Destra di Popolo.net

CIAO KLODIAN

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

PER NOI LA PRIMA NOTIZIA SEI TU

Il giovane che vedete in foto aveva 21 anni: pochi giorni fa ha fatto un volo da un’impalcatura del cantiere della Teem, sbattendo la testa e morendo sul colpo perchè lavorava senza imbracatura.
Questo ragazzo è morto per garantire l’inaugurazione di una galleria nei pressi del futuro casello di Pessano con Bornago, che deve essere pronta per l’Expo, in quanto sarà  la futura tangenziale esterna milanese.
Un morto di Expo, volato giù come una mela, impiegato in un cantiere ora posto sotto sequestro e da cui sono subito sbucate molte irregolarità , tra cui in primis l’assenza dell’imbracatura di sicurezza, che gli avrebbero permesso di assaporare questa primavera e tante altre.
A Chiari lo conoscevano in tanti: giocava a calcio negli Young Boys, proprio domenica la squadra ha tenuto la testa china, per un minuto di silenzio prima del fischio d’inizio.
I suoi compagni hanno vinto, e hanno dedicato a lui i tre punti.
Ma non avete potuto leggere la notizia della sua morte sui giornali nazionali, quasi nessuno lo nomina:   perchè era albanese ed è più comodo parlare degli albanesi quando qualcuno di loro commette un reato, non quando sono vittime dello sfruttamento di aziende italiane, magari in nome dell’Expo degli scandali e delle tangenti.
Klodian Elezi, questo il nome del ragazzo, da anni residente con tutta la famiglia nel bresciano, non è morto affogato su un gommone, come avrebbe auspicato qualche “buon padre di famiglia” padano, ma è morto perchè qualche italiano ha ritenuto che si potesse rispamiare sulla sicurezza sul lavoro.
Morto sul cantiere, morto sul lavoro: il tragico e amaro destino che era capitato anche allo zio Sherbet, morto nel 2012 mentre lavorava alla BreBeMi, in territorio di Calcio, nella bergamasca.
L’ennesima vittima di quella strage silenziosa che nessuno è mai riuscito a fermare perchè viene comodo così.
Paga elettoralmente di più invocare i controlli, lancia in resta, del sacro suolo contro i profughi che effettuarli nei cantieri dove un giovane albanese può morire senza che nessuno si ricordi il suo nome.
Ecco perchè vogliamo, proprio noi di destra non da avanspettacolo, ma destra di valori etici e sociali, ricordarlo senza se e senza ma.
Ciao Klodian, grazie di aver investito i tuoi sogni nel nostro Paese.

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VERDINI PROPONE IL SOCCORSO AZZURRO A RENZI, MA BERLUSCONI DICE NO: “NON FACCIO PATTI, E’ INAFFIDABILE”

