Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
ANCELLE, MAIALI E CHAMPAGNE ALLA CORTE DEL GOVERNATORE
Ricordate Berlinguer in braccio a Benigni, l’effetto simpatia, la politica ingentilita nell’incontro tra il leader e l’artista?
Ebbene, paragonate quelle immagini con le foto della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, accanto allo schiavetto dell’antica Grecia, una specie di Antinoo e di Aspasia.
Riflettete quindi sull’effetto degradazione, sulla politica ridotta a bava trimalcionesca nell’incontro tra la leader della destra e il simulacro dell’artista, la donna capo che Berlusconi proprio in queste ore avrebbe voluto lanciare come suo successore e che precipita invece nel ridicolo di questa mascherata che fa da sfondo alla più colossale ruberia di danaro pubblico nella Roma della seconda repubblica.
Video e foto di questo ricevimento in costume che il festeggiato De Romanis, vestito da Ulisse, ha definito «sobrio e misurato», vanno molto al di là del cattivo gusto, del kitsch che in fondo è stato studiato da Gillo Dorfles come stile.
Qui siamo nella pacchianeria grottesca e casuale, una vera sarabanda di puttanate, uno spettacolo di trivialità senza alcun nesso se si esclude l’idea che «semo romani» e dunque «semo pure greci».
I grecoromani sono duemila, alcuni però vestiti da maiali con le mani che acchiappano cosce mentre le “puellae” in tunica si leccano i musi e finalmente la scrofa prende il posto della lupa capitolina.
Direbbe forse Marcuse che l’Ergon metafisico del generone romano ha la meglio anche sull’Eros romantico da ammucchiata.
E lo sgangherato Vulcano, che sembra la controfigura dello Zampanò di Fellini mentre spezza le catene, è un consigliere comunale, un Paravia nientemeno, oggi con Storace, rampollo degli imprenditori degli ascensori.
E ci sono pure l’assessore regionale Stefano Cetica, ex segretario della Polverini stessa, e Annagrazia Calabria, la più giovane deputata Pdl.
Chi fa Mercurio e chi fa Plutone con una Olimpia Colonna nel ruolo della Medusa, e noi speriamo che questo ramo caduto sia anche cadetto.
Nella linfa della Roma carnascialesca ci sono i produttori televisivi come Aurelia Musumeci e i cosiddetti “public relation” come Olimpia Valentini di Laviano: «Ho un brutto vizio da premi diverto a fare le campagne elettorali».
Come si vede, l’impiastricciata e gelatinosa antropologia, quella dai mestieri vaghi e imprendibili che altrove produce “i creativi”, a Roma subito si degrada nel galoppino elettorale e nel portaborse.
E nel video del cosiddetto backstage della festa tutti comunicano il loro divertimento emettendo suoni gutturali.
C’è un omone grande e grosso che grufola e potrebbe essere Menelao o forse il divino porcaro Ermeo.
Qualcuno più che a un antico greco somiglia a un turco o a un mongolo con i baffi spioventi.
Costumisti e truccatori sembrano le sole persone normali, i gladi sono di plastica, il peplum ha i merletti appiccicaticci, la colla svela la natura dozzinale della scena, e c’è pure una cornucopia da dove fuoriesce una rosa che non sembra neppure una rosa tanto è brutta, e infatti viene stritolata da una mano di donna stretta tra due maiali e con le unghia laccate di un orribile blu opaco.
La festa è così tamarra che ai suoi tempi non riuscì neppure a guadagnarsi la vetrina di Dagospia, solo un trafiletto sul Messaggero con la foto della Polverini e ovviamente un servizio su “Parioli Pocket”, che è la rivista di riferimento degli aspiranti semivip della capitale.
Così diventa persino banale la Crapulopoli del Lazio, con i suoi conti correnti coperti, le cene, le case, le auto di lusso e il peculato.
È vero che er Batman, l’ex capogruppo ed ex tesoriere del Pdl Francone Fiorito, assistito e ispirato dall’avvocato Taormina, il quale è un altro Batman ma delle cause perse, da ieri racconta ai magistrati «quel gran giro de quatrini» trascinandosi dietro tutti, ma proprio tutti, perchè «la guera è guera» e, come si dice tra legionari non solo ciociari, «camerata, camerata / fregatura assicurata».
Ma rubare è quasi un dettaglio in questa sciagura etica ed estetica che è l’abuso dei simboli, dei miti e della storia antica, l’idea di patacca che la destra italiana ha della romanità e dell’antichità classica.
Per capire quanto sia importante questo ciarpame nell’attuale decadenza è bene sapere che il momento magico del miserabile suk della memoria è previsto il 27 e 28 ottobre con una grandiosa celebrazione della battaglia di Ponte Milvio e del miracolo di Costantino.
Il sindaco Alemanno e il suo cerimoniere acculturato Broccoli stanno organizzando, riservatamente «per fare una sorpresa ai romani», una straordinaria festa celebrativa dell’identità cristiana di Roma con l’idea di stupire e forse pure di istupidire il mondo: «L’esperienza più eccitante mai vista, un monumento alla Romanità , qualcosa che i bambini delle scuole ricorderanno per il resto della loro vita».
