Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
I LABURISTI ORA POSSONO SOGNARE IL SORPASSO, ULTIMA SETTIMANA ELETTORALE CON UNA MAY DISASTROSA CHE SFUGGE AL CONFRONTO IN TV
La sua assenza non è passata inosservata. Al dibattito elettorale di ieri sera in tivù fra i leader dei sette maggiori partiti ne mancava soltanto uno: Theresa May, che continua a rifiutarsi di apparire in qualunque formato accanto a Jeremy Corbyn.
Ufficialmente, secondo la premier conservatrice, perchè ha già duellato con lui una volta alla settimana per un anno nel tradizionale botta e risposta del mercoledì alla Camera dei Comuni fra capo del governo e capo dell’opposizione, quindi sarebbe inutile fare altri confronti.
Ma commentatori e ormai anche opinione pubblica sospettano che la ragione sia un’altra: il timore di uscire male dalla sfida sul video.
Dove Corbyn, spontaneo e rilassato, funziona benissimo, mentre May dà l’impressione, anche nelle interviste, di avere imparato una lezioncina a memoria.
E’ una delle ragioni per cui una campagna elettorale iniziata due mesi fa con il primo ministro in testa di oltre 20 punti nei sondaggi, vede il distacco ridotto a soli 3 punti a una settimana dal voto: una parità di fatto, considerato il margine di errore dei rilevamenti statistici.
Corbyn ha guadagnato terreno di giorno in giorno: era a 16 punti un mese, a 9 quindici giorni or sono, a 6 domenica scorsa e ora intravede la possibilità di un sorpasso in vista del traguardo, cioè dell’8 giugno, fra una settimana esatta, giorno delle elezioni. Anche il pareggio, o una sconfitta di stretta misura, potrebbe del resto diventare una vittoria per il leader laburista, vittoria morale perchè tutti lo davano per spacciato all’inizio e di fatto se le proiezioni dell’istituto YouGov sono esatte: i Tories in tal caso conquisterebbero la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria a governare da soli e in teoria il Labour avrebbe l’opportunità , in una coalizione sostenuta da lib-dem, verdi, nazionalisti scozzesi e nord-irlandesi, di raggiungere il quorum che serve per formare un governo.
Primo: ha voluto lei le elezioni anticipate, dopo avere sempre dichiarato, dal giorno in cui ha preso il posto di David Cameron dopo le dimissioni di quest’ultimo per la sconfitta nel referendum sulla Brexit.
Sosteneva che erano necessarie per ottenere una più larga maggioranza e così impedire ai partiti di opposizione di mettere i bastoni fra le ruote al negoziato sull’uscita dall’Unione Europea.
Se non riuscirà ad aumentare la maggioranza (attualmente di 15 deputati), dovrà ammettere di avere sbagliato tattica. Qualcuno ipotizza addirittura che sarebbe costretta a dimettersi.
Secondo: si è rivelata un disastro in campagna elettorale. Appare fredda, legnosa, ripetitiva.
Il suo slogan, “io vi darò una leadership forte e stabile”, non vuol dire niente. La maggioranza dei comizi sembrano una messa in scena, con pubblico selezionato fra militanti locali dei Tories e domande dei giornalisti selezionate preventivamente.
Più a lungo Theresa May viene esposta al microscopio dell’opinione pubblica, meno sembra convincente come leader nazionale. E a questo punto i suoi avversari ricordano che è entrata a Downing Street in virtù di una serie di circostanze fortunate: la vittoria a sorpresa della Brexit nel referendum, le impreviste dimissioni di Cameron nei giorni seguenti, il ritiro della candidatura di Boris Johnson, l’ex-sindaco di Londra, artefice della campagna per la Brexit (e ora ministro degli Esteri) a causa delle critiche del suo alleato Michael Gove.
Terzo: il “manifesto” conservatore, ovvero il programma elettorale, è incappato in un paio di infortuni giganteschi, proponendo un taglio ai benefici assistenziali agli anziani (soprannominato dai giornali “dementia tax” — la tassa sulla demenza senile) e un altro taglio al piano di pasti gratis nelle scuole che hanno sollevato un’ondata tale di proteste, perfino all’interno dei Tories, da essere ritirate in fretta e furia con una serie di contraddittorie affermazioni.
Quarto: la paura del confronto televisivo con Corbyn. Il quale ironizza: “Se Theresa May è una leader tanto forte e stabile, perchè non ha il coraggio di fare un faccia a faccia con me in tivù?”
Sessant’anni, figlia di un pastore anglicano, sposata da lungo tempo ma senza prole (non per scelta: “è stato un grande dolore”, ha ammesso in un’intervista), laureata in geografia, ministro degli Interni nel governo di Cameron, schierata tiepidamente contro la Brexit nel referendum per poi diventare una paladina della “hard Brexit”, del divorzio duro e totale dalla Ue, quando è entrata a Downing Street, Theresa May deve ringraziare che la campagna elettorale sta per concludersi. Per lei è stata una via crucis. E la donna che aspirava a diventare una “nuova Thatcher” rischia di uscirne come una lady distrutta.