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

BERLUSCONI PRONTO A SCARICARE VERDINI CHE ORMAI RISPONDE SOLO A RENZI

Questa volta le parole di Verdini gli hanno procurato non solo un generico fastidio, ma un sincero moto di stizza: “Denis — è sbottato Silvio Berlusconi — devi capire che io di Renzi non mi fido. Ha già  dimostrato di essere inaffidabile. Non faccio patti. Punto”.
L’ultimo atto tra l’ex premier e il suo (ex) plenipotenziario si è consumato a palazzo Grazioli.
Quando Verdini, dopo lo psicodramma del Pd, è tornato con un’offerta: “Se voti l’Italicum — queste le parole di Verdini — Matteo ci garantisce qualsiasi cosa. Che interesse abbiamo a fare opposizione. Ci dà  l’ultima occasione per risalire a bordo”.
Ecco lo scambio prospettato: la risurrezione del Nazareno in cambio del soccorso azzurro sull’Italicum.
Perchè, raccontano i ben informati, i contatti di Verdini con Lotti (e dunque con Renzi) non si sono mai interrotti.
È un pressing asfissiante quello che si consuma nello studio di Berlusconi: “Abbiamo davanti i decreti fiscali, Mediaset, tutto quello che ti serve. Noi sosteniamo l’Italicum. E lui… L’hai capito che Mattarella firma tutto quello che dice lui. Ti ripeto: che interesse abbiamo a fargli opposizione?”.
Stavolta non solo Berlusconi, consapevole che parlare alle orecchie di Verdini equivalga a parlare alle orecchie di Renzi, scandisce la sua incondizionata e totale mancanza di fiducia verso il premier, ma va anche oltre: “Queste riforme per me sono invotabili. È un disegno autoritario, quello vuole una concentrazione di potere mai vista prima. Io sono un liberale. E un liberale come me non può aiutare un dittatorello. È chiaro?”.
Il passaggio successivo si consuma quando Verdini esce da palazzo Grazioli.
E per la prima volta, senza tanti giri di parole, l’ex premier — parlando della riorganizzazione del partito post regionali — aggiunge tra i vari capitoli del riassetto quello che prevede la “testa” di Denis.
Perchè ormai è chiaro che gioca con una maglietta di un altro colore, nello specifico — per usare una metafora calcistica — è passato alla Fiorentina.
È chiaro che sta preparando il suo soccorso al premier sull’Italicum e non solo.
Il segnale di Bondi e della Repetti che votano la fiducia è solo il primo di una manovra più ampia.
Ecco perchè Berlusconi sta già  pensando alla contromossa. Una fonte di alto livello sussurra: “Renzi vuole mettere la fiducia sull’Italicum? Bene, a quel punto le opposizioni, tutte, escono dall’Aula. E se esce anche un pezzo di Pd salta il numero legale. Siamo sicuri che quelli di Verdini restano dentro? Chi li ricandida quando si vota? Se li accolla Renzi? La verità  è che Denis è forte nell’ombra ma alla luce del sole gli si dimezzano le truppe”.
L’ultimo atto con Verdini coincide con uno scatto d’orgoglio del vecchio leone. Berlusconi ha iniziato a programmare una serie di uscite per le regionali, nelle regioni in bilico: Campania, Liguria, Veneto.
È vero che i sondaggi danno Forza Italia a percentuali da brivido, ma è anche vero che l’astensione è alta.
E i report su Renzi dicono che in materia di promesse sull’economia è vulnerabile.

(da “Huffingtonpost”)

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ROMANO IL PICCONATORE

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

DA MERKEL “MAESTRA SEVERA” A RENZI PREMIER “SENZA VOTO”, DAGLI SCONTRI CON D’ALEMA AL PD “MISSIONE INCOMPIUTA”

