Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
EMILIANO: “IL CENTRODESTRA SI BATTE COSTRUENDO COALIZIONI DI CENTROSINISTRA”… TRE SINDACI AL M5S, UN CIVICO DELLA DESTRA SOCIALE VINCE A GALATINA
Puglia in controtendenza rispetto al dato nazionale dei ballottaggi per le elezioni comunali.
A Taranto e Lecce, i centri più importanti fra i 14 tornati alle urne, a vincere sono stati i candidati sindaco del centrosinistra.
Nel capoluogo jonico, la città dell’Ilva, Rinaldo Melucci ha raggiunto il 50,9 per cento dei voti contro Stefania Baldassari (centrodestra).
E Carlo Salvemini diventa il nuovo primo cittadino di Lecce sconfiggendo Mauro Giliberti con quasi il 55 per cento: una dura sconfitta per Raffaele Fitto e per il centrodestra che aveva guidato la città negli ultimi vent’anni.
Risultati importanti anche per Movimento 5 Stelle, che porta a casa tre ballottaggi su tre: a Santeramo in Colle con Fabrizio Baldassarre, a Mottola con Giovanni Barulli e a Canosa di Puglia con Roberto Morra
La gioia del governatore Emiliano. “La Puglia è l’unica regione italiana dove il centrosinistra nella sua struttura più classica vince dappertutto”, commenta il governatore Michele Emiliano.
“Vince anche a Lecce, dove non era mai avvenuto. Questo significa che il Pd deve prendere atto che soltanto costruendo coalizioni di centrosinistra è possibile sconfiggere il centrodestra risorto e il Movimento 5 Stelle che altrimenti vincono”.
E ancora: “Sono particolarmente felice per la città di Taranto – aggiunge Emiliano – perchè la riunificazione del centrosinistra sta consentendo la vittoria. Ripeto: in Puglia abbiamo vinto ovunque e questo è per me motivo di grande soddisfazione”.
Gli altri comuni. Il centrodestra riesce a confermarsi con i suoi sindaci uscenti a Terlizzi con Ninni Gemmato, Gianni Stefano a Casarano (entrambi con il 60 per cento) e Tommaso Depalma a Giovinazzo col 52.
Al centrosinistra vanno anche Molfetta con Tommaso Minervini (57 per cento), Martina Franca con Franco Ancona (54) e Galatone con Flavio Filoni (55).
Sono esponenti di liste civiche i vincitori a Palagiano (Domiziano Lasigna), a Galatina (Marcello Pasquale Amante) e Tricase (Carlo Chiuri).
(da agenzie)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
IL MEETUP “DUCATO A 5 STELLE” ESULTA, GHIRARDUZZI ROSICA
Dopo la vittoria di Federico Pizzarotti a Parma si sta consumando un dramma a 5 Stelle. Il sindaco uscente ex-MoVimento 5 Stelle è stato rieletto vincendo al ballottaggio contro il candidato del centrosinistra Paolo Scarpa.
Ma gli attivisti pentastellati non sanno se gioire o disperarsi.
Perchè Pizzarotti è stato espulso dal M5S e Grillo gli aveva augurato di godersi i suoi quindici minuti di celebrità e poi andarsene.
Ora dopo cinque anni di governo Pizzarotti raddoppia mentre il MoVimento resta al palo con un misero 3%.
Il problema è che i 5 Stelle non sanno cosa pensare. Devono esultare perchè ha vinto un ex 5 Stelle oppure devono rosicare dicendo che Pizzarotti presto si alleerà con il PD?
La prima strada è quella scelta dal MeetUp Parma Ducato 5 Stelle che nei giorni scorsi aveva invitato gli elettori del MoVimento a votare per l’amato/odiato ex per fermare l’avanzata del PD.
Dalla pagina Facebook del Ducato a 5 Stelle si accusa il candidato del M5S Daniele Ghirarduzzi “di essere al soldo del PD”.
Ghirarduzzi qualche giorno fa infatti aveva invitato a non votare per Pizzarotti al ballottaggio.