E benchè il programma sia ancora top secret, Marco Perina, vicepresidente del XX Municipio, me lo illustra con fierezza vanitosa.
Dunque «a Saxa Rubra, perchè è li che in realtà nel 212 è avvenuta la battaglia e non sul Ponte Milvio, il 27 ottobre verrà ricostruito un castrum, un accampamento romano con macchine da guerra, tende, e ovviamente i centurioni, i decurioni…».
E l’indomani mattina verrà messa in scena la battaglia e «finalmente nei cieli dei colli fatali, al tramonto, un fascio di potentissime luci scriverà “in hoc signo vinces” mentre l’imperatore Costantino…».
Lo interrompo: lui in carne ed ossa? «Ma no che c’entra, un figurante…, leverà in alto la croce con il cerchio, che si chiama Chirò».
Infine Perina, che intanto si è infiammato, mi annunzia che «Costantino dopo aver trionfato sul pagano Massenzio passerà con i suoi uomini il Ponte Milvio».
Gli chiedo se è per questo che il ponte è stato ripulito dai lucchetti dell’amore e Perina, vinta l’iniziale reticenza, ammette questo secondo miracolo: «Beh, certo non c’entravano molto con Costantino. E però i lucchetti non sono tanto male. Vedrai che li rimetteranno».
Ecco dunque che si capisce meglio perchè questa foto della Polverini con il suo Antinoo riccioluto racconta l’epoca molto più dei verbali giudiziari, dello scandalo dei soldi pubblici finiti a ostriche, del costo della casta ciociara, dell’antropologia impresentabile der Batmà n che non è il popolo del Lazio che assedia Roma ma è la sua schiuma.
La festa in (mal)costume sul viale delle Olimpiadi e sulla scalinata di Valle Giulia per divertire il vicepresidente del gruppo consiliare del Pdl non è stata insomma lo sfogo del solito burino pittoresco, non è l’assalto del Viterbese e del Frusinate che sfidano la capitale.
C’è invece tutto il degrado politico e umano di una sottocultura che è stata per troppi anni vincente in Italia, la stessa del sindaco Alemanno che si traveste da spazzaneve, da vigile urbano, da idraulico, da spazzino e da stradino.
E ogni 21 aprile presenzia alle sfilate del Natale di Roma, dà il via ai legionari e ai carri che percorrono i Fori imperiali, accende la miccia dei fuochi d’artificio al Circo Massimo, promuove la ricostruzione di un accampamento a villa Celimontana e due siparietti pastorali in onore del dio Pale che ricordano la pagliacciata di Bossi in onore del dio Po con il rito dell’ampolla.
Il presidente della commissione cultura di Roma Federico Mollicone organizza ogni anno il grande carnevale – un milione e mezzo di euro – e anche il sindaco Alemanno e sua moglie Isabella indossano i costumi presi in affitto al teatro dell’Opera per partecipare alla festa in maschera che la nobiltà romana organizza in piazza Colonna.
Dietro questo bisogno di nascondersi, di guardarsi allo specchio e di riconoscersi nella parodia del passato c’è lo spavento di un ceto sociale che, arrivato al potere come ruota di scorta del carro di Berlusconi, ha surrogato la legittimità con i baffi posticci, con le parrucche, con l’identità urlata e frullata dove Cesare si confonde con Pericle, dove la toga diventa tirso e viceversa, e la romanità è una specie di opera dei pupi, una fiction, uno show televisivo sì, ma di Teletuscolo…
Eppure persino la sinistra si era illusa che a lungo andare questa destra potesse generare nel mondo berlusconiano una certa qualità sociale e culturale, nel nome degli Ugo Spirito e di Gentile, di Marcello Piacentini e della sociologia di Gaetano Mosca, e ancora della prosa Longanesi e della terza pagina di Montanelli, con Ionesco, Junger, Rosario Romeo, a Nicola Abbagnano a Mario Praz.
E invece abbiamo er Batman al quale dobbiamo lo scandalo della verità : non era, come pensavamo noi, solo un mondo inadeguato, quello della Polverini e di Alemanno.
Ci sono pure i ladri e non soltanto i pessimi amministratori.
Ma è soprattutto il mondo dei figli degenerati dei gladiatori di cartapesta, che almeno si limitano a molestare i turisti al Colosseo.
Francesco Merlo
(da “la Repubblica“)
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
DA FAVIA A ROMNEY ASSISTIAMO ALLA CADUTA DELLE MASCHERE: UN FUORIONDA E’ COME UNA SASSATA SULLA VETRINA DEL PRESEPE DI PLASTICA DEI POLITICI ATTORI
Benvenuti nell’era fuorionda.
Perchè non ci sono dubbi, ormai è questa l’ultima frontiera della lotta politica e quindi delle strategie mediatiche (qualcuno vede la differenza?).
Ancora non ci siamo ripresi dal fuorionda a cinque stelle, con annessa imboscata televisiva, che ha avuto per protagonista Giovanni Favia, ed eccone uno nuovo di zecca, in grado di far girare la testa al mondo intero.
Bastano pochi secondi fuorionda per polverizzare mesi di campagna elettorale, ci dimostra il candidato repubblicano Mitt Romney, intercettato da una cronista del Mother Jones nel corso di una riunione con i donatori di fondi.
Ebbene, in quella manciata di secondi Romney è riuscito a dire (traduciamo in parole povere): primo, che non si sente nè si sentirà mai il presidente di tutti gli americani; secondo, che per quanto lo riguarda la metà più povera del Paese può anche andare a ramengo; terzo, che è sceso in politica soltanto per fare gli interessi suoi e di chi lo finanzia.
Chiaro, no?
Tutto il contrario dei fiammeggianti vaniloqui, dei severi moniti e delle fumose retoriche che non solo Romney, ma tutti i suoi colleghi sfornano a getto continuo quando invece sono in favore di telecamera.
Un tempo si sarebbe detto: viva la faccia. Oggi diciamo viva il fuorionda, perchè non ci resta nient’altro.
È questo il solo momento in cui, se non possiamo vedere i politici negli occhi, possiamo però vedere la caduta delle maschere.
Da quando i media, e in particolare la tv, sono diventati il centro di gravità del potere siamo circondati da politici-ballerini.
Come scrive Milan Kundera nella Lentezza ,“al giorno d’oggi, gli uomini politici sono tutti un po’ ballerini, e tutti i ballerini si occupano di politica”.
Negli ultimi trent’anni le televisioni hanno fatto proprio questo, gli hanno cucito il tutù su misura, li hanno assecondati nei loro passi a due e nei loro volteggi sulle punte.
Bruno Vespa potrà lasciare perplessi come giornalista; ma come coreografo è meglio di Don Lurio.
Interviste, smentite, salotti, serate d’onore.
Ogni mossa è preparata e costruita dagli spin doctor, ogni reazione è passata al setaccio dai sondaggisti.
Solo l’arrivo di un fuorionda, come una sassata, può spaccare la vetrina.
Allora il volto sorridente si mostra all’improvviso senza cerone, con la tintura che cola lungo le rughe: una visione orribile, ma al tempo stesso liberatoria.
Un momento di verità , ma soprattutto un attimo di tregua dal presepe di plastica che dalle tv prosegue nella rete, tra tweet paraculi e post fighetti.
E allora, non ci resta che il fuorionda?
Piano a cantare vittoria, perchè si può costruire il fango come l’incenso, e i fuorionda sono un’arma troppo potente perchè a qualcuno non venga in mente di manipolarla (nel suo piccolo, ce l’aveva già insegnato Emilio Fede a Striscia la notizia).
Il vero fuori onda è come la Settimana enigmistica, conta infiniti tentativi di imitazione, e se andiamo avanti così bisognerà imparare a riconoscere gli originali.
La vita quotidiana, d’altra parte, è un buon allenamento.
È vero che, come dice Cioran, “se ci vedessimo con gli occhi degli altri scompariremmo all’istante”; ciò nonostante, quanto di noi mostriamo al prossimo non è poi così genuino.
Per fortuna di Mitt Romney ce n’è uno solo; ma chi è senza fuorionda scagli la prima pietra.
Nanni Delbecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
E’ UNO DEI PIU’ GLORIOSI TEATRI D’OPERA DEL MONDO: VARIA DALLA LIRICA ALLA CONCERTISTICA, DALLA DANZA AL FESTIVAL DI VERDI…LA DENUNCIA DELL’ORCHESTRA
Il 14 aprile scorso era stata indetta, dall’allora Presidente della Fondazione Teatro Regio (il Commissario del Comune di Parma Mario Ciclosi) e dal Sovrintendente Mauro Meli, la conferenza stampa di presentazione del Festival Verdi 2012 con l’impiego, come da 12 anni a questa parte, dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma per i due titoli verdiani in programma, la Battaglia di Legnano e Otello.
Fino al 24 luglio scorso il sito del Teatro Regio vedeva la nostra compagine in cartellone e l’Orchestra del Regio di fatto ingaggiata nel Festival Verdi, che dal 2007 si svolge dal 1° al 28 ottobre.
Ma poi è cambiato qualcosa e in un clic hanno spento (o meglio stanno tentando di spegnere) la nostra Orchestra.
La conferenza del 28 luglio doveva solo comunicare la variazione di uno dei 2 titoli nel FV, non più Otello, ma Rigoletto.
Invece…nonostante una convenzione che regola i rapporti tra Fondazione e Orchestra rinnovata fino al 31 dicembre 2015, il nuovo Presidente della Fondazione Teatro Regio, nonchè Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ha comunicato in conferenza stampa il 28 luglio la sostituzione dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma con la Filarmonica Arturo Toscanini,
Senza alcun preavviso e motivazione.
Tra l’altro l’Orchestra del Regio attende ancora circa 543.000,00 euro di corrispettivi del 2012.
