RENZI IN CONFUSIONE, TRE GIORNI FA DAVA RAGIONE A DRAGHI, OGGI DI NUOVO IN OVERDOSE: “DECIDO IO LE COSE DA FARE, NON L’EUROPA”
DOPO UN GIORNO DI IMBARAZZO, IL PREMIER DI NUOVO IN OVERDOSE DI ONNIPOTENZA: “NON E’ L’EUROPA CHE CI DEVE DIRE COSA FARE”
“Oggi non è l’Europa che deve dire a noi cosa fare”. A distanza di tre giorni si fa meno accondiscendente la reazione di Matteo Renzi alla strigliata della Bce di Mario Draghi che giovedì, dopo aver indicato nell’incertezza e “la mancanza di riforme strutturali che non sono condotte con sufficiente impegno” la causa ultima della recessione italiana, aveva auspicato una cessione di sovranità all’Europa per quanto riguarda le riforme strutturali da parte dei Paesi membri.
A caldo il presidente del consiglio aveva fatto sapere di aver molto apprezzato le parole del governatore della Bce.
Concetto approfondito poche ore dopo davanti alle telecamere di La7. “Sono assolutamente d’accordo con Draghi — aveva detto intervistato a In Onda — se è un affondo, affondo anche io. Il presidente della Bce ha detto una cosa sacrosanta, noi dobbiamo rimettere in ordine l’Italia per farla diventare più competitiva. E le parole di Draghi sono la migliore risposta ai critici del Senato, che è una delle riforme che stiamo facendo”.
L’unico colpo di coda era stato sul tema scottante della sovranità nazionale: “Sulla questione della cessione di sovranità Draghi ha fatto un ragionamento più ampio sull’Europa. Non ha detto che l’Italia deve andare verso una cessione di sovranità sulle riforme ma ha parlato di Eurozona. L’Italia non è finita, con buona pace dei gufi e degli sciacalli”.
Ed è da qui che Renzi è ripartito per rialzare la testa dalle colonne della Stampa che l’ha intervistato domenica 10 agosto.
“La frase di Draghi è: se non fa le riforme, l’Italia non è attrattiva per investimenti esteri. Bene: questa è la linea anche mia e di Padoan. Siamo d’accordo, nessun problema. Ma se qualcuno vuole interpretarla e far intendere che l’Europa deve intervenire e dire all’Italia quel che deve fare, allora no, non ci siamo. Oggi non è l’Europa che deve dire a noi cosa fare”, ha detto al quotidiano della Fiat.
Il Pd ha vinto le elezioni, “io e il governo siamo usciti più forti dal test di maggio e non abbiamo bisogno di spinte da Bruxelles: minimamente”, ha aggiunto rafforzando il concetto.
Per poi replicare indirettamente anche all’interpretazione allargata della cessione di sovranità : “Sono gli Stati a dover indicare alla Commissione via e ricette per venir fuori dalle secche”.
Quanto all’andamento del Pil italiano, “devo esser sincero e dirla tutta: la drammatizzazione del Pil è qualcosa che rispetto ma non condivido. Infatti non è che l’Italia sia rientrata in recessione: non ne è mai uscita”.
Quindi ha fatto suo il fattore tempo rivendicato da Padoan, ma confutato dallo stesso Draghi per il quale “molti pensano che ci vuole molto tempo per registrare gli effetti delle riforme strutturali. Non è così”.
Passaggio ignorato da Renzi che alla Stampa dice: “Noi stiamo facendo cose importanti, che daranno frutti nel tempo: la riforma della Pubblica amministrazione curata da Marianna Madia, assieme alla semplificazione fiscale, saranno una rivoluzione; e l’intervento di Poletti sul lavoro ha creato 108mila nuovi occupati, dei quali — chissà perchè — nessuno parla”.
Non lo ha certo aiutato la base di partenza, con le statistiche che per il 2013 parlano dell’insoddisfazione del 18,7% degli italiani — cioè quasi uno ogni cinque — per la situazione economica del Paese, come emerge dall’indagine dell’Istat sugli aspetti della vita quotidiana fresca di aggiornamento.
Dalle serie storiche, pubblicate nei giorni scorsi, infatti, la percentuale riferita al 2013 è la più alta da venti anni, dal 1993 (primo anno riportato).
Dei tagli alla spesa, invece, l’ex rottamatore si è occupato direttamente dal palco del raduno Scout di San Rossore. “Una parola fumosa come spending review non significa qualcosa di astratto”.
“Bisogna cambiare tutti. Se vogliamo fare bene, bisogna cambiare tutti. Da questo punto di vista è più semplice e più difficile del previsto”. Concetto che si fa più complesso se confrontato con la dichiarazione alla Stampa secondo cui “in Italia non c’è una classe dirigente che resiste al cambiamento, c’è semplicemente una classe dirigente che non esiste”.
(da “Huffingtonpost“)
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