Destra di Popolo.net

RICETTA CANTONE-COTTARELLI: TAGLIO DI 4,5 MILIARDI SU FORNITURE AD UFFICI

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

I CONTROLLI ARRIVANO DOPO CHE IL CONTRATTO E’ STATO CHIUSO

Tra i 6 e i 7 miliardi di euro da risparmiare in un anno, solo sugli acquisti delle pubblica amministrazione. È senza dubbio ambizioso l’obiettivo che si è dato il governo per confermare nel 2015 il bonus da 80 euro.
Ma per raggiungere questo risultato non si punta solo sull’accorpamento delle centrali d’acquisto, che firmando contratti più corposi dovrebbero essere in grado di spuntare prezzi più bassi. Anzi.
Come spesso accade, più che regole nuove serve il rispetto delle regole esistenti.
E nel campo delle forniture pubbliche, senza spostare un comma o nemmeno una virgola, si potrebbero risparmiare in un anno 4,5 miliardi di euro.
Tanto vale lo scostamento dei contratti firmati ogni anno dalla pubblica amministrazione rispetto ai cosiddetti prezzi di riferimento della Consip, la società  del ministero dell’Economia che si occupa proprio degli acquisti per gli uffici pubblici. Per la maggior parte delle forniture, dalle stampanti all’energia elettrica, Consip indica dei parametri di qualità /prezzo che dovrebbero essere rispettati anche dall’ente pubblico che preferisce comprare per conto proprio. Dovrebbero.
Quei paletti vengono spesso aggirati infilando nei capitolati delle piccole variazioni sulle caratteristiche del prodotto che, almeno in teoria, giustificano un prezzo più alto. La differenza tra i prezzi effettivamente pagati l’anno scorso da chi ha proceduto all’acquisto per conto proprio e quelli indicati dalla Consip dà  proprio quei 4,5 miliardi e mezzo di euro: una cifra che da sola rappresenterebbe un quarto della spending review messa in preventivo per l’anno prossimo.
Il punto è come far rispettare davvero un obbligo che già  c’è.
In Corea vanno per le spicce: la loro Consip è autorizzata dalla legge a bloccare in tempo reale ogni contratto chiuso a livello locale che non rispetti i suoi parametri di prezzo e qualità .
E si tratta della Corea del Sud, quella democratica per intendersi.
In Italia i controlli possono arrivare soltanto «a babbo morto», mesi dopo che il contratto è stato chiuso e quando ormai c’è poco da fare.
Ma in fondo è proprio questo l’obiettivo delle lettere che il commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, e il presidente della nuova Autorità  nazionale anti corruzione, Raffaele Cantone, hanno spedito agli enti pubblici sospettati di eccessiva generosità  negli appalti.
Il passato è passato ma almeno si può far sentire il fiato sul collo a chi deve chiudere i contratti nei prossimi mesi.
Con la speranza che almeno una parte di quei 4,5 miliardi di euro venga recuperata più o meno spontaneamente.
Poi c’è il capitolo sull’accorpamento delle centrali d’acquisto. Oggi sono oltre 30 mila, scenderanno a circa 200 secondo la logica che sui grandi contratti si riescono a spuntare prezzi migliori.
Il piano Cottarelli indicava un massimo di 30/40 centrali ma quel numero riguarda solo i maxi-appalti, al di sopra di una soglia ancora da decidere che potrebbe essere fissata a 5 milioni di euro.
In questo caso a passare attraverso le nuovi grandi centrali – tra le quali la stessa Consip e quelle regionali – sarebbero 3 mila forniture l’anno.
Sotto ci saranno le centrali uniche di committenza, che dovranno servire più Comuni evitando la frammentazione di oggi e che alla fine saranno tra 100 e 150
L’obbligo di accorpamento per i Comuni viene da lontano: era previsto addirittura dal decreto salva-Italia del governo Monti, quasi tre anni fa.
Ma è stato più volte rinviato, l’ultima proroga di mezza estate è proprio del governo Renzi, e adesso dovrebbe partire dal primo gennaio del 2015.
Un altro slittamento farebbe saltare i conti della spending review ma c’è ancora un punto interrogativo.
È vero che il gruppo spunta un prezzo migliore del singolo.
Ed è vero anche che, applicata al bilancio dello Stato, questa regola antica si dovrebbe trasformare in un certo risparmio di denaro pubblico.
È però possibile che il meccanismo, di per sè virtuoso, concentri su poche e (tendenzialmente) grandi aziende i soldi pagati dallo Stato per le sue forniture e ammazzi le piccole, con ulteriore disoccupazione.
Resta da vedere quali saranno gli effetti su un Paese arrivato ormai al settimo anno di crisi.

