Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
“SAPEVAMO CHE SAREBBE ARRIVATA MA NON ABBIAMO FATTO ABBASTANZA”… TROPPA CONFLITTUALITA’ TRA REGIONI E GOVERNO
I casi di Coronavirus si impennano (questa settimana sono quasi raddoppiati rispetto alla precedente — 29.621 contro 15.459), le misure restrittive tornano in campo — per quanto in veste completamente diversa da quel lockdown che per mesi ha bloccato l’intero paese. In sintesi, la seconda ondata è realtà .
Annunciata, prevista, è già qui e per quanto il sistema ospedaliero stia ancora reggendo, dati i numeri ancora gestibili delle terapie intensive, l’allerta è ai massimi livelli. E i nodi vengono al pettine.
Insieme a quello del trasporto pubblico locale e della scuola — altro che calcetto, verrebbe da dire — c’è infatti un altro tema sensibile, su cui la fondazione Gimbe di Bologna accende i riflettori: i servizi sanitari territoriali che, nonostante le risorse assegnate dal decreto Rilancio (e che ci sono ancora), non sono stati potenziati nelle capacità di testing & tracing. Tradotto: sono ancora i tamponi il nostro tallone d’Achille.
«Nonostante l’apparente potenziamento dovuto alle nuove misure, il numero di tamponi rimane ancora largamente insufficiente». E stiamo per perdere — se già non è successo — la capacità di tracciamento dei contagi, fondamentale per il contenimento del virus e per applicare quelle famigerate piccole serrate necessarie per scongiurare il pericolo di chiudere tutto. Anche perchè, semplicemente, non possiamo economicamente e socialmente permetterci un secondo lockdown.
Il piano e le criticità
Se da un lato c’è il nuovo Dpcm, dall’altro la fondazione Gimbe a proposito delle misure sanitarie incluse nell’ultima circolare del ministero della Salute “Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale” spiega: «Si tratta di un piano molto articolato che delinea quattro scenari di evoluzione dell’epidemia in relazione a diversi livelli di rischio e le conseguenti misure, che nello scenario peggiore prevedono un nuovo lockdown nazionale».
L’insufficiente capacità di tracciamento dei nuovi casi, aggiunge il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta, è «una delle determinanti del progressivo incremento dei casi iniziato a fine luglio, che dopo un mese ha innescato l’aumento dei ricoveri, e dopo circa 2 mesi quello dei decessi».
Gli effetti delle misure restrittive del nuovo Dpcm firmato nella notte dal premier Giuseppe Conte e dal ministro dell’Istruzione Roberto Speranza si vedranno — se ve ne saranno — non prima di inizio novembre. E comunque appaiono poca cosa: «L’entità delle restrizioni stride con il mancato potenziamento dei servizi territoriali deputati al tracciamento, nonostante le risorse già assegnate dal Decreto Rilancio», affonda Cartabellotta. «Ancora una volta, i ritardi burocratici e i conflitti tra Governo e Regioni scaricano sui cittadini la responsabilità del controllo epidemico attraverso restrizioni delle libertà personali».
I dati
Sono 12.564.713 i tamponi effettuati alla data dell’11 ottobre. Ma di questo totale, «solo dal 19 aprile è possibile scorporare dal totale il numero dei casi testati, ovvero i soggetti sottoposti al test per confermare/escludere l’infezione da SARS-CoV-2, escludendo i tamponi ripetuti sulla stessa persona per confermare la guarigione virologica (almeno 2 finora) o per altre motivazioni», spiega Gimbe. Fino alla fase due, quindi alla prima parziale riapertura del 3 giugno, in media sono stati effettuati stabilmente 35mila test al giorno. Un numero poi sceso a una media di 25mila, mentre «solo a partire dalla metà di agosto, a seguito della risalita dei casi, è stato incrementato sino a raggiungere i 67.000/die nella settimana 5-11 ottobre».
Un aumento che non è, però, omogeneo di regione in regione. «Nel periodo 12 agosto—11 ottobre, rispetto a una media nazionale di 5.360 casi testati per 100 mila abitanti, il range varia dai 3.232 della Sicilia ai agli 8.002 del Lazio», spiegano ancora dalla Fondazione. Bene anche Bolzano, la Toscana, la Lombardia, l’Emilia Romagna. Male, insieme alla regione siciliana, pure Puglia, Piemonte, Marche. Di 20 regioni, 10 sono sotto alla media nazionale.
Già da fine agosto Gimbe sollecitava le Regioni a potenziare le attività di testing & tracing, aggiunge Cartabellotta, «perchè nella fase di lenta risalita della curva epidemica la battaglia con il virus si vince sul territorio». I tamponi sono invece stati «modestamente potenziati», e con l’impennata dei casi «si sono rivelati un “collo di bottiglia” troppo stretto che ha favorito la crescita dei nuovi contagi che negli ultimi 10 giorni da lineare è diventata esponenziale».
Non solo: i tamponi non sono stati potenziati «in misura proporzionale all’aumentata circolazione del virus», dicono ancora dalla fondazione, «determinando un netto incremento del rapporto positivi/casi testati a livello nazionale che da metà luglio a metà agosto è salito dallo 0,8% all’1,9%, per raggiungere nella settimana 5-11 ottobre il 6,2% con notevoli variazioni regionali: dall’1,7% della Calabria al 14% della Valle d’Aosta».