Romano Prodi si toglie un po’ di sassolini dalle scarpe.
Racconta aneddoti su decenni di rapporti personali e di storia d’Italia in un libro-intervista a cura di Marco Damilano dal titolo “Missione Incompiuta” e si concede giudizi tranchant, anche velenosi, su molti protagonisti della vita politica, e non solo.
Nelle anticipazioni diffuse oggi da Repubblica, Corriere della Sera e Fatto Quotidiano, dipinge anche un quadro piuttosto fosco del futuro economico nazionale ed europeo: “Le politiche europee del governo tedesco – spiega – meritano oggi ogni biasimo e probabilmente produrranno danni irreparabili. L’Italia non sarà  la prima ad affondare, ma è solo questione di tempo: se non si cambia integralmente politica su scala europea, saremo travolti tutti”.
Per quanto riguarda l’Italia, Prodi afferma che “tre presidenti del Consiglio non eletti dal popolo sono certamente un intervallo troppo lungo del processo democratico”. Criticando il fatto che la legge elettorale in Italia non dica chiaramente chi vince e chi perde, il Professore parla di “grave anomalia di un sistema democratico”.
Perchè l’Italia “è un paese scalabile, ma la scala la devono fornire gli elettori”. Romano Prodi dice del Pd che “senza l’Ulivo non ci sarebbe stato. In questo senso si può dire che il Pd ne è il figlio”, ma il partito oggi guidato da Matteo Renzi “valorizza l’eredità  dell’Ulivo a giorni alterni”.
Il Professore non sente una propria estraneità  dal Pd, ma parla della “fine di una missione. Missione incompiuta”.
Altro passaggio inevitabile è quello della sua mancata elezione al Quirinale, quei 101 franchi tiratori che “in realtà  sono stati quasi 120”.
Ricorda che “per due giorni nessuno del Pd mi ha difeso ed è stato per me il momento di massima amarezza. Solo una dichiarazione personale da parte di Rosy Bindi”. Secondo Prodi in quel voto c’era “il non volere un presidente della Repubblica difficilmente controllabile”.
Uno dei giudizi più severi di Romano Prodi riguarda la cancelliera tedesca Angela Merkel: “sono preoccupato per il futuro dell’Europa, governata da una leadership che è sempre più forte, ma ha perso il senso della solidarietà  collettiva” afferma l’ex presidente del Consiglio, sottolineando che “tutti i paesi fanno a gara a ripararsi sotto l’ombrello tedesco, dove siede l’intelligente e severa maestra che, con la matita rossa e blu, ha sostanzialmente sostituito il ruolo delle società  di rating, tra loro formalmente concorrenti ma, in pratica, ormai inascoltate sorelle gemelle”.
A proposito di leader forti, Prodi afferma con chiarezza di accordare la sua preferenza allo stile di governo di Enrico Letta, rappresentato dal “cacciavite” rispetto a quello di Matteo Renzi, rappresentato dal “trapano”.
“I poteri forti si sono profondamente indeboliti” afferma l’ex premier, secondo cui oggi Renzi “ha certamente più probabilità  di costituire il potere dominante del Paese. Ma preferisco il cacciavite di Enrico al trapano di Matteo”.
Quello che non piace a Prodi è l’idea del Pd partito della nazione, “una contraddizione in termini. Nelle democrazie mature non vi può essere il partito della nazione. È incompatibile con il bipolarismo”.
Prodi racconta il suo ultimo incontro con Renzi, il 15 dicembre scorso: non gli parlò nè di Libia – molti facevano il suo nome come mediatore Onu – nè di Quirinale, ma “ha gentilmente fatto cenno a una mia possibile candidatura per la prossima segreteria delle Nazioni Unite”. Un obiettivo che il Professore non ritiene possibile.
Prodi si spiega così nel libro-intervista il successo conseguito negli anni da Silvio Berlusconi in politica:
“Ci sono momenti in cui l’Italia ha bisogno di un’auto-illusione ed è disposta a non guardare dentro a se stessa pur di continuare a illudersi. Attraversiamo spesso questi momenti nella nostra storia nazionale”.
Racconta poi il suo primo incontro con Umberto Bossi, quando la Lega muoveva i primi passi, a inizio anni 90
“Mi fece chiamare e mi offrì di entrare in politica con lui. Io dissi di no, ma fu un incontro molto divertente e istruttivo. Nei corridoi della modesta sede milanese i volontari della Lega mi chiedevano cosa sarebbe successo al prezzo delle case, ai titoli del debito pubblico. Quel giorno capii che la Lega attecchiva a radici popolari molto profonde. Non l’ho mai sottovalutata nè demonizzata”.
Più severo il giudizio che Romano Prodi riserva ad Antonio Di Pietro e al metodo di lavoro dell’indagine Mani Pulite.
“Fui ascoltato come testimone e tutto finì lì. Ma quello era il periodo in cui Di Pietro saliva velocemente gli scalini della politica. E diede all’incontro la massima risonanza possibile, al di là  di ogni regola. Ogni tanti si alzava in piedi, si avvicinava alla porta e urlava: “E i soldi alla Dc?”. E tutti i giornalisti, di là  dalla porta, lo potevano ascoltare”.
Secondo Prodi i metodi seguiti per Mani Pulite “pur inserendosi in una doverosa e lungamente attesa campagna di pulizia, segnarono anche l’inizio della stagione di un populismo senza freni”.
Il primo incontro con Beppe Grillo, invece, risale ai tempi dei primi spettacoli teatrali impegnati dell’attuale leader del M5S.
“Grillo venne a trovarmi e mi chiese di esaminare alcuni suoi copioni. Faceva bellissimi spettacoli sugli sprechi” ricorda il Professore, “poi non ci siamo incontrati più fino al 2006. Venne a Palazzo Chigi per consegnarmi il testo dei programmi usciti dai sondaggi, e mi fece una lunga intervista. Forse perchè questa intervista non conteneva argomenti che potesse utilizzare politicamente, o semplicemente perchè non lo aveva soddisfatto, dichiarò alla stampa che mi ero addormentato. Un comportamento davvero sconcertante”
Uno dei passaggi più velenosi del libro-intervista è riservato a Massimo D’Alema
“Da Gargonza” dove l’allora segretario del Pds criticò l’Ulivo “venimmo via sfilacciati, con un segno di desolazione”. Prodi fa riferimento a una “strategia precisa” di D’Alema che temeva di “perdere influenza sul governo” e che “si allontanasse la possibilità  di avere alla presidenza del Consiglio una personalità  proveniente dalla radice comunista. Se ci avesse lasciato governare per cinque anni, penso che sarebbe stato proprio D’Alema il naturale e duraturo successore”.
Gustoso poi l’aneddoto su quando cercò di portare Diego Armando Maradona a giocare in Cina, quando Prodi era presidente dell’Iri e venne a sapere che Deng Xiaping era pazzo del campione argentino, in quegli anni a Napoli
“Parlai subito con Ottavio Bianchi, l’allenatore del Napoli. Lui era entusiasta, ma dopo tre giorni mi richiamò mortificato. Maradona chiedeva per sè 300 milioni di lire, che moltiplicato per il resto della squadra faceva un miliardo. Bianchi era un uomo serio, mi spiegò come funzionava la testa di Maradona: in modo assai diverso dai suoi piedi. Io risposi che un’azienda pubblica come l’Iri non si poteva accollare una simile spesa. Da allora sono molto arrabbiato con Maradona”.