Lorenzo Salvia
(da “il Corriere della Sera”)

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MARE NOSTRUM DUE: LA SOLUZIONE SAREBBE ARRETRARE LA LINEA DI INTERVENTO

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

SI LAVORA A UN’AZIONE CONGIUNTA CON SPAGNA, FRANCIA, GERMANIA E FINLANDIA, MA NON SI CAPISCE COSA CAMBIEREBBE DI FATTO

La svolta è ormai vicina. Le incomprensioni per Mare Nostrum, per l’immobilismo di Frontex, per l’accoglienza degli immigrati, per i silenzi sulle condanne per le stragi di innocenti.
Tutto questo non può vedere l’Italia divisa dall’Europa. È tempo di ritrovare una intesa. Presto potrebbe nascere Frontex bis o, se preferite, Mare Nostrum bis.
La fonte autorevole di Bruxelles pronuncia due parole: «pull factor». Che vuol dire «fattore di attrazione».
Un anno di incomprensioni, di silenzi, di semplici comunicati di solidarietà  europea ogni volta che si è evitata una strage o si sono comunque raccolti corpi senza vita, e nulla più.
Ora qualcosa si sta muovendo tra Roma e Bruxelles. E non solo perchè questo semestre europeo è a presidenza italiana. A Varsavia, alla sede di Frontex, spiega la fonte della Commissione Ue, «l’Italia finalmente si è seduta a un tavolo tecnico per studiare i contenuti di una possibile intesa».
I termini dell’accordo che i governi europei dovrebbero fare propri dovrebbero essere questi: «Mercoledì il vostro ministro Alfano viene a Bruxelles per incontrare il commissario Malmstroem per discutere il da farsi. E nel Consiglio dei ministri dell’Interno di ottobre, l’Italia darà  l’annuncio ufficiale che intende sospendere Mare Nostrum».
Nel merito le novità  si annunciano corpose. Rivela la fonte della Commissione Ue: «L’annuncio di Alfano non significa che da un giorno all’altro il dispositivo di operazioni di soccorso in mare va in disarmo. Contemporaneamente la nuova Commissione e gli Stati membri, alcuni di essi, daranno vita a un Frontex bis».
Come è noto, Frontex, polizia di frontiera, non ha nei suoi compiti istituzionali le operazioni umanitarie.
Dispone di pochissime risorse tecniche ed economiche, meno di quanto l’Italia spende con Mare Nostrum.
«Il problema è che oggi i mezzi navali italiani – sintetizza la fonte della Commissione – operano quasi al limite dell’acque territoriali libiche.
Le organizzazioni che sfruttano il traffico di immigrati utilizzano quindi natanti poco attrezzati a fronteggiare una traversata: «Ma se il dispositivo di Mare Nostrum indietreggia al limite delle acque territoriali italiane e maltesi, i trafficanti dovranno rivedere le modalità  e il numero dei viaggi».
Insomma la proposta che sta maturando a Varsavia è quella di costruire un diverso dispositivo di salvataggio, vedendo impegnati diversi Paesi.
«Potrebbe nascere intanto un Frontex dei Paesi europei rivieraschi, e cioè mezzi e uomini spagnoli, francesi e italiani. E poi Germania e Finlandia potrebbero contribuire anche loro all’operazione».
Fonti del ministero dell’Interno lasciano intendere che le possibilità  di una intesa siano reali: «La nostra opzione rimane quella che Frontex subentri a Mare Nostrum. Ma se questa linea non dovesse passare, siamo pronti a valutare tutte le altre opzioni».

Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)

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INTERVISTA A LAURA BOLDRINI: “DIAMO DELLE ALTERNATIVE ALLA TRAVERSATA DEL MARE”

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA CAMERA: “IL MEDITERRANEO NON RIMANGA SGUARNITO”

Presidente, altri corpi senza vita raccolti in mare dai nostri uomini, dai mezzi della marina militare e delle capitanerie di porto. Come crede che si possa passare da una stagione dell’emergenza permanente a una più coerente politica di governo dei flussi migratori?
«In questo caso non si può parlare di politica di flussi migratori. Qui siamo di fronte a flussi di richiedenti asilo, di persone che scappano da guerre e violazioni dei diritti umani. Tutto questo dipende da quanto sta accadendo intorno a noi. E se non fosse chiaro che ai nostri confini stanno aumentando le aree di instabilità  e di crisi, le cifre ce lo spiegano: per la prima volta dal secondo dopoguerra il numero dei rifugiati al mondo ha superato quota 50 milioni. In Siria ci sono oltre 10 milioni di persone fuori casa, e 3 milioni hanno trovato rifugio nei paesi confinanti. In Libano, un piccolo Paese di circa 4 milioni di abitanti, si sono riversati un milione di siriani. Come se in Italia ne fossero arrivati 15 milioni; mentre siamo a quota 100mila, di varie nazionalità , e già  sembrano tanti, troppi. Certo, è vero che l’accoglienza in Italia andrebbe strutturata una volta per tutte, con risposte calibrate a seconda del numero degli arrivi. Ma questo purtroppo ancora non accade: ogni volta è “emergenza” e si ricomincia da capo».
Mare Nostrum sembra finita sul banco degli imputati, colpevole di attrarre i disperati, di fomentare l’industria del traffico di merce umana. Qual è la sua valutazione dell’operazione Mare Nostrum? Crede che debba continuare ad operare o bisogna passare a una nuova fase?
«La mia è una valutazione piena di orgoglio per quello che l’Italia ha fatto e sta facendo. Mare Nostrum è un’operazione meritoria, l’unica dopo anni di inerzia colpevole. Metterla sul banco degli imputati vuol dire non aver a cuore la vita umana. Ed è assolutamente irrealistico pensare che chi fugge dai bombardamenti o dalla follia estremista lo faccia perchè è a conoscenza di Mare Nostrum. Detto questo, da sola non basta, perchè cura i sintomi, non la malattia. La malattia va ricercata nelle motivazioni della fuga, ed è lì che bisogna agire con più efficacia: nel rilanciare i negoziati di pace, nel rafforzare i processi di democratizzazione, nel porre le basi per uno sviluppo sostenibile dei Paesi più svantaggiati. L’Europa potrebbe avere un importante ruolo, se fosse capace di agire in modo unitario».
Il commissario europeo Malmstroem incontrerà  il ministro Alfano mercoledì prossimo per definire le priorità  e provvedere a un’eventuale assistenza, richiamando anche tutti gli Stati membri a impostare un’azione che vada in direzione del resettlement, una proposta che lei stessa ha sempre sostenuto. Crede che Bruxelles abbia gli strumenti per poter effettivamente prendere decisioni concrete?
«Decisioni concrete possono essere prese se c’è la volontà  politica di mettere in atto alternative alla traversata del mare. In altre parole, bisogna dare ai richiedenti asilo un’ulteriore possibilità  anzichè lasciarli alla mercè dei trafficanti. Va sicuramente in questa direzione il “resettlement”: vuol dire fare domanda d’asilo presso l’Unhcr nei Paesi di transito, come la Libia. A chi viene selezionato si dà  la possibilità  di essere trasferito legalmente e senza rischi nei Paesi che ne offrono la disponibilità . Ed è a questo punto che subentra la volontà  politica. Purtroppo negli anni scorsi, mentre Stati Uniti, Canada, Australia hanno offerto a decine di migliaia di persone questa opportunità , i Paesi dell’Ue non hanno certo brillato».
Siamo ormai a oltre 107.000 sbarchi dal primo gennaio. L’Italia viene accusata di favorire se non di sollecitare il trasferimento di molti profughi negli altri Paesi europei. Non crede che anche su questo fronte ci sarebbe bisogno di un coordinamento migliore?
«L’Italia, nonostante gli enormi sforzi riconosciuti in queste ore anche dalla Commissione Ue, viene accusata da alcuni Stati europei di non identificare chi arriva e di non offrire un’accoglienza in base agli standard dell’Unione, così da consentire ai richiedenti asilo di lasciare il nostro Paese per arrivare dove esistono migliori condizioni di welfare e avanzare lì la domanda d’asilo. Come è noto, infatti, in base alla Convenzione Dublino 3 è il Paese di primo approdo del richiedente a doversi far carico della procedura d’asilo: lasciarli andare significa dunque non rispettare gli impegni presi con gli altri Stati europei. In questa contestazione vi è anche un monito: se noi vogliamo ottenere più condivisione e sostegno europeo per il soccorso in mare, dobbiamo fare la nostra parte nell’accoglienza, senza dare quindi l’impressione di voler scaricare le nostre responsabilità  sugli altri. Se lei fosse un richiedente asilo, non cercherebbe di raggiungere un Paese dove può avere una migliore accoglienza anzichè rimanere in quello dove si deve arrangiare? Per questo è importante che vi sia un’armonizzazione degli standard: per evitare che tutti vogliano andare dove si sta meglio, con le inevitabili tensioni tra Stati che ne derivano».
Il governo italiano è impegnato a convincere l’Europa a garantire che Frontex, la polizia di frontiera della Ue, sostituisca Mare Nostrum nelle operazioni umanitarie. Ma non le sembra che i tempi siano troppo lunghi rispetto alle risposte da dover dare oggi?
«Il primo problema da affrontare è che il mandato di Frontex non prevede il monitoraggio e il soccorso in mare, ma solo il controllo delle frontiere esterne. Recentemente ha anche recepito il principio del non respingimento in mare dei rifugiati. Dunque si tratterebbe di procedere su questa strada per arrivare ad un ampliamento, sempre a condizione che ci sia la volontà  degli Stati membri. Nel frattempo, il Mediterraneo non può rimanere sguarnito: non in questi tempi di tensioni e guerre in cui i civili tentano di mettersi in salvo. L’onere delle conseguenze delle guerre non può ricadere solo sui Paesi poveri confinanti. In questo difficile contesto ci deve essere una collettiva assunzione di responsabilità ».

