Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
FERMATO A PESCHIERA UN AUTOMOBILISTA TEDESCO CON AUTO TRUCCATA E PRIVA DI TARGA
Ai carabinieri di Peschiera del Garda, che lo hanno sorpreso a sgommare su un’auto truccata, priva di targa e con la marmitta più rumorosa di un tosaerba, il guidatore tedesco della cafon-mobile ha risposto serafico: «Tanto siamo in Italia».
Mi sembra di conoscerti, fratello.
Appartieni a quella schiera di parenti teutonici, seguaci del luogo comune, che fino a Chiasso tossiscono con la mano davanti alla bocca e inchiodano agli incroci per dare la precedenza alle formiche, ma appena varcato il confine di bengodi perdono i freni inibitori e si trasformano in un’orda pronta a calpestare tutto quanto si oppone al loro slancio vitale.
Che cosa ti impedisce di esportare qui da noi il rispetto delle regole, di cui tanto ti compiaci tra le mura di casa?
Perchè bofonchi «il solito italiano», quando in realtà muori dalla voglia di imitarmi? Ti credevo meno condizionabile. Chiunque saprebbe osservare il codice della strada in un Paese che ti castiga se appena appena hai un fanale appannato.
Il salto evolutivo consisterebbe nel guidare con le mani sul volante invece che sul telefonino, anche laddove chi lo fa è considerato un disadattato.
Comunque ti è andata male. Sarà che Peschiera non è ancora abbastanza in Italia per i tuoi gusti, o che la smania di imitarvi si sta trasferendo dalla legge elettorale a tutto il resto, ma ti sei imbattuto in una pattuglia di carabinieri germanofili.
I quali, oltre a multarti, ti hanno pure sequestrato la macchina, rispedendoti nel paradiso delle regole a piedi.
Massimo Gramellini
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
A MOSUL L’ISIS SPARA SU CHI FUGGE… RAID USA SU UNA SCUOLA, MORTI CIVILI
I curdi hanno lanciato l’offensiva finale su Raqqa e attaccato la roccaforte dell’Isis da tre direzioni.
I combattimenti più aspri sono in questo momento all’Area 17, la grande base militare a Nord della città .
Il portavoce delle Syrian democratic forces (Sdf), Talal Silo, ha detto in un conferenza stampa che cominciava “la grande battaglia per liberare la città di Raqqa, capitale del terrorismo e dei terroristi”.
Le Sdf sono composte per l’80 per cento da guerriglieri curdi dello Ypg, e hanno ricevuto armi e addestramento dagli Stati Uniti.
Sono appoggiate da centinaia di uomini delle forze speciali statunitensi. Gli Usa sostengono l’offensiva anche con raid aerei. In uno di questi, su una scuola nella parte orientale della città , trasformata in centro di accoglienza di rifugiati, forse usati come scudi umani, sono rimasti uccisi numerosi civili.
Lunga controffensiva
Raqqa era stata occupata dall’Isis nel gennaio del 2014, dopo che nel 2013 era finita in mano a ribelli vicini ad Al-Qaeda. È diventata poi il più importante centro del Califfato siro-iracheno, dopo Mosul.
A partire dall’ottobre del 2015 la controffensiva dei curdi ha strappato agli islamisti un territorio di 6 mila kmq nel Nord della Siria. I curdi hanno cominciato l’offensiva per liberare la città nel novembre 2016 e l’hanno circondata da Nord, Ovest e Est, solo il lato Sud rimane aperto per agevolare un’eventuale ritirata dei jihadisti.
Strage a Mosul
La battaglia è proseguita in parallelo con quella di Mosul, dove gli islamisti controllano ormai solo il centro storico, circa otto chilometri quadrati, e tengono in ostaggio ancora oltre 100 mila civili.
I cecchini del califfo sparano su chiunque cerchi di lasciare i quartieri assediati. Ieri hanno ucciso 161 persone, ed è persino difficile raccogliere i cadaveri perchè si trovano in una zona sotto tiro.