(da “Huffingtonpost“)

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LO SFOGO DEL GALANTUOMO SCHITTULLI: “LA POLI BORTONE NON DIA A ME LEZIONI DI MORALITA'”

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

“PROVO FASTIDIO PER QUESTA POLITICA, SONO DISGUSTATO DA CHI ORA MI CRITICA MA FINO A POCHI GIORNI FA CONDIVIDEVA IL NOSTRO PROGETTO”

E’ disgustoso leggere le dichiarazioni di colei che fino a qualche giorno fa era la mia prima sostenitrice e oggi mi ricorda cosa io avrei detto.
Io vorrei ricordare alla senatrice Adriana Poli Bortone ciò che lei mi ha pubblicamente e personalmente detto dallo scorso ottobre fino all’8 aprile in piazza Prefettura a Bari sul trattore insieme all’on. Giorgia Meloni.
Ed ho ancora impresso nei miei occhi e nelle mie orecchie le sue parole e la sua commozione quando l’8 marzo scorso affidai proprio a lei la presentazione della mia candidatura.
Di quello che ha detto e fatto ci sono video e giornali che lo testimoniano.
E’ vergognoso che oggi lei mi dia lezioni di moralità  dopo aver condiviso con me il Progetto Puglia: è chiaro che oggi è pronta con il suo programma. E’ il mio! Visto che in buona parte glielo avevo anticipato.
Provo fastidio per questa politica, per questi cosiddetti politici.
E’ vero, ho sempre dichiarato che mettevo a disposizione la mia candidatura per unire tutta la coalizione di centrodestra.
Ero convinto che si potesse fare davvero, e sondaggi alla mano avremmo riconquistato la Regione Puglia dopo 10 anni di malgoverno di Sinistra.
Oggi resto in campo perchè gli elettori del centrodestra pugliese possono e devono ancora credere che ci sia un modo di fare politica che non è vanità , che non è attacamento alla poltrona, che non utilizzo delle Istituzioni solo per fini personali.
Rimango più convinto di prima e ringrazio coloro che con me credono in un progetto politico di rinnovamento.
Ringrazio la parte di Forza Italia che si riconosce nell’on. Raffaele Fitto, Ncd-Aria Popolare, Pli, Dc, Partito delle Aziende, Rinascita socialdemocratica, ma soprattutto Fratelli d’Italia-An che hanno ribadito il pieno sostegno alla mia candidatura a presidente della Regione Puglia.
Evidentemente la sen. Poli Bortone, l’on Luigi Vitali e la Lega Nord non amano nella concretezza dei fatti la Puglia, nè vogliono mettersi al servizio dei pugliesi, bensì offrire la nostra Regione ancora una volta alla Sinistra.
Auguri e complimenti. La Puglia e i pugliesi di centrodestra vi saranno grati.

