Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
INDAGINI AFFIDATE AI COLLEGHI CHE GIUSTIFICANO L’AGGRESSIONE CON LA TESI “NON ERA RICONOSCIBILE COME GIORNALISTA”… PERCHE’ SE ERA UN MANIFESTANTE INDIFESO ERA NORMALE MASSACRARLO?
“Come giornalista ho seguito centinaia di manifestazioni e quando mi hanno trascinato a terra a manganellate e preso a calci fino a fratturarmi una costola e spappolarmi una mano ero esattamente nel luogo dove si dovrebbe trovare chi fa il mio lavoro”.
Stefano Origone esce dal Palazzo di Giustizia di Genova dove è iniziato oggi il processo per appurare le responsabilità dietro al pestaggio subito un anno e mezzo fa: “Ho perso per sempre la funzionalità di una mano e rischiato che mi andasse molto peggio, ora voglio solo che si faccia giustizia e vengano individuati i responsabili”.
Il giornalista di Repubblica era stato accerchiato e picchiato dal VI reparto mobile della caserma di Bolzaneto il 23 maggio 2019 a Genova. Quel giorno un migliaio di manifestanti si erano riuniti per contestare un comizio del partito di estrema destra CasaPound, la polizia aveva fatto piovere lacrimogeni sulla piazza per dispendere i manifestanti e Origone è stato travolto da una carica e colpito mentre osservava l’arresto di un manifestante e i colpi che stavano raggiungendo una giovane a pochi passi da lui.
“Il giornalista Stefano Origone non aveva ‘segni distintivi’ tipici del giornalista e ed era anche vestito di scuro, difficilmente distinguibile dagli altri manifestanti”. È questa, sostanzialmente, la linea difensiva tenuta dai quattro operatori di polizia imputati di lesioni gravi aggravate dall’uso dell’arma per il pestaggio del giornalista.
L’indagine per appurare le responsabilità sono state affidate nei mesi scorsi dal pm Gabriella Dotto alla stessa squadra mobile della Questura di Genova, chiamata a individuare le responsabilità dei colleghi.
Così quella che dovrebbe essere l’informativa dell’accusa assume i toni di quella che sembrerebbe a tutti gli effetti una difesa
Secondo quanto appurato, comunque, il giornalista è stato raggiunto da una manganellata che lo ha fatto cadere a terra e, una volta rannicchiato al suolo, nonostante urlasse di essere un giornalista, per trenta lunghissimi secondi viene accerchiato con con calci e manganellate.
Al termine del pestaggio, interrotto solo grazie all’intervento di un funzionario di polizia che lo aveva riconosciuto, Origone subirà lo spappolamento di due dita di una mano, poi sottoposta a molteplici operazioni, la frattura di una costola e diverse contusioni su tutto il corpo.
Eppure lo stesso agente che è intervenuto per placare l’accanimento dei colleghi contro Origone, chiamato a testimoniare, non si sarebbe detto in grado di riconoscere chi materialmente ha colpito il giornalista a terra.
La prima udienza si è tenuta oggi alle 14 nell’aula di Corte d’Assise del tribunale di Genova e il giudice ha rigettato la richiesta dell’Ordine dei giornalisti e del sindacato FNSI di costituirsi parte civile a fianco del collega di Repubblica con la motivazione che Origone non sarebbe stato picchiato “in quanto” cronista.