Da aprile risulta raddoppiato, nelle regioni, il numero dei laboratori accreditati: da 152 a 270, «anche con l’accreditamento di laboratori privati». Ma non è dato sapere, notano da Gimbe, «nè la quantità di tamponi che i singoli laboratori possono processare quotidianamente, nè informazioni quantitative sul personale impegnato sul territorio nel prelievo dei campioni». Nel frattempo le code ai drive in documentate da giornali e tv, «o numeri telefonici dedicati a cui non risponde nessuno», per Gimbe «oltre ai disagi possono generare ritardi diagnostici nei pazienti positivi con peggioramento degli esiti clinici».
L’azione del governo
La politica sta provando a correre ai ripari. Ma non basta: la strategia sembra nuovamente scontrarsi con le differenziazioni regionali, l’impossibilità di trovare standard ed equilibri, le criticità croniche di un sistema che no, in nove mesi di emergenza sanitaria non ha partorito una svolta. Le novità sulla quarantena («singolo tampone per confermare la guarigione virologica») permetteranno di «“recuperare” un certo numero di tamponi, non quantificabili con precisione ma stimabili intorno ai 20.000/die, visto che quelli di controllo rappresentano circa il 40% del totale».
E poi c’è la questione dei tamponi rapidi: «Oltre agli approvvigionamenti di alcune Regioni che si erano già mosse in autonomia, la richiesta pubblica di offerta del Commissario Arcuri, scaduta lo scorso 8 ottobre, prevede l’acquisto di 5 milioni di tamponi rapidi», dice la fondazione. Ma al momento non sono ancora noti «nè i tempi di approvvigionamento, nè le tempistiche e i criteri di redistribuzione alle Regioni». Usarli, poi, non è così semplice: ambulatori di medici e pediatri di famiglia hanno strutture spesso inadeguate «a garantire percorsi dedicati per sospetti casi Covid».
E le scuole? La figura (leggendaria?) del “medico/infermiere di plesso” non risulta presente a sistema. E in generale chi i tamponi rapidi dovrebbe e potrebbe farli — a scuola come altrove, quindi medici di famiglia, pediatri, infermieri scolastici — non risulta abbia effettuato il dovuto training, se non in casi sporadici. E la «probabilità di risultati falsamente negativi al tampone rapido aumenta in mani non esperte».
Insomma, c’è ancora tanto da fare. Perchè le cifre di quello che era passato alle cronache come il “Piano Crisanti” — 300 mila tamponi al giorno, «sulla scia di quanto già proposto dalla Fondazione Gimbe» a maggio (200-250 casi testati per 100mila abitanti) — è ancora una chimera.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
CONTAGI SCHIZZATI, VACCINI ASSENTI E INCUBO RSA: I NUMERI DI UNA NUOVA EMERGENZA
“Sì, sono davvero preoccupata. Spero di sbagliarmi, ma temo davvero che a breve a Milano si verifichi un nuovo picco di contagi”. Così Anna Carla Pozzi, segretaria milanese di Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale) racconta il suo stato d’animo.
“I casi stanno aumentando gradualmente, sebbene la maggior parte di loro presentino sintomi lievi. Ci hanno detto che a breve dovremmo avere a disposizione i tamponi rapidi. Questo ci darebbe un grosso aiuto, in quanto nel giro di un quarto d’ora si ottiene il responso e quindi si può reimmettere il soggetto in società , se negativo, oppure, se positivo, isolarlo e tracciare i suoi contatti”.
Nel complesso scenario della seconda ondata di Covid-19 è sempre la Lombardia a generare le maggiori preoccupazioni e, al suo interno, è appunto Milano a suscitare un allarme particolare. Dei 696 nuovi casi, la provincia milanese ne assomma oltre la metà : 363. Di questi, ben 184 sono stati registrati nel capoluogo, dove l’incremento su base settimanale è più che raddoppiato, schizzando da 966 a 2.086 casi. Allarma anche l’indice Rt, che misura quante persone possono essere contagiate da un soggetto infetto: i dati ATS lo stimano a 1,48, ovvero vicinissimo alla soglia di allerta, fissata dal ministero della Salute a 1,5. Su questo dato, però, va specificato che ATS considera anche gli asintomatici, mentre le indicazioni ministeriali e le statistiche regionali calcolano solamente i sintomatici, con un risultato quindi più basso.
In ogni caso, l’impatto sui ricoveri è fortunatamente ancora lontano dai livelli dello scorso marzo, ma, come ha efficacemente spiegato l’infettivologo Massimo Galli, bisogna anche tenere conto del fatto che allora c’era il lockdown e oggi no.
Una differenza non da poco, come dimostrano le inquietanti immagini degli affollamenti nelle ore di punta sui mezzi pubblici, sia quelli gestiti da Atm (Comune) che da Trenord (Regione).
L’allarme si percepisce anche in città e un indicatore molto evidente è la scelta del Teatro Alla Scala di sospendere la campagna abbonamenti per la stagione 2020/21, in attesa di conoscere le restrizioni introdotte dal Dpcm. Non capitava dalla Seconda Guerra Mondiale.
Un ulteriore indicatore della paura che serpeggia in città è dato dal numero di chiamate al 118: negli ultimi dieci giorni sono raddoppiate le richieste di intervento per problematiche respiratorie e sintomi infettivi alla centrale che gestisce Milano e Monza-Brianza.
