Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
LO SLOGAN DELLA LISTA: “MENO EUROPA, PIU’ SOVRANITA’, PIU’ AUTONOMIA, PIU’ ITALIA”…. DENTRO CI SONO 17 LISTE, DI TUTTO E DI PIU’
Tra i nomi che fanno parte della lista “Libertà” fondata (ma è una
delle tante che concorreranno alle Elezioni Europee) da Cateno De Luca c’è, dunque, anche quello di Sergio De Caprio, detto Capitano Ultimo, il generale noto per l’arresto di Totò Riina che fino ad oggi aveva sempre tenuto il volto celato.
Nel corso dell’ultima conferenza stampa all’hotel Nazionale, a Roma, presentando la lista “Libertà” per le europee De Luca aveva presentato i candidati spiegando che «con la nostra lista “Libertà” che sarà protagonista alle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno stiamo facendo un’operazione trasparenza senza precedenti. A differenza di tutti gli altri partiti che si presenteranno alle europee con liste-maschere, per nascondere i propri alleati (vedi Totò Renzi), noi stiamo dando pari dignità a tutti i movimenti politici che hanno scelto di metterci la faccia. Questa si chiama democrazia!».
Prima della presentazione della lista Libertà a cui ha aderito De Caprio, altre quattro nuove forze erano state presentate e ufficializzate: “Il Popolo della Famiglia” con Mario Adinolfi, “Progresso Sostenibile” con Giulia Moi, “Sovranità” con Marco Mori, “Fronte Verde” con Vincenzo Galizia.
«Oggi – ha spiegato De Luca – apriamo ufficialmente la nostra campagna elettorale». Il prossimo appuntamento sarà il 6 aprile alle 11 al teatro Quirino di Roma. «Oggi apriremo ufficialmente la nostra campagna elettorale – afferma De Luca – e non escludiamo colpi di scena! Meno Europa, più Sovranità, più autonomia, più Italia. Siamo gli unici a poterlo dire, visto che gli altri partiti che saranno presenti alle europee hanno mostrato di essere schiavi di questa Europa». Colpo di scena arrivato, con la presentazione del Capitano Ultimo, l’uomo che 31 anni fa arrestà il capo di Cosa Nostra.
(da La Stampa)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
VIA IL PASSAMONTAGNA AL TEATRO QUIRINO ALL’EVENTO ELETTORALE: “ATTO D’AMORE”
«Dopo 31 anni scopro il volto». Capitano Ultimo per la prima volta dopo anni, ha scoperto oggi il suo volto al teatro Quirino di Roma per affrontare la campagna elettorale senza maschere come candidato di “Libertà”, la lista creata da Cateno De Luca.
Sergio De Caprio, detto Capitano Ultimo, il generale noto per l’arresto di Totò Riina, non si era infatti mai tolto il passamontagna dal gennaio 1993. «Scopro il volto per le elezioni come “atto d’amore. Così feci il mio lavoro da Carabiniere, così affronterò questa campagna», ha detto.
Chi è Capitano Ultimo, l’uomo che arrestò Totò Riina
Capitano Ultimo è il carabiniere che nel 1993 ha messo le manette ai polsi del boss di Cosa Nostra, Totò Riina. Si chiama Sergio De Caprio, è nato a Montevarchi, in provincia di Arezzo, nel 1961. Ex allievo della “Nunziatella”, dopo la formazione nella Scuola Ufficiali di Roma chiede di essere trasferito in Sicilia, dove presta servizio per due anni come Comandante della Compagnia di Bagheria. Qui nel 1985 arresta i latitanti Vincenzo Puccio e Antonino Gargano, braccio destro di Bernardo Provenzano. Dopo i risultati ottenuti in Sicilia nella lotta alla mafia, viene trasferito a Milano, dove diventa capitano del Ros (Raggruppamento operativo speciale). A Milano fonda il Crimor: un’Unità Militare Combattente operativa a Palermo dal settembre 1992 e sciolta nel 1997. Ed è con la struttura da lui creata che arresta il boss mafioso Totò Riina. L’eclatante operazione del 1993 tuttavia porterà all’accusa per il Capitano Ultimo di favoreggiamento a Cosa Nostra insieme al generale Mario Mori, uno dei fondatori del Ros.