(da “La Repubblica”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
SOLO 1O ELETTI ITALIANI SU 73 RISPONDONO ALL’INCHIESTA… LA MAGGIOR PARTE SI METTE IN TASCA ANCHE QUESTI SOLDI, OLTRE A 8.500 EURO DI STIPENDIO BASE E 300 EURO AL GIORNO DI PRESENZA
Quaranta milioni di euro l’anno senza controlli.
I 748 membri del Parlamento europeo ricevono ogni mese un’indennità per le spese generali (Isg) di 4.342 euro a copertura dei costi di un ufficio e delle attività di rappresentanza nel territorio di elezione. Senza controlli.
Le regole ci sono, ma sono poco chiare, spesso le raccomandazioni sono orali e variano di anno in anno. Ai 73 eletti italiani vanno 3,8 milioni l’anno. Li ricevono ogni mese direttamente nel proprio conto corrente.
Abbiamo chiesto a ciascun deputato se ha un ufficio come europarlamentare in Italia, a quanto ammontano le spese coperte dall’indennità , la disponibilità a mostrarne un rendiconto e se ha mai restituito la parte inutilizzata o intende farlo.
Silenzio dai deputati di Forza Italia, che a fine aprile hanno votato quasi compatti contro sei emendamenti al bilancio, per l’introduzione di maggiore trasparenza sulle Isg.
Unico a rispondere, Antonio Tajani da presidente del Parlamento. Facendo sapere di non avere un ufficio in Italia e di gestire il fondo “in linea con il regolamento”.
Dal presidente avremmo apprezzato maggiore trasparenza. Tajani scrive anche di aver rinunciato all’indennità di rappresentanza prevista per il presidente del Parlamento europeo (1.418,07 euro al mese) e, nel novembre 2014, all’indennità transitoria di fine mandato pari a 468 mila euro, quale ex vicepresidente della Commissione Ue. Dichiara di aver intrapreso azioni per riformare le regole.
Vedremo. Già lo scorso anno il Parlamento aveva approvato l’introduzione di una “completa trasparenza” ma in ufficio di presidenza, stando al verbale del 12 dicembre 2016, infatti, l’allora presidente del Parlamento Martin Schulz bocciò la proposta perchè i controlli avrebbero avrebbe avuto costi eccessivi.
Della Lega Nord Mara Bizzotto è la sola a pubblicare l’indirizzo di un ufficio locale.
I deputati del Carroccio sono tra coloro che hanno votato per gli obblighi di rendiconto e controllo. Ma il passaggio dalla predicazione alla pratica non sembra agevole. Nessun rendiconto, nessuna risposta.
Salvini? “È molto impegnato, ci sono le elezioni”.
Il Pd: silenzio e sedi fantasma
Non risponde Gianni Pittella (Pd). “Non è uno qualsiasi”, spiega un assistente. Decisamente no. È il presidente del gruppo europeo dei Socialisti e Democratici che ha conteso a Tajani lo scranno più alto del Parlamento. A lui si allineano gli altri deputati del Pd. Che, infatti, sugli emendamenti trasparenza sull’indennità hanno votato contro.
Dodici deputati del Pd su 29 danno riferimenti su dove trovarli in Italia. In quattro usano come punto di appoggio la sede del Parlamento europeo in via IV Novembre 149 a Roma. Ne usufruiscono tra gli altri Silvia Costa e David Sassoli.
L’utilizzo degli spazi è gratuito, così abbiamo ripetutamente provato a contattarli per sapere come utilizzano il fondo e se intendano restituirne l’eventuale differenza.
Tante promesse, non hanno richiamato. Stessa sede per Enrico Gasbarra. Un fantasma: nessuno risponde ai telefoni dei suoi uffici. Goffredo Bettini sul proprio sito indica il suo ufficio in un palazzo signorile di via Tirso a Roma, interamente occupata da una società . Nessuna targa o citofono con il suo nome.
Chi lavora lì non ne sa nulla e anche lui non risponde. Come Paolo De Castro e Cècile Kashetu Kyenge. Le segreterie: “Vi facciamo chiamare”. Macchè.
Pier Antonio Panzeri è l’unico esponente del Pd ad aver risposto. Ci informa di “non avere nessun ufficio in affitto” e di attenersi alle norme del Parlamento europeo. Stop.
Flavio Zanonato, anch’egli Pd, ha un ufficio in Piazza dei Frutti a Padova al secondo piano. Al telefono l’assistente è molto disponibile, ma appena si parla di soldi, allontana la palla.
In almeno tre casi l’indirizzo è quello della sede locale del Pd: Piemonte, Milano e Brescia. Mercedes Bresso subaffitta una stanza nello stabile di via Masserano, a Torino. All’ingresso sul citofono non c’è traccia del nome dell’eurodeputata.
Patrizia Toia, invece, ha un ufficio nella stessa struttura del Pd metropolitano di Milano, in via Lepetit. “È un’ala dedicata, autonoma”, fanno sapere dalla tesoreria. Luigi Morgano rimanda all’indirizzo della Federazione di Brescia, di proprietà della Fondazione Ds.
Lorenzo Cesa, attuale segretario dell’Udc, indica come sede da deputato europeo quella nazionale del partito. Al bilancio dell’Udc risultano sue donazioni, ma nessun canone di locazione. Come spende l’indennità ? Ah saperlo. Nonostante la cortesia dei segretari, più volte sollecitati, non abbiamo avuto risposta.