Non si possono ancora fare paragoni con i picchi dello scorso marzo, quando le richieste erano di sei volte superiori, ma la crescita della curva è interpretata come un segnale molto negativo da parte degli addetti ai lavori, secondo i quali il picco dei contagi è ancora lontano.
Certamente la ripresa della diffusione dell’epidemia si lega alla riapertura delle scuole, come dimostra il fatto che nell’arco di un mese, dal 6 settembre all’8 ottobre, sono risultati positivi 222 bambini nella fascia 0/9 anni, 315 nella 9/19, 576 nella 20/29, 566 nella 30/39, 543 nella 40/49 e numeri in decrescita andando sopra i 50 anni. Un trend opposto rispetto all’inizio della pandemia, quando invece erano i più anziani ad essere maggiormente colpiti.
Per questi ultimi il problema rimane legato soprattutto alle RSA, dove, secondo Sebastiano Capurso, vicepresidente nazionale di Anaste (Associazione Nazionale Strutture Terza Età ), “non si sta facendo tutto ciò che è necessario per evitare che tornino ad accendersi focolai”. Ospite di L’Italia s’è desta su Radio Cusano Campus, ha aggiunto: “Nella prima fase della pandemia si sono creati molti focolai nelle RSA perchè queste strutture si trovano nelle condizioni di concentrare i fattori di rischio per l’evoluzione di una malattia infettiva tradizionale. Man mano che la pandemia si sviluppava alcune cose si sono fatte, si sono evitati alcuni errori gravi fatti all’inizio, tipo quello di trasferire pazienti infetti nelle RSA come si è verificato in Lombardia. Si sono messe a regime il rifornimento e l’utilizzo delle mascherine. Si è messa a regime la verifica dei materiali che entrano all’interno. Quindi una serie di cose sono state fatte.
Ora il governo e le regioni stanno facendo provvedimenti per locali, bar, scuole, rileviamo però che manca un provvedimento specifico per le RSA, che poi sono il fulcro della difesa, visto che lì ci sono i soggetti che più rischiano di morire a causa del Covid-19. Per quanto riguarda il personale, si è visto che distanziamento e mascherine hanno un effetto limitato. Se la pandemia si diffonde sul territorio è inevitabile che il virus entri anche all’interno delle RSA. La soluzione parziale potrebbe essere di fare tamponi periodici al personale, individuando subito eventuali portatori del virus”.
La necessità di fare “più tamponi, da più parti e in maniera più ampia” è stata ribadita anche da Massimo Galli, che a Sky Tg24 ha aggiunto: “Milano è già abbastanza sotto pressione, rispetto ad altre aree che sono state più colpite all’inizio dell’epidemia e ora lo sono meno. La situazione non è quella di marzo, nè quella di aprile, ma è allarmante. Speriamo di non tornarci, ma per farlo bisogna prendere atto di una situazione su cui bisogna intervenire: l’ultima settimana è indicativa di qualcosa che non va come vorremmo. E ancor di più gli ultimi giorni”.
Secondo Anna Carla Pozzi, Milano dovrebbe correre ai ripari con due tipologie di azioni: riprendere un’azione di sensibilizzazione della popolazione sul distanziamento sociale (“Ormai molti ignorano le misure di sicurezza e si presentano in ambulatorio senza appuntamento”) e fare il maggior numero possibile di vaccinazioni antinfluenzali, per favorire la diagnosi differenziale.
Su questo la Lombardia è piuttosto in difficoltà e, proprio sulla base di “fonti aperte” come gli articoli di giornale e i bandi pubblici, in Procura della Repubblica si stanno verificando le gare della Regione sulle quali lo scorso venerdì è stata aperta un’inchiesta.
“A oggi nessun medico ha i vaccini a disposizione — spiega la Dott.sa Pozzi — Da Ats Milano ci hanno detto che le prime dosi arriveranno martedì 20 ottobre. Si comincerà con i pazienti fragili Under 65, per poi passare agli Over 65 (fragili o meno) e solo in seguito vaccineremo la fascia tra i 60 e i 65 anni, ma non so proprio dire quando”. Vista la situazione, alcune amministrazioni comunali stanno cercando di attrezzarsi: “Io ho lo studio a Pioltello (Mi)”, continua Pozzi. “In collaborazione con il Comune e con una cooperativa di medici di famiglia, stiamo allestendo luoghi di vaccinazione in spazi più grandi dei nostri studi, che nella maggior parte dei casi non sono adatti. Questo perchè dopo la vaccinazione bisogna trattenere il paziente in osservazione per 10/15 minuti e negli studi di piccole dimensioni questo crea un affollamento pericoloso. Stiamo quindi lavorando a questo progetto pilota, per riuscire a vaccinare tutti in sicurezza”
(da TPI)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
IN VENETO GIA’ CONSEGNATE 400, IN EMILIA 200
Partirà in ritardo. E partirà molto lentamente, la campagna vaccinale contro l’influenza di Regione Lombardia.
All’inizio, dal 19 ottobre, ogni medico di famiglia avrà a disposizione solo 30 dosi di vaccino. Una settimana dopo potrà aggiungerne 20, per un totale di appena 50 dosi disponibili a testa nel mese di ottobre.
Numeri che dovrebbero imbarazzare il governatore Attilio Fontana e l’assessore al Welfare Giulio Gallera, soprattutto se confrontati con quelli di diverse altre Regioni, dove i medici di famiglia hanno ricevuto buona parte delle dosi richieste già da giorni. Anche 400, come in Veneto.