Un invito che si traduce nella richiesta implicita di dare il voto a Scarpa per non far vincere l’odiato Pizzarotti.
Non sono mancate ovviamente le critiche di circostanza alle modalità con cui lo staff del M5S ha scelto la candidatura di Ghirarduzzi fino al mea culpa per la “sciagurata esperienza” che si è consumata a Parma.
Di segno opposto le reazioni dell’ex candidato sindaco del MoVimento. Sulla sua pagina ufficiale e sul suo profilo tutto tace — o quasi — riguardo Parma. È nei commenti ai post che si deve andare a cercare il Ghirarduzzi per vedere quanto la vittoria di Pizzarotti gli stia facendo male.
Ma anche se Pizzarotti ha vinto Ghirarduzzi ha promesso un’operazione fiato sul collo alla parmigiana. Ovviamente da fuori del consiglio comunale. Dopo il pessimo risultato del primo turno il M5S infatti non elegge nessun consigliere.
Le critiche all’operato della lista certificata però non sono ben accette. Per ben tre mesi il MoVimento ha cercato di dare la spallata a Pizzarotti ma non ci è riuscito perchè nessuno “si interessava di noi o del nostro programma”.
Ma molto più interessante è la lunga tirata con cui il 5 Stelle “smaschera” Pizzarotti in qualità di piddino. Per Ghirarduzzi ci sono evidenti prove di “colpevolezza” a carico di Pizzarotti. Il che fa il paio con l’accusa rivolta a Ghirarduzzi di stare con il PD.
Ma non solo: quando il candidato sindaco del M5S invitava a non votare Pizzarotti al ballottaggio per impedire che venisse rieletto stava facendo il gioco del suo avversario. Ovvero del candidato del PD.
Tre giorni fa Ghirarduzzi ha condiviso un post dove si parla del sindaco definendolo “il merda”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
IL CASO DI PARMA… AD ASTI IL CENTROSINISTRA VA A VOTARE IL CENTRODESTRA CONTRO I GRILLINI
Il centrosinistra ha un elettorato “infedele”, gli elettori del M5s se non hanno il loro candidato al ballottaggio, quando non si astengono, premiano tendenzialmente più il centrodestra.
Sono i primi dati che emergono dall’analisi dei flussi elettorali fra il primo e il secondo turno elaborati dall’Istituto Cattaneo in sette città .
Dall’analisi emergono dati interessanti
A Genova è stato il sindaco eletto Bucci, infatti, ad avvantaggiarsi maggiormente del voto dei 5 stelle che non si sono astenuti, mentre i voti delle liste di ex 5 stelle (Putti e Cassimatis) sono andati più a Crivello.
A Parma Pizzarotti ha vinto con un margine superiore alle previsioni. Questo perchè ha preso la gran parte dei voti del centrodestra, ma anche una quota consistente di consensi che al primo turno erano andati a Scarpa.
Un comportamento apparentemente incomprensibile, spiegabile soprattutto col peso del ‘voto personale’ legato alle preferenze dei consiglieri che al secondo turno salta. Molto più semplice l’analisi dei flussi a Padova: Giordani ha raccolto i voti del candidato della sinistra Lorenzoni, mentre gli elettori del M5S si sono divisi fra Giordani e Bitonci.
Più interessante il caso di Verona dove si fronteggiavano Sboarina (centrodestra) e Bisinella (lista civica).
Qui l’elettorato del centrosinistra si è sostanzialmente diviso fra l’astensione e il voto a Bisinella, mentre quello del M5S ha preferito Sboarina.
Mentre Como ha confermato sostanzialmente il dato del primo turno, è interessante invece notare il comportamento degli elettori del centrosinistra ad Asti dove la sfida era fra centrodestra e M5S, che si sono orientati prevalentemente verso Rasero, ma non in maniera compatta, come hanno fatto invece le altre liste civiche verso Cerruti. A L’Aquila, invece, l’elettorato a 5 stelle è stato determinante nella vittoria di Biondi (centrodestra), mentre molti degli elettori di Di Benedetto del primo turno non sono tornati a votare.