Fuori dal Tribunale, per tutta la durata della prima udienza, durante la quale i quattro agenti imputati hanno chiesto e ottenuto il rito abbreviato, si è tenuto un presidio partecipato da una sessantina di giornalisti: “Quello che è accaduto a Stefano poteva accadere a chiunque — spiegano gli organizzatori — Non erano e non sono accettabili le giustificazioni del ‘non sapevamo che era un giornalista’. Se non fosse stato un collega sarebbe stato lecito massacrarlo di botte?”. Tra sfollagente “brandeggiati in aria” e calci che sembrano “andare a vuoto”, per la difesa degli imputati sarebbe impossibile definire con certezza chi abbia “affondato i colpi”. La tesi difensiva argomenta che gli agenti si sarebbero trovati ad agire con brutalità per placare la situazione di disordine pubblico che si era creata. Anche in quella che dovrebbe essere la perizia dell’accusa, redatta dai colleghi degli imputati, quella che ha comportato il pestaggio del giornalista viene definita come una “necessaria azione di alleggerimento da parte dei poliziotti — che non poteva realizzarsi senza un utilizzo ripetuto dello sfollagente (…) in linea con le regole di ingaggio consuetudinariamente ammesse. Va da sè che l’utilizzo dello sfollagente, determina la possibilità di colpire il destinatario”.
La tesi della squadra mobile, che è poi la stessa degli imputati, sembrerebbe sostenere che se la carica sia stata legittima e conseguente sarebbero state legittime anche le manganellate. Per questo, stando alla difesa degli imputati, la “non riconoscibilità ” del giornalista sarebbe determinante per assolvere chi l’ha accerchiato e picchiato mentre era a terra, in quanto la raffica di manganellate sarebbe una “consuetudine” insita nelle cariche e, per tanto, non punibile se diretta a un “obiettivo che rappresenta un pericolo”
Dopo un anno e mezzo di indagini, gli investigatori non sono riusciti ad accertare le precise responsabilità di ogni poliziotto. Non è certo chi materialmente spappolò l’indice e il medio di Origone, che da allora non riesce più a piegare la mano. “Non è possibile affermare se quello che si ritiene essere un colpo di sfollagente possa aver effettivamente raggiunto il giornalista, ed eventualmente dove abbia impattato”, è l’incredibile, ricorrente formula.
La frattura alle costole? “Non può escludersi che sia stata determinata da un ‘pestone’ involontario, frutto della concitata seppur brevissima azione degli uomini del Reparto”. Due dei 4 agenti indagati hanno presentato pochi giorni fa una perizia, in cui sostengono di non aver neppure toccato il cronista.
Ma soprattutto, nell’informativa finale consegnata dalla squadra mobile ai magistrati sembra quasi che la colpa di quella aggressione sia del cronista, percepito dai poliziotti come “un pericolo”. Perchè “segue sempre da vicino le fasi della manifestazione”, e “si viene a trovare in corrispondenza dei manifestanti più attivi negli scontri”.
Una conclusione che lascia perplessi, così come la decisione di affidare l’inchiesta sugli agenti a dei loro colleghi.
C’è purtroppo un brutto precedente a Genova e risale ai tempi del G8, quando le indagini sul massacro della scuola Diaz — la sanguinaria carica degli uomini del Reparto Mobile di Roma – furono affidate dalla Procura alla Digos, che era guidata da un funzionario poi condannato per quella terribile storia.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
IL PROPRIETARIO LO PREMIA CON 700 EURO
Ha trovato uno zaino abbandonato, ha visto che conteneva oltre ad alcuni effetti personali ben settemila euro in contanti e anche un blocchetto di assegni in bianco e senza pensarci due volte si è presentato in Questura per consegnarlo e aiutare gli agenti a rintracciare il legittimo proprietario.
Il bel gesto che vede protagonista un trentunenne tunisino arriva da Rimini. Il giovane aveva visto lo zaino su una sedia di un locale della città , in zona San Giuliano: a dimenticarlo era stato un imprenditore del posto di quarantanove anni che, uscito dal locale in via Ortigara, aveva poggiato lo zainetto coi soldi su una sedia
Il giorno successivo il trentunenne ha portato lo zainetto ritrovato in Questura. A quel punto gli agenti ben presto sono risaliti all’identità del proprietario e oggi l’uomo che aveva perso il prezioso oggetto ha voluto incontrare di persona il giovane tunisino per ringraziarlo e regalargli la somma di 700 euro per “premiare” il senso civico dimostrato.