I due furono rinviati a giudizio su richiesta dell’allora sostituto procuratore di Palermo, Antonio Ingroia, per aver omesso di informare la Procura che il servizio di osservazione alla casa di Riina era stato sospeso, causando così, secondo l’accusa, un ritardo nella perquisizione del covo del boss. Nel 2006, Ultimo e Mori sono stati prosciolti “perché il fatto non costituisce reato”.
De Caprio resta nel Ros fino al 2000, viene trasferito per sua volontà al Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (Noe) di Roma, e assume il ruolo di vice comandante. Sotto il suo comando, viene arrestato il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi e l’ex presidente della Regione Lazio Bruno Landi. Diventa vice comandante del Noe segue il caso della Cpl Concordia. Infine passa all’Aise, il servizio segreto per l’estero dove nel 2016 dirige l’ufficio affari interni.
Nel 2017 viene restituito all’Arma perché, dopo il caso Consip «è venuto meno il rapporto di fiducia». Nel 2015 fonda una associazione, la “Volontari Capitano Ultimo Onlus” e 2018 ha rinunciato all’onorificenza di Cavaliere della Repubblica ricevuta il 2 giugno 2017.
(da agenzie)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
E’ QUELLO CHE E’ EMERSO DAL ‘REGISTRO NERO’ RINVENUTO IN UNO DEGLI OPIFICI CHE PRODUCEVANO ABBIGLIAMENTO E ACCESSORI PER IL COLOSSO DELLA MODA, DOPO CHE LA “GIORGIO ARMANI OPERATIONS” E’ STATA MESSA IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA DAL TRIBUNALE DI MILANO PER CAPORALATO
“Quel che emerge è che alla Giorgio Armani Operations (GA) Spa
vi è una cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale. Una cultura radicata all’interno della struttura che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti”. E ancora: “Una prassi così collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”.
Questi i passaggi decisivi con i quali la Procura di Milano ha ottenuto dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale l’amministrazione giudiziaria per un anno del braccio industriale del gruppo Giorgio Armani con un capitale sociale di 24 milioni. Alla base della decisione la contestazione di un acclarato sfruttamento del lavoro (caporalato), che la GA Operations non ha impedito.
Le vittime sono decine di lavoratori cinesi impiegati in quattro opifici riconducibili a ditte sempre cinesi, costretti a lavorare oltre 14 ore a meno di 2 euro all’ora o a cottimo a 1 euro per una borsa confezionata, venduta all’appaltatore a 90 euro e che poi in negozio con il marchio Armani arrivava a 1.800 euro. Il sistema fotografato dall’inchiesta è molto semplice: la Giorgio Armani Operations esternalizza al 100% la produzione appoggiandosi a due ditte: la Manifatture Lombarde Srl e la Minoronzoni Srl.
Le due società in realtà non hanno capacità produttiva e quindi subappaltano a imprese cinesi. La ricostruzione degli illeciti, per i pm, torna indietro di sette anni. Gli accessi presso gli opifici da parte dei carabinieri hanno rilevato: assenza di dispositivi di sicurezza sulle attrezzature; assenza di formazione lavoro e visite mediche; la presenza nei luoghi di aree adibite a dormitorio e mensa che “consentono un utilizzo di forza lavoro h24”.
“Mentre – scrive il Tribunale – la conferma che l’attività di produzione dichiarata è stata sottostimata è data dalla rilevazione degli assorbimenti elettrici che attestano l’innalzamento del livello di consumo tra le 6.45 e le 21.00 anche in giorni festivi. Il dato dei consumi inoltre conforta anche l’attendibilità delle dichiarazioni acquisite da una dipendente e conferma i dati del ‘registro nero’ rinvenuto in azienda circa le ore effettivamente svolte dall ’organico dipendenti”. Di più: “Dalle dichiarazioni degli operai sono emerse paghe anche di 2/3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.