Le regole ci sono ma senza sanzioni
“Un membro del Parlamento europeo può sì prendere in affitto un ufficio da un partito — afferma Marjory Van den Broeke, vice portavoce del Parlamento di Bruxelles e Strasburgo —, basta che certe condizioni vengano rispettate e che l’affitto sia a prezzo di mercato, in modo da prevenire il finanziamento indiretto”.
“Ci deve essere un bisogno di avere un ufficio lì”, precisa. “Soprattutto, l’ufficio dovrebbe essere usato davvero per l’esercizio del mandato europeo. Dovrebbe essere separato dagli altri uffici e chiaramente indicato per il lavoro al Parlamento europeo. Non può essere utilizzato da altre persone o per altri fini”. Ma se non ci sono controlli non ci sono sanzioni.
L’eurodeputato e coordinatore provinciale catanese di Forza Italia, Salvatore Pogliese, ha la segreteria allo stesso indirizzo di una sua proprietà .
Raffaele Fitto, leader dei Conservatori e Riformisti Fitto, pure. Ma la domanda resta la stessa per tutti, a prescindere: come e quanto spendono dei 4.342 euro che le vengono dati per coprire le spese generali? Loro non lo dicono e il Parlamento non controlla. A noi — se non per pochi casi — non è dato saperlo.
Il verde riminese che mette tutto online
Solo dieci deputati hanno voluto dare informazioni sull’utilizzo dell’Indennità per le spese di rappresentanza.
Oltre ai già citati ci sono gli indipendenti: Marco Affronte, ex grillino passato ai Verdi e Barbara Spinelli, eletta nella lista Tsipras da cui poi è uscita, Sergio Cofferati e la civatiana Elly Schlein. Si aggiungono Curzio Maltese ed Eleonora Forenza della lista L’Altra Europa con Tsipras. Infine, Piernicola Pedicini del Movimento Cinque Stelle.
Sono appena tre gli eurodeputati che tengono una rendicontazione pubblica delle indennità che ricevono. Infatti, il Parlamento fa sapere che, trattandosi di una somma forfetaria, “ai deputati non è richiesto nessuno scontrino o giustificativo”.
“Se ne raccontano su questi fondi — dice Affronte —. All’inizio del mandato ricordo che dicevano che per molti è un altro pezzo di stipendio”.
Che ammonta a 8.484 euro lordi mensili più una diaria esentasse di 307 euro sui giorni di presenza in Parlamento.
“Ho sempre pubblicato online quello che spendevo”. L’ex cinquestelle riminese, passato al gruppo dei Verdi europei, è l’unico ad averci mostrato la documentazione delle spese.
La principale è l’affitto di una scrivania in uno studio associato in una zona non troppo centrale di Rimini: 366 euro al mese. E poi telefonia, cancelleria, acquisto di stampanti e computer, il sito web, abbonamenti a riviste e agenzie, l’organizzazione di eventi territoriali.
Difficile che si arrivi a consumare l’intero importo. Affronte, che riceve l’indennità su un conto a parte, per ora stima di restituire a fine mandato almeno 93.543 euro.
È un impegno, quello di ridare indietro i fondi non utilizzati, preso da tutto il gruppo dei Verdi europei.
Spese più alte per i Cinque Stelle Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini. Sui loro siti per ora le eccedenze da restituire ammontano rispettivamente a 60.750 euro e 12.225. L’ufficio indicato da Corrao è in piazza Castelnuovo a Palermo. La rendicontazione mostra negli anni un forte calo nel costo dell’affitto da 1.100 a 250 euro.
Pedicini, che inizialmente puntava a dare due punti di riferimento nella circoscrizione meridionale, fa sapere: “Non ho più aperto lo studio a Benevento. Siamo in procinto di chiudere anche quello a Potenza. Lavoriamo da casa”.
Pedicini è un vero appassionato di elettronica, solo tra il 2015 e il 2016 nel suo rendiconto risultano oltre 11mila euro di spese sotto questo capitolo. Con la spesa più consistente del 2016, 1783,84 euro, a dicembre.
C’è chi li ha restituiti e chi dice che lo farà
Anche un’altra deputata del M5s, Isabella Adinolfi, a dicembre ha lasciato l’ufficio che aveva in locazione a Salerno. Ma nonostante le promesse e le votazioni a favore di una maggiore trasparenza, degli altri grillini non si sa di più.
Uffici locali vengono indicati anche sui siti di Daniela Aiuto, David Borrelli, Fabio Massimo Castaldo e Laura Ferrara. Borrelli allo stesso indirizzo ha una casa di proprietà . Un appartamento in una zona residenziale di villette a schiera. Al telefono rispondono le assistenti locali: “Ufficio onorevole Borrelli”. Altro non si può sapere. La responsabile della comunicazione M5s Cristina Belotti, parla per tutti: “A fine legislatura ogni deputato sarà tenuto a restituire al Parlamento tutto quello che non ha speso e giustificare ogni spesa compiuta durante il mandato” ma per ora non è possibile “un bilancio complessivo e verificabile”.
In realtà , si può restituire anche prima o rinunciare. Ogni anno, dal 2010 a oggi, dai cinque ai venti deputati su 748 restituiscono i fondi, senza contare quelli che hanno richiesto di non ricevere l’intero importo.