Guido Ruotolo
(da “La Stampa”)

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EQUITALIA, ISTAT, POLIZIA: LA GIUNGLA DEI CONTRATTI

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

SOLO NEI SERVIZI TELEFONI UN MILIARDO DI SPRECHI: UNA CHIAMATA DA UN UFFICIO PUBBLICO COSTA IL 71% IN PIU’… IL MINISTERO DELL’INTERNO SPENDE 500 MILIONI CON TELECOM

Non è affatto una questione simbolica, affare di pochi euro in più o in meno.
Il fatto che tante amministrazioni negozino e concludano da sole i propri contratti di telecomunicazioni comporta sprechi, si stima, per circa un miliardo l’anno.
Se tutte le convenzioni pubbliche per l’uso dei telefoni fissi e mobili e per il traffico dati in rete fossero concluse invece tramite grandi centrali d’appalto capaci di comprare all’ingrosso, il costo sarebbe molto ridotto
TAGLIO AI COSTI
Il ministero dell’Economia ha notato che nel 2012 (ultimi dati disponibili) il costo al minuto di una chiamata da un ufficio pubblico in media è più basso del 71% quando il contratto telefonico viene concluso da Consip, la grande centrale nazionale degli acquisti controllata dal Tesoro.
Un minuto al cellulare mediamente costa invece il 35% in meno e un messaggio di testo addirittura fino al 72% in meno.
Il problema è che, singoli contratti alla mano, spesso questi risparmi non si realizzano perchè le amministrazioni fanno da sè.
Negoziano e comprano in autonomia, a costi spesso incongrui. Al centro e in periferia. Non si può dire, quanto a questo, che il dicastero dell’Interno abbia dato il buon esempio: nella prima settimana di dicembre, con l’Italia sull’orlo del default e il ministro Anna Maria Cancellieri appena insediata, ha avviato in perfetta solitudine una procedura poi sfociata in una convenzione da ben 521 milioni di euro con Telecom Italia.
Il contratto è destinato a “servizi telefonici e di trasmissione dati” della Pubblica sicurezza. Quell’accordo colossale, informa il sito dell’ex Autorità  di vigilanza sui contratti pubblici (ora Anticorruzione), è stato concluso con una “procedura negoziata senza previa pubblicazione”.
Ce n’è abbastanza da aver attratto l’attenzione della Corte dei Conti, che avrebbe aperto un vero e proprio contenzioso con il Viminale (in via ufficiale non confermato nè smentito) sulla regolarità  della procedura
GOVERNO, AUTORITà€, ENTI LOCALI
Quello della Pubblica sicurezza è senz’altro il caso più vistoso, non però l’unico. Esiste una lista di un’ottantina di contratti di telecomunicazioni da circa 100 milioni di euro in totale che sta attirando l’attenzione su ministeri, comuni, province, regioni, Camere di commercio, Inail e agenzie o autorità  dello Stato.
Non è sfuggito per esempio come il ministero della Difesa a settembre 2012 — altro momento drammatico per le finanze del Paese — si sia attivato per elargire un contratto di telecomunicazioni da 19,9 milioni di euro.
Qui la stazione appaltante è la Direzione generale impianti e mezzi di difesa aerea e telecomunicazioni: fosse stata la Consip, forse la fattura finale per il contribuente non sarebbe stata così elevata.