Di tutto questo, per l’accusa, era consapevole l’appaltatore, mentre il committente, e cioè la Giorgio Armani Operations Spa non risulta abbia mantenuto serrati controlli, visto che l’unico audit fatto è del 2020 e dove tra l’altro non è segnalato un dato decisivo: l’assenza di capacità produttiva della Manifatture Lombarde. Un operaio racconta: “Mi trovavo presso la Minoronzoni quando venne un’impiegata e ci fece nascondere, io e altri 4 imprenditori cinesi, in un angolo dell ’ufficio a luci spente e chiuso da un separé, perché quel giorno si presentarono agenti del controllo qualità di un marchio importante”. Il gruppo Armani ieri ha spiegato: “La GA Operations collaborerà con gli organi competenti per chiarire la propria posizione”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
“MI CHIEDONO 600 EURO PER UNA STANZA OPPURE NON VOGLIONO IL MIO GATTO”… LA VERGOGNA DI UN GOVERNO CHE NON MUOVE UN DITO PER I GIOVANI ITALIANI IN BALIA DELLE SPECULAZIONI
Elena ha 30 anni e vive a Firenze, dove lavora come commessa con un contratto a tempo indeterminato. Ma vive in auto. Perché non può permettersi un affitto in città. Nonostante l’impiego in un centro commerciale a San Donato.
«A dicembre ho dovuto lasciare la casa in cui stavo, non lontano da Ponte alla Vittoria. Da allora non riesco a trovare neppure una stanza: gli appartamenti interi sono troppo cari e per le camere singole non mi accettano perché ho un gatto. A volte sono costretta a dormire in macchina in un parcheggio. Oggi non so dove andare», spiega lei oggi all’edizione fiorentina di Repubblica. Ormai cerca casa in totale da nove mesi.
Le camere e il gatto
«Sono andata a vedere tante camere, non so neppure quante ne ho cercate ormai, ma ovunque mi dicono che non accettano animali. Persino nella vecchia casa in cui stavo all’inizio non erano convinti ad affittarmela perché ho un gattino, ma non lo voglio certo abbandonare. Altre volte i proprietari mi hanno spiegato che preferiscono gli studenti oppure fanno solo dei contratti transitori, per breve tempo quindi. Io però ho bisogno di un posto fisso in cui stare. È diventato tutto assurdo», dice.
E lei si è dovuta arrangiare: «A volte dormo ma altre notti in macchina, perché non posso chiedere ospitalità tutte le sere. Sono disperata e non so dove andare. In questo periodo sto anche da una collega, però pure lei adesso deve cambiare casa e mi ritrovo quindi in mezzo alla strada». Perché i prezzi sono folli: «Mi hanno chiesto 600 euro per una singola stanza, i prezzi sono diventati allucinanti».
(da agenzie)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO ESSERE STATI MITRAGLIATI PER SALVARE I MIGRANTI ALLA DERIVA, IL GOVERNO ITALIANO SI SCHIERA CON I CRIMINALI LIBICI, IGNORANDO LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE CHE HA VIETATO I RESPINGIMENTI IN LIBIA… IL VENTO STA CAMBIANDO: IL TRIBUNALE DI RAGUSA HA ANNULLATO IL FERMO AMMINISTRATIVO DELLA SEA WATCH 5
La nave Mare Jonio, della Ong Mediterranea saving humans, è
stata posta in fermo amministrativo per venti giorni, con il rischio di una multa fino a 10mila euro. A comunicarlo è stata la stessa Ong.
Solo ieri, la nave era rientrata da un’operazione di salvataggio in cui una motovedetta libica aveva sparato in mare per allontanare i soccorritori e riportare le persone migranti in Libia.
Durante il salvataggio, alcune delle persone che si trovavano a bordo della motovedetta si erano gettate in mare per essere soccorse e portate in Italia.
Eppure, stando alle regole dettato dal decreto Piantedosi, la nave Ong avrebbe dovuto coordinarsi proprio con le autorità criminali libiche in seguito al soccorso, e per di più avrebbe creato una “situazione di pericolo” perché avrebbe spinto le persone migranti sulla motovedetta a saltare in acqua
Luca Casarini, fondatore della Ong, ha detto: “Di fronte all’azione criminale della cosiddetta guardia costiera libica – che ha il compito non di soccorrere ma di deportare uomini, donne e bambini riportandoli in Libia -, nonostante un salvataggio che la Mare Jonio è comunque riuscita a portare a termine salvando 56 persone dall’acqua, nonostante la Mare Jonio sia stata fatta oggetto di raffiche di mitra da parte di miliziani che usano una motovedetta donata dall’Italia, nonostante i video che hanno documentato tutto, il governo italiano ha deciso di sanzionare la Mare Jonio”.