Una somma che sicuramente serve all’uomo, da poco disoccupato in quanto lavoratore stagionale. “Quel ragazzo è un buon samaritano”, fanno sapere dalla Questura di Rimini parlando di una prova di onestà e umiltà .
La storia che arriva da Rimini per fortuna non è unica nel suo genere. Qualche settimana fa si era resa protagonista di un bel gesto simile un’altra persona attualmente senza lavoro, una donna di trenta anni di San Cataldo (Caltanissetta) che dopo aver trovato un portafoglio ricolmo di banconote, con all’interno ben 1.850 euro in contanti, ha subito avvisato i carabinieri e consegnato i soldi. Anche in quel caso grazie a lei i militari hanno potuto rintracciare il proprietario, un ventisettenne del posto.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
LE CRITICHE ALLO SMARTWORKING DA UN SOGGETTO CHE HA L’11,43% DI PRESENZE IN PARLAMENTO NEGLI ULTIMI DUE ANNI
Matteo Salvini e smartworking. Potrebbe essere effettivamente un binomio funzionante, dal momento che — per quanto riguarda la sua attività in Senato — il leader della Lega ha soltanto un 11% di presenze in questa legislatura iniziata nel 2018. Invece, l’ex ministro dell’Interno cavalca un’altra ondata: quella, cioè, della linea di pensiero che sostiene che lo smartworking, in realtà , non abbia lo stesso impatto del lavoro in presenza.
Nella giornata di oggi, infatti, Matteo Salvini ha dichiarato davanti alla sede dell’Inps (dove si era recato per supportare una manifestazione della Lega): «Trovo tanti lavoratori che vorrebbero tornare a lavorare in presenza, in ufficio, perchè lavorare da casa non permette di avere le stesse risposte. Con la riorganizzazione degli orari per me il lavoro in presenza è sempre meglio, come per la scuola».
Un attacco che prende di mira uno dei provvedimenti dell’ultimo Dpcm emanato dal presidente del Consiglio per contrastare l’avanzata della pandemia da coronavirus: ciascuna amministrazione pubblica, infatti, può assicurare lo svolgimento del lavoro agile almeno al 50% del personale impegnato in attività che possono essere svolte secondo questa modalità . Può farlo in modalità semplificata ancora fino al 31 dicembre 2020. Un provvedimento che, così come quello sui lockdown e sui coprifuoco a livello locale, non trova la totale condivisione di Matteo Salvini.
Eppure, i dati sul lavoro del leader della Lega in parlamento parlano chiaro: secondo Openpolis, Matteo Salvini è stato presente solo l’11,43% delle volte in Senato. Il 3,20%, invece, è risultato assente, mentre per il restante 85,37% è risultato in missione.
Negli ultimi giorni, un esponente del suo partito, l’assessore alla Sanità della regione Piemonte Luigi Icardi — che si era recato in viaggio di nozze per cinque giorni — era stato accusato di aver lasciato gli uffici in un momento delicato della pandemia. La sua risposta era stata: «Fanno tutti smartworking e l’assessore non lo può fare?».
Una posizione, a quanto pare, divergente rispetto alle parole del leader del partito.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
VUOLE L’AUTONOMIA MA LA REGIONE FA ACQUA DA TUTTE LE PARTI, INCAPACE DI PREVEDERE, ORGANIZZARE E PROGRAMMARE INTERVENTI SULLA SANITA’ E SUI TRASPORTI… E SCARICA IL CATTIVO GOVERNO DELLA LEGA SU ROMA
Matteo Salvini è fatto così: quando si parlava di un coprifuoco come decisione da parte del governo per contenere i contagi da Coronavirus per il “Capitano” si trattava di un’idea strampalata.
Ora che lo ha deciso il governatore leghista Attilio Fontana in Lombardia cerca di buttarla in caciara.