Per esempio, Barbara Spinelli ci ha comunicato di avere già riconsegnato “una quota non utilizzata pari ad euro 90.000”. Anche Curzio Maltese, a favore dell’eliminazione di questo fondo, dichiara: “Ho restituito al Parlamento europeo migliaia di euro”. Spinelli e Maltese, così come Cofferati, non hanno un ufficio in Italia.
Elly Schlein o Eleonora Forenza, invece, dei costi di locazione li hanno e delle indennità fanno uso quasi interamente.
“Tra affitto (2.100 euro mensili) e altre spese riconducibili all’ufficio, si spendono circa tre quarti dell’indennità , ma varia da mese a mese — spiega l’eurodeputata di base a Bologna —. Poi ci sono un’altra serie di spese coperte dalla stessa indennità , ma non direttamente collegate alla gestione dell’ufficio di rappresentanza”.
La capogruppo dell’Altra Europa con Tsipras ha un ufficio in via degli Scialoja 3 a Roma, accanto a Rifondazione, in un palazzo dell’Enpam.
Una targa segnala la sua presenza nettamente separata da quella del partito. Anche lei elenca tante altre voci, tutte previste nell’elenco delle spese imputabili.
A tentare di colmare il silenzio del Pd arriva in extremis una nota, secondo cui l’emendamento dei Verdi bocciato il 27 aprile non è stato sostenuto in quanto “demagogico e inefficace”, ma loro sono per la “pubblicazione delle norme di utilizzo” e rispettano “il regolamento del Parlamento europeo e sotto il controllo degli organismi preposti”.
Stessa musica dalla delegazione italiana dei Popolari europei (FI e Ap): “Rispetto delle norme e sostegno alla riforma”.
Ma i controlli della libera stampa, evidentemente, no.
Irpi — Investigative reporting project Italy
Il lavoro è stato sostenuto dal Journalism Fund
(da “La Stampa”)
argomento: la casta | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
DA TOSI AD ALFANO, DA CASINI A FITTO. PROVE DI AGGREGAZIONE
Angelino Alfano sta vivendo lo stesso incubo che hanno vissuto prima di lui tutti coloro che hanno rotto con Berlusconi e si sono poi trovati senza una casa politica, una coalizione, un alleato.
Aveva immaginato un percorso a fianco di Renzi, anche dopo le elezioni, e invece ora si considera tradito da un «avventuriero» che porterà l’Italia al voto proprio mentre si deve approvare la legge di stabilità . Con la conseguenza di esporre il Paese alla speculazione, all’instabilità finanziaria.
Il ministro degli Esteri mette in guardia dall’«impazienza» di Renzi che ci costerà miliardi. «Perchè tutta questa fretta di tornare a Palazzo Chigi? Il Pd è già a Palazzo Chigi. Allora, è solo una questione di persona? Il segretario del Pd non si fida di Gentiloni?».
Sono le domande che pone il leader di Alternativa popolare che ha una montagna davanti da scalare: la soglia del 5% prevista dall’accordo sulla legge elettorale.
È uno sbarramento che potrebbe cancellare l’esperienza centrista nata con la scissione dal Pdl berlusconiano.
Alfano non ammette che il problema sia questo. «Non abbiamo posto una questione di soglia perchè ci uniremo ad altri e supereremo il 5%. Ci sono tante altre forze politiche e persone della società civile che ci hanno dato la disponibilità ad aggregare una coalizione, un raggruppamento liberal-popolare che supererà la soglia».
Più facile dirlo che farlo insieme a Casini, l’Udc di Cesa, l’ex leghista e sindaco di Verona Tosi, i Moderati di Portas, i Conservatori di Fitto.
Ieri Alfano ha riunito il vertice di Alternativa popolare e ha detto che in questa operazione di aggregazione bisogna coinvolgere anche Stefano Parisi e la sua Energie per l’Italia.
È stata presa in considerazione l’ipotesi che sia lo stesso Parisi il front man della scalata al 5%. Un’ipotesi di leadership che non ha riscaldato gli animi, che implica un passo indietro di Alfano. E l’ex ministro dell’Interno questo passo indietro è disposto a farlo pur di non morire per mano di Matteo, il «serial killer».
Parisi, è stato detto, non scalda i cuori, ma è utile perchè parla con il mondo della confindustria e dell’imprenditoria, è una figura nuova della politica.
L’ex candidato a sindaco di Milano non è interessato al «collage di cespugli». Chiede di inventare «una cosa nuova, liberale e popolare, credibile e aperta alla società civile».
Vorrebbe che gli altri aderissero alla sua costituente Energie per l’Italia con una chiara prospettiva: mai con Renzi.
Ecco, ora l’avversione a Renzi convince Alfano: lo considerano il nemico assoluto, da distinguere da Gentiloni. Non sarà Ap a staccare la spina al governo. Dovrà essere il segretario del Pd a metterci la faccia, a provocare la crisi che porta alle urne, ad assumersi la responsabilità del «conto salato che Renzi rischia di far pagare all’Italia». Non sarà però questo ventilato rischio che potrà fermare il segretario del Pd e l’accordo sulla legge elettorale.
Per Alfano e gli amici orfani di Renzi e Berlusconi la montagna del 5% rimane lì. Basterà mettersi insieme e incoronare Parisi?