E le amministrazioni avrebbero dato il segnale che capivano l’angoscia dei cittadini per il debito pubblico e il peso dell’austerità .
Del resto sempre nel 2012, a giugno, una stazione appaltante chiamata “ministero della Difesa — Comando generale arma dei Carabinieri” avvia “senza previa pubblicazione” una procedura per un appalto a Telecom Italia per la gestione del servizio telefonico. Importo finale, 2,2 milioni di euro
LE ANTENNE PER INTERNET
Notevole anche il contratto da 8,7 milioni che sempre nel 2012 la provincia di Catania conclude con Fastweb e Mandarin Wimax Sicilia Spa per una rete di interconnessioni delle proprie sedi e delle scuole.
Ma gli enti locali del Sud non si distinguono da quelli del Nord per il peso finanziario dei loro accordi telefonici. C’è l’appalto da 1,9 milioni di euro (di nuovo assegnato “senza previa pubblicazione”) dall’Azienda regionale Emergenza Urgenza della Lombardia per l’“infrastruttura tecnologica del call center”.
Ce n’è un altro da 1,1 milione per due anni della provincia di Milano, ancora una volta senza pubblicazione preliminare dell’appalto, per “assistenza integrata ai sistemi di telefonia fissa”
Non mancano poi i casi quasi folcloristici. Besana in Brianza, 15.500 abitanti, nel 2013 riesce a impegnarsi a pagare a Fastweb 451 mila euro per “servizi di comunicazione e connettività  in fibra ottica” per gli edifici del comune.
Potrebbe passare alla storia come la banda larga più cara della storia, dato che il contratto costa quasi 30 euro per abitante.
TASSE E STATISTICHE
Colpiscono però di più le scelte di altre amministrazioni centrali collocate sotto il ministero dell’Economia o molto vicine alle sue preoccupazioni per i conti.
Anche loro fanno a meno dell’aiuto della Consip nell’ottenere le forniture, malgrado sia anch’essa una controllata del Tesoro.
Gli sprechi e la confusione negli appalti arrivano vicino al cuore finanziario dello Stato.
E’ il caso di Equitalia, che con la sua stazione appaltante “Equitalia Sud Spa”, all’apice della crisi finanziaria nel luglio del 2012, decide di dare a Telecom Italia 454 mila euro per un contratto di “servizi di telefonia voce e dati, su rete fissa e mobile” negoziando l’appalto, si legge nel sito dell’Autorità  anticorruzione, “senza previa indizione della gara”.
Ed è il caso dell’Istat che, di nuovo in pieno marasma finanziario dello Stato nel 2012 — e di nuovo “senza previa pubblicazione” — affida in perfetta autonomia un contratto da 1,8 milioni di euro per il call center del suo censimento: presidente dell’istituto era Enrico Giovannini, poi ministro del Lavoro.
Nessuno di questi è un segreto. Tutti i dati sono pubblici, nascosti fra decine di migliaia di appalti sul sito dell’ex Autorità  di vigilanza sui contratti pubblici.
Alcune delle procedure di appalto in autonomia sono probabilmente giustificate, ma le stime del Tesoro non lasciano scampo: mostrano che, spesso, anche al cuore dello Stato è mancato il senso di responsabilità  per i sacrifici chiesti ai cittadini e il rispetto delle procedure nell’affidare gli appalti. La lista dei maxi-contratti è lunga.
L’attesa in vista dei primi, veri tagli di spesa si spera invece breve.