Questa mattina si è concentrato nel difendere Trump da Severgnini
E ancora prima, proprio nelle ore in cui Fontana annunciava la restrizioni, aveva pubblicato il video puccioso di un bambino che ballava Jerusalema
Eppure proprio lui appena qualche giorno fa, il 16 ottobre, diceva “Tutti a casa dopo le 9 di sera significa ammazzare la seconda potenza industriale e manifatturiera”.
Il coprifuoco — ha risposto Salvini a una domanda su questa eventualità , durante un punto stampa alla fiera Bi.Mu — si fa in tempi di guerra. Non penso che il virus vada a letto alle 21.30. Mi spieghino l’evidenza scientifica per cui posso girare per Milano fino alle 21 e poi devo andare a casa. Mi sembrano cose strampalate e prive di senso”.
E oggi ha provato comunque a far ricadere sul governo la responsabilità : “A me la parola coprifuoco piace molto poco. A me le limitazioni delle libertà personali piacciono poco e devono essere l’ultima spiaggia. Se sindaci e governatori son costretti a chiudere, qualcuno da palazzo Chigi spieghi perche sugli autobus, sugli ospedali e sulla scuola non si è fatto nulla”.
Lo chieda a Fontana, fa prima, visto che su ospedali e autobus la competenze è della Regione Lombardia
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
DOPO LA ROTTURA DEL TABU’ DEI SOLDI A BENETTON ORA IL GOVERNO CAMBIA IDEA SULL’INTERESSE PUBBLICO
Fermi tutti: non abbiamo più un’autostrada. Il che era vero anche a luglio, quando i 5 stelle celebrarono “la cacciata” dei Benetton da Autostrade al grido di “torna agli italiani ciò che era sempre stato loro”.
Ma al netto della propaganda grillina, che non considerava il fatto che un conto è la nazionalizzazione e un altro è conferire alla Cassa depositi e prestiti il ruolo di azionista di maggioranza, i festeggiamenti potevano comunque svolgersi con lo striscione delle Autostrade in mano allo Stato.
Tre mesi dopo, l’offerta inviata dalla Cassa ad Atlantia (la società controllata dai Benetton che ha messo in vendita la sua quota di comando dentro Autostrade) dice che no, non avremo un’autostrada. Avremo un pezzetto di autostrada, mentre la maggioranza sarà di americani, australiani, cinesi, tedeschi e francesi.
Quello che si appresta a essere l’esito di una partita infinita e nervosa, con un numero sterminato di lettere, schemi di accordo, ultimatum, ripensamenti e cambi di strategia lungo l’asse Governo-Benetton, non è un tema da tifo tricolore.
Ma di gestione di un asset strategico per il Paese, qualcosa come 3.020 chilometri di rete autostradale, una delle più grandi d’Europa. Qualcosa che vale intorno ai 10 miliardi. E, su un livello che esula da quello economico-finanziario, una rete su cui transitano ogni giorno cinque milioni di viaggiatori per spostarsi lungo il Paese. Autostrade è l’Italia come ricorda la costituzione della società Autostrade concessioni e costruzioni Spa nel 1950. Fu costituita dall’Iri per partecipare alla ricostruzione post bellica dell’Italia insieme ad altri gruppi industriali.
Autostrade è l’Italia ed è anche i Benetton, che entrarono nella cabina di comando nel 1999, quando venne inaugurata la stagione della privatizzazione.
E ora, come si diceva, sarà in maggioranza in mano agli stranieri. Meglio: ai fondi stranieri. I fondi, che hanno la massimizzazione del profitto come target esistenziale, capaci di passare da un affare a un altro o di essere presenti su più tavoli nello stesso momento e allo stesso tempo di migrare su altri quando l’affare non è più conveniente. In due parole: sono investitori aggressivi, dove aggressivo non è una caratterizzazione negativa di per sè, ma solo la spiegazione del dna di un modo di fare business.
