IL GOVERNO CRIMINALE LIBICO ATTACCA 71 MIGRANTI A BORDO DEL MERCANTILE NIVIN, DIECI FERITI
BLOCCATA DA GIORNI NEL PORTO DI MISURATA, GRAZIE ALLA COMPLICITA’ DEL GOVERNO ITALIANO CHE LI HA RESPINTI NELLE MANI DEI TORTURATORI, VIOLANDO LE LEGGI INTERNAZIONALI
Forze armate libiche avrebbero fatto irruzione intorno alle 11.40 sulla motonave Nivin ferma nel porto di Misurata con 71 migranti a bordo soccorsi nel Mediterraneo che da dieci giorni si rifiutano di sbarcare.
Ne ha dato notizia la missione Mediterranea che sta seguendo la vicenda.
Alle 14 sul suo profilo Twitter la giornalista Francesca Mannocchi, dalla Libia, ha riportato la notizia che la Guardia costiera libica avrebbe sparato proiettili di gomma contro i migranti. Secondo fonti Unhcr ci sono almeno 5 feriti. Il 19 novembre il profilo di Mannocchi è stato hackerato per qualche ora, proprio mentre forniva informazioni su quanto stesse accadendo a bordo della Nivin.
Secondo la ricostruzione delle fonti locali intorno a mezzogiorno le forze armate libiche sono intervenute sul Nivin, sparando proiettili di gomma.
Dieci di loro sarebbero feriti e trasferiti all’ospedale di Misurata. Alcuni altri, compresi minori, sono stati portati al centro di detenzione di Al Kararim a Misurata. Gli altri sarebbero sotto interrogatorio nell’ufficio del procuratore generale. Sono considerati “rapitori” e “pirati”.L’accesso al porto è vietato ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie.
Le persone a bordo sono migranti sudanesi, eritrei, somali e pachistani che il 7 novembre avevano lasciato Al Khums, in rotta per l’Italia. Dopo essere stati salvati poco oltre le 40 miglia dalla costa libica, sono stati riportati indietro a Misurata. Per 12 giorni i migranti si sono rifiutati di scendere: “Ho visto molte cose in Libia, ho perso mio fratello. Come posso sbarcare?”, dice uno dei ragazzi in un video circolato prima sui social e poi sulle testate internazionali. I migranti a bordo si sono detti pronti a morire pur di non scendere dalla barca. Per 12 giorni sono stati asserragliati dentro, con l’acqua che cominciava a scarseggiare e senza bagni pur di non scendere nuovamente in Libia.
Questa è la storia emblematica di un gruppo di disgraziati che tenta di approdare in Italia per trovare un’alternativa alla condizione di paria.
Soccorsi da una nave mercantile hanno pensato che la loro odissea fosse al capolinea. “Vi portiamo in Italia” li avrebbero rassicurati.
Ma – invece di essere accompagnati in quella che considerano il paradiso in terra, l’Europa, sono stati riassegnati alla guardia costiera libica.
Quando i migranti hanno capito che nel destino c’era scritto che sarebbero tornati in Libia, la situazione sul cargo ha rischiato di degenerare: “Non scendiamo, nelle prigioni non ci torniamo”, hanno urlato con quel po’ di fiato che avevano in corpo. Disperazione e rabbia quando si mischiano possono diventare una miscela pericolosa, ma questa volta l’ira è virata in resistenza pacifica.
A guidare il ‘tradimento’ cui è stata costretta la Nivin (la nave che li ha accolti) una telefonata giunta dall’Italia che ha intimato alla guardia costiera libica, hanno spiegato alcune Onlus che agiscono nell’area, di riportare indietro quella carne umana.
“Le autorità italiane hanno scritto in un comunicato i volontari — hanno documentata responsabilità di aver ordinato a Nivin di fare esclusivo riferimento alla Guardia costiera Libica, configurando così nei fatti un illegittimo respingimento verso un paese non sicuro”.
Quella gente è poi stata costretta a stare sulla nave per una settimana. Fra di loro ci sono una donna sola con un bambino.
“Sono disperati — dice Julien Raickmann, capo missione di MSF — ci sono diverse persone, compresi i minori, torturati dai trafficanti per estorcere denaro. Un paziente in gravi condizioni ha rifiutato di essere portato in una struttura medica in Libia. Ha detto che preferirebbe morire sulla nave mercantile”.
“Per i 70 migranti ancora a bordo non ci sono bagni, usano le bottiglie di plastica per urinare. Ai giornalisti è interdetto non solo l’accesso alla nave e al porto ma anche l’accesso alla città di Misurata. Chi prova a superare il check point verso Misurata rischia di essere espulso dal paese.
I pochi giornalisti presenti in Libia, compresa Repubblica, sono costantemente monitorati dall’intelligence libica”, ha scritto la Mannocchi.
A raccontare al telefono questa storia alla giornalista è stato Dittur, 19 anni, viene dal Sud Sudan. Il ragazzo ha anche raccontato di essere stato prelevato “dai trafficanti nel centro di detenzione ufficiale di Tariq al Sikka, a Tripoli, gestito dal ministero dell’Interno del governo Serraj. “I trafficanti possono entrare quando vogliono nelle prigioni, entrano a fare accordi con chi vuole partire e entrano per portare via chi può pagare la sua parte, con me hanno fatto così. Due settimane fa”.
Una storia di straordinario dolore e di ordinaria follia. Non aiutano certo a dare speranza ai ripudiati le disposizioni degli ultimi governi italiani. “Il dl sicurezza solleva diverse preoccupazioni dal punto di vista dei diritti umani di migranti e richiedenti asilo”, ha detto Dunja Mijatovic, commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa.
*”Rappresenta un passo indietro in termini di accesso alla protezione per le persone su cui incombono gravi minacce, o che le hanno già subite”, e “non consentendo ai richiedenti asilo di accedere al sistema degli Sprar, si metterà ulteriormente in difficoltà il sistema di ricezione e integrazione italiano”.
Mijatovic ritiene che nel testo “manchino alternative alla detenzione” e che non siano previste “garanzie adeguate contro privazioni della libertà non necessarie e di lunga durata”. Il dl dovrebbe inoltre “garantire chiaramente che i minori con o senza famiglia non possano essere detenuti”.
Il commissario chiede al Parlamento “di evitare di prendere decisioni affrettate e di valutare le preoccupazioni che solleva, consultando anche le organizzazioni che si occupano di diritti umani e la società civile”.
Razza, civiltà e religione sono salve.
(da Globalist)
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