In particolare, a Parma l’elettorato del centrosinistra è stato un “po’ infedele”.
E al secondo turno Federico Pizzarotti ha incrementato in modo considerevole lo scarto rispetto allo sfindante Paolo Scarpa, dai circa 1.500 voti di vantaggio a più di 10.000.
Ad analizzare i flussi elettorali tra primo e secondo turno è stato l’istituto Cattaneo, che ha studiato sette città al voto ieri: oltre a Parma Genova, Padova, Verona, Como, Asti e L’Aquila.
A Parma quote di elettori di centrosinistra sono saltati “dalla parte opposta premiando Pizzarotti” oppure non sono tornati alle urne.
La spiegazione sarebbe insomma dovuta alle diverse logiche del voto nel primo e nel secondo turno. “Al primo turno è rilevante il peso del ‘voto personale’, delle scelte spinte dal voto di preferenza sollecitato dai candidati consiglieri.
Al secondo turno, quando questa motivazione viene meno, una parte di elettori diserta le urne oppure modifica la scelta di voto”.
Al di là di questo l’elettorato del centrodestra “in prevalenza confluisce (prevedibilmente) su Pizzarotti mentre quello (di dimensioni molto ridotte) del M5s (Ghirarduzzi) si sposta in prevalenza verso il non-voto”.
A Genova invece al secondo turno l’elettorato di Gianni Crivello ha subito “piccole ma significative perdite” verso l’astensione .
Per quanto riguarda il bacino elettorale M5s, la “maggioranza di questo elettorato confluisce nell’astensione”, spiega il Cattaneo.
Tra i due candidati rimasti in lizza però “è Bucci ad avvantaggiarsi maggiormente dal voto dei Cinque Stelle che si sono recati alle urne.
Crivello, peraltro, recupera in parte lo svantaggio subito nell’elettorato di Pirondini col vantaggio ottenuto nel bacino degli ex 5 stelle.
I recuperi dall’astensione sono scarsamente rilevanti”.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
RISPETTO AL PRIMO TURNO CRIVELLO HA RACCOLTO 14.650 VOTI IN PIU’ RECUPERANDO DA LISTE DI SINISTRA E ASTENSIONISMO… BUCCI AVEVA GIA’ FATTO IL PIENO AL PRIMO TURNO DEI VOTI DI AREA, MA HA GUADAGNATO 23.607 VOTI DEI 41.000 DEI GRILLINI
Non sveliamo nulla di originale rispetto a quanto stiamo ripetendo da alcuni mesi: Grillo non aveva interesse a vincere a Genova, se solo fosse arrivato al ballottaggio il candidato Cinquestelle avrebbe avuto il sopravvento sia su quello del Pd che su quello del centrodestra del tanto decantato modello patacca Toti (lo stesso che ha perso a Padova).
Perchè i voti del perdente (destra o sinistra che fosse) si sarebbero riversati, come è ormai prassi, sul candidato di Grillo.
Dato che Beppe ama non solo gli agi, ma anche la tranquillità a casa sua, nulla lo avrebbe più innervosito che essere contestato nella sua villa : non a caso nel comizio di chiusura gli scappò la battuta “tanto Pirondini perde, così evito che mi vengano a rompere i coglioni sotto le finestre”.
Da qui l’emarginazione del candidato che avrebbe strappato voti a sinistra (Putti) prima e poi della vincitrice delle comunarie Cassimatis.
Risultato: immagine distrutta e persi 13.637 voti andati alle due liste di ex grillini.
Una marchetta al centrodestra, evidenziata dalle assonanze con Bucci, non solo espressione “dal volto umano” del futuro alleato Lega, ma personaggio legato ai poteri forti di cui vi accorgerete nei prossimi cinque anni.
Non serve dare indicazioni di voto quando si polemizza a senso unico e quando si cavalcano gli stessi temi del centrodestra, l’elettorato ne trae le conseguenze.