Federico Fubini
(da “La Repubblica”)

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MANCANO I SOLDI, NIENTE BONUS 80 EURO PER PENSIONATI E PARTITE IVA

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

RENZI AVEVA PROMESSO CHE AVREBBE ESTESO IL CONTRIBUTO ANCHE A LORO: ALTRO BUCO NELL’ACQUA

La squadra di Palazzo Chigi, quella che nelle intenzioni dello stesso Renzi dovrebbe aiutarlo a mettere a punto la manovra d’autunno, ancora non c’è.
Nessuno dei candidati a comporlo è stato ancora contattato dal premier per discutere del da farsi.
Eppure il tempo inizia a stringere: il primo ottobre, quando il Tesoro dovrà  presentare le stime aggiornate del Documento di economia e finanza, la legge di Stabilità  dovrà  essere pronta nei suoi grandi numeri.
Il governo deve passare attraverso un imbuto stretto: trovare almeno dodici miliardi di nuovi tagli alla spesa, ai quali si aggiungeranno i tre già  introdotti con il decreto sugli ottanta euro.
Senza di essi per Renzi sarà  impossibile garantire la conferma del bonus Irpef e il taglio dell’Irap.
Queste due voci valgono da sole più di dieci miliardi, una cifra già  di per sè enorme se – come promette il premier – l’unica strada per finanziarla saranno le diminuzioni di spesa.
Sperare che nel frattempo l’Europa ci conceda un margine di flessibilità  non è contemplato.
In ogni caso, con gli attuali numeri, l’Italia è già  molto vicina al limite del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil. E la manovra, che dovrebbe aggirarsi complessivamente attorno ai 20 miliardi, già  prevede di essere finanziata con alcune voci meno certe come ad esempio le maggiori entrate da lotta all’evasione.
Ecco perchè – così spiega una fonte governativa – l’unica certezza è che non ci sarà  spazio per allargare il bonus a pensionati e lavoratori autonomi come Renzi aveva promesso: già  il primo agosto il premier aveva chiarito di non «poter garantire» che ce l’avrebbe fatta e che ci stava «lavorando».
Su 41 milioni di contribuenti, quasi la metà  – 18 milioni – sono pensionati.
Stesso discorso vale per la richiesta di parte della maggioranza di allargare la no tax area di chi non lavora da 7.500 euro a 8.000, come è già  previsto per i dipendenti. L’impegno – racconta chi sta studiando le carte al Tesoro – «è concentrato sul lavoro dipendente».
Ce la farà  il governo a trovare le risorse in un mese?
I grandi numeri sono quelli che il commissario alla spesa Cottarelli ha portato sul tavolo di Renzi in luglio: nel 2015 almeno 5 miliardi di risparmi con la centralizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione, altri cinque da tagli di varia natura: da un taglio forte delle società  partecipate dagli enti locali, dalla razionalizzazione dei costi di funzionamento delle sedi degli enti pubblici, dal taglio degli affitti inutili e dall’introduzione dei costi standard in sanità .
Tutti discorsi che restano teorici.
Per ora si smentisce l’ipotesi di un contributo di solidarietà  sulle pensioni, mentre è sempre più probabile la revisione di alcune detrazioni fiscali che d’ora in poi verrebbero modulate sulla base del reddito.
La possibilità  di evitare misure che tocchino le tasche dei contribuenti è direttamente proporzionale alla capacità  del governo di infilare il bisturi nella carne della spesa, soprattutto quella a favore di interessi consolidati.
La missione più difficile sarà  disboscare i cosiddetti «incentivi alle imprese», in gran parte contributi concessi a fondo perduto a questa o quella azienda pubblica.
Le sole Fs (ed esclusi gli investimenti in rotaie) assorbono cinque miliardi l’anno.
Il governo si accontenterebbe di tagliarne due in un mare magnum di trenta miliardi.