Francesco Schittulli

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LA LETTERA DELLA MELONI IN CUI CHIEDE ALLA POLI BORTONE DI RITIRARE LA SUA CANDIDATURA

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

“NON PRESTARTI A OPERAZIONI PRETESTUOSE TESE A INDEBOLIRE FRATELLI D’ITALIA E L’INTERA COALIZIONE DI CENTRODESTRA”

Cara Adriana,
ti comunico che l’Ufficio di Presidenza del nostro partito ha deliberato all’unanimità  la decisione di non accettare la proposta di cambiare il candidato alla Presidenza della Regione Puglia, individuato insieme nelle scorse settimane.
Non essendosi concretizzate le condizioni necessarie a rendere utile una candidatura differente da quella del dottor Francesco Schittulli, da te ufficialmente presentato a nome del nostro movimento ritengo doveroso chiederti di non prestarti in alcun modo a operazioni pretestuose e poste in essere con modalità  discutibili, tese a indebolire Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale e l’intero centrodestra e a favorire la coalizione avversaria.
La presente è per rivolgerti formale richiesta di rinuncia ufficiale alla candidatura a Presidente per una coalizione diversa da quella individuata dal movimento. Confidando nella tua volontà  di accogliere questa richiesta, ti invio i miei più cordiali saluti”

Giorgia Meloni

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WHIRLPOOL CHIUDE TRE FABBRICHE, 1350 ESUBERI: PER RENZI L’ACQUISIZIONE DI INDESIT ERA “FANTASTICA”

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

A LUGLIO RENZI AVEVA RIVENDICATO L’OPERAZIONE: “NON CONTA IL PASSAPORTO, MA IL PIANO INDUSTRIALE”… ORA E’ ARRIVATO: 1350 LICENZIAMENTI, CHIUSURA DEGLI STABILIMENTI DI CASERTA, NONE E ALBACINA