Non che i gruppi, le società tradizionali, i soggetti insomma diversi dai fondi non abbiano a cuore i quattrini e i dividendi, ma i fondi sono più volubili, meno frequentemente soci di lungo periodo.
Lo schema di gioco per l’acquisto dell′88% di Autostrade vede la Cassa affiancata dal fondo americano Blackstone e da quello australiano Macquarie.
Il veicolo che permetterà ai tre acquirenti di comprare l′88% vedrà Cdp guidare la pattuglia con una fetta che presumibilmente sarà fissata al 40%, il restante 60% sarà in mano a Blackstone e Macquarie.
È vero che ognuno dei due fondi avrà il 30%, è vero anche che la Cassa sarà il primo azionista (esprimerà il presidente e l’amministratore delegato), ma è altrettanto vero che la stessa Cdp non avrà la maggioranza.
E tra l’altro le Fondazioni, che della Cassa sono azionisti e azionisti che contano, hanno sì dato il via libera allo schema di gioco, ma hanno messo ben in chiaro che l’impegno deve essere circoscritto.
Insomma alla fine quel 40% potrebbe risultare addirittura inferiore. E poi ci sono altri fondi. Perchè l′88% di Autostrade è in vendita, mentre il 12% è nelle mani dei tedeschi di Allianz, dei francesi di Edf e dei cinesi di Silk Road.
Quando si metteranno tutti insieme, la quota di Cdp sarà ulteriormente diluita.
Una ciambella di salvataggio, in chiave italiana, potrebbe arrivare da qualche investitore (nell’offerta di Cdp si sottolinea che ”è consentito l’ingresso di altri investitori istituzionali, in particolare italiani”), ma comunque le cose non cambierebbero di tanto. E sicuramente non alzerà la quota di Cdp, che è l’ariete voluto dal Governo per entrare dentro Autostrade.
Lo schema festeggiato dal Governo a metà luglio prevedeva un ingresso della Cassa, con una quota del 33%, affiancata da investitori graditi e “istituzionali”. Tutti insieme avrebbero avuto il 55% e allora sì che le autostrade, per dirla con lo slogan dei 5 stelle, sarebbero state nostre. O quantomeno così si poteva dire, senza appigliarsi ai dettagli che eppure sono totem quando si parla di economia e di assetti finanziari.
Ora invece si va verso una nuova Autostrade, con la maggioranza in mano ai fondi stranieri.
E bisogna pure pagare i Benetton. Perchè lo schema festeggiato è saltato e si è passati alla vendita. Quindi un prezzo, quindi un incasso per chi vende. Vende Atlantia, i Benetton hanno il 30% di Atlantia. Atlantia incassa, i proventi vengono distribuiti tra i soci.
Pagare “i colpevoli” del crollo del ponte Morandi, usando sempre il mantra 5 stelle, per una Autostrade che non sarà neppure degli italiani.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
LA SAGGEZZA DEL PRESIDENTE: “OGNI AMBIENTE PRODUTTIVO LA FINISCA DI TRINCERARSI NELLA DIFESA DEI PROPRI INTERESSI, PRIMA VIENE L’INTERESSE NAZIONALE”
“Ciascuna Istituzione comprende che deve non attestarsi a difesa della propria sfera di competenza ma al contrario deve cercare collaborazione, coordinamento e raccordo positivo perchè soltanto il coro sintonico delle attività delle nostre Istituzioni può condurci a superare queste difficoltà ”.
Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, durante la cerimonia di consegna delle onorificenze ai cittadini che si sono distinti nell’emergenza Covid-19. Per il Capo dello Stato è anche “necessario che ogni ambiente produttivo o professionale eviti – come avverrà – di trincerarsi nella difesa del propria nicchia di interesse. Non vi sono interessi che possano essere tutelati se prima non prevale l’interesse generale di sconfiggere la pandemia”.