Crivello pensava che sarebbe bastato conquistare 12.000 voti in più per vincere, ovvero salire da 76.407 a 89.000.
Confidava che Bucci, avendo fatto il pieno al primo turno dei voti di area con 88.781 e con un calo previsto di affluenza non avrebbe superato tale quota.
E’ riuscito a salire di 14.650 voti, ma Bucci ha raccolto 112.398 voti, circa 24.000 in più.
Se quelli di Crivello si possono ricercare tra il recupero di una minina parte di astensionisti al primo turno, sommati a una buona parte dei 14.000 di Putti e Cassimatis, è evidente che Bucci ha pescato tra i 41.000 voti andati al primo al candidato Cinquestelle.
Poi è stato determinante l’astensionismo al 42%: in pratica Bucci è stato votato solo da un genovese su quattro.
Ma quello che ai media nazionale sfugge (o non hanno interesse a dire) è che Bucci ha avuto sostegni “pesanti” in termini di appoggi.
Vale per tutti un episodio: stamane la principale emittente locale (beneficiata da “incarichi” dalla giunta Toti e da “Liguria Digitale” di Bucci) celebrava la vittoria di Bucci con “interviste casuali” sotto la sede del Comune.
La domanda rivolta ai cittadini “casuali” era: “siete soddisfatti dell’elezione di Bucci?”.
Sempre “casualmente” tutti gli intervistati si dichiaravano entusiasti, si vede che passava solo quel cittadino su quattro che l’ha votato, degli altri tre nessuna traccia.
Il metodo Toti funziona, come no.
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
E I PASSIVI LI SCARICA SUI CONTRIBUENTI ITALIANI.. L’ALTERNATIVA C’ERA, MA QUALCUNO DORMIVA
«Non c’erano alternative», secondo il ministro Pier Carlo Padoan. O meglio, c’erano ma erano impraticabili o impopolari.
Per questo ieri il governo ha impegnato diciassette miliardi di euro per il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca scegliendo di spenderne da subito 5,2 per l’accordo con Banca Intesa che riesce così a cancellare la concorrenza bancaria in Veneto e a farsi pagare per acquistare gli attivi dei due istituti mollando il passivo ai contribuenti italiani.
Il bello è che Padoan ha ragione quando sostiene che non c’erano alternative. Perchè l’unica davvero praticabile era il bail in, che avrebbe però rappresentato ben più di un campanello d’allarme per i titoli detenuti dalle famiglie che possono essere azzerati da un eventuale bail in, rispetto al quale gli italiani, al contrario di altri paesi europei, stanno messi male.
Spiega oggi Gianluca Paolucci sulla Stampa:
La liquidazione e separazione delle attività di Veneto e Vicenza in good e bad bank secondo la procedura fallimentare italiana costa allo Stato poco meno di cinque miliardi ma ne impegna sin d’ora altri dodici. Il governo aveva di fronte a sè due alternative: una percorsa senza successo, l’altra evitata come la peste. La prima era la “ricapitalizzazione precauzionale” che avrebbe salvato l’integrità dei due istituti e saltata per l’indisponibilità del sistema bancario di sostenerne una parte dei costi; l’altra la “risoluzione” che avrebbe imposto l’azzeramento di azionisti, obbligazionisti e probabilmente dei conti correnti oltre i centomila euro.
Il governo ha valutato questa soluzione impraticabile e pericolosa.
L’argomento non era peregrino, visto che in Italia — e solo in Italia — la percentuale di bond in mano alle famiglie è quattro volte quello della Germania: il timore era quello di un contagio sistemico a tutte le banche.
L’operazione varata ieri fa invece salvi tutti i conti correnti, le obbligazioni “senior” e le sole subordinate in mano alle famiglie: verranno rimborsate all’80 per cento dallo Stato, al 20 per cento da Intesa.
Vengono invece azzerati azionisti e obbligazioni subordinate in mano a investitori istituzionali.