Il 13 luglio scorso, dopo l’annuncio dell’acquisizione della marchigiana Indesit da parte del gruppo statunitense Whirlpool, Matteo Renzi aveva definito l’operazione “fantastica” rivendicando di aver “parlato personalmente con gli americani a Palazzo Chigi”.
No a “una visione del mondo autarchica”, aveva detto il premier in un’intervista al Corriere della Sera: “Noi, se ci riusciamo, vogliamo portare aziende da tutto il mondo a Taranto, a Termini Imerese, nel Sulcis, come nel Veneto. Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale. Se hanno soldi e idee per creare posti di lavoro, gli imprenditori stranieri in Italia sono i benvenuti”.
Ora che il piano industriale di Whirlpool è arrivato, però, si scopre che è ben diverso dagli auspici del presidente del Consiglio: comprende la chiusura di tre siti produttivi e 1.350 esuberi.
Il gruppo intende fermare le attività  della fabbrica di Carinaro (Caserta), di Albacina (frazione di Fabriano) e di None (Torino).
E ha ufficializzato al ministero dello Sviluppo che prevede appunto 1.350 esuberi, di cui 1.200 nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca su un totale di 5.150 lavoratori.
A renderlo noto è stato Gianluca Ficco della Uilm nazionale, dopo l’incontro con l’azienda al dicastero di via Veneto.
Vertice che è andato malissimo, con rsu e segretari sindacali territoriali che in segno di protesta hanno abbandonato la riunione.
Intanto da Nord a Sud è scattata la mobilitazione: gli operai dell’impianto di Albacina (che saranno trasferiti nello stabilimento di Melano) hanno bloccato la strada provinciale 256 Muccese e si sono diretti verso la superstrada Ancona-Roma per protestare e negli stabilimenti del Fabrianese è scattato lo stato di agitazione.
Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha convocato ad horas un tavolo con i sindacati, mentre l’omologo delle Marche Gian Mario Spacca definisce la chiusura di Albacina “inaccettabile” e attacca: “Singolare che su una vicenda di tale rilevanza il governo nazionale abbia escluso la partecipazione delle Regioni”.
Fabrizio Bassotti, della Fiom Cgil di Fabriano, ha buon gioco a rispolverare l’intervista del presidente del Consiglio chiedendo se ”questa è l’operazione fantastica di cui parlava Renzi”.
Comprensibile, visto il trionfalismo ostentato dal capo del governo solo otto mesi fa, l’imbarazzo del ministro Federica Guidi.
Che ha diffuso una nota in cui si legge che “il governo ha preso atto degli aspetti positivi e certamente importanti sul fronte degli investimenti e dell’incremento dei volumi, ma ha, al contempo, espresso forte contrarietà  per gli aspetti legati agli impatti occupazionali inerenti diversi siti produttivi” e ha “chiesto all’azienda di confermare l’impegno a non procedere a licenziamenti unilaterali”.
La Whirpool dal canto suo rivendica che il piano di integrazione tra gli stabilimenti che già  aveva in Italia — Cassinetta di Biandronno (Varese), Siena e Napoli — e quelli ex Indesit prevede nei prossimi quattro anni 500 milioni di investimenti per “la Ricerca e Sviluppo, il rinnovamento delle piattaforme di prodotto e il miglioramento dei processi produttivi”, “un incremento dei volumi produttivi e il rientro in Italia di produzioni oggi presenti in stabilimenti esteri”.
A Fabriano dovrebbe poi nascere “il più grande stabilimento in Europa per la produzione di piani cottura”.
Quanto ai posti di lavoro, però, la musica è ben diversa da quanto auspicato dal presidente del Consiglio: 1.200 esuberi nelle fabbriche e 150 nei centri di ricerca su un totale, ricordano i sindacati, di 5.150 lavoratori.
Già  nel 2011 l’azienda americana aveva dichiarato mille esuberi negli stabilimenti italiani, di cui 600 a Varese.
Le uscite, scese a 495, erano poi state gestite attraverso prepensionamenti, mobilità  volontaria e incentivata e contratto di solidarietà .
A inizio 2014, poi, l’annuncio della chiusura di una fabbrica in Svezia e del trasferimento della produzione di microonde a incasso proprio a Cassinetta di Biandronno.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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E’ FITTO SHOW, PRESENTERA’ LA LISTA CON IL SIMBOLO DI FORZA ITALIA: ORA SONO A RISCHIO LE LISTE DI SILVIO IN TUTTA ITALIA

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

IL GIURISTA PELLEGRINO: “BERLUSCONI NON PUO’ USARLO, CONGRESSO MAI FATTO E QUINDI NON HA TITOLO”… PERSINO “LIBERO” AMMETTE: SCHITTULLI VOLA AL 35%… E FORZA ITALIA CROLLA ALL’8%