Nella riunione di ieri i centristi si sono guardati negli occhi e hanno detto di no. Hanno aggiunto che ci vorrebbe Carlo Calenda: porterebbe quei due tre punti per raggiungere il 5%.
Ma il ministro per lo Sviluppo economico ha detto di no ad Alfano. Lo ha detto pure a Renzi, che gli ha proposto di candidarsi nel Pd. Precisando che non si renderà disponibile nemmeno a guidare aggregazioni di centro.
(da “La Stampa”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
LA GIUNTA SPIEGA COME VORREBBE USARE I FONDI EUROPEI (ANCORA DA INCASSARE) MA DI CONCRETO NON C’E’ NULLA
Un bonus da 800 euro (con bonifico a fine mese) per i residenti a reddito basso dei campi rom che il Comune vuole chiudere. L’alternativa sono le case popolari. Il piano della giunta di Virginia Raggi per smantellare le baraccopoli dopo i primi tentativi non riusciti: prevede che i primi due campi che verranno smobilitati sono La Barbuta e Monachina.
Secondo alcune stime a Roma 4500 nomadi vivono nei campi attrezzati, altrettanti in accampamenti di fortuna. Il Campidoglio intende utilizzare i fondi europei per integrare gli abitanti dei campi dando loro casa e lavoro.
Un patto di responsabilità tra capofamiglia Rom e Campidoglio, questo prevede il piano per il superamento dei campi presentato dalla sindaca. “Il percorso che si intende percorrere a Roma poggia su 4 assi: scolarizzazione, occupazione, salute, abitazione. Sono previste per questo misure temporanee di sostegno”, ha spiegato Raggi.
Nei primi due campi che il Campidoglio vorrebbe chiudere in circa 2 anni, La Monachina e La Barbuta, le azioni del piano saranno avviate da subito con 3,8 milioni di fondi europei.
Per i primi due campi da chiudere è previsto “un sostegno specifico per l’abitare e per l’occupazione, finanziato con fondi Ue, che durerà due anni, al termine dei quali i campi chiuderanno”.
Il patto prevede l’impegno alla scolarizzazione dei minori rom (il trasporto scolastico ad hoc verrà ridotto e rimarrà solo nei campi meno raggiungibili, perchè «i genitori dovranno accompagnare i figli direttamente a scuola», ha detto Baldassarre) e un impegno del Comune sul versante dell’occupazione, con corsi di formazione e il sostegno logistico alla creazione di piccole realtà imprenditoriali o ditte individuali.
Spiega Lorenzo De Cicco sul Messaggero che per capire quante case popolari verranno destinate ai rom bisognerà aspettare il 30 giugno, quando gli uffici comunali avranno elaborato il piano per il superamento dell’emergenza abitativa.
«Un grande lavoro che prevede anche un ragionamento su tanti immobili sequestrati alla mafia che potranno essere utilizzati — ha concluso l’assessore al Sociale — Essere territorio di mafia a volte porta anche vantaggi…».
Ma per l’Associazione 21 Luglio, che si occupa dei rom a Roma, il piano è “vuoto, confuso e privo di concretezza. Sulla questione si preferiscono slogan optando per un preannunciato fallimento. Dall’uso dei fondi europei ad un Patto di Responsabilità , da un generico incremento occupazionale ad un vago sostegno economico: una serie di principi vengono scanditi in successione senza che vengano indicati tempistiche, priorita’, obiettivi, azioni.
Nel Piano — secondo Associazione 21 luglio — c’è un deficit di conoscenza del fenomeno (i rom in emergenza abitativa della Capitale non sono 4.500 in 9 ‘villaggi’ bensi’ 5.300 in 19 insediamenti formali e 2.200 in insediamenti informali) e di visione strategica.
Nel Piano presentato dalla Giunta Raggi vengono elencati principi generali senza pero’ affrontare nel dettaglio ogni singola problematica.
Sul tema della scolarizzazione si prevede il contrasto dell’abbandono scolastico. Non viene detto nulla su quali azione promuovere.
Sul tema dell’occupazione il Piano prevede di ‘incrementare l’occupazione al fine di diminuire il tasso di criminalità e accrescere produttività complessiva eliminando ogni possibilità di lavoro nero senza indicare modalità operative che portino al raggiungimento di questi risultati. Sul tema centrale dell’alloggio si conta di ‘riscontrare persone economicamente autosufficienti presenti nei campi’ e sostenere, per i bisognosi ‘interventi di supporto’ in assenza di una chiara indicazione su come declinare tale impegno e su quale ventaglio di soluzioni proporre.
Sul tema della salute si punta ad ‘implementare la medicina preventiva e l’educazione alla salute’. Nulla viene specificato su come raggiungere tali obiettivi”.
“Non basta- sostiene Associazione 21 luglio — enfatizzare l’utilizzo dei fondi europei quando questi non sono certi e richiederanno comunque un uso in tempi non prossimi. E’ fuorviante garantire ‘il ritiro di tutti i bandi coinvolti in Mafia Capitale’ se questo è già avvenuto con la passata Giunta”.