Ha di fatto permesso l’apertura del Teatro Regio per tutto il 2012, lavorando senza percepire alcun compenso, a differenza delle altre maestranze del Teatro, tutte regolarmente retribuite. L’Orchestra del Teatro Regio di Parma srl non ha percepito neppure un euro per tutta l’attività svolta in Teatro (stagione lirica e concertistica) nel 2012.
I musicisti non vengono pagati da più di 6 mesi per il lavoro svolto.
La lingua italiana talvolta è strana. Il Sindaco Pizzarotti non potendo liquidare l’Orchestre, la liquida…togliendole il lavoro.
Peccato che l’allora candidato sindaco Federico Pizzarotti, in campagna elettorale, aveva detto il 17 aprile, in un incontro pubblico sulla cultura: “Bisogna incrementare l’attività dell’Orchestra del Teatro Regio di Parma…”
L’Orchestra del Teatro Regio di Parma non è semplicemente un insieme di musicisti, è una realtà musicale con una sua identità artistica costruita in 12 anni di onorata carriera riconosciuta a livello internazionale.
Niente al mondo ha più forza di un gruppo di persone che sa di aver subito una grande ingiustizia. Dal 28 luglio scorso, più di 50 professori d’orchestra e le loro famiglie stanno vivendo una situazione drammatica.
Per far sentire ancora più forte la sua voce, l’Orchestra del Teatro Regio di Parma ha bisogno dell’ ’appoggio e della solidarietà di tutti.
L’Orchestra del Teatro regio di Parma
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
L’APPOGGIO DEL SINDACO DI VERONA ERA STATO ESSENZIALE PER CONQUISTARE I VOTI CONGRESSUALI VENETI…. MATTEO SALVINI AMBISCE AL PIRELLONE E LA VOTINO TAGLIA TESTE
E’ il nuovo che avanza? Forse proprio nuovo no.
Ma di sicuro si tratta di una assoluta novità per la Lega, fatta trasparire da una battura di Roberto Maroni durante la festa del partito a Brescia, ma già maturata negli uffici romani del partito: a correre come candidato premier per il Carroccio alle elezioni potrebbe essere “un giovane” non più poi così giovane.
Ovvero? Flavio Tosi.
Il sindaco di Verona e maroniano di ferro è il volto “pulito” (oddio, con una condanna sulle spalle… n.d.r.) e vincente che il segretario vorrebbe spendere per delle elezioni politiche.
Dove la Lega, qualora si tornasse alle urne con il Porcellum calderoliano, ha già fatto i conti di non avere grandi chance di riportare a Roma lo stesso numero di parlamentari di adesso.
Però la carta Tosi potrebbe evitare che non si arrivi — come è invece timore — a restare sotto lo sbarramento del 4%.
Il sindaco di Verona, d’altra parte, ha già dato ampia prova di riuscire ad aggregare intorno a sè anche gli elettori di non stretta osservanza leghista e a raccogliere voti al di fuori del granitico bacino elettorale del Carroccio.
Ma, soprattutto, Tosi è ciò che ci vuole per dare anche l’idea che il nuovo, vero corso della Lega è cominciato.
Il sindaco di Verona, dunque. Un uomo, secondo Gianluca Pini, senatore e segretario della Lega Nord Romagna, capace anche di aggregare su di sè l’ala lombarda del Carroccio che, comunque, si riscatterebbe con Matteo Salvini, l’altro “giovane” che Roberto Maroni pensa di candidare al Pirellone per la successione a Formigoni.
Uno scenario che, a quanto sembra, avrebbe messo d’accordo un po’ tutti a via Bellerio, anche se fino ad oggi nessuna decisione definitiva è stata presa.
”Maroni — sosteneva ieri proprio Pini in un’intervista — sta già facendo molto per far riemergere il partito dalla crisi di credibilità ” e l’idea generale è che non abbia più grande velleità “di ruoli politici nazionali”.
“Ma d’altra parte — ha aggiunto oggi – se dovesse spuntare uno come Matteo Renzi vincitore delle primarie del centrosinistra, la cose migliore sarebbe proprio quella di contrapporgli uno come Flavio. E lo indichiamo come candidato premier, poi ce la giochiamo”.
“Anche perchè — sono sempre parole di Pini — dietro uno come Tosi si intravede uno spessore politico che dietro Renzi, lo dico con franchezza, non riesco a vedere; insomma, è un po’ un’incognita politica. Noi lo abbiamo spesso invitato Renzi alle festa della Lega per confrontarsi con Tosi e lui non c’è mai venuto…”.
Tosi, allora.
Ancora una volta, dunque, Roberto Maroni che giocherà la partita elettorale in seconda fila, ma da regista principale, spingendo verso la consacrazione nazionale quelli che sono ritenuti, un po’ da tutti, i cavalli davvero vincenti del nuovo corso.
C’è chi sostiene, in ambienti parlamentari, che questa scelta di Maroni, di “benedire” i suoi due delfini migliori per “immolarsi” sull’altare della ricostruzione del partito, soprattutto in ambito locale, sia comunque una scelta anche tattica per non bruciarsi davanti ad elezioni (sia quelle regionali lombarde che sia quelle politiche nazionali) dove la Lega rischia ancora il “bagno di sangue”.