Raffaele Fitto si prepara a presentare la lista con il simbolo di Forza Italia alle Regionali e Berlusconi ripete che è pronto a cacciarlo dal partito, peccato non ne abbia titolo.
Ormai si va verso una battaglia legale a tutto tondo, forse persino nei Comuni dove si vota.
Attraverso un’iniziativa popolare, promossa da un migliaio di iscritti ed eletti di Forza Italia negli enti locali, che hanno raccolto altrettante firme, è stato chiesto ieri al noto giurista Gianluigi Pellegrino un parere giuridico sulla possibilità  di utilizzo del simbolo, anche in vista del lavoro di verifica che a breve dovranno fare gli uffici elettorali.
«Forza Italia – ha spiegato Pellegrino – è un partito ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione. E i partiti funzionano secondo un metodo democratico, in base al quale le liste e i simboli dei partiti possono essere utilizzati solo dai rappresentati dei partiti investiti sulla base dello statuto».
Sostenere «che Mariarosaria Rossi o lo stesso Berlusconi possano presentare simboli e liste per Forza Italia è come affermare che Prodi e sua delegata lo facciano a nome del Pd. Questo perchè Berlusconi è solo il fondatore del partito e deve operare secondo le regole democratiche».
Quando si è sciolto il Pdl, «l’intenzione era quella di ripartire da FI indicendo un congresso che non è mai stato fatto. E’ stato fatto il tesseramento, ma dopo bisognava convocare un congresso e nominare l’amministratore nazionale per utilizzare simbolo e liste».
Ora, continua Pellegrino, «i tempi sono stretti: liste e simboli devono essere presentati entro il 30 aprile e non so se entro quella data c’è il tempo per convocare d’urgenza un congresso su base nazionale, regionale e locale e svolgere le procedure legate al simbolo. Ma in mancanza di tale passaggio, nessun ufficio elettorale può accertare, come presentati da FI, un simbolo e una lista da soggetti legittimati. Chiunque potrebbe impugnare la lista».
Tramontata ogni possibilità  di una ricomposizione fra le parti in contesa con una candidatura terza a governatore, si complica la composizione delle liste per il coordinatore regionale, Luigi Vitali: «chi si candiderà  a rischio di non essere nemmeno ammesso?», chiosano dalle fila dei fittiani.
Un precedente pericoloso che potrebbe essere utilizzato dai Ricostruttori anche in altre regioni.
Intanto, ieri, sono arrivati altri sondaggi – questa volta on line – dal quotidiano «Libero».
«Il fittiano Schittulli è dato al 35,5%, se Berlusconi arrivasse all’accordo con Fitto – è spiegato – Schittulli potrebbe creare problemi al favorito, Michele Emiliano. Emiliano può vincere a mani basse solo se il centrodestra corre diviso”.
E secondo sondaggi in mano a Berlusconi, Forza Italia in Puglia è sprofondata all’8%, siamo al limite per entrare in Consiglio regionale.
Un voto sotto c’e’ il suidicio di massa del Cerchi magico che ha voluto fare la guerra Fitto.

(da “il Corriere della Sera“)

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CONSULENZE PUBBLICHE ALLA MOGLIE DI ALFANO E L’AVVOCATO DI ANGELINO VINCE L’APPALTO EXPO

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

CINQUE INCARICHI GIRATI A TIZIANA MICELI, CONSORTE DI ALFANO…ANDREA GEMMA, FEDELISSIMO   NCD, VINCE UN BANDO DA 630.000 EURO

