIACIUTI, È STATA UNA LEGGEREZZA. I CARTELLI SONO STATI PORTATI DA UNA SOCIETÀ ESTERNA”
Una serata estiva in discoteca, al Blanco Beach Bar di Firenze, tra
drink, balli e membri dello staff vestiti come piloti di aereo. L’evento, che per l’estate si è svolto ogni venerdì, comprendeva anche dei gadget (forniti da una società esterna): cartelli colorati con sopra diverse frasi. Una di queste ha scatenato polemiche sui social. “O me la dai, o me la prendo” si leggeva.
In Rete è rimbalzata su diversi gruppi: “È sessismo” e anche “E’ un messaggio violento”. Un altro cartello riportava la scritta “Check-in” con una freccia indirizzata verso il basso ventre. “In un sistema in cui violenze, molestie e sopraffazioni sono all’ordine del giorno, il Blanco ci offre l’esempio concreto di quanto una cultura basata sul possesso e sulla deumanizzazione dei corpi sia egemonica” si legge in un post pubblicato dal collettivo Panche Network.
“I gadget riprendevano dei celebri meme. ‘O me la dai o me la prendo’ è una battuta che ha fatto il giro dei social, pronunciata da Lello di Bari circa due anni fa in un video che su YouTube ha 1,6 milioni di visualizzazioni e che ha attirato l’attenzione del web con reinterpretazioni e addirittura dei remix” si legge in un comunicato della discoteca.
Una frase però decontestualizzata dalla sua versione originale. In estate, a distanza di due anni, nel locale sembra essere tornata in voga. I vertici della discoteca intervengono e si dicono dispiaciuti. Si legge sempre nella nota: “Le serate Aerofun non sono più parte della programmazione del Blanco dalla fine di luglio. La direzione è fortemente dispiaciuta per essere caduta nella leggerezza di permettere questo tipo di contenuto all’interno del proprio club”
(da agenzie)
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