“La drammatica situazione di quanti vivono oggi nelle baraccopoli romane- afferma Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio- non richiede slogan improntati sul rispetto della legalità e la trasparenza e impegni di massima sui quali tutti, o quasi, siamo concordi. C’e’ urgenza, oggi più che mai, di un Piano sociale vero, che indichi tempi, insediamenti da superare, quantificazione delle risorse umane ed economiche da impiegare, perchè tale problematica la si risolve aggredendola con operazioni incisive, chiare e definite. In passato avevamo indicato all’Assessorato alla persona, alla scuola e alla comunità solidale delle strade percorribili ma evidentemente questa Amministrazione preferisce elencare ‘buoni propositi’ piuttosto che affrontare di petto la questione. Anticipiamo, per questo Piano, un fallimento certo e purtroppo, come già avvenuto nel passato, sarà probabilmente il tempo a darci ragione”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
DOPO LA FIGURACCIA RAZZISTA DI IERI, OGGI IN UNA INTERVISTA AL “FATTO” SI SUPERA… LA LIGURIA NON MERITA UN “INCAPPUCCIATO” COME PRESIDENTE
Ieri Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, è stato protagonista di una robusta figuraccia rispondendo a un suo fan xenofobo che gli chiedeva “quando li rimpatriamo quelle bestie straniere” con un meraviglioso “appena andiamo al governo. Purtroppo la regione non può far nulla in questo campo. Dipende tutto dal ministero degli interni a Roma”.
Oggi Giovanni Toti rilascia una meravigliosa intervista al Fatto che va rubricata all’interno della cartella “toppa peggiore del buco”:
Io ho fatto il giornalista (è stato direttore di Studio Aperto e del Tg4, ndr). Sappiamo come si fa un titolo. Come si usano le parole. Per me bestia è chi commette reati… Ci sono anche bestie italiane, ma quelle mica possiamo mandarle a casa. Dobbiamo tenercele.
Chi delinque è una bestia… ma applicando un sillogismo alla Hegel con questo criterio anche Silvio Berlusconi, condannato in Cassazione, sarebbe una bestia. O sbaglio?
No. La gente, quella che ha paura, che vive nell’insicurezza non ce l’ha con i reati dei colletti bianchi, con la corruzione, l’evasione… ce l’ha con le violenze del branco, gli stupri, gli scippi, i furti in casa.
Soprattutto con gli stranieri… gli immigrati.
Io intendevo stranieri, non necessariamente immigrati.
Intendeva svedesi e norvegesi?
Io pensavo a quegli stranieri che arrivano e non si conformano alla nostra cultura giudaico-cristiana. A quelli che non vogliono rispettare le nostre regole. Gente che arriva e approfitta dell’ospitalità che gli diamo e poi commette violenze, spaccia. Gente così appena viene presa deve essere cacciata nel suo paese. L’abbiamo sempre detto.
Insomma, Giovanni Toti non ce l’aveva con gli immigrati. Ce l’aveva con gli stranieri (ok) che commettono reati contro la persona (se corrompono o si fanno corrompere, va bene — Berlusconi docet) e che per soprannummero non si conformano alla cultura giudaico-cristiana.
Più chiaro di così c’è solo il Ku-Klux-Klan.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Razzismo | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
“CI HAN TIRATO LE PIETRE, HO CHIAMATO LA POLIZIA” HA DETTO ANSIMANDO E TOSSENDO IN DIRETTA TV…IN VERITA’ LA POLIZIA C’ERA GIA’
L’onorevole Daniela Santanchè è stata è stata oggetto di un lancio di sassi durante un collegamento in diretta dalla stazione Termini, a Roma, per la trasmissione di Rete4 “Dalla Vostra Parte”.
Sul posto è intervenuta la polizia. «Una roba pazzesca, ci han tirato le pietre, ho chiamato la polizia, guardate che pietraaa! Con delle pietre, sampietrini grossi così», ha detto l’onorevole in diretta tv ansimando e tossendo terrorizzata.
Rivolgendosi a Belpietro, la Santanchè ha continuato poi a raccontare: «Hanno cominciato a prendere queste pietre e a tirarle, per fortuna che là c’era la polizia. Tu sei un delinquente», ha aggiunto rivolgendosi a chi aveva individuato come lanciatore di pietre.
Una persona sarebbe stata fermata da alcuni agenti di polizia presenti in zona.
Ieri, durante un’altra puntata del programma, dedicato in questi giorni ai problemi di sicurezza nelle grandi città italiane, la troupe era stata aggredita davanti alla stazione Tiburtina.
Mentre sui social c’è chi per sdrammatizzare ha usato un po’ di ironia: “Sia chiaro che gli immigrati non si devono permettere di tirare pietre alla Santanchè: è un diritto che deve spettare solo agli italiani!”, “Daniela Santanchè presa a sassate in diretta tv. Ok, e pagando un po’ di più il Canone?”
(da “NextQuotidiano”)
argomento: denuncia | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
OLTRE AI SIMBOLI DEI PARTITI SARANNO INDICATI I NOMI DI TUTTI I CANDIDATI VOTABILI… COME SI VOTA
La Stampa pubblica oggi un fac simile della nuova scheda elettorale con il sistema tedesco sul quale i partiti sembrano aver finalmente trovato un accordo che porterà alle elezioni presto.
Spiega il quotidiano che nella scheda elettorale oltre ai simboli dei partiti saranno indicati i nomi di tutti i candidati votabili; al centro ci saranno i simboli delle forze politiche e sulla sinistra i candidati del collegio uninominale dove stiamo votando mentre a destra ci saranno i listini circoscrizionali che dovrebbero essere composti da quattro nomi (ma potrebbero essere invece due o sei).