“Le dosi che arriveranno ai medici lombardi — accusa invece il consigliere regionale del Pd Samuele Astuti — non basteranno a coprire nemmeno le categorie alle quali la Regione ha dato la massima priorità : i pazienti fragili e gli over 65. Basti pensare che un medico di famiglia conta in media quasi 1.400 pazienti”.
Altrove già 400 dosi a medico
È l’ultima puntata della tragicomica saga lombarda su una vaccinazione che quest’anno il ministero della Salute, vista la pandemia di Covid-19, aveva raccomandato di offrire ai cittadini a partire da inizio ottobre, ma che la giunta Fontana non è ancora riuscita ad avviare tra bandi sbagliati, prezzi saliti alle stelle e vaccini cinesi senza autorizzazioni. E così la Regione più colpita dalla prima ondata di Coronavirus è ora la maglia nera nella corsa alle vaccinazioni antinfluenzali, utili a facilitare le diagnosi di Covid in considerazione dei sintomi simili e a non sovraccaricare le strutture sanitarie.
“Solo trenta dosi per medico nella prima settimana?”, reagisce stupito Renzo Le Pera, che ha uno studio vicino a Bologna ed è vice segretario nazionale della Federazione italiana medici di famiglia (Fimmg). “Io ho fatto 45 vaccinazioni solo questa mattina”. In Emilia Romagna — spiega — la campagna vaccinale è ufficialmente partita ieri e i medici di famiglia hanno ricevuto, già settimana scorsa, il 70% delle dosi utilizzate un anno fa. “Io ne ho prese circa 280. Quando le finirò, chiamerò il numero dedicato per avere quelle restanti”.
La campagna è partita ieri pure in Veneto e Toscana. “Ho ricevuto 400 dosi già settimana scorsa”, dice Domenico Crisarà , medico di famiglia di Padova, anche lui vice segretario nazionale della Fimmg.
In Toscana, spiega il segretario regionale Alessio Nastruzzi, da venerdì scorso i medici possono ritirare 60 vaccini a testa al giorno: “Io finora ne ho presi 120”. E ci sono Regioni dove i vaccini sono arrivati pure prima: “In Campania le vaccinazioni sono iniziate l’1 ottobre. A parte qualcuno che non ha ancora ricevuto dosi, buona parte dei medici ne ha avute almeno 200. Altre dosi saranno disponibili dal 15 ottobre”, dice il segretario di Napoli della Fimmg Luigi Sparano.
Lo zero lombardo
Niente di tutto ciò si può invece raccontare per la Lombardia, dove al momento il numero di dosi disponibili segna lo zero tondo. Qui la giunta Fontana si è sinora garantita l’acquisto di 2,78 milioni di dosi, a fronte di una popolazione target (che quest’anno è composta da over 60, persone con patologie gravi, operatori sanitari e bambini dai 6 mesi ai 6 anni) di 3,87 milioni. I 2,78 milioni di dosi — dicono i vertici della Regione — sono sufficienti a coprire gli obiettivi raccomandati dal ministero, cioè il 75% della platea a rischio. Ma il 75% è un obiettivo minimo, mentre quello ottimale è del 95%.
E il piano vaccinale di Regione Lombardia prevede di coprire i 630mila cittadini nella fascia di età 60-64 anni al 50%, non al 75. Obiezioni a cui dalla Regione rispondono che l’anno scorso solo il 49% delle categorie a rischio (che non comprendeva bambini e adulti dai 60 ai 64 anni) ha deciso di richiedere la vaccinazione gratuita: “Il vero obiettivo è quello che abbiamo indicato e sarà difficile raggiungerlo — ha detto in conferenza stampa giovedì scorso il direttore generale Welfare Marco Trivelli mentre presentava la campagna vaccinale -. Poi se quest’anno per una serie di motivi ci fosse adesione maggiore, vedremo come affrontare il problema”.
Ma al di là della quantità di dosi disponibili, che non tengono conto delle persone non a rischio che vorranno vaccinarsi a pagamento e che dovranno anche scontare la penuria di dosi nelle farmacie, un problema già c’è. Ed è quello dei tempi, come dimostra la scarsa disponibilità iniziale di vaccini per i medici di famiglia.
A metterla nero su bianco è stato lo stesso Trivelli in una circolare dello scorso 8 ottobre. Alle prime 50 dosi a disposizione di ogni medico di famiglia in ottobre se ne aggiungeranno 20 a partire dal 2 novembre e altre 30 dopo il 4. I centri vaccinali della Regione dovranno invece aspettare novembre per vedere qualche dose. La circolare detta anche i tempi di chi potrà vaccinarsi subito e di chi dovrà attendere. Il 19 ottobre si partirà infatti con chi ha patologie gravi e con gli over 65. Gli ospiti delle RSA dovranno aspettare il 28 ottobre, gli over 60 e i bambini da 6 mesi a 2 anni l’inizio di novembre, mentre quelli da 2 a 6 anni e gli operatori sanitari dovranno attendere metà novembre.
I bandi sballati
Il tutto è conseguenza dei tempi di consegna che la Regione è riuscita a garantirsi con i nove bandi a cui è dovuta ricorrere. A ottobre, secondo i dati contenuti nella circolare, saranno consegnate 692mila dosi, di cui ne saranno disponibili per l’utilizzo entro fine mese solo 274mila. Un milione di dosi arriveranno nella prima metà di novembre, mentre per il resto bisognerà aspettare la seconda metà o la fine di novembre. Numeri che smentiscono quanto lo stesso Trivelli aveva detto in conferenza stampa giovedì scorso, lo stesso giorno in cui firmava la circolare, quando aveva parlato di ben 800mila dosi in consegna già ad ottobre e tutto il resto entro metà novembre.