Per altri, invece, si tratta di una genuina scelta di sacrificio, anche se è indubbio che la strategia politica del Carroccio rimarrà saldamente nelle sue mani.
Insomma, la Lega guarda avanti, studia nuove strategie, punta sul rinnovamento d’immagine. Tranne che sulla comunicazione.
Dove i passi avanti, invece, non si vedono affatto. Anzi, se ne vedono parecchi indietro.
Il 14 agosto, infatti, è caduta l’ultima testa di una lunga serie di epurazioni dei portavoce messa in atto dalla “porta silenzi” Isabella Votino, l’ex addetta stampa di Maroni e soprannominata “badante” per la sua ossessiva presenza accanto al leader.
Votino è stata nominata a capo della comunicazione leghista a Roma e come primi suoi atti ha azzerato i contratti di collaborazione co.co.co dei collaboratori parlamentari dei deputati e senatori di osservanza bossiana.
Ad agosto, si diceva, è stata licenziata Alessia Quiriconi, storica addetta stampa di Marco Reguzzoni, l’ex capogruppo leghista, subito dopo l’allontanamento di Giulia Macchi, vice di Nicoletta Maggi, addetta stampa di Bossi e fino a qualche mese fa responsabile della comunicazione della Lega nei palazzi parlamentari.
Poi è arrivata la Votino. E dopo la Macchi e la Quiriconi, adesso sono nel mirino proprio la Maggi ma anche Federico De Cesare, arrivato a Roma con Cota ma poi lasciato all’ufficio stampa senza un referente politico diretto.
Unico nome che al momento non sembra essere traballante è quello di Carlo Garzia, portavoce del capogruppo Dozzo, ma nulla è certo.
Quello che, invece, viene dato per certo è che la Votino, soprattutto con la nuova legislatura alle porte, voglia costruirsi a Roma un ufficio comunicazione del Carroccio composto da persone di sua stretta osservanza.
Appena caduto il governo Berlusconi, d’altra parte, la Votino ha ottenuto da Maroni di assumere nel gruppo la sua segretaria al Viminale, Daniela Properzi, oltre all’ex sottosegretaria Sonia Viale.
Da ultimo, sarebbe in arrivo, sempre dal Viminale, un altro suo ex collaboratore mentre si stanno facendo i conti su i possibili sostituti, ma la Votino vuole avere l’ultima parola nonostante le pressioni di Davide Caparini, che ha un ruolo proprio nella comunicazione del partito, di portare a Roma alcuni dei suoi “pupilli” bresciani.
Soprattutto “pupille”.
Una Lega, dunque, che guarda al futuro e che spazza via tutto quello che fa parte di un percorso passato a cominciare dalla comunicazione.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
DALLA POLITICA ALLA SETTIMANA MILANESE DELLA MODA: DOMENICA SFILA IN COSTUME DA BAGNO… SOLO PER VILE DENARO? NO, “RITENGO DOVEROSO SOSTENERE LE REALTA’ DEL MIO PAESE”: CHE SI RIFERISSE ALLE TETTE?
Tranquilli, non dovete attendere la prossima estate per vedere le sue forme trabordare dai costumi da bagno in spiagge esotiche.
Ci sarà un’occasione fuori stagione.
Nicole Minetti, il consigliere regionale del Pdl in Lombardia sotto processo per il caso Ruby, sfilerà sulla passerella di Blue Fashion Beach insieme con altre 19 modelle per presentare la nuova collezione primavera-estate 2013 firmata Parah New Generation, azienda di costumi da bagno e intimo.
“In occasione della settimana della moda – commenta la Minetti – ho deciso di accettare l’invito del presidente Gregori Piazzalunga”.
“La moda è una realtà importante nel panorama dell’economia italiana, che ritengo doveroso sostenere – ha aggiunto – In particolar modo aziende come Parah, una grande dinastia della moda italiana, che da oltre sessant’anni basa il proprio successo sulla creatività e l’innovazione”.
Insomma, doveva dimettersi da consigliera regionale del Pdl, ma Nicole non lascia, anzi raddoppia la sua presenza.
Non lo fa certo solo per monetizzare , ma per aiutare il Paese a uscire dalla crisi, ovvio.
In fondo meglio che indossi un costume da bagno per rivitalizzare l’Italia che quello da monaca da lap dance per stimolare le fantasie di pochi intimi.
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
CI SI ACCAPIGLIA SULLE REGOLE PER SCEGLIERE IL CANDIDATO, INTANTO SI NEGOZIA SULLA LEGGE ELETTORALE CHE èOTREBBE RENDERE TUTTO VANO
L’ultimo paradosso della politica domestica riguarda le primarie: quelle già annunciate (del Pd) e quelle altre (del Pdl) che potrebbero tenersi, casomai Berlusconi decidesse di non tornare in pista.
In entrambi i casi, il rischio incombente è quello di una grande finzione, di una ipocrita messinscena.