“Evitando contatti superflui, siamo chiamati a fornire il nostro contributo per evitare di ricadere nelle condizioni di marzo-aprile. Siamo chiamati ad una prova d’orgoglio”, ha aggiunto il Capo dello Stato.
“Sembra avvicinarsi una nuova fase di emergenza e questo richiede fiducia nella possibilità che il paese possa superarla. Questo momento difficile ci rammenta che quanto è avvenuto in passato non è stato una parentesi ma questa fase va affrontata con terapie, impegno, organizzazione sapendo che abbiamo maggior preparazione rispetto a marzo e aprile quando il fenomeno era sconosciuto. Dobbiamo affrontare questa fase con senso di responsabilità ma anche maggior fiducia”.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
IL RUOLO DI CAIANELLO, IL “RAS DELLE NOMINE” E IL MANEGGIO ABUSIVO DELLA MOGLIE DI GIORGETTI CON UN PRECEDENTE PER TRUFFA
Un sistema di relazioni e affari nato nel cuore del leghismo, la città di Varese, e cresciuto fino a conquistare il governo della regione più ricca d’Italia.
Di quel potere, Attilio Fontana è oggi il volto e la rappresentazione, e ieri sera la puntata di Report su Rai 3 ne ha raccontato la trama.
Intessuta di conflitti di interessi, regie occulte dietro le nomine, carriere decise non nei luoghi istituzionali della politica ma ai tavolini di un bar.
Caianiello decide, Fontana nomina
Sono quelli dell’Haus Garden Cafè, un pub di Gallarate diventato nel tempo l’ufficio di Nino Caianiello e il centro della politica del centrodestra in Lombardia.
Caianiello, detto il “mullah”, il “ras delle nomine”, ma anche “mister dieci per cento” per la “decima” che pretendeva dai politici che piazzava nelle amministrazioni locali e nelle municipalizzate, viene arrestato per corruzione il 7 maggio 2019 nell’inchiesta “Mensa dei poveri”.
Report lo ha intervistato sui suoi rapporti con Attilio Fontana e sulla genesi di alcune nomine nella giunta che oggi governa la Lombardia. Sollecitato dal giornalista Giorgio Mottola, Caianiello definisce Fontana un “front office”, un politico che mette la faccia su decisioni di altri.
“Hai visto che i tuoi.. i tuoi consigli li hi seguiti quasi tutti..” dice Fontana a Caianiello, intercettato, dopo aver definito la lista dei suoi assessori. “Non te ne pentirai vedrai, non te ne pentirai..” risponde Ninuzzo, come lo chiamava il governatore. “Non è male, non è male la giunta secondo me” dice ancora Fontana. “Assolutamente.. no.. no è messa bene..”, asseconda Caianiello che – nonostante una precedente condanna per concussione nel 2016 – per vent’anni è rimasto il padrone del centrodestra in Lombardia. “Io ho vissuto più la gestione politica del partito – spiega Caianiello a Report -. Mentre Attilio era la persona da proporre.
Non è lui il gestore della questione politica, se vogliamo dirla così”. Il “mullah” spiega come sono nate le nomine di due tra gli assessori più influenti in Regione, Raffaele Cattaneo (all’Ambiente) e Giulio Gallera (alla Sanità ), confermando quanto emerso dalle intercettazioni di “Mensa dei poveri”.
“Attilio disse: “vedi che ho seguito il tuo consiglio, Raffaele entra in giunta con l’incarico all’ambiente””. E su Gallera: “Sapevo che c’era questa legittima aspettativa da parte di Gallera. Io dico: per me Gallera va bene”. “Risponde un po’ agli ordini Fontana?” chiede Mottola. “Non ordini, agli accordi”. “Attilio Fontana è un po’ un front office?”. “È un front office”.
Il sindaco Fontana e il terreno della figlia
Lo scandalo dei camici in piena pandemia, con l’affare da 250mila euro affidato alla società della moglie e del cognato Andrea Dini, è ancora lontano. Report racