ITALIA VIVA, DALLA RIBALTA ALLA CRISI: IL PARTITO TEME L’ADDIO DI RENZI
IN CALO NEI SONDAGGI E CON IL LEADER ORMAI LONTANO DALLA POLITICA
“Draghi? Ne ha guadagnato il paese un po’ meno noi…”. In questa battuta di Ettore Rosato, uno dei coordinatori di Italia Viva, si rintraccia il punto esatto della parabola del partito di Matteo Renzi: artefice della caduta del governo di Giuseppe Conte, protagonista quotidiano delle cronache per almeno due mesi, motore primo di un nuovo esecutivo lodato da tutti, ma al minimo storico di consensi che per Swg sono poco oltre il due per cento.
Iv naviga in acque incerte: i sondaggi dicono che, a 18 mesi dal lancio, il progetto non è decollato e la folta rappresentanza parlamentare (45 fra deputati e senatori) si interroga sul proprio futuro che, nelle condizioni attuali, garantirebbe la rielezione a pochi fortunati.
Dubbi alimentati dall’intensa attività extra-politica dell’ex premier, che nel giro di un paio di mesi ha viaggiato quattro volte fra Africa e Medio Oriente, incontrando principi ereditari, sceicchi e capi di Stato.
Conferenziere, facilitatore di investimenti, tessitore di rapporti internazionali: ruoli molteplici e non tutti chiariti, quelli di Renzi.
L’unica certezza sono i redditi in aumento, per l’ex Rottamatore, che ha dichiarato oltre un milione di euro nel 2020, e la sua intuibile volontà di non rinunciare nell’avvenire alle missioni all’estero.
“Non è che ci lascia?”, è la domanda che, a questo punto e sempre con maggior frequenza, si pongono gli stessi eletti che hanno paura di essere finiti in una sorta di bad company politica.
I programmi sono vivaci: la Primavera delle idee per dare nuova linfa al partito, la scuola di formazione politica con 500 giovani programmata per inizio settembre a Pontedilegno, a “casa” di Salvini, una nuova Leopolda a novembre.
Ma tutto ciò non basta più a quanti – sono sempre di più – reclamano una struttura vera del partito che dopo la fondazione, nel settembre del 2019, si è data solo una prima organizzazione, poi ha celebrato giusto un paio di assemblee: nell’ultima di queste, venti giorni fa, il senatore di Rignano aveva promesso un riassetto che dovrebbe passare anche per la nomina dei responsabili regionali: ancora non si è visto nulla.
In questa situazione di transizione c’è chi propone primarie per la leadership (non si sa mai) e chi, come il senatore Leonardo Grimani, intravede il rischio di uno schianto: “Dobbiamo fare un salto di qualità e strutturarci sul territorio: altrimenti rimarremo un gruppo di parlamentari destinato a sciogliersi alle prossime elezioni”.
Renzi sa di preoccupazioni e malumori, veicolati anche da big quali Rosato e Luigi Marattin. E ai più insofferenti lancia un messaggio trasversale quando indica fuori dal Palazzo – in sindaci di periferia come Isabella Conti (San Lazzaro di Savena) e Ciro Bonajuto (Ercolani) – le forze fresche cui attingere domani.
Intanto lo schieramento a testuggine che ha permesso a Italia Viva di non disgregarsi al tempo della crisi, si va aprendo con il passare del tempo. E si sentono le voci critiche. Il deputato Camillo D’Alessandro non nega che le sortite di Renzi sul rinascimento arabo o la sua presenza al Gp del Bahrein mentre l’Italia è in semilockdown “creano un problema di percezione da parte della gente di cui dovrebbe farsi carico.
Ma sia chiaro: se siamo fermi al due per cento – spiega D’Alessandro – non è perché Matteo è antipatico ma perché la gente non sa in quale area politica finirà il proprio voto. Ecco il motivo per cui chiedo da tempo un congresso. Per me la collocazione è chiara ed è il centrosinistra, altri la pensano diversamente”.
Infatti: un big come il capogruppo al Senato Davide Faraone dichiara apertamente che per le prossime elezioni per il Comune di Palermo è necessario un patto con Forza Italia, a Torino si flirta con il candidato sostenuto dal centrodestra Paolo Damilano e in Calabria gli abboccamenti dei vertici locali verso Fi e Lega hanno suscitato una rivolta interna.
Il tutto mentre i corridoi sono sempre più stretti: sulla costruzione di un’area di centro pesa il no di Calenda, Fi non è disposta a dire sì a Renzi e rinunciare al traino di Matteo Salvini e il Pd non molla i 5 Stelle.
(da agenzie)
Leave a Reply