MACRON CERCA PREMIER, LA POLITICA FRANCESE SCOPRE LE “CONSULTAZIONI” ALL’ITALIANA
IL RITO DELLE TRATTATIVE PER IL GOVERNO
Le sinistre in blocco, i centristi alla spicciolata, nel pomeriggio quel che resta dei gollisti; attraverso il sentiero che costeggia lo strabiliante giardino dell’Eliseo, fontane e fiori, un lungo prato verde, fino alle scale verso l’ala orientale del palazzo; i giornalisti eccezionalmente alloggiati nel salone delle feste, grandi lampadari di cristallo e puttini dorati. Chi tra i politici in passerella si ferma davanti alla barriera delle telecamere, chi passa e saluta, chi non sa che cosa fare.
È un gioco nuovo, di cui i francesi non conoscono le regole; e lo stesso presidente Emmanuel Macron sembra indugiare: il giorno in cui Parigi sperimenta le consultazioni come se fosse una democrazia parlamentare — l’Italia, per esempio — all’affannosa ricerca di un nuovo premier che tenga assieme una maggioranza stabile. «È una nuova fase — commentano dall’Eliseo — un cambiamento di cultura e di paesaggio politico che ci obbliga a una logica di coalizione». È l’effetto (boomerang) dello scioglimento dell’Assemblée nationale, quindi delle legislative concluse con il 7 luglio, con una composizione ingestibile dell’emiciclo, come mai nella Quinta Repubblica.
La prima convocata da Macron è la variegata dozzina dei vincitori relativi: i rappresentanti del Nouveau front populaire (Nfp), socialisti, ecologisti, comunisti ed estremisti della France insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon, che — troppo ingombrante — non è nella delegazione. A guidarla, un passo avanti, e a condurre l’ora e mezza di confronto con il capo di Stato, è la premier prescelta, Lucie Castets, alta funzionaria del Comune di Parigi sulla quale le componenti molto diverse della coalizione hanno trovato accordo. Circondata plasticamente dai quattro leader di partito a corolla, con i capigruppo in Parlamento in seconda fila, Castets ha detto che il Fronte è compatto e soddisfatto, che Macron ha recepito il messaggio degli elettori «di un cambiamento di orientamento politico»: «Su questo punto il presidente è lucido»; benché manifesti «ancora la tentazione di voler formare un proprio governo», avrebbe compreso l’inevitabilità di una «coabitazione» — il gruppo evoca questa formula — con le sinistre. Perché un governo dell’Nfp funzioni, però, è necessario che racimoli voti nelle altre formazioni. Del centrodestra?
Mai con gli insoumis, dice a margine Laurent Wauquiez, che guida i gollisti dei Républicains. Il premier dimissionario e capogruppo del macronista Ensemble, Gabriel Attal, ricevuto a pranzo assieme agli altri della coalizione di governo, non commenta, e lascia l’Eliseo con la sua cartellina azzurra sotto il braccio. Ma poi in un messaggio ai propri deputati evoca «una mozione di censura immediata nel caso di un governo con ministri della France insoumise»; posizione «condivisa da tutto il blocco centrale».
Come se ne esce? In perfetto italiano, viene in aiuto al Corriere Éléonore Caroit, deputata di Ensemble nonché vicepresidente della Commissione Esteri: «Anche se non siamo ancora riusciti in questa equazione complicata, abbiamo fatto un passo in avanti. Il nostro blocco e la destra repubblicana sono disposti a non opporsi a un governo di sinistra, senza Lfi». È un calcolo complesso, come dice Caroit, perché i socialisti in particolare sono costretti dall’attuale sistema di circoscrizioni maggioritarie a conservare l’intesa elettorale con gli insoumis; i quali però sembrano far di tutto per far saltare il tavolo, appena domenica Mélenchon ha minacciato Macron di destituzione.
Una soluzione può essere quella di un socialista anti insoumis come il sindaco di Saint Ouen Karim Bouamrane o l’ex premier di Hollande, Bernard Cazeneuve; due nomi che circolano con insistenza? L’onorevole Caroit la considera una via ancor più ardua per le sinistre: meglio sarebbe un governo Castets liberato dal fardello Mélenchon. «Una spina nel piede», dicono i francesi. Lunedì il gioco ricomincia con la consultazione della destra estrema del Rassemblement national di Marine Le Pen. Non si esclude un ultimo giro di giostra martedì mattina, per arrivare a una nomina efficace al più tardi mercoledì. Pena il ritorno alla casella di partenza.
(da agenzie)
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