“Nel provvedimento si legge che è colpa della Mare Jonio se le persone sono fuggite dai loro carcerieri libici. Una cosa vergognosa, inaccettabile”, ha continuato Casarini, che ha rivolto un messaggio direttamente a Giorgia Meloni: “Non ci fai paura, noi continueremo a pensare che è giusto salvare le vite. Che prima si salva e poi si discute. Questi provvedimenti non fanno paura”.
La nave era tornata in mare solo a fine marzo, dopo mesi di fermo dovuti anche ai blocchi amministrativi imposti dal governo Meloni.
Il capomissione di Mediterranea, Denny Castiglione, ha dichiarato: “Non abbiamo invitato nessuno a lanciarsi dalla motovedetta libica. Bisognerebbe chiedersi perché lo hanno fatto. Il verbale della cosiddetta guardia costiera libica è pieno di menzogne, ci sono i nostri video a documentarlo”.
A Fanpage.it, Castiglione aveva raccontato pochi giorni fa della difficoltà di operare in mare con le linee imposte dall’attuale esecutivo:”Tutte le navi che sono sbarcate in Italia sono state poi poste tutte sotto fermo amministrativo per il decreto Piantedosi”.
Lo stesso provvedimento ha colpito anche la Mare Jonio, che così sarà costretta a restare ferma in porto mentre sempre più persone continuano a tentare la traversata del Mediterraneo e, spesso, muoiono in mare.
Negli ultimi mesi, più di una decisione di tribunale ha messo in discussione i fondamenti giuridici del dl Piantedosi.
La più recente, del Tribunale di Ragusa, a fine marzo ha annullato il fermo subito dalla nave Sea Watch 5. Non solo, ma il giudice ha anche messo in discussione che i salvataggi in mare possano essere considerati un “illecito amministrativo”.
(da Fanpage)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
COME AL SOLITO SARANNO PREMIATI I FURBETTI E I DISONESTI, MENTRE CHI HA SEGUITO LE REGOLE PASSERA’ COME SEMPRE PER FESSO
L’annuncio del leader della Lega Matteo Salvini di un pacchetto di norme per sanare gli abusi interni alle abitazioni degli italiani ha irrigidito, e non poco, la premier Giorgia Meloni e il suo partito. «Annunciare condoni e sanatorie in campagna elettorale senza prima parlarne con gli alleati non è corretto», sussurra un esponente di peso di FdI.
Ma l’argomento è troppo popolare nel Paese degli abusivi: a oggi sono ancora 4,2 milioni le domande di sanatorie pendenti. Parliamo di un bacino “elettorale” che vale milioni e milioni di voti.
Un bacino che la destra accarezza da sempre, e proprio con Fratelli d’Italia in prima linea spesso: come nel Lazio o in Sicilia dove sono in discussione su proposta dei meloniani norme che sanerebbero anche le case del tutto abusive e sulla costa, altro che piccoli abusi. Così la linea di Palazzo Chigi è quella di apertura al “confronto” con Salvini su questo tema: «Come è fatale che sia, in assenza di un testo su cui discutere, subito si sono levate le voci del partito del no che paventano un condono — dice il capogruppo di Fdi alla Camera Tommaso Foti — se l’idea di Salvini è quella di sanare leggere difformità edilizie ed eliminare alcuni surplus di burocrazia, siamo pronti a discuterne e con profitto. Ma prima bisogna conoscere il testo». Sulla stessa lunghezza d’onda pure l’altra ala di governo, Forza Italia, anche se il segretario Antonio Tajani avverte: «Mai un condono». «È già incardinata al Senato una proposta di Fi sulla rigenerazione urbana, che già prevede le cose di cui ha parlato Salvini — dice Tajani — nessuno ha visto il testo e io non sono in grado di dare un giudizio, comunque se va nella direzione della proposta di Forza Italia bene, si può incardinare»
Il bastone e la carota: il bastone sulla fuga in avanti di Salvini, la carota nei confronti di chi ha abusi edilizi o sanatorie in corso. Perché il centrodestra da sempre accarezza questo bacino: basti pensare ai condoni dei governi Berlusconi nel 1994 e nel 2003. Ma lo fa soprattutto recentemente l’asse Lega-FdI.