Perchè le primarie verranno indette per chiedere al popolo di sinistra (e di destra) che si pronuncino sul candidato premier; laddove è quasi certo che la scelta di chi guiderà il governo alla fine non rispetterà le indicazioni della gente, ma ricadrà sui partiti e sui rispettivi leader.
Questo accadrà non per malafede di Alfano, di Bersani o di Casini, ma per effetto della legge elettorale che si va discutendo in Senato nella noia e nella distrazione generali.
Tra tutte le ipotesi di riforma sul tappeto, nemmeno una al momento garantisce che la sera delle elezioni il mondo sappia da chi verrà governata l’Italia.
L’obiettivo del centrodestra è, in questo momento, esattamente quello di impedire che ciò accada.
Per dimezzare la probabile vittoria delle sinistre, il Pdl punta su un sistema proporzionale nemmeno troppo mascherato, con tanto di preferenze come nella Prima Repubblica.
Se passa, ritorniamo alle vecchie pratiche dei governi di coalizione.
Ma non è che le attuali proposte del Pd lascino prevedere un esito molto diverso: il premio del 15 per cento, così come lo gradisce Bersani, garantirebbe una maggioranza in Parlamento solo nel caso in cui la coalizione vincente superasse il 35 per cento dei suffragi popolari.
Questione di semplice aritmetica.
La circostanza è possibile, però alla luce dei sondaggi non sembra così scontata.
Pd e Sel in questo momento viaggiano 3-4 punti sotto la soglia necessaria, per garantirsi il premio dovrebbero bussare da Di Pietro, oppure da Casini…
Più facile che vi provvedano, eventualmente, dopo il voto.
Ma allora, fa notare Arturo Parisi, ex ministro del governo Prodi e referendario intransigente, che senso ha accapigliarsi sulle regole delle primarie, su chi deve prendervi parte, su chi può votare, se nel contempo si negozia su una legge elettorale destinata a renderle vane?
È una domanda che in molti, ai vertici del Pd, si stanno ponendo.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
APPENA IL 10% DI CHI STUDIA HA UN REDDITO AUTONOMO, IN GERMANIA SONO IL 50%… E IL LAVORO E’ SLEGATO DAL LIVELLO DI ISTRUZIONE
Fondamentale per la crescita dell’economia è «il capitale umano», come dicono quelli che vogliono fare bella figura.
L’americano Gary Becker, dimostrandolo con i suoi studi, ci ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 1992.
Ma il concetto è comprensibile a chiunque: più è alto il livello di istruzione e formazione dei lavoratori più ciò andrà a vantaggio del sistema produttivo, a patto di utilizzarlo.
Bene, da noi il capitale umano non è nè elevato nè ben impiegato.
Una costante nella storia d’Italia, che spiega non poco della perdita di competitività del 20% negli ultimi dieci anni rispetto alle altre economie dell’area euro.
Lo sottolinea il Rapporto sul mercato del lavoro che verrà presentato oggi al Cnel, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, presieduto da Antonio Marzano.
Nel testo, messo a punto dal centro studi Ref diretto da Carlo Dell’Aringa, una lunga parte è dedicata a spiegare il problema, con particolare riferimento ai giovani.
Due i dati da cui partire.
Primo: in Italia solo il 10% dei giovani (20-24 anni) associa allo studio una qualche esperienza lavorativa, contro livelli superiori al 60% in Danimarca e vicini al 50% in Germania e Regno Unito e al 25% in Francia.
Perfino in Spagna sono oltre il 20%.
Secondo: a segnalare il drammatico scollamento tra mercato del lavoro e sistema scolastico ci sono 5,2 milioni di lavoratori nella fascia tra 15 e 64 anni, cioè uno su quattro, «che risultano sottoinquadrati» nel lavoro rispetto al loro livello d’istruzione.
Tra i giovani, sono uno su tre.
Insomma: il capitale umano è sia sottoutilizzato, basti pensare alla disoccupazione giovanile (il 20,2% nella fascia 18-29 anni nel 2011), sia male utilizzato, tanto che da un lato molti posti di lavoro vengono coperti dagli stranieri e dall’altro «centinaia di nostri giovani affollano le università del mondo anglosassone».
Chi studia non lavora
«La questione giovani è un tema estremamente delicato», esordisce il rapporto del Cnel, perchè qui la crisi economica ha colpito duramente, causando un forte aumento del tasso di disoccupazione in tutti i Paesi europei.
In Italia però, «persiste una cultura – unica in Europa – che ancora separa nettamente il momento formativo da quello lavorativo.
Solamente il 10% dei ragazzi coniuga il percorso di studi ad una qualche esperienza lavorativa» e ciò, ovviamente, «contribuisce a rendere la transizione scuola lavoro più lunga e difficile».
Troppo tempo per trovare un lavoro
Nei Paesi che invece hanno «da sempre sostenuto un mix di istruzione e lavoro (si pensi ad esempio ai Paesi scandinavi oppure a Germania, Austria e Svizzera) si sono registrati livelli di disoccupazione giovanile più bassi e la transizione scuola-lavoro tende ad avere tempi più brevi».
Mediamente in Italia per trovare il primo impiego ci si mette più di due anni, 25,5 mesi per la precisione. In Germania ne bastano 18.