Per Astuti, i numeri contenuti nella circolare, sono “l’ennesima dimostrazione che in Lombardia la campagna vaccinale non partirà davvero fino a metà novembre e che comunque non basterà per tutti. Un ritardo imperdonabile che rischia di mettere a rischio la salute di migliaia di cittadini. Il sistema di vaccinazione, inoltre, macchinoso e complicato, rischia di disincentivare i cittadini a chiedere di essere vaccinati. Più che una campagna vaccinale sembra una lotteria”.
Una lotteria a cui si è arrivati dopo un filotto iniziale di bandi sbagliati quando c’era ancora tutto il tempo di acquistare le dosi necessarie e in tempo. Come già raccontato da ilfattoquotidiano.it, la ricerca inizia infatti il 26 febbraio, pochi giorni dopo la scoperta dei primi contagi da Coronavirus nel lodigiano.
La centrale acquisti regionale Aria pubblica un primo bando per l’acquisto di 1,37 milioni di dosi, non sufficienti a coprire la platea a rischio e a un prezzo di 4,50 euro a dose, inferiore ai 5,50 pagati l’anno prima, quando non c’era alcuna pandemia in corso. Arriva un’unica offerta, ma a un prezzo di 5,90 euro a dose che supera la base d’asta.
La gara così non viene aggiudicata. Segue a fine marzo un bando simile al primo, ma con un prezzo di 5,90 euro a dose, che viene ritirato perchè la direzione generale Welfare si accorge finalmente che 1,37 milioni di dosi sono troppo poche.
La terza gara va invece deserta perchè non dà modo ai produttori di fornire solo una parte del lotto da 2 milioni di dosi indicato nel bando. A questo punto arriva una serie di gare con cui la Regione riesce a reperire un po’ di dosi, ma non tutte quelle cercate perchè ormai sul mercato c’è troppa domanda di vaccini.
Fino al nono bando lampo, con cui settimana scorsa si aggiudica 100mila dosi dall’azienda cinese Life’On al prezzo di 11,99 euro a dose e 400mila dalla svizzera Flakem Swiss a un prezzo di 26 euro, quasi il quintuplo rispetto alle prime aggiudicazioni.
Arriva così l’apertura da parte della procura di Milano di un’indagine conoscitiva sui prezzi d’acquisto dei vaccini. Seguita dalla notizia che le 100mila dosi cinesi non sono utilizzabili, perchè prive dell’autorizzazione dell’Agenzia italiana del farmaco. Così la disponibilità decantata settimana scorsa da Trivelli di 2,88 milioni di dosi è già scesa a 2,78 milioni.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
IN COLLEGAMENTO CON L’ARIA CHE TIRA SCEGLIE LA FUGA INVECE CHE RISPONDERE ALLA GIORNALISTA
I vaccini anti-influenzali in Lombardia sono arrivati tardi secondo molti esperti. Questo il fulcro della questione che Myrta Merlino pone sul tavolo parlando con Matteo Salvini in collegamento, questione che urta non poco il leader della Lega.
Nel corso dell’intervista la conduttrice chiede conto delle parole di Salvini sul clima Orwlliano in Italia dopo che il leghista si è lamentano dei «Dpcm approvati nel cuore della notte». La conduttrice poi sposta il focus sui vaccini anti-influenzali in Lombardia e sui ritardi e Salvini se ne va.
Dopo aver ribadito che la richiesta dell’opposizione è di lavorare tutti insieme e non «partorire decreti a mezzanotte senza che nessuno ne sappia niente», la questione si sposta sui numeri dei contagi.
La Merlino a Salvini: «Non è preoccupato dall’aumento dei contagi?» e il leader leghista risponde he ovviamente lo è: «Quando c’è di mezzo la salute bisogna essere operativi. Ieri ero in regione Lombardia, c’è una quantità di vaccini anti-influenzali in arrivo che non c’è mai stata nella storia».
Salvini prova quindi a elogiare la Lombardia guidata da Fontana ma la Merlino rispondere prontamente: «Un po’ in ritardo però in Lombardia, Salvini, diciamo la verità »
Irritato sulla questione vaccini, Salvini se ne va
«No, no, no», replica subito Salvini, «diciamo le cose vere, non diciamo fesserie». Myrta Merlino si mette in ascolto e Salvini parla della durata dell’effetto dei vaccini.
Il giornalista in piedi accanto a lui prosegue, sottolineando che ci sono stati «errori fattuali in Lombardia» ma Salvini dice che ci sono stati in Lazio.
Sulla durata dei vaccini la Merlino replica: «Sono in molti i dottori che dicono che il vaccino va fatto il prima possibile, specie in una fase in cui non bisogna ingolfare i pronto soccorsi». Mentre prova a interpellare Crisanti in merito alla messa in sicurezza dei soggetti fragili, Salvini se ne va dopo aver sbottato: «I soggetti fragili sono tutti garantiti, io torno a fare quello che stavo facendo e vi saluto. Buona giornata e buon lavoro».