(da “La Stampa”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL POSSIBILE ESODO DEL PROFESSORE VERSO PISAPIA AGITA IL PD
Ora Matteo Renzi confida di cominciare ad essere sinceramente «preoccupato».
In pubblico non lo dirà mai, non appartiene alla sua natura tradire emozioni o paure autentiche e d’altra parte i politici son fatti quasi tutti così.
Ma le recenti prese di posizione, pubbliche e informali, di Romano Prodi hanno fatto scattare l’allarme rosso dalle parti del Nazareno.
In un’intervista al “Fatto Quotidiano”, il Professore è arrivato a dire: «Abito in una tenda vicina al Pd. Ma è una tenda canadese, pratica: si può mettere nello zaino e rimettersi in cammino per spostarsi…».
Come dire: se sarà confermata la deriva proporzionalista voluta da Renzi e Berlusconi, ne trarrò le conseguenze.
Per guardare con simpatia in direzione di Giuliano Pisapia? Questo Prodi non lo dice e in privato sostiene che di «tornare a far politica» non ci penso proprio. Eppure la novità c’è ed è di natura psicologica.
Da qualche mese il Professore sta vivendo una seconda giovinezza: parla senza reticenze delle vicende italiane, deve dir di no a continue richieste di intervista e giorni fa – a Modena – alla prima nazionale del suo nuovo libro, “Il piano inclinato”, si è formata una lunga fila di persone che aspettavano la firma di una copia: una immagine eloquente che altri avrebbero trasformato in una immagine virale, ma che gli amici del Professore si sono rifiutati di immortalare.
E davanti alla rinnovata “forza tranquilla” rappresentata dal Professore, Renzi teme un effetto-trascinamento che faccia franare tutto un mondo – politico ed intellettuale laico e cattolico – che finora è rimasto “dalle parti del Pd”. E teme che la frana vada a depositarsi “dalle parti” di Giuliano Pisapia, che – guarda caso – ha un buon rapporto personale con Romano Prodi e anche con Enrico Letta.
E infatti, ieri, per la prima volta da quando è leader del Pd, Renzi ha riservato a Pisapia una messa a punto garbata, ma con dentro una goccia di veleno. Solo semantica ma indicativa.
Scrive Renzi sulla sua Enews: «Pisapia ha detto: come farà il PD a allearsi con chi ha fatto la legge per depenalizzare il falso in bilancio? Noi non vogliamo allearci, ma ci piacerebbe anche che venisse ricordato che la legge che depenalizzava il falso in bilancio l’abbiamo abolita noi».
E poi con nonchalance: «Quando la sinistra radicale si renderà conto che non siamo noi gli avversari, sarà un gran giorno». Chiara l’etichetta che Renzi immagina di appioppare a Pisapia: altrochè «centrosinistra», siete la sinistra radicale.
Ma il problema vero ora è Prodi.
Il leader del Pd sa che il Professore è l’unico personaggio politico che abbia mantenuto una significativa credibilità in mezzo all’opinione pubblica di centrosinistra e dunque un suo eventuale distacco rischierebbe di aprire una vera e propria diaspora nell’elettorato, tanto più se il suo disincanto verso il Pd fosse accompagnato da una chiara indicazione di rotta in direzione di Giuliano Pisapia. Oltretutto l’allarme di Prodi arriva a conclusione di analoghe riflessioni da parte di altri personaggi che riscuotono ascolto tra l’opinione pubblica: oltre a Pier Luigi Bersani, che ha già lasciato il Pd, forti lamentazioni negli ultimi giorni sono state pronunciate verso la politica renziana da parte di Walter Veltroni, Rosy Bindi ed Enrico Letta.
Ma l’unico che può determinare la slavina è Prodi.
Ecco perchè Ettore Rosato, presidente dei deputati del Pd, si incarica di lanciare messaggi di pace: «Io, i vertici del Pd, Matteo Renzi, faremo di tutto» per evitare che qualcuno vada via dal partito, «il Pd è casa di tutti, anche di Rosy Bindi che è critica da diverso tempo», «ho una stima incondizionata per Prodi, e il suo giudizio come quello di Veltroni è molto importante».
E su Pisapia, Rosato è massimamente aperturista «Ci farei qualsiasi tipo di governo. Anche con D’Alema, perchè l’interesse del Paese viene prima».
Come dire: è già superato il veto che non più tardi di qualche giorno fa proprio Matteo Renzi espresse nei confronti di Massimo D’Alema.
È la conferma che il disincanto di Romano Prodi fa paura.
(da “La Stampa”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
BINDI E FINOCCHIARO VERSO L’ADDIO… I TORMENTI DEI GRILLINI ORTODOSSI… BOSSI E ALTRI EX LEGHISTI IN LISTA CON BERLUSCONI… DE MITA E POMICINO PER UN NUOVO CENTRO
Le elezioni sembrano avvicinarsi. E nei palazzi della politica, tra un comma e l’altro della nuova legge elettorale, si fanno sempre più insistenti i rumors su chi rientrerà nel prossimo Parlamento e chi, invece, è arrivato a fine corsa.
Tra gli entranti ci potrebbero essere sorprese che portano i nomi di Ciriaco De Mita e Paolo Cirino Pomicino.
Insieme ad altri big della vecchia Dc, e grazie al ritorno del proporzionale, stanno tentando di rimettere in piedi un partito di centro che dovrebbe chiamarsi «Popolari e liberali».
«Il cattolicesimo politico è nato in Italia con Sturzo, possibile che solo da noi debba sparire?», si chiede Pomicino. Che si definisce l’”Ultimo dei Mohicani” per essere uscito dal Parlamento nel 2008: l’ultimo appunto di quella generazione di democristiani.
E spiega: «Io e Ciriaco siamo piuttosto agèe, e l’obiettivo dell’operazione non è certo la nostra candidatura, ma il recupero di una cultura politica».
Nel nuovo centro, che dovrebbe comprendere anche Angelino Alfano (Stefano Parisi invece se n’è chiamato fuori), potrebbe tornare, sempre che la lista superi il 5%, anche Clemente Mastella, oggi sindaco di Benevento. Mentre è in forse la candidatura di Denis Verdini che avrebbe confidato ad alcuni amici (ma poi ha smentito) la volontà di restare fuori dalle Camere per dedicarsi ai suoi processi.
Restando nell’orbita (presente o passata) di Berlusconi, è assai probabile l’arrivo in Senato di Adriano Galliani. L’ex ad del Milan, dopo il passaggio ai cinesi della squadra rossonera che ha guidato per 31 anni, ha confidato di essere in deficit di adrenalina ed è sempre più assiduo alle riunioni politiche ad Arcore. «Non mi sono annoiato neppure un minuto», ha raccontato agli amici come riferito ieri da Monica Colombo sul Corriere della sera.
A sinistra si annuncia il clamoroso ritorno di Massimo D’Alema: dopo il ritiro a denti stretti nel 2013, quando Bersani lo sacrificò sull’altare della rottamazione, l’ex premier potrebbe candidarsi con Mdp, magari nel collegio di Gallipoli che per anni lo ha visto vincitore.
Nel Pd quasi certe le uscite di Rosy Bindi e Anna Finocchiaro. Entrambe, la prima con più nettezza, dopo diversi lustri hanno fatto capire di sentirsi a fine corsa.
Con loro ci sono oltre 50 eletti del Pd, in Parlamento dal 2001 o prima, che hanno superato i 15 anni di mandato e dunque hanno bisogno di una deroga per potersi ricandidare: tra questi ci sono nomi del calibro di Paolo Gentiloni, Dario Franceschini, Beppe Fioroni, la ministra Roberta Pinotti, Marco Minniti, Vannino Chiti, Ermete Realacci, Giorgio Tonini, Ugo Sposetti.
Per Gentiloni la deroga è assicurata, per gli altri si vedrà .
Ma con una nuova legge elettorale alla prima prova, le sorprese potrebbero essere comunque dietro l’angolo. Nel 1996, ad esempio, Giorgio Napolitano, capolista in Campania per i Ds nel proporzionale, non fu eletto perchè la coalizione vinse un numero di collegi uninominali più alto del previsto.
Un meccanismo simile a quello di allora sta creando il panico nel M5S. In alcune regioni come Lazio e Campania, infatti, alcuni big non sono certi di riuscire a rientrare per l’affollamento di nomi eccellenti.
Tra i più inquieti vengono segnalati Paola Taverna, Roberto Fico, Roberta Lombardi e Carla Ruocco. In Sicilia invece il movimento potrebbe vincere più collegi dei seggi a disposizione. Mentre in Lombardia, dove i consensi sono più bassi della media, è difficile trovare il sistema per essere eletti al 100%.
Chi invece non trema è Umberto Bossi. In Parlamento ininterrottamente da trent’anni, il Senatur, anche se scartato da Salvini, può contare su un ripescaggio da parte di Berlusconi. L’ex Cavaliere sta pensando a un gemellaggio con una formazione di ex leghisti per drenare voti alla Lega nel Nord.
(da “La Stampa”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
URLA, SPINTONI E LACRIME: IL NOTAIO FA RITARDO E LA TENSIONE SALE… POI L’ACCORDO: SI ESTRAE A SORTE…UNA VERGOGNA CHE A 10 MESI DAL TERREMOTO SOLO IL 5% DELLE CASETTE PROMESSE SIANO DISPONIBILI
Grida, lacrime, tensione fra i terremotati di Pescara del Tronto che dovrebbero vedersi assegnate oggi le prime 26 casette destinate alla frazione di Arquata rasa al suolo dal sisma.
Doveva essere una giornata di festa, e invece c’è molto nervosismo, sia per il ritardo del notaio, sia per il metodo di assegnazione delle Sae.
Gli sfollati non hanno raggiunto un accordo, e non si sa se si farà un sorteggio. Sono riuniti a porte chiuse con il sindaco (i giornalisti tenuti fuori) e si sentono urla e pianti.
Il notaio incaricato di presiedere al sorteggio delle casette aveva ritardato e gli sfollati in attesa si sono naturalmente innervositi.
“È da aprile che aspettiamo” brontola qualcuno e qualcun altro protesta: “è l’ennesima presa in giro”. “Come ci sentiamo? Arrabbiati e depressi, ecco come ci sentiamo!”.
La signora Anna è una tra le persone più tranquille in attesa davanti al modulo sede provvisoria del Comune di Arquata del Tronto, nella frazione di Borgo. “Siamo arrivati qui, aspettando, di 15 giorni in 15 giorni”.
La signora Elsa mostra ai giornalisti la confezione di un medicinale, probabilmente un ansiolitico. “Io dal 24 agosto sto così”.
Entrambe le donne si sono sistemate ad Ascoli con il Cas. “Io e mio marito non siamo tipi da albergo – spiega Anna – e poi noi siamo montanari, ad Ascoli fa caldo, vogliamo tornare qua”.
Ad annunciare il sorteggio è stato il sindaco Petrucci. Una commissione ha stabilito i criteri di assegnazione in base alla composizione dei nuclei familiari.
“Non c’è stato accordo per la divisione, per cui dovremo procedere con l’estrazione a sorte” ha spiegato Petrucci ai giornalisti. “Se poi entro qualche giorno i cittadini vorranno accordarsi per scambiare le destinazioni non ci sono problemi”.
Il sindaco aveva anche chiesto agli sfollati di valutare l’appello del vescovo di Ascoli, mons. Giovanni D’Ercole, per l’assegnazione al parroco, don Nazzareno Gaspari, di una delle abitazioni da 60 metri quadrati, invece che una singola da 40 mq, in modo da poter avere un ufficio in cui svolgere attività pastorale.