In Danimarca 14,6, nel Regno Unito 19,4. Solo in Spagna stanno peggio di noi, con un’attesa media di quasi tre anni (34,6 mesi).
Stesso trend anche se si calcola il tempo medio prima di trovare un lavoro a tempo indeterminato. In Italia ci vogliono quasi quattro anni (44,8 mesi). In Danimarca solo 21,3 mesi, ma lì non c’è l’articolo 18 (ora attenuato dopo la riforma Fornero) e le aziende possono licenziare facilmente. In Germania per un lavoro stabile si attendono in media 33,8 mesi, nel Regno Unito tre anni.
«I giovani che hanno appena completato gli studi – osservano i ricercatori – se restano per un periodo lungo in condizione di inattività , tendono a registrare un deterioramento del loro capitale umano».
Inoltre, «la ricerca di un posto può portare alcuni ad accettare lavori per i quali sono richiesti requisiti inferiori rispetto al percorso scolastico seguito: è il fenomeno dell’ over education ».
Un lavoratore su quattro fuori posto
Ora, è difficile in astratto sostenere che in Italia vi sia un problema di sovraistruzione, visto che nelle classifiche internazionali il nostro Paese si segnala per i bassi livelli di laureati e diplomati. Ma se si guarda a quelle che sono le richieste del nostro sistema produttivo, le cose cambiano. Sottolinea il rapporto Cnel che «per circa un quarto degli occupati tra i 15 e i 64 anni (5,2 milioni di persone) si registra, nel 2011, una mancata corrispondenza tra il titolo di studio conseguito e la professione esercitata».
Un fenomeno che riguarda meno i lavoratori anziani e più quelli giovani, che sono più istruiti. «Il 35,2% degli occupati con meno di 35 anni è impiegato in lavori che richiedono una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta, mentre tale percentuale scende al 12,6% per gli occupati dai 55 anni in su».
Il fenomeno assume inoltre «la maggiore intensità tra le giovani laureate, che in quasi metà dei casi risultano sottoinquadrate».
E tra i diplomati: dei 5,2 milioni di occupati male utilizzati, quasi tre quarti possiedono il diploma e il resto la laurea.
Infine, nel Mezzogiorno il rischio di sottoinquadramento è maggiore per chi ha un diploma rispetto al Nord industriale mentre per i laureati del Sud il pericolo non è solo quello di non trovare un lavoro adeguato, ma di non trovarlo affatto.
In questo quadro non stupisce una certa ripresa dell’emigrazione, in particolare intellettuale, il cosiddetto brain drain .
«Siamo sempre più un’economia che perde lavoratori qualificati ed attrae dall’estero lavoratori con qualifiche basse, esattamente il contrario di quanto stanno facendo i nostri maggiori concorrenti».
La fuga dei cervelli
Il sistema delle piccole imprese, che domina l’economia italiana, «non riesce a creare sufficiente numero di posti di lavoro qualificati, per cui, da un lato ci si trova a importare manodopera non qualificata dall’estero mentre, dall’altro, si assiste da tempo a una fuga di cervelli».
Tra il 1992 e il 2000 c’erano circa 100 mila italiani che sceglievano ogni anno di emigrare all’estero mentre nel decennio successivo «la media è di circa 200 mila, e i numeri reali sono sicuramente superiori perchè molti non segnalano lo spostamento di residenza, almeno in una prima fase».
Tanti hanno meno di 40 anni «e la maggior parte di loro sono laureati».
A peggiorare la situazione c’è poi la «mancata corrispondenza tra le competenze richieste dal sistema imprenditoriale e gli indirizzi di studio seguiti da chi si presenta sul mercato del lavoro». Un « mismatch molto diffuso nel nostro Paese», di cui fanno le spese in particolare «i laureati dei gruppi geo-biologico, letterario, giuridico e psicologico», che aspettano anni prima di trovare un lavoro, cosa che per esempio non accade ai medici e agli ingegneri.
Il trampolino è rotto
Chi trova lavoro, qualunque titolo di studio abbia in tasca, lo trova di norma a tempo determinato. È normale all’inizio.
Quello che non è normale è non riuscire a passare a un lavoro stabile.
L’analisi, dice il rapporto, «evidenzia come l’occupazione a termine abbia ridimensionato il suo ruolo di trampolino o comunque passaggio per entrare nell’occupazione permanente e abbia invece creato un segmento a sè stante di occupati».
Se prima della crisi quasi il 29% degli occupati a termine diventava permanente l’anno successivo, «ora questo vale per il 23% dei temporanei» mentre coloro che finiscono disoccupati sono saliti dal 16 al 19%.
I Neet
Chiudono il cerchio i Neet ( Not in employment, education or training ), «i ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione».
Nella fascia di età fra 15 e 29 anni in Italia sono il 24% rispetto a una media europea del 15,6%. In Germania l’11%, in Francia e Regno Unito il 14,6%.
Nel nostro Paese parliamo di oltre 2 milioni di giovani.