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
FORZE DELL’ORDINE BUONISTE, ANDAVA SANZIONATO INSIEME ALLA MOGLIE SENZA TANTE DISCUSSIONI
L’aveva chiamata “disobbedienza civile” qualche giorno fa. Contro l’obbligo delle mascherine all’aperto, “inutili e dannose”. Poi però in piazza con i ‘no mask’ non ci era andato.
Enrico Montesano, dopo aver dribblato la manifestazione di sabato scorso, ha scelto piazza Montecitorio per la sua prima uscita pubblica da disobbediente senza mascherina. Foto e video con simpatizzanti, qualche scatto anche con Matteo Salvini. Tutto a volto scoperto. E’ capitolato solo quando la polizia gli ha intimato di indossare la mascherina. Un confronto finito con Montesano che urlava in faccia agli agenti.
Con la mascherina abbassata e loro che retrocedevano per timore del coronavirus.
Siamo in piazza Montecitorio, dove c’è una piccola folla che chiede la liberazione di Chico Forti, l’ex velista italiano in carcere da vent’anni negli Stati Uniti. Montesano è qui per solidarietà ; c’è anche Matteo Salvini. I due si salutano calorosamente, un colpo di nocche, il segretario della lega a differenza di Montesano indossa la mascherina.
“Io posso disobbedire civilmente a un decreto della presidenza del consiglio dei ministri- spiega l’attore- perchè chiunque intimi di indossare mascherine rischia una denuncia per istigazione a delinquere, procurato allarme, truffa aggravata, abuso di autorità , violenza privata, violazione della costituzione italiana e della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.
Ma se in piazza ci sono tanti simpatizzanti che lo salutano e gli chiedono un selfie, girato l’angolo ad attenderlo ci sono due uomini della polizia. Montesano e la moglie Teresa sono senza mascherina, le forze dell’ordine intimano loro di indossarla. I due si rifiutano, sostengono di avere la legge dalla loro.
Montesano è armato di fogli stampati ed evidenziati. Prova a far valere le sue ragioni. Il clima si scalda un poco, Teresa Trisorio alza la voce. “Non strilli signora- ribatte un poliziotto- e stiamo distanziati perchè lei è senza mascherina”.
Dopo un po’ Montesano cede e indossa la mascherina. Ha anche un cappello e gli occhiali da sole. Così coperto è praticamente irriconoscibile, ad avvalorare la sua tesi. “Chi sono adesso, mi riconoscete?”, domanda.
I poliziotti chiedono che anche la donna indossi la mascherina. Niente da fare. Mentre Montesano, con ancora la mascherina indosso, perde la pazienza: “non riesco a respirare, mi fa maleee”, sbotta.
E’ il momento dello scontro. Montesano tira giù la mascherina brandisce i fogli e inizia a gridare: ”è un obbligo di un decreto ministeriale che è inferiore a una legge che impone di andare a viso scoperto. Io me la metto, così lei mi può mandare a casa. Sennò questo è sequestro di persona”. C’è ancora un confronto con i poliziotti, poi è la moglie a chiudere la vicenda: “andiamo Enrico, non ci facciamo arrestare”, dice trascinando via il marito. Così i Montesano si allontanano verso via del Corso.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
PER FORTUNA , VISTO CHE SANNO SOLO CHIEDERE SOLDI A FONDO PERSO PER FORAGGIARE LE LORO CLIENTELE ELETTORALI
Per Giovanni Toti il governo, nella messa a punto del nuovo dpcm, “non ha ascoltato le regioni”. Luca Zaia solleva la stessa obiezione. Per Massimiliano Fedriga, invece, il nuovo provvedimento è “un’occasione persa”. Attilio Fontana chiede che vengano compensate le attività economiche che, inevitabilmente, perderanno degli introiti a causa delle nuove restrizioni.
I governatori di Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia contestano il nuovo decreto del presidente del Consiglio. Varato nelle scorse ore per scongiurare un ulteriore aumento dei casi Covid.
I presidenti delle regioni manifestano disappunto perchè ritengono di non essere stati ascoltati. “Le regioni, come sempre unite quando si tratta del bene comune, fino all’una di notte hanno discusso il dpcm con il governo, ma nessuna delle nostre osservazioni è stata recepita e questo non è affatto un bel segnale. Eppure le nostre richieste sono dettate solo dal buon senso, osservazioni indispensabili per evitare iniquità e penalizzazione delle categorie”, ha scritto il governatore della Liguria, Giovanni Toti, in un lungo post su Facebook. Ombre, ma anche luci: “Bene la parte sanitaria – spiega Toti – che risponde alle nostre richieste e ben vengano le misure per combattere il virus ma servono interventi per le categorie che ci rimetteranno, rischiando in alcuni casi il fallimento. Servono subito misure economiche di compensazione o ci troveremo di fronte a un disastro. Il nostro pil è a -10%, vuol dire che tanta gente non lavora e che altrettanta perderà il posto”. Il vicepresidente della conferenza delle regioni si rivolge, poi, “a quelli che esultano per le chiusure e le limitazioni”, e dice: Ricordo che, dietro queste attività , ci sono migliaia di lavoratori e di famiglie, idem per il calcio. Si fa presto a dire che è l’ultimo dei nostri problemi, così come è un pò da moralisti punire solo i ragazzi della movida, un mondo dietro il quale ci sono altrettanti posti di lavoro da tutelare”.