“Siamo i più colpiti dell’Italia centrale. Abbiamo aspettato nove mesi e anche io voglio accollarmi la responsabilità dei ritardi. Ma la gente sa l’iter che c’è dietro a tutto questo” ha detto Petrucci commentando le scene di nervosismo che si sono vissute.
Il suo obiettivo è riportare tutti i residenti ad Arquata territorio entro agosto, in tempo per l’inizio del nuovo anno scolastico “per riprendere una vita normale”.
Giuseppe Di Rado, presidente del comitato ricostruzione di Tufo, frazione di Arquata del Tronto, segnala i ritardi e i disagi per la popolazione.
“L’assegnazione delle casette è un passo importante, ma che avviene con un ritardo pauroso, come in ritardo è tutto il resto, come la sistemazione da parte dell’Anas delle strade, passaggio indispensabile per rimuovere le macerie dei nostri paesi terremotati. La ricostruzione, le macerie, la viabilità : problemi sui quali – insiste Di rado – non si riesce ad andare avanti. Abbiamo un ponte rotto e l’Anas sta studiando se è il caso di ripararlo o buttarlo giù e rifarlo nuovo, e il tempo passa. Lo stesso per un ponte a Tufo, tre chilometri dopo Pescara del Tronto, con la strada che ha dislivelli di più di mezzo metro: come fanno a passare i camion delle macerie? La ditta incaricata ci ha già detto che se non riparano la strada non ci vengono a prendere le macerie”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
AL SEMINARIO DELL’INNOVAZIONE DEL M5S OTTO RELATORI E SEI SPETTATORI
Il Corriere della Sera oggi pubblica oggi una fotografia relativa a uno dei tanti convegni in cui ci sono più relatori che pubblico.
Si tratta del seminario sull’innovazione del MoVimento 5 Stelle al Senato, nel quale stava parlando il molto onorevole Luigi Di Maio.
Massimo Rebotti sul quotidiano spiega il senso dello scatto:
Intendiamoci, gli organizzatori hanno tante giustificazioni: il lunedì in Parlamento è semideserto e un convegno di prima mattina non sempre è una buona idea (anche se il tema dovrebbe essere nelle corde del movimento di Grillo e Casaleggio).
In un’epoca enfatica, però, dove inquadrature e bandiere che sventolano spesso mascherano i buchi in platea, e le dirette Facebook sono sempre, immancabilmente, «un boom di contatti», lo scatto delle sedie vuote al convegno con Di Maio quasi rilassa: come numeri, non è andato benissimo.
Succede.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
DA RITA DELLA CHIESA A SONIA ALFANO E AL FIGLIO DI PIO LA TORRE UN SECCO NO ALLA SCARCERAZIONE DEL BOSS… L’ASSOCIAZIONE ANTIGONE: “UNO STATO DEMOCRATICO NON FA DELIBERATAMENTE MORIRE IN CARCERE NESSUNO, LA PENA NON PUO’ ESSERE PURA VENDETTA”
“Mio padre non ha avuto una morte dignitosa”. È secca e adirata la reazione a caldo di Rita Dalla Chiesa alla notizia della possibile scarcerazione di Totò Riina.
E come lei Sonia Alfano, ora parlamentare di Mdp, e Franco La Torre. Nomi e figure simbolo del tributo di vite pagato alla mafia in Sicilia. E da brividi è anche l’elenco dei nomi delle vittime di via dei Georgofili, ripetuto nel comunicato dalle famiglie delle persone rimaste uccise nello scoppio della bomba mafiosa a Firenze nella stagione delle stragi dei primi anni ’90.
È destinata a dividere opinioni e coscienze la sorprendente apertura della Corte di Cassazione all’arrestato-simbolo della lotta alla mafia, ormai 86enne e gravemente malato. Il futuro del “Capo dei capi” è in bilico tra la volontà di rispettare il diritto di ogni essere umano “a morire dignitosamente” e la necessità di non infangare il ricordo delle tante vittime della furia omicida di Cosa Nostra.