Che Angelino Alfano sia un ministro miracolato (dal caso dell’espulsione illegittima della dissidente Alma Shalabayeva alle manganellate della polizia agli operai delle acciaierie di Terni, in due anni appena il Parlamento ha già  votato – e respinto – due richieste di dimissioni) è cosa nota.
Meno nota, invece, è la rete di “relazioni pericolose” del titolare dell’Interno, e l’intreccio di interessi politici e economici che “L’Espresso” in edicola venerdì è in grado di raccontare per la prima volta.
Partendo dalla moglie del ministro dell’Interno Angelino Alfano, Tiziana Miceli, che ha appena avuto cinque consulenze dalla Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici controllata dal ministero dell’Economia che fornisce servizi al ministero dell’Interno e a quello dello Sviluppo Economico.
In una dichiarazione firmata il 24 febbraio 2014 la Miceli dichiara di essere già  «titolare di incarichi di assistenza legale conferiti da Consap», ma tra fine 2014 e l’inizio del 2015 lo studio della Miceli (il poco conosciuto RM-Associati, di cui risulta socio anche Fabio Roscioli, avvocato di Alfano) ha ottenuto altri cinque incarichi, l’ultimo a fine gennaio.
La moglie di Angelino è stata assunto grazie a una delibera firmata da Mauro Masi, amministratore delegato della Consap ed ex direttore generale della Rai ai tempi del governo Berlusconi, boiardo vicino al centro destra che il governo di Matteo Renzi ha persino promosso qualche mese fa, confermandolo sulla poltrona di ad e concedendogli anche quella da presidente.
«Gli importi» della consulenza della Miceli, si legge nelle determine, «saranno quantificati all’esito delle attività ». Speriamo, per le casse pubbliche, non siano troppo alti.
Non è tutto. La Miceli in passato ha ottenuto altri incarichi da alcune amministrazioni pubbliche siciliane (dalla provincia di Palermo all’Istituto autonomo case popolari di Palermo) sempre controllate dal centro destra, mentre nel 2014 la moglie di Angelino risulta aver difeso anche gli interessi di una società  (la Serit) insieme al collega Angelo Clarizia.
Non un avvocato qualsiasi, Clarizia: è infatti socio in affari di Andrea Gemma, amico storico di Alfano e altro vertice di peso della sua rete relazionale, in passato consigliere ministeriale a cachet   e oggi membro del cda dell’Eni e commissario liquidatore di aziende importanti come la Valtur.
Gemma e Clarizia sono legatissimi: i loro studi hanno di recente anche vinto un appalto per i servizi legali dell’Expo (da 630 mila euro) e, in barba a qualsiasi conflitto di interessi potenziale, “L’Espresso” ha scoperto che da poco i due hanno difeso anche gli interessi del Nuovo Centro Destra, il partito del ministro dell’Interno.

Emiliano Fittipaldi
(da “L’Espresso”)

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SONDAGGIO SHOCK LIGURIA, CROLLO DEL PD, TOTI A UN SOFFIO DALLA PAITA, SORPRESA CINQUESTELLE AL GALOPPO, ESTREMA SINISTRA DI RINCORSA

Aprile 16th, 2015 Riccardo Fucile

IL SONDAGGIO IPSOS (PRIMA CHE LA PAITA FOSSE INDAGATA)   COMMISSIONATO DAL PD E TENUTO RISERVATO: PAITA 30,5%, TOTI 30,1%, SALVATORE 23,5%, PASTORINO 15,3%

Non bastasse l’avviso di garanzia   per l’esondazione del Bisagno, c’è anche un sondaggio a stretto uso interno del Pd ad agitare le acque della sinistra ligure.
Se il Pd a livello nazionale è dato dalla Ipsos al 35%, in Liguria è sceso al 33%.
Salgono a passo veloce i Cinquestelle al 25% ligure, contro il 22% nazionale.
Forza Italia è al 13% (contro il 13,4% in Italia), stabili la Lega al 14% e Fdi al 3,8%.
In rialzo Sel al 5% ligure (contro il 3,8% nazionale), crolla Ncd-Udc dal 4,8% nazionale e al 3% regionale.
Ma a creare ancor più preoccupazione sono i dati sul candidato governatore, più che Toti a salire è la Paita a scendere: 30,1% contro il 30,5% della candidata renziana che paga l’affermazione alla sua sinistra di Pastorino, salito al 15,3%.
La candidata grillina Alice Salvatore è al 23,5%.
Va tenuto presente che il sondaggio non tiene conto di due elementi: i riflessi dell’avviso di garanzia alla Paita e la discesa in campo di Enrico Musso e della sua lista di centrodestra Liguria Libera che punta a un 5% di consensi.
A questo punto la partita potrebbe essere a tre: tra Paita, Toti e Salvatore, con Pastorino e Musso guastatori.
Ed è ormai probabile che nessuno raggiunga il 37% che farebbe scattare il premio di maggioranza: chi vince avrà  metà  dei seggi ma non potrà  governare senza alleanze.

(da “il Secolo XIX“)

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