Alessandro Barbera

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LITTIZZETTO: “ECCO 100 EURO PER LA SLA”. LA RETE: “RIDICOLA, SI VERGOGNI, A SANREMO HA GUADAGNATO 350.000 EURO”

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

POLITICI E DIVI DAL BRACCINO CORTO, LE SECCHIATE SERVONO PIU’ A LORO CHE AI MALATI DI SLA… LE OFFERTE   SONO SALITE SOLO DI 60.000 EURO

Una donazione che ha più il sapore dell’elemosina.
Luciana Littizzetto aderisce all’Ice Bucket Challenge, risponde alla sfida lanciata dal collega Fabio Fazio («quel pirla»), nomina Claudio Bisio e la Gialappa’s Band, e dona cento euro alla causa della Sla.
Attirandosi in questo mondo proteste e insulti sul web.
Perchè cento euro, per una conduttrice e star della televisione che «per il Festival di Sanremo ne ha guadagnati 350 mila», come ha fatto notare qualcuno su Twitter, sono pochissimi.
«Secchiate di ipocrisia»
Sono solo «secchiate di ipocrisia», aveva detto Mariangela Lamanna, vicepresidente del «Comitato 16 novembre», che raggruppa i malati di Sla in Italia, da anni in lotta contro i tagli costanti ai fondi per la non autosufficienza.
«Di quelli che hanno partecipato – spiega – l’unico che salvo è Jerry Calà , che ha messo online un bonifico da 1.000 euro».
«Operazione mediatica ma con pochissima sostanza»
Dello stesso avviso Federcontribuenti, associazione nazionale che sostiene da tempo la battaglia del «Comitato 16 novembre»: «Il fatto che in Italia, dopo tutto questo cancan, le somme raccolte non raggiungano i 100 mila euro dà  la misura di quanta miseria ci sia dietro questa operazione mediatica ma con pochissima sostanza».
Le donazioni infatti sono solo salite dai 40 mila euro registrati sabato mattina a 100 mila di domenica.
Grazie alla gente comune, non certo a politici e Vip.

(da “il Corriere della Sera”)

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ADDIO AGLI 80 EURO E MENO IRAP: L’IPOTESI SI FA STRADA

Agosto 25th, 2014 Riccardo Fucile

LA PROPOSTA DI SCALFARI: DATO CHE NON SONO SERVITI A NULLA, MEGLIO I DIECI MILIARDI DESTINARLI ALLE IMPRESE PER CREARE OCCUPAZIONE RIDUCENDO IL COSTO DEL LAVORO