Secondo l’ultimo studio del centro Sogeea in Italia tra il 1985 e il 2004 sono state presentate oltre 15 milioni di domande di condono e circa 4,2 milioni sono ancora pendenti.
I Comuni possono così ancora incassare 19 miliardi. Solo nel Lazio le domande sono state 1,6 milioni. E proprio nel Lazio FdI in primis ha presentato una proposta di condono anche nelle zone vincolate. L’iniziativa è della consigliera regionale Laura Corrotti e punta a rimuovere i paletti sulle sanatorie messi nel 2004 dalla giunta sempre di destra di Francesco Storace. L’allora governatore, quando varò la norma con cui dare attuazione alla sanatoria disposta l’anno prima a livello nazionale, decise che non sarebbero stati regolarizzati gli immobili ricadenti in zone vincolate anche se il vincolo era stato apposto successivamente alla legge sul condono. Un freno che l’esponente di FdI intende togliere e già lunedì prossimo inizierà la discussione in commissione regionale urbanistica. La norma dovrebbe consentire di sanare nel Lazio circa 63 mila abusi, facendo incassare ai Comuni circa 3,6 miliardi di euro. «Il mio — sostiene la consigliera Corrotti — è un tentativo per porre rimedio a una lampante ingiustizia». «Lavoreremo di concerto per consentire in tempi celeri la definitiva approvazione ed entrata in vigore della modifica», ha fatto eco l’assessore regionale all’urbanistica Pasquale Ciacciarelli, della Lega. Ma sempre nel Lazio è stata anche presentata una proposta di legge dai consiglieri regionali Laura Cartaginese, della Lega, Micol Grasselli, di Fratelli d’Italia, e Nazzareno Neri, di Noi moderati, per trasformare cantine e garage in abitazioni e negozi.
Un po’ come è stato già fatto nel Veneto governato dalla Lega con la sanatoria sui sottotetti, nella Liguria guidata da Giovanni Toti e dal centrodestra con le cantine e i magazzini diventati abitabili e, ancora, in Sardegna, governo sempre di centrodestra, con i seminterrati trasformati in case.
In Sicilia la destra punta a sanare anche 250 mila abitazioni sulla costa: a proporre la norma il deputato FdI Giorgio Assenza per rispondere a una «ingiustizia» che riguarda una precisa tipologia di immobili, finiti in un groviglio di norme e sentenze. Il bacino degli abusivi vale tanti voti, tantissimi.
(da agenzie)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
GLI INTRECCI TRA PONTE SULLO STRETTO E MALAVITA ORGANIZZATA NEL CORSO DEGLI ANNI
C’era sempre qualcuno in Calabria a parlarti prima o poi del
progetto. La mastodontica opera che avrebbe dovuto collegare Scilla a Cariddi e che era persino finita sulla copertina di un numero di Topolino.
E che, per una sorta di leggenda nera, finiva sempre col non essere realizzata, chiunque si proponesse di farla (se ne dibatte, del resto, solo dal 1866). Erano gli anni 80, e chi scrive era bambina.
È stato lo storico delle mafie Enzo Ciconte a ricordare come l’allora premier Bettino Craxi, che aveva di nuovo parlato del progetto del Ponte, fosse considerato dagli ’ndranghetisti un decisionista e per questo preso in parola. Paolo De Stefano, della cosca De Stefano-Tegano, convinto dall’idea di Craxi, pensò di accaparrarsi i terreni dove poi sarebbe dovuta sorgere la campata calabrese del Ponte. Ma a comandare su quelle terre era Antonio Imerti, detto “nano feroce”, della cosca Rosmini-Condello-Imerti. E la ’ndrangheta, come dice il procuratore Nicola Gratteri, anche quando non è proprietaria si comporta da possessore. È da questo scontro che così, secondo molti, nacque la seconda guerra di ’ndrangheta, che dal 1985 al 1991 fece più di 600 morti. Il progetto del Ponte naufragò e le famiglie calabresi alla fine si misero d’accordo, quando a ricomporre l’asse intervenne Cosa Nostra.