Di questi il 36,4% hanno perso un lavoro o non lo trovano, ma il resto sono «inattivi» o «scoraggiati».
Il fenomeno dei Neet è particolarmente preoccupante, conclude il Cnel, nella fascia tra i 25 e i 30 anni, cioè tra i «giovani-adulti».
Qui quelli che non studiano e non lavorano sono in Italia il 28,8%. Capitale umano inerte.
Enrico Marro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Settembre 20th, 2012 Riccardo Fucile
LA MOLTIPLICAZIONE DEI CANDIDATI PREOCCUPA LA BASE DEL PD CHE IN RETE SI INTERROGA SULL’EFFETTO NEGATIVO DI QUESTO PASSAGGIO
Timori, critiche, accuse.
Per molti elettori democratici “quattro candidati del partito sono davvero troppi”.
Tra mancanza di responsabilità e scarsa lungimiranza. “Vi rendete conto che il centrodestra non aspetta altro che le vostre zuffe?”
Di questo passo, avremo “un nuovo candidato ogni ventiquattro ore”.
E per avere l’elenco completo sarà più semplice “consultare le Pagine Bianche”.
Le primarie del centrosinistra per la scelta del candidato premier diventano un caso tra elettori e militanti del Pd.
Che, al di là della stima per ognuno dei “contendenti”, affidano alla rete riflessioni critiche e giudizi al vetriolo.
E timori neanche tanto nascosti. Perchè quattro democratici in corsa “forse sono davvero troppi”.
Il rischio è spaccare il partito a pochi mesi da elezioni che tutti considerano decisive non solo per le sorti del Pd ma anche per quelle del Paese.
Bersani, Renzi, Puppato e Civati . Già ribattezzati i “quattro cavalieri per l’apocalisse del Pd”.
In tanti avevano sollevato dubbi già con la presentazione delle candidature di Matteo Renzi e di Laura Puppato.
La domanda era condivisa: “Ma lo statuto del Pd non dice in modo chiaro che l’unico candidato premier è il segretario del Partito?”.
E l’eventuale modifica alle norme era stata letta come una “distorsione ad personam delle regole che tutti abbiamo accettato e sottoscritto”.
Ma è con la discesa in campo di Pippo Civati che la questione è esplosa.
L’hashtag #primarie diventa in pochi minuti uno dei più utilizzati si Twitter.
Tra i tanti commenti, si legge: “Non ho niente contro Pippo, anzi. Rappresenta una delle risorse migliori che abbiamo a disposizione. Ma ormai è chiaro che la questione sta sfuggendo di mano”.
Resa dei conti, un suicidio collettivo, la dimostrazione che siamo “davvero solo una somma di correnti in lotta tra loro”.
E il tema non è affrontato solo dei militanti. Il “fastidio” è avvertito anche da numerosi parlamentari democratici. Come Roberto Giacchetti.
Che scrive: “Di questo passo alle primari i candidati del Pd saranno più dei votanti”. Situazione letta in modo simile anche da Pina Picierno: “Non ci sarà l’albo degli elettori ma di questo passo saremo costretti a pubblicare quello dei candidati”.
Poi gli elettori.
Tra chi chiede un passo indietro collettivo per confluire su un solo nome e chi, addirittura, afferma di non “voler partecipare a questo scontro che mette in questione solo la nostra unità “.
Poi l’ironia.
C’è chi propone: “Ma allora candidiamoci tutti”. Ancora: “Ma sì, a questo punto mi candido anche io. Tanto mi sembra che i metodi di selezione siano molto larghi: basta avere un blog e riuscire a fare qualche intervista”.
Poi: “Che bello, ho intenzione di preparare un album di figurine con tutti i candidati. E le scambio con gli altri elettori il giorno delle primarie”.
Poi gli attacchi: “Ma non vedete che pessima figura ci facciamo? È chiaro che tutte le candidature sono per avere rendite di posizione, per poter dire qualcosa sui prossimi parlamentari che dovrete nominare. Perchè invece di aprire una guerra fratricida non vi impegnate tutti per cambiare finalmente la legge elettorale?”.
Non manca chi prova a spostare il discorso al di là dei “recinti democratici”.
Invitando tutti a portare l’attenzione su quanto il centrodestra possa guadagnare, in termini di immagine e di consenso, da una lotta tutta interna al Pd che rischia di andare avanti per mesi.
“Bravi, proprio bravi. Non vi rendete conto che Berlusconi e il Pdl non aspettano altro? Imposteranno tutta la campagna elettorale su quanto noi siamo divisi e incapaci di stringerci intorno a un solo candidato e di come la coalizione che uscirà fuori sarà fatta di infinite posizioni e scarsa incisività . Peggio dell’Unione di Prodi”.
Infine: “Per mesi ci avete detto che bisognava pensare alla sobrietà , al rigore, a dare il senso di responsabilità . E alla prima occasione, quella più importante, siete pronti ad azzuffarvi come scolaretti”.
Caos democratico.
E alle primarie, mancano ancora due mesi.
Carmine Saviano
(da “la Repubblica“)
argomento: Partito Democratico, PD | Commenta »