Ma altrettanto dure sono le reazioni politiche, ed anche del mondo dell’impegno civile. Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare Antimafia: “Totò Riina è detenuto nel carcere di Parma, dove vengono assicurate cure mediche in un centro clinico di eccellenza. E’ giusto assicurare la dignità della morte anche a Riina, ma per farlo non è necessario trasferirlo altrove, men che meno agli arresti domiciliari”.
Anche Giuseppe Lumia, componente della commissione antimafia e senatore Pd, ha espresso perplessità sul tema: “Bisogna evitare di dare messaggi sbagliati. È chiaro a tutti che il diritto alle cure mediche non può essere negato a nessuno, ma da qui a tirar fuori un profilo quasi pietoso del boss ce ne passa. Riina è un carnefice spietato e ancora pericoloso. È necessario non dare segni di debolezza che potremmo pagare amaramente”.
Sonia Alfano, parlamentare di Mdp e figlia del giornalista Beppe Alfano, ucciso nel 1993, sottolinea come tanti altri detenuti sono morti nelle carceri italiane senza ricevere l’attenzione della Cassazione, eppure “di sicuro non avevano sulle spalle un numero infinito di efferati e tragici delitti compiuti ed ordinati” come quelli del boss corleonese. “Grazie a stragisti del calibro di Riina tante famiglie come la mia continuano a piangere i loro cari”.
Per l’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, “dignità , umanità , invocate dalla Corte di Cassazione per il macellaio di via dei Georgofili possono essere esercitate tranquillamente all’infermeria del carcere o in un ospedale attrezzato per il 41 bis. Si può morire dignitosamente ovunque nelle mani di uno Stato, tranne in via dei Georgofili come è avvenuto il 27 maggio 1993 per Dario, Nadia, Caterina, Angela, Fabrizio e quanti ancora oggi spesso non possono condurre la vita che gli resta dignitosamente”.
Dura anche Rita Dalla Chiesa: “Mio padre una morte dignitosa non l’ha avuta, l’hanno ammazzato lasciando lui, la moglie e Domenico Russo in macchina senza neanche un lenzuolo per coprirli. Sto insegnando a mio nipote ad avere fiducia nella giustizia e nella legalità , lo porto sempre in mezzo ai carabinieri. Per quanto riguarda invece la fiducia nella giustizia, forse sto sbagliando tutto”.
Per Franco La Torre, figlio di Pio La Torre (ucciso il 30 aprile 1982), la scarcerazione di Riina sarebbe “un’ulteriore ferita” per le vittime. “Quando qualche anno fa Provenzano era incapace di intendere e di volere sono stato fra quelli che erano favorevoli a restituirlo ai suoi cari e lo sarei anche oggi se le condizioni di Riina fossero le stesse. Ma non mi pare che sia così”, ha concluso facendo riferimento alle intercettazioni di due anni fa, dal carcere, in cui Riina parlava del piano di uccidere il pubblico ministero Nino Di Matteo.
Don Ciotti, fondatore dell’associazione Libera contro tutte le mafie, ha sottolineato la coesistenza di “un diritto del singolo, che va salvaguardato, ma anche di una più ampia logica di giustizia di cui non si possono dimenticare le profonde e indiscutibili ragioni”.
“Non possiamo che essere totalmente d’accordo con la Cassazione. Se non fosse così vorrebbe dire che per noi la pena è pura vendetta”. La voce fuori dal coro è quella di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone. “Qualora mai un detenuto come Riina avesse l’opportunità di essere curato fuori dal carcere, sarà comunque cura delle forze dell’ordine fare in modo che ciò possa avvenire senza rischi: uno Stato forte e democratico non fa mai morire nessuno in carcere deliberatamente”
(da “La Repubblica”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
SONDAGGIO SURVATION: CONSERVATORI 41,5%, LABURISTI 40,4%, LIBERALDEMOCRATICI 6%, UKIP 3%… IL 60% DEI GIOVANI STA CON CORBYN
I conservatori della premier britannica, Theresa May, e i laburisti di Jeremy Corbyn sono ormai testa a testa: almeno a sentire l’ultimo sondaggio divulgato oggi dall’emittente ITV, quando mancano appena due giorni alle elezioni parlamentari di giovedì.