Per avere il primo vero allarme per infiltrazioni mafiose nell’affare-Ponte bisognerà aspettare pochi anni dopo le inchieste del procuratore di Messina di allora, Luigi Croce, che per primo indagò sulle attività collaterali al miraggio della costruzione dell’opera. “Lavoriamo in più direzioni – disse Croce, trent’anni fa – e per prima cosa sulle operazioni di compravendita dei terreni su cui si impianterà la struttura. Quando partiranno gli espropri chi si sarà accaparrato la proprietà di quei lotti avrà molto da guadagnare. Così come chi in questi anni avrà acquistato le cave di sabbia da cui sarà estratto il materiale di costruzione”. Trent’anni dopo, nell’inchiesta che pubblichiamo qui a fianco, raccontiamo come quelle ipotesi investigative sono diventate realtà. A partire da una zona, quella del Vibonese, tra Limbadi e Nicotera, dove negli ultimi anni sono stati ammazzati cittadini onesti e perbene come Maria Chindamo e Matteo Vinci per essersi rifiutati di cedere le loro terre proprio ai Mancuso. Oggi sappiamo che, per parte di quelle terre spesso sottratte con prepotenza, lo Stato – quindi tutti noi – pagherà invece pure un indennizzo alla famiglia di ’ndrangheta e ai suoi eredi.
E meno male che, come ha detto il vicepremier e ministro Matteo Salvini, “sarà un ponte che dà fastidio a tanti, ma io penso che darà fastidio solo alla mafia”. Bel fastidio, in effetti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
TRA LORO ANCHE UN CONDANNATO A 18 ANNI IN PRIMO GRADO
Nella provincia di Vibo Valentia i condannati per mafia riceveranno i soldi degli espropri per il Ponte sullo Stretto di Messina.
A Limbardi a incassare saranno i rappresentanti della cosca Mancuso ma anche i parenti dei boss. Nella zona infatti è in costruzione un deposito di materiale inerte identificato come Cra3. Sarà edificato in una zona rurale chiamata Petto.
Lo dice il progetto definitivo pubblicato dalla Società Stretto di Messina spa. Il Fatto Quotidiano spiega che si tratta di una discarica dove verrà riversato materiale di scarto per un milione e mezzo di metri cubi. Mentre in un secondo luogo dovranno finire altri 335 mila metri cubi a carattere temporaneo. Ma per farlo lo Stato dovrà espropriare 70 mila metri quadrati di territorio.
Il clan Mancuso
E 60 mila di questi sono di proprietà del clan Mancuso. Si tratta di una frazione dei 3,7 milioni di metri quadrati di cui si prepara l’esproprio. Nei confronti di quasi 3 mila proprietari. Si tratta di «una superficie posta su un rilievo collinare, un tempo utilizzata come cava di inerti per la produzione di calcestruzzo e dei rilevati compresi nelle opere di costruzione del porto di Gioia Tauro», si legge nel progetto. Ovvero un sito che «giace in stato di degrado e abbandono». Del valore quasi di zero, visto che «l’intensa attività estrattiva nel corso degli anni ha modificato l’assetto originario e oggi l’area appare profondamente deturpata, con spaccature e fratture ben visibili, anche a molti chilometri di distanza». E questo perché i proprietari non hanno mai provveduto al ripristino degli scavi.
«Quel caratteristico paesaggio»
Lo Stato si è impegnato a restituire all’ambiente naturale e alla collettività «quel caratteristico paesaggio che è stato deturpato e abbandonato». Ma nel frattempo bisogna pagare i privati. Nell’elenco stilato dalla società guidata da Pietro Ciucci ci sono i soldi che arriveranno a Carmina Antonia Mancuso, figlia di Francesco, classe 1929 e nel frattempo defunto. Don Ciccio si candidò nel 1993 al comune di Limbadi ottenendo il record di preferenze. Il dettaglio è che ci riuscì mentre era latitante. Francesco Mancuso è uno degli 11 figli di Giuseppe. L’ultimo è Luigi, attualmente detenuto al 41 bis. Molti parenti del clan e non solo la figlia di Francesco riceveranno soldi dallo Stato per gli espropri. Che attende anche Francesco Naso. Il quale ha ricevuto una condanna a 18 anni di carcere in primo grado per associazione mafiosa.