E se gli 80 euro mensili per i redditi bassi, invece che essere confermati per l’eternità , venissero limitati al 2014?
I soldi risparmiati, oltre 10 miliardi l’anno, si potrebbero destinare a ridurre l’Irap, cioè a tutto beneficio delle aziende che avrebbero un costo del lavoro più basso e — si spera — assumerebbero di più facendo scendere la disoccupazione.
La proposta arriva dalle colonne di Repubblica direttamente da Eugenio Scalfari, proprio mentre Matteo Renzi lascia la vacanza a Forte dei Marmi per tornare a lavorare a Roma.
“Il governo italiano dovrebbe destinare almeno 10 miliardi alla riduzione dell’Irap a favore delle imprese. Con quali risorse? Stornando la medesima cifra dal finanziamento dei famosi 80 euro i cui risultati di rilancio dei consumi non sono avvenuti; oppure tassando i ricchi il cui reddito sia da 130mila euro in su”, scrive il fondatore di Repubblica che spesso si vanta di interpretare gli umori del Quirinale e della Banca d’Italia.
Da sempre tutti gli economisti sostengono che ridurre l’Irap, e dunque il costo del lavoro, spingerebbe il Pil molto più di qualunque intervento sull’Irpef.
Ma il governo ha deciso di puntare sugli 80 euro, stimando un ottimistico impatto sulla crescita dello 0,3 per cento nel 2015, 0,4 nel 2014 e 0,7 negli anni seguenti. Perchè i lavoratori dipendenti votano e le aziende no.
Sul Mattinale, il bollettino quotidiano che fissa la linea politica di Forza Italia e che è curato da Renato Brunetta, c’è un commento all’articolo di Eugenio Scalfari: “Sull’economia dà  ragione a Draghi e sulla necessità  — il primo a teorizzarlo è stato Berlusconi     — di provocare una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, giudica malissimo gli 80 euro inutili per risollevare i consumi (qui Scalfari è a lezione da Brunetta)”.
Ma è soprattutto il Nuovo centro destra di Angelino Alfano, sempre in cerca di battaglie simboliche per ricordare la propria esistenza, che pare pronto a intestarsi la campagna dell’Irap, per recuperare un po’ di consensi in un mondo imprenditoriale che dopo l’iniziale entusiasmo renziano ora pare più permeabile a suggestioni alternative.
“Rimettere in disccussione gli 80 euro? Ma non scherziamo. E poi è troppo presto per sostenere che non hanno funzionato, dobbiamo aspettare di dati sui consumi di settembre, anche se già  quelli di giugno indicavano un miglioramento”, dice uno dei consiglieri economici del premier, il deputato Pd Yoram Gutgeld.
L’altro economista ascoltato da Renzi, Filippo Taddei che ha la delega nella segreteria del partito, conferma che il governo “ha promesso di rendere lo sconto Irpef permanente e lo farà , trovando le risorse nella revisione della spesa”.
Però il sogno renziano di aumentare la platea dei beneficiari pare destinato a non concretizzarsi.
Se ci fosse la possibilità , spiega Taddei, “la priorità  sarebbe adottare un correttivo per le famiglie numerose, è molto più difficile allargare lo sconto fiscale ai pensionati per la semplice ragione che sono tantissimi”.
Un approccio pragmatico che lascia spazio a Ncd per condurre, da dentro la maggioranza, l’eterna battaglia centrista per il “quoziente famigliare”, il trattamento fiscale che premia le famiglie numerose.
Qualcosa nella strategia economica di Renzi andrà  però affinato, mantenere le vecchie (e ambiziose) promesse non è abbastanza.
Un po’ perchè sono già  logore, un po’ perchè sta cambiando il quadro europeo in cui si devono inserire.
Dalla riunione annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, in Wyoming, il presidente della Bce Mario Draghi ha indicato quale deve essere l’approccio alla crisi: interventi sul mercato del lavoro combinate con un po’ di flessibilità  nei conti per chi si impegna in riforme strutturali.
Declinato in chiave renziana, questo significa che se si deve aprire una trattativa con Bruxelles sui saldi di bilancio e su eventuali ulteriori scostamenti dal pareggio, è meglio farlo per i costi delle grandi riforme (esempio: una modifica degli ammortizzatori sociali, che inciderebbe anche sul mercato del lavoro).
E non su tagli fiscali che hanno un sapore molto elettorale.
Tanto più che le elezioni sono passate.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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