Il sondaggio sulle intenzioni di voto, realizzato dalla società Survation per l’emittente britannica, assegna ai Tory un appoggio del 41,5% e ai laburisti il 40,4.
Più indietro i liberaldemocratici, al 6% e il partito euroscettico Ukip, fermo al 3%.
Il sondaggio (1.103 persone, intervistate per telefono tra il 2 e il 3 giugno) conferma la clamorosa rimonta dei laburisti, che all’inizio di maggio, quando è cominciata la campagna elettorale per il voto voluto dalla premier Theresa May, erano indietro di 20 punti percentuali.
Insomma, i numeri sembrano dire che Theresa May potrebbe entrare nella storia insieme a David Cameron per aver fortemente voluto un ricorso alle urne che poi ha rovinosamente perso.
In realtà è estremamente difficile che nel poco tempo a disposizione si realizzi un sorpasso che avrebbe qualcosa di epico.
Oggi intanto continua la campagna elettorale, ma intanto, dopo gli attentati di sabato notte, non accenna a placarsi la polemica per le falle della sicurezza.
Corbyn lunedì ha chiesto le dimissioni di May, ricordando che l’attuale premier, quando era ministro dell’Interno sotto il precedente governo conservatore di David Cameron, decise i tagli agli organici della polizia.
Anche Roger Liddle, ex consigliere per l’Europa di Blair, in un’intervista al Corriere, non si dice in effetti convinto della bontà degli ultimi numeri: «Sinceramente questi ultimi sondaggi non mi convincono, spesso divergono fra loro. Credo invece che ci sarà uno spostamento dell’ultimo momento a favore dei conservatori a causa della questione sicurezza».
In ogni caso per Corbyn superare il 30 percento vorrebbe dire tornare ai livelli di Blair e tante altre cose, ma soprattutto una: il Labour non deve avere più il complesso di essere forza di sinistra, socialdemocratica e statalista come nei gloriosi anni ’60.
Con buona pace della stampa che, se ce l’ha mai avuta con qualcuno, questi non era certo Donald Trump ma Jeremy Corbyn. Il quale ha ancora una cosa in comune con Sanders: piace incredibilmente ai giovani. Quasi il 60 percento sono per lui.
Magari questa volta non adranno a votare, ma la prossima si’. E le speranze laburiste aumantano. Del resto era Shaw che diceva: “L’uomo ragionevole adatta se stesso al mondo, quello irragionevole insiste nel cercare di adattare il mondo a se stesso. Cosi’ il progresso dipende dagli uomini irragionevoli”.
E di irragionevolezza e’ stato sempre tacciato Jeremy Corbyn.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 6th, 2017 Riccardo Fucile
“COME GENITORE COME PATRIOTA E COME CRISTIANO NON POSSO AVALLARE IL TRADIMENTO DI TRUMP SUL CLIMA, LA MIA DIGNITA’ PRIMA DI TUTTO”
Addio polveri sorgenti dalle acque, dall’aria e a da ogni angolo di questa terra: addio. L’ambasciatore reggente degli Usa lascia Pechino. E lo fa con un gesto clamoroso indirizzato al proprio boss: il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Dimissioni belle e buone: per protestare contro la decisione americana di voltare le spalle agli accordi sul clima di Parigi.
Orgoglio e dignità : David H. Rank potrà anche non conoscere Lucio Battisti, ma dopo 27 anni di onorato servizio saprà pure che un diplomatico è prima di tutto un hombre vertical.