Il problema è che il conto presentato da Intesa resta in ogni caso imbarazzante.
Lo Stato verserà a Ca’ de Sass 4,875 miliardi per lasciare invariati i suoi parametri patrimoniali. Altri dodici miliardi di garanzie pubbliche servono ancora a Intesa, che si è coperta con 6,35 miliardi per garantire i crediti a rischio mentre altri 4 miliardi potranno essere necessari per quelli oggi in bonis ma domani chissà . Infine ci sono le garanzie sui rischi legali, valutate tra 1,5 e 2 miliardi.
I due istituti verranno messi in liquidazione coatta amministrativa e saranno nominati i commissari straordinari.
Non avendo attivato la procedura con le regole europee, non perderanno un euro sia i correntisti con depositi sopra i 100mila euro sia gli obbligazionisti senior. I primi, di fatto, diventano correntisti di Intesa Sanpaolo, mentre i secondi verranno rimborsati per il 100 per cento alla scadenza.
Anche i risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate (junior) verranno rimborsate del loro valore dal Fondo interbancario di tutela dei depositanti e da un contributo di Banca Intesa.
Nessuna conseguenza anche per chi ha sottoscritto un mutuo o un prestito: d’ora in poi la loro controparte diventerà Intesa.
Così come non ci sono conseguenze per chi ha sottoscritto un fondo di investimento o titoli di stato attraverso Popolare Vicenza o Veneto Banca: non ci sarebbero stati comunque, perchè la proprietà è del risparmiatore.
A perdere il loro investimento sono ovviamente gli azionisti, per Veneto Banca sono 88mila e quelli di Popolare Vicenza 111mila, anche coloro che sono stati “indotti” ad acquistare azioni delle due banche magari in connessione con la sottoscrizione di un mutuo o di un prestito.
In arrivo poi ci sono quattromila esuberi e seicento sportelli da tagliare. Ma per quelli c’è pronto un prepensionamento che potrebbe riguardare anche i dipendenti di Intesa. Un paracadute che i sindacati bancari hanno accolto esultando, ricordando che invece l’Europa cattiva avrebbe fatto molto più male.
Intanto Repubblica ci spiega che il costo a carico del contribuente potrebbe anche triplicare
Nel testo si scrive che «gli aiuti di Stato ammontano a 4,785 miliardi in termini di anticipo di cassa e 400 milioni di garanzie», per un totale di 5,2 miliardi. A cui si aggiungono «impegni per un importo massimo per 12 miliardi». Ma come sono suddivise queste voci? I primi 3,5 miliardi sono di «supporto finanziario a Banca Intesa per evitare che l’acquisizione di crediti ne peggiori i ratio patrimoniali». Poi ci sono 1,285 miliardi alle banche in liquidazione «per la gestione del personale».
Si aggiunge una «garanzia» fino a 6,35 miliardi per crediti che potrebbero essere «retrocessi a seguito a nuove verifiche.
Un’altra garanzia riguarda crediti al momento non a rischio ma che potrebbero diventarlo (e Intesa ha la facoltà di «ritrasferili alle banche in liquidazione» da qui a tre anni). Infine, c’è una terza garanzia sui «rischi legali che sono in capo alle due banche in liquidazione», il cui computo totale è ancora da accertare ma che si aggira tra 1,5 e 2 miliardi.
Francesco Manacorda su Repubblica invece ci ricorda che mentre l’unica alternativa era il bail in sanguinoso la responsabilità della situazione odierna rimane in capo proprio a quella politica che oggi dice che non c’erano alternative:
Quando nella primavera 2016 la Popolare di Vicenza si preparava all’aumento di capitale, assistita dall’Unicredit, e l’operazione andò a monte, fu il governo a lanciare l’operazione Atlante: oltre quattro miliardi raccolti con una pesante “moral suasion” tra banche, fondazioni e compagnie assicurative. Soldi che dovevano servire a rilevare i crediti deteriorati delle banche e che invece servirono in gran parte per un’iniezione di capitale comunque insufficiente per le banche venete. Sarebbe servito ben altro, magari anche con soldi pubblici – meno di ora – e a costo di sfidare Bruxelles.