Francesco Naso
Naso riforniva con la sua azienda di materiali edili al clan. Che in cambio gli garantiva vantaggi sul territorio. Lui è proprietario di 2.700 metri quadri adibiti a pascoli e uliveti. Che saranno espropriati prossimamente. Garantendogli un equo indennizzo. La figlia di Don Ciccio Carmela è proprietaria anche di altri 21 mila metri quadri nel comune di Nicotera. Per quelli riceverà un’indennità di occupazione temporanea. Ai sensi dell’articolo 49 del Testo Unico sugli espropri per fini di pubblica utilità. Riceverà un dodicesimo di quello che avrebbe avuto dall’esproprio vero e proprio dell’area. Nella migliore delle ipotesi, chiude il quotidiano, la società del Ponte pagherà fino al 2032.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Aprile 6th, 2024 Riccardo Fucile
E’ PARTITA LA PROCEDURA, MA PER POTER INIZIARE I LAVORI SERVONO ALTRI PASSAGGI FONDAMENTALI
Mercoledì la società Stretto di Messina, che gestisce il progetto del
Ponte sullo Stretto, ha pubblicato un avviso per avviare la fase degli espropri per la realizzazione dell’opera. “Questa fase intermedia, legata alla pubblicazione dell’avviso – ha spiegato la società – consentirà a tutti gli interessati di prendere visione della documentazione relativa al piano espropri e formulare eventuali osservazioni. In tale contesto la società Stretto di Messina aprirà Sportelli informativi sia a Messina che a Villa San Giovanni, in spazi dedicati messi a disposizione dai rispettivi comuni, per fornire il supporto necessario per l’analisi della documentazione”.
Il ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini ne ha parlato durante il question time alla Camera, spiegando che “è stato avviato il procedimento relativo agli espropri nella zona del Ponte sullo Stretto, attraverso il quale tutti gli interessati potranno prendere visione della documentazione e formulare eventuali osservazioni. La società Stretto di Messina ha aperto sportelli informativi sia a Messina che a Villa San Giovanni e a partire dall’8 aprile fornirà assistenza a tutti i cittadini, mentre l’apertura dei lavori è prevista per il 16 aprile alle 11”, ha detto Salvini.
Le parole dei residenti dopo la notizia degli espropri
Per poter avviare il cantiere sono necessarie opere come bonifica dei territori, le indagini archeologiche e la predisposizione della base cantieristica, lavori che devono essere preceduti proprio dall’esproprio delle case. Le famiglie che dovranno lasciare le proprie abitazioni sono circa 450, 300 in Sicilia e 150 in Calabria, per un totale di 3,7 milioni di metri quadrati da liberare.
Anche se sono previsti naturalmente indennizzi e assistenza per i proprietari, dopo la pubblicazione della lista lista completa delle case da demolire e delle aree da sgomberare per dare il via al cantiere, in attesa dell’approvazione definitiva, sono subito iniziate le proteste. “La mia casa ricade in zona cantiere a Torre Faro, è la casa dei miei nonni, la mia famiglia vive lì da almeno 100 anni, lo definisco il luogo dell’anima per gli affetti che racchiude, non ha solo valore materiale ma anche affettivo, valori che vengono calpestati completamente”, dice all’Agi Giovanni Pizzimenti, 78 anni, uno dei cittadini la cui casa ricade tra quelle oggetto di esproprio per la costruzione del ponte. “Non penso a un’alternativa a quella casa e non vogliamo arrenderci – continua – perché per me quello è il posto dove vivere, dove abitavano i miei genitori, dove vive la mia famiglia”.
Cosa devono fare i proprietari delle case interessate dagli espropri
L’esproprio è un istituto previsto dalla legge, che è normalmente utilizzato per realizzare infrastrutture di interesse pubblico. Ma gli espropri veri e propri per il Ponte sullo Stretto non sono ancora partiti. Mancano alcuni passaggi obbligati, senza i quali gli espropri previsti rimarranno sulla carta.