E dunque: come si fa a dire agli inquinatissimi cinesi, dopo tutte le ramanzine che sulla pollution hanno fatto gli yankees, che adesso al contrario è proprio l’America a tradire sul clima?
Mister Rank è il reggente dell’ambasciata in attesa dell’arrivo del nuovo padrone di casa: quel Terry Branstad che Trump ha scelto in virtù della sua antica amicizia con Xi Jinping, che nell’Iowa del governatore ora uscente fu ospite trent’anni fa durante la sua primissima missione negli Usa.
Nell’attesa del cambio di guardia, toccava al reggente dunque notificare ai cinesi la decisione di strappare gli accordi sul clima sottoscritti a Parigi da Barack Obama: e con che faccia, ha pensato il brav’uomo, posso proprio io, che ho fatto da sempre un punto di forza della battaglia sull’ambiente, notificare questo tradimento proprio al paese più inquinato del mondo?
Non posso, non posso, ha continuato a sussurrare Rank ai colleghi più intimi, che al Washington Post hanno poi spifferato l’angoscia del diplomatico: non posso farlo “come genitore, come patriota e come cristiano”.
Il gran rifiuto è una scossa: più che rari sono rarissimi i casi di ambasciatori che lasciano in disaccordo con una decisione del superboss.
Certo, lui è il reggente e non il titolare: ma sarà mica colpa sua se il presidente è così indaffarato a fare guerra via Twitter all’universo mondo dem da non avere il tempo per sanare i buchi nella rete diplomatica?
Sono così tanti i posti da riempire, più di una ventina, che per gli “ambasciatori nel limbo”, come Rank, nell’ambiente diplomatico è stato scherzosamente inventato uno stato inesistente: “Limboland”. E però: ancora ancora il limbo uno lo sopporta.
Ma come si fa a invece a sopravvivere nell’inferno di questo inquinamento?
Le polveri sottili che salgono fino a 700 microgrammi per metro cubo, decine di volte oltre il limite. Milioni di persone costrette ad andare in giro con la mascherina. Un milione e 100 mila di morti in tutta la Cina solo nel 2015 causate da complicazioni legate all’inquinamento: e sono le stime ufficiali, le meno allarmanti. La situazione a Pechino è così degradata che appena pochi giorni fa come sindaco è stato nominato il ministro dell’ambiente, Chen Jining, un prof dell’università Tsinghua. Ma non solo.
A complicare l’imbarazzante posizione in cui s’è trovato il buon Rank c’è anche un precedente famoso.
Proprio per l’inquinamento, tre anni fa mollò Gary Locke, l’ambasciatore Usa che aveva fatto della lotta alla pollution uno dei capisaldi della sua missione: la motivazione non fu ovviamente ufficiale, ma si sussurrò che l’uomo scelto da Obama — e per la verità duro con i cinesi anche su ben altri temi, dal Tibet ai diritti umani — fosse costretto a lasciare proprio perchè non poteva più tollerare di far respirare alla famiglia questa bella arietta.
Fu lui, per esempio, a introdurre la misurazione quotidiana dei livelli di polveri sottili, che all’inizio contrastava apertamente con quella ufficiale del governo, e oggi è rilanciata in tante app qui popolarissime, che avvertono appunto del livello di pericolosità dello smog.
Ma tant’è. Il paradosso, oggi, è che proprio la Cina si appresta a diventare la superpotenza pronta a guidare il resto del mondo nella lotta all’inquinamento, a cominciare dal rispetto degli accordi di Parigi, con l’America in clamorosa ritirata. Poteva l’ambasciatore Rank, che a fine anno sarebbe anche potuto andare in pensione, concludere la sua onorata carriera, transitata anche per il durissimo Afghanistan, comunicando ai cinesi, con la coda tra le gambe, il tradimento della sua America? Addio polveri sorgenti dalle acque, dall’aria e a da ogni angolo di questa terra: addio
(da “La Repubblica”)
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