Ma il referendum costituzionale si avvicinava, un esborso di Stato non sarebbe stato il miglior viatico per le speranze di vittoria, il messaggio era che si viveva nel migliore dei mondi (anche bancario) possibili.
Poi Renzi è caduto, Atlante è inciampato rovinosamente sotto un peso impossibile anche per il mitologico gigante e a Padoan e Gentiloni non resta che raccogliere i cocci delle banche rincollandoli con il mastice universale della spesa pubblica. Un rattoppo che forse non reggerà alla prova delle prossime elezioni
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
CON SALVINI NON CAMBIA NULLA
Berlusconi ha evitato di mettere la faccia sulle elezioni, ha fatto trapelare nomi di “papi stranieri” e , soprattutto, si è mosso solo nell’ottica delle larghe intese col Pd. Ecco, il conflitto che già emerge.
Chi si è messo in contatto con Arcore in serata racconta che il Cavaliere è certamente soddisfatto per la vittoria, ma non la considera un miracolo di Toti nè solo il frutto dell’asse del Nord: “Abbiamo vinto ovunque, mica solo a Genova”.
E ovviamente, si attribuisce nella vittoria molti più meriti di quanti ne abbia e gliene diano i suoi.
Se c’è una ricaduta politica di questo voto, vista da Arcore, non è un’accelerazione sulla costruzione di un’alleanza più solida con Salvini e la Meloni, ma una ripresa della trattativa sulla legge elettorale, forte di un aumentato potere contrattuale nelle urne.
Nel corso della giornata, quando i dati erano già chiari Niccolò Ghedini ha mandato più di un messaggio agli ambasciatori del Pd per riprendere il dialogo già da martedì. Tedesco o legge che preveda un premio di coalizione, poco importa.
Il senso politico è correre ognuno con la sua faccia, per poi giocare in proprio nel post voto.
La lista unica come embrione di un partito unico di centrodestra è vista come uno spettro da evitare più che come un’opportunità da coltivare:
“Ora — dice un big azzurro — Toti e Salvini accelereranno e Giovanni è determinato al punto da mettere in conto la rottura, ma Berlusconi ha interesse a prendere i voti per sè per poi fare accordi in Parlamento”.
C’entra una ragione che è di fondo. Incandidabile, con poche speranze di essere riabilitato da Strasburgo, acciaccato, il vecchio leader sa che, se si apre un processo politico nuovo che porta a un nuovo assetto, non sarà mai il leader.
Rimarrà dunque deluso chi si aspetta che, nei prossimi giorni, cambierà l’approccio di Berlusconi verso il governo, in senso più conflittuale o verso Renzi, difeso su Consip il giorno della chiusura delle urne.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO MINIMIZZA LA DEBACLE
Niente autocritica, dopo la botta.
In nottata, Matteo Renzi scrive, anzi è costretto a scrivere rispetto alle intenzioni di continuare a non mettere la faccia sul voto: “Il risultato – si legge sul suo profilo facebook – non è un granchè, poteva andare meglio. Ma non è un campanello d’allarme. Le amministrative sono altra cosa rispetto alle politiche”.
Soliti toni sul “chiacchiericcio” annunciato nei prossimi giorni dei “soliti apocalittici”, gente “che non ha mai preso un voto e commenterà con enfasi”.
Parole tranchant anche rivolte a chi, come Andrea Orlando, chiede una riflessione sull’isolamento del Pd: “Qualcuno dirà che ci voleva la coalizione, ignorando che c’era la coalizione sia dove si è vinto, sia dove si è perso”.
La verità è che la sconfitta brucia.
Il Pd passa da 14 a 4 capoluoghi di provincia e sprofonda nella zone rosse: Genova, La Spezia, Pistoia, Piacenza. Sopra il Po il centrosinistra vince solo Padova.