Con un solo segno si voterà sia per il collegio uninominale che per i listini proporzionali.
Non sarà possibile il voto disgiunto, ovvero non si potrà votare per un candidato diverso nell’uninominale e nei listini.
«In generale — spiega il quotidiano — questo sistema presuppone l’esistenza di un corpo elettorale evoluto, composto da gente che non si trascina stancamente a esprimere sempre lo stesso voto, ma fatto di cittadini dinamici disposti a migrare da un partito all’altro, come sul web quando si cerca l’offerta migliore».
Il meccanismo di elezione sarà questo:
Il primo a essere eletto sarà quel candidato che riuscirà nell’impresa di stravincere con oltre il 50 per cento nel proprio collegio.
Di questi collegi in Italia ce ne saranno 303 alla Camera e 150 al Senato.
Ogni circoscrizione ne conterrà un numero variabile, a seconda della grandezza.
Se nessuno vincerà nel collegio in modo così stratosferico, scatterà un diverso meccanismo, che sembra fatto apposta per tutelare gli «alti papaveri»: verrà eletto il numero 1 del «listino circoscrizionale».
Inutile dire che tutti i boss della politica sgomiteranno per occupare quella posizione. Poi, se il partito avrà conquistato altri seggi nella circoscrizione, scatteranno i vincitori del rispettivo collegio uninominale.
Una volta esauriti tutti i vincitori dei collegi, se resteranno poltrone da occupare sarà il turno degli altri nomi del «listino». Infine, i migliori perdenti dei collegi.
Con la soglia al 5% verranno tagliate fuori le sigle che metteranno insieme meno di 1 milione 700 mila suffragi.
Quei voti a perdere saranno ripartiti tra i vincitori, però non in maniera eguale: anche nella spartizione delle spoglie verrà seguito il criterio proporzionale.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: elezioni | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
SDRAIO SPECIALI PER LO STABILIMENTO GRAZIE ALLA RISPOSTA AL SUO APPELLO SU FB
Le “Sound & Street”, seduta blu elettrico e ruote gialle, sono già posizionate in prima fila, sulla battigia di Marina di Grosseto, allo stabilimento che si chiama “Un mare tutto possibile”. Non è un nome a caso. E le sedie non sono sedie da spiaggia qualsiasi: sono studiate per rendere possibile alle persone che vivono su una sedia a rotelle di sdraiarsi in riva al mare.
Del resto, nemmeno Iacopo, che le ha donate, è un ragazzo qualunque. Per il suo compleanno — era il 28 aprile — a tutti i suoi amici di Facebook ha chiesto un regalo: offritemi un caffè.
C’è chi ha versato di più, ma moltissimi hanno donato davvero un euro e venti, il costo di un caffè. E con quei soldi – che tutti insieme hanno fatto 6.800 euro — Iacopo ha comprato le sdraio speciali e le ha donate a chi, come lui, crede che sia davvero tutto possibile.
È una nuova frontiera del crowfunding, inventata di sana pianta da un ragazzo che ha un fiuto speciale per la comunicazione e soprattutto un obiettivo: dimostrare che la disabilità non è un ostacolo insormontabile. E lavorare perchè questi ostacoli – che sono fuori, non dentro di te — vengano rimossi.
Iacopo di cognome fa Melio, gli anni che ha appena compiuto sono venticinque, è nato e vive a Cerreto Guidi ed è iscritto a Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze.
All’università studia comunicazione e giornalismo, ma questi sono argomenti che conosce bene da prima di studiarli sui libri.
Sul web è diventato una star, che ne inventa sempre una di nuova: ha un blog, un sito personale, sulla sua pagina Facebook arrivano oltre 400 mila like, tra i sostenitori delle sue campagne ci sono da Gianni Morandi a Belen.
Partecipa a convegni, dibattiti, iniziative. Ma stare davanti al computer è per lui la cosa più semplice perchè Iacopo vive su una sedia a rotelle e nella sua vita non ha mai camminato. È nato con una malattia genetica rara, la Sindrome di Escobar, talmente rara che non esiste ricerca e nemmeno una descrizione dei sintomi, che del resto sono sempre diversi.
Per i primi tredici anni è entrato e uscito dagli ospedali, ogni volta per qualche intervento di chirurgia plastica. Ma quella era una questione del corpo, non della testa. E a quattro anni, quando è andato all’asilo, sapeva già leggere e scrivere.
Racconta che i suoi genitori — Claudio, 48 anni, operaio e Barbara, 47, maestra – non hanno mai pensato che lui fosse diverso dagli altri. E così non lo ho mai pensato nemmeno lui.
Dice: “Non sono le difficoltà fisiche, il problema. È il contesto che non ti permette di fare quello che fanno tutti gli altri. Ad esempio di prendere un treno. E se non ti muovi non conosci nuove persone, non puoi incontrare un amore, insomma, non vivi”. Così, nel 2014, ha lanciato la sua prima grande campagna, che si chiama proprio “Vorrei prendere il treno” (diventata l’anno dopo una onlus con 400mila sostenitori). Che era stata preceduta da un articolo sul blog diventato virale, intitolato “Sono single per forza, non piglio l’autobus”.
Un messaggio di una normalità così straordinaria da aver fatto finire la sua storia, e la sua iniziativa, sui canali della BBC e su quelli di Al Jazeera.
“Ma il problema dell’inacessibilità e delle barriere architettoniche — dice — non riguarda solo quelli come me, la battaglia per il diritto di tutti di muoversi liberamente vale per le mamme con le carrozzine, per i vecchi che camminano male, anche per chi semplicemente è infortunato”.
Prima dell'”offritemi un caffè” e della storia di prendere il treno, c’era stata la campagna, visualizzata su You tube da 7 milioni di persone, intitolata “Canto anch’io, no tu no”. Straordinariamente, sempre iniziative con il sorriso.
Anche se questo, dice Iacopo, non è un merito: “Sono estroverso, espansivo, ho sempre avuto un sacco di amici, ma non è qualcosa di speciale, è che io sono fatto così, non sono mai riuscito a piangermi addosso. Vivo giorno per giorno prendendo il bello che arriva, ed è questa la mia più grande fortuna”.
Guardando avanti verso un obiettivo: andare a vivere da solo. Perchè il desiderio più grande è l’indipendenza e l’autonomia. Che passa anche dal viaggiare sul treno ad andare sulla spiaggia.
(da “La Repubblica”)
argomento: Diritti civili | Commenta »
Giugno 1st, 2017 Riccardo Fucile
DOPO AVER DIFESO PER MESI KOBANE, ORA ERA IN PRIMA LINEA A RAQQA NELL’ASSALTO FINALE ALL’ISIS… ERA STATA TRA CHI CHIEDEVA DEMOCRAZIA A GEZI PARK CONTRO IL REGIME ASSASSINO DI EDOGAN… ALTRO CHE I RIVOLUZIONARI DEL CAZZO CHE PONTIFICANO IN ITALIA
Zerocalcare dedica un post su Facebook al ricordo di Ayse Deniz Karacagil, combattente morta a Raqqa, che la sua matita aveva disegnato e raccontato in Kobane Calling.
“E’ sempre antipatico – scrive l’autore – puntare i riflettori su una persona specifica, in una guerra dove la gente muore ogni giorno e non se la incula nessuno. Però siccome siamo fatti che se incontriamo qualcuno poi per forza di cose ce lo ricordiamo e quel lutto sembra toccarci più da vicino, a morire sul fronte di Raqqa contro i miliziani di Daesh è stata Ayse Deniz Karacagil, la ragazza soprannominata Cappuccio Rosso. Turca, condannata a 100 anni di carcere dallo stato turco per le proteste legate a Gezi Park, aveva scelto di andare in montagna unirsi al movimento di liberazione curdo invece di trascorrere il resto della sua vita in galera o in fuga. Da lì poi è andata a combattere contro Daesh in Siria e questa settimana è caduta in combattimento. Lo posto qua perchè chi s’è letto Kobane Calling magari si ricorda la sua storia.
La notizia della morte di Ayse ha avuto ampio risalto sui media turchi, pagine in cui la ragazza, a seconda degli schieramenti di una stampa oppressa dallo stato d’emergenza, viene ricordata come “attivista” o “terrorista”.
Tutto era cominciato a Gezi Park, quando i giovani schierati a difesa del verde pubblico non avevano vinto, ma quanto meno avevano costretto il presidente Erdogan a tirare giù la maschera del padre islamista moderato della nazione per rivelarne il vero volto.
Quello del potere assoluto, indisponibile al dialogo, sordo alle istanze di una società secolarizzata e democratica che si credeva protesa verso l’Europa.
Gli scarponi dei militari mandati da Erdogan a Gezi Park avevano calpestato tende e striscioni e zittito la protesta con la forza.
E, come tanti coetanei, Ayse aveva capito a sue spese – la condanna a un secolo di galera – che a un certo punto della vita si è chiamati a fare delle scelte, che siano i semplici ma sofferti compromessi tra le proprie individuali ambizioni e la dura realtà o la risposta da dare quando a chiamare sono battaglie per raggiungere un qualcosa che supera il destino di un solo uomo.
La libertà , per fare un esempio.
A volte le parole non bastano. Per difendere Kobane dalla stretta mortale di uno Stato Islamico che allora sembrava uno spettro imbattibile, i curdo-siriani dovettero imbracciare i loro fucili.
Uomini e donne, che la Turchia di Erdogan oggi bombarda additandoli ancora con quell’aggettivo, “terroristi”, e che invece nei giorni della resistenza di Kobane dimostrarono al mondo cosa vuol dire il coraggio.
Tra quelle donne c’era anche la turca Ayse Deniz Karacagil, caduta alle porte di Raqqa quando i ruoli sono ormai invertiti.
Ora gli assediati sono gli assassini del Daesh, che nell’ultima roccaforte guardano i minuti scorrere sull’orologio, mentre il Pentagono continua a rifornire di armi i suoi veri alleati sul campo, i curdo-siriani.
Dopo Obama, lo ha capito anche Trump quando è arrivato per lui il tempo delle scelte. E ha scelto di scrollarsi di dosso Erdogan e le sue indispettite rimostranze.
(da “La Repubblica”)
argomento: radici e valori | Commenta »