Funziona così: per 60 giorni, a partire dal prossimo 8 aprile, i soggetti i cui beni sono interessati dalle procedure espropriative per l’infrastruttura, potranno rivolgersi per l’assistenza con personale tecnico, dopo aver preso un appuntamento telefonico, e fare le proprie osservazioni.
Ma allo scadere dei due mesi gli espropri non scatteranno immediatamente. Prima di tutto serve la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, che è propedeutica agli espropri, e che limita le possibilità di utilizzo di quell’area.
È l’articolo 42 comma 3 della Costituzione a dire che “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”.
Nel caso in cui l’opera dovesse essere ritenuta di interesse pubblico, allora gli espropri di case e terreni che ricadono attualmente nelle aree in cui sono previsti i cantieri saranno inevitabili.
Prima di passare agli espropri però serve l’approvazione del progetto definitivo: prima serve l’apertura della Conferenza dei Servizi, che come ha detto Salvini è convocata per il 16 aprile; parallelamente occorre anche la Valutazione d’Impatto Ambientale; e infine il Cipess, il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile, dovrà approvare il progetto, che solo a quel punto potrà essere dichiarato di pubblica utilità.
Tecnicamente però gli espropri non potranno cominciare prima della preparazione e dell’approvazione del progetto esecutivo, che dovrà recepire anche le 68 prescrizioni ed osservazioni che il comitato tecnico scientifico ha espresso sul progetto definitivo aggiornato.
Perché l’avvio della procedura degli espropri aumenta il rischio di ricorsi
“Hanno velocizzato le procedure, stanno cercando di correre probabilmente perché sperano di poter fare un inizio formale dei lavori a ridosso delle europee. Ma in ogni caso l’inizio dei lavori è molto lontano: devono prima approvare il progetto esecutivo, e verificare l’effettiva esistenza dei fondi. Passeranno altri due o tre anni”, ha spiegato a Fanpage.it il professor Domenico Marino, docente di Politica economica ed Economia dell’innovazione all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, co-autore del dossier di Kyoto Club, Lipu e WWF ‘Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte’.
“Ma paradossalmente la procedura dell’esproprio è immediatamente impattante, anche se non si può ancora parlare di espropri propriamente detti. Al momento hanno solo pubblicato le aree sul territorio che potenzialmente saranno soggette agli espropri in futuro, per vincolarle. Solo dopo che il Cipess approverà il progetto potrà partire la vera e propria procedura degli espropri. Il via libera da parte del Cipess, secondo il loro programma, dovrebbe arrivare tra giugno e luglio. Ma su questo ci sono molte incognite, perché la procedura amministrativa che hanno seguito non è lineare, anzi è molto complessa e si presta a ricorsi, che possono bloccarla”, ha aggiunto il professore
Nella stima dei tempi per la realizzazione dell’opera insomma non vanno sottovalutati i ricorsi da parte di cittadini e associazioni, che posso opporsi all’avvio dell’iter di esproprio al tribunale amministrativo regionale (TAR) per contestare la decisione o la legittimità delle procedure seguite dallo Stato.
Ad esempio potrebbero contestare il fatto che l’aggiornamento del progetto definitivo è stato fatto da un soggetto che non aveva titolo a farlo, cioè il consorzio Eurolink, che è attualmente in contenzioso con lo Stato italiano. Un altro punto debole della procedura è la Valutazione d’Impatto Ambientale, che anche in caso di parere positivo potrebbe essere impugnata.
“Il punto è che hanno voluto a tutti i costi avviare la procedura degli espropri – che si sarebbe potuta rimandare – danneggiando così circa 500 famiglie e oltre un migliaio di persone, perché in ogni caso questi proprietari, semplicemente con la pubblicazione del piano degli espropri, si sono visti azzerare il valore della loro casa.
Senza contare il fatto che hanno un’incertezza sul futuro, un danno esistenziale. Qual era la necessità di fare un piano di espropri prima della regolare conclusione di tutta la procedura dell’opera? Si sarebbe potuto attendere tranquillamente l’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipess. Questo non farà altro che creare altre cause e contenziosi che potranno bloccare il progetto, paradossalmente questa mossa è stata un’arma a doppio taglio: pensavano di velocizzare la procedura, ma hanno creato i presupposti per degli stop futuri”, ha detto Marino a Fanpage.it.
(da Fanpage)
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