Il suo collega veneto, Luca Zaia, ha invece dichiarato: “Bisogna scongiurare nuove psicosi e un nuovo lockdwon. Non ho atteggiamenti negazionisti, guardo in faccia alla realtà : il Covid mi ha insegnato che ogni giorno ha la sua pena”. E sull’ultimo provvedimento ha chiosato: “Non sono state accolte le nostre osservazioni”.
Rimostranze anche da parte di Massimiliano Fedriga: “Spiace che il contributo migliorativo offerto dalla Conferenza delle Regioni non abbia trovato accoglimento nell’ultima stesura del Dpcm: la battaglia contro il coronavirus non può infatti prescindere dall’avvalersi della massima sinergia tra l’Esecutivo e i Territori, riconoscendo a questi ultimi il ruolo di cerniera nelle relazioni con lo Stato e di fedeli interpreti delle esigenze di cittadini e imprese”, ha scritto in una nota il presidente del Friuli Venezia Giulia.
“Ritengo dunque che il testo licenziato dal Governo rappresenti un’occasione persa sia in termini di relazioni tra istituzioni che, conseguentemente, di capacità di farsi carico delle tante criticità che accompagnano questa nuova delicata fase di convivenza con il Covid-19. Alla luce della scelta dell’Esecutivo nazionale di rigettare quasi tutte le condizioni dettate dalle Regioni, il parere della Conferenza sul documento approvato – conclude – è pertanto negativo”
Più morbido Attilio Fontana. Il nuovo Dpcm per contenere la diffusione del coronavirus, dice il governatore della Lombardia, “mi sembra abbastanza conservativo e che non introduca grandissime riduzioni. Sostanzialmente più che il Dpcm è il Dl che impone l’uso delle mascherine, la cosa che è più innovativa”. Lo ha detto il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, a margine della presentazione di un rapporto di Confartigianato. “Per il resto – ha continuato – noi come Regioni non abbiamo avuto nulla da obiettare, l’unica cosa che abbiamo richiesto in maniera abbastanza forte è stata” di garantire compensazioni economiche agli esercizi più colpiti, “visto che si va a ridurre la possibilità di svolgere la propria attività in certi comparti. Abbiamo chiesto di compensare con risorse economiche le riduzioni che verranno poste a carico di qualche attività , perchè rischiano altrimenti di chiudere”.
Intanto l’Alto Adige nella lotta al contagio da Covid-19 prosegue in forma autonoma seguendo la legge provinciale approvata a maggio e che aveva dato il via alla ‘fase 2’. Il governatore Arno Kompatscher ha detto che nulla verrà modificato dopo l’ingresso in vigore del nuovo Dpcm del Governo ma la situazione epidemiologica sarà tenuta monitorata costantemente. Nessuna chiusura anticipata di bar e ristoranti. Lo sport non sarà intaccato. Se i casi dovessero aumentare saranno applicate restrizioni focalizzate ai singoli contesti.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
“FACCIO UNA SCELTA DI COERENZA, QUANDO MI SONO CANDIDATA LE REGOLE ERANO QUESTE: NO A UN SECONDO MANDATO”
Chiara Appendino dice no al bis da sindaca di Torino nel 2021. La decisione, maturata da tempo, è stata comunicata questa mattina ai consiglieri comunali del Movimento 5stelle che la sostengono in Sala Rossa, nonostante l’autosospensione per la condanna per falso arrivata il mese scorso.
La prima cittadina a 36 anni rinuncia al secondo mandato anche se gli attivisti avevano approvato sulla piattaforma Rousseau la modifica della regola che vieta ai 5stelle di fare più di due turni nella stessa istituzione.
“Ho deciso di fare un passo di lato: non correrò nuovamente per la carica di Sindaca della Città di Torino. È una scelta di coerenza. Mi sono candidata nel 2016 accettando delle regole e facendo della coerenza un faro della mia attività politica e amministrativa”, ha spiegato Appendino su Facebook.
La sindaca pubblica anche un lungo video in cui rivendica i risultati ottenuti in questi quattro anni e mezzo e spiega che la decisione di non ricandidarsi è legata proprio alla condanna per falso: “Anche se di lieve entità e per i motivi che conoscete, resta tale. E in politica, prima di ogni cosa, bisogna essere coerenti con i propri principi. E io continuerò ad esserlo, rispettando le regole con cui mi sono candidata nel 2016”.
“Deciderò dopo l’estate” ha ripetuto più volte in questi mesi. E ancora ieri: “Quando avrò sciolto i nodi ve lo farò sapere”.
In realtà Appendino è da mesi che ha scelto di non presentarsi di nuovo agli elettori, una decisione legata sia a ragioni personali, il peso anche emotivo di questi anni e dei processi è stato molto grande, sia politiche.
La sua ricandidatura avrebbe reso impossibile qualsiasi tipo di accordo o alleanza con il Pd a livello locale e avrebbe offerto un argomento forte alla campagna elettorale dei suoi oppositori, il capogruppo dem in Consiglio comunale, Stefano Lo Russo, e l’assessore regionale e capogruppo leghista in Sala Rossa, Fabrizio Ricca, su tutti.
Per lei si apriranno ora le porte di una sfida nazionale, con un ruolo nel governo o al vertice del Movimento 5stelle dal quale è al momento autosospesa, ma che dovrebbe vederla tornare alla ribalta per gli Stati Generali di novembre.