È l’ennesima sconfitta che arriva a un anno da Roma e Torino e sei mesi dopo il referendum. A microfoni spenti anche nel suo partito in parecchi iniziano a constatare che il mito del “con me si vince” si è incrinato, per usare un eufemismo.
Si arrocca, Renzi. Mette le mani avanti, prova a minimizzare, anche per aggiustare la “linea” dei suoi che fino a quel momento avevano usato, come Ettore Rosato a Porta a Porta, una parola impronunciabile: “sconfitta”.
Meglio parlare di luci e ombre, dire che è andata meno peggio del previsto. Pare che gli exit arrivati nel pomeriggio fossero assai peggiori: è andata bene a Lecce, Padova Taranto, Lucca.
Il Nazareno è deserto, col solo Matteo Ricci alle prese con numeri e dati. Pare una metafora di un partito prosciugato. Un renziano di rango spiega quale è il vero problema, che con le città c’entra ben poco: “Con questo voto si cristallizza il quadro politico nazionale. Gentiloni è più forte”.
Il che tradotto significa che quella tentazione, difficile ma mai sopita di elezioni anticipate, va repressa. Il tempo in questo quadro è sinonimo di logoramento.
Al momento, nel quartier generale renziano, nessuno pensa che Forza Italia possa indurire il suo atteggiamento parlamentare, neanche dopo la risurrezione del centrodestra nelle urne. Il problema però non è questo.
È il timore di una trappola a sinistra. C’è un motivo se il capogruppo del Ettore Rosato, a Porta a Porta, già adesso invoca chiarezza sulla manovra economica di ottobre dagli alleati di governo.
Secondo i renziani, quelli di Mdp stanno solo aspettando che si chiuda formalmente la finestra elettorale per poi “sfilarsi” dalla maggioranza, già a ottobre.
E costringere il Pd ad approvare la manovra con Forza Italia. Sarebbe il primo atto di una lunga campagna elettorale che mira a “schiacciarlo” al centro e ad aprire nuovi spazi a sinistra.
Logoramento è anche il dibattito interno.
In queste settimane già si è registrato un forte pressing sulla necessità della “coalizione”, anche da parte di un padre nobile come Romano Prodi. La frana nei ballottaggi è destinata a intensificarlo, anche all’interno.
Andrea Orlando martedì chiederà scelte radicali: “È solo il tentativo di arrivare a un nuovo leader per il 2018” dicono al Nazareno. Meglio negare la frana. E arroccarsi. Senza parlare dell’ennesima sconfitta.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 26th, 2017 Riccardo Fucile
BUCCI HA VINTO CON IL 55% DEL 42% DI VOTANTI, RAPPRESENTA IL 23% DEI GENOVESI…PIZZAROTTI VINCE A PARMA
Tra i due litiganti che da mesi si coprono di contumelie, era inevitabile che il terzo godesse.
Il centrodestra conquista ufficialmente Genova grazie all’apporto di Grillo, prevale a Verona sulla candidata tosiana che non ha avuto il sostegno previsto degli elettori Pd e vince all’Aquila, oltre che in numerosi comuni minori. Ma deve incassare la sconfitta a Lecce, dopo venti anni di amministrazione del centrodestra, a Taranto, ma soprattutto a Padova, da sempre roccaforte della Lega, dove il centrodestra unito viene sconfitto.
Grazie al voto degli elettori del centodestra vince Pizzarotti a Parma e vincono i grillini a Carrara.
In generale una sconfitta della linea renziana del Pd, un successo del centrodestra di Berlusconi più che di Salvini, una debacle per il M5S.
Va sottolineato che ha vinto chi è riuscito a motivare i propri elettori ad andare al voto, vista la percentuale minima di votanti, sotto il 50%.
Basti pensare che il tanto decantato successo di Bucci a Genova è stato determinato dal fatto che ha votato solo il 42% dei genovesi e Bucci, con il suo 55%, di fatto rappresenta solo il 23% dei genovesi. Tre genovesi su quattro non l’hanno votato, c’è poco da festeggiare.
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