In quella sede potrebbe esserle affidato il compito di entrare nella squadra che guiderà il M5s nei prossimi anni. Intanto però è stata cooptata nel consiglio federale della Fit, la federazione italiana tennis, con cui lavorerà per l’organizzazione delle Atp finals che saranno a Torino per cinque anni dall’autunno 2021.
Per Appendino e la sindaca di Roma, Virginia Raggi, i vertici del Movimento si sono spesi molto, arrivando a modificare il regolamento interno per derogare al limite dei due mandati
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
SOTTO PRESSIONE A CAUSA DELLA SCUOLA, POLEMICHE SU MISURE DI CONTENIMENTO SUI MEZZI
Il Dpcm con le nuove misure per il contrasto al contagio da Covid è stato firmato dal premier Giuseppe Conte e dal ministro della Salute, Roberto Speranza.
Dallo stop alla movida alle raccomandazioni sulle feste in casa, le restrizioni saranno valide per i prossimi trenta giorni. Ma dopo il riscontro dalle Regioni sul testo finale proposto dal governo e le tensioni sul caso sollevato dai governatori sulla didattica a distanza per le scuole superiori, resta il nodo trasporto pubblico locale, sotto pressione proprio a causa della scuola.
La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, ha convocato per mercoledì 14 ottobre le associazioni rappresentative delle aziende del trasporto pubblico locale, i rappresentanti della Conferenza delle Regioni, di Anci e di Upi per un confronto sulle misure di contenimento dei contagi sui mezzi pubblici, sotto pressione proprio a causa della scuola.
Nel corso della riunione verrà compiuto un aggiornamento del monitoraggio periodico dei flussi dei passeggeri che utilizzano i mezzi pubblici e saranno analizzate alcune situazioni problematiche riportate in questi giorni sui canali social, relative ad assembramenti a bordo dei mezzi e all’interno delle stazioni. L’eventuale ritocco dall’80 al 50 per cento della capienza massima dei mezzi, però, dovrebbe essere accompagnata da una riduzione della pressione degli utenti.
Se venisse ulteriormente ridotto il valore del coefficiente di riempimento dei mezzi pubblici attualmente consentito (80%) “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”, si legge in una valutazione effettuata dall’Ufficio studi dell’Asstra, l’associazione che riunisce le società di trasporto pubblici locale
Con ulteriori riduzioni, maggiori all’80%, solo nelle ore di punta mattutine “si rischierebbe di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”
Lo studio pone anche l’attenzione sulle conseguenze che la riduzione della capienza dei mezzi pubblici avrebbero sulla mobilità .
Secondo Asstra si potrebbero generare da oltre 42mila a oltre 250mila spostamenti in auto in più ogni giorno solo nelle ore di punta mattutine. Inevitabili sarebbero, quindi, le ripercussioni negative in termini emissioni inquinanti, soprattutto nei grandi centri urbani, ed emissioni climalteranti, senza considerare gli effetti sulla congestione stradale derivanti da un maggiore utilizzo del suolo e sul tasso di incidentalità . L’autovettura, rispetto ad un autobus, emette per passeggero*km maggiori emissioni di CO per un valore pari +1.741%, oltre che il +57,1% di PM10 ed il +42,1% di PM2,5. Per quanto riguarda la CO2, in Italia un’auto emette in media in città oltre 3 volte di anidride carbonica rispetto ad un autobus, con un valore pari al +213,6%.
(da agenzie)
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Ottobre 13th, 2020 Riccardo Fucile
SALVINI PARLA DI CONTROLLI DI POLIZIA: SI’, LO STESSO PIRLA CHE SUONAVA AI CITOFONI A BOLOGNA
Una volta citava Oriana Fallaci, ora l’autore preferito da Matteo Salvini e dai sovranisti è George Orwell. Ma solo a giorni alterni.
E così, mentre l’ultimo dpcm firmato da Giuseppe Conte e Roberto Speranza invita a i cittadini a un senso di responsabilità sulle feste private in casa (con la raccomandazione, non il divieto, di non ospitare più di sei persone tra le mura domestiche), Matteo Salvini scrive tweet citando ‘1984’ e la ‘psico-polizia’.
Il leader della Lega dice che non si possono utilizzare forze dell’ordine per effettuare controlli nei condomini. Ma non era lui a esser andato a citofonare alle persone per sapere se sono spacciatori?
E così, prima ancora che venisse firmato il nuovo Dpcm, Matteo Salvini (o chi per lui, come il suo team social) decide di twittare:
Un tweet fissato in alto, affinchè chiunque entri sul suo profilo social lo legga come primo. Prima prova a fare ironia sulle sei persone in casa e non sette. Poi parla di Polizia tolta dalle strade (cosa non vera) e mandata a fare controlli nei condomini (anche questo non è vero). Infine cita, questa volta, George Orwell dicendo che neanche lui «sarebbe arrivato a tanto», con l’invito a rileggersi 1984.
Detto ciò occorre ricordare che il nuovo dpcm inserisce il suggerimento e la raccomandazione di non ospitare più di sei persone all’interno della propria abitazione. Si tratta di un numero simbolico. Trattandosi di un consiglio e non di un obbligo, non è previsto alcun intervento delle forze dell’ordine. Qualora, però, si organizzassero feste private in casa con un gran numero di persone, le forze dell’ordine potrebbero intervenire solo dopo le segnalazioni dei vicini. Come già accade quando si contestano gli schiamazzi notturni.
Senza citofonare e fuggire via.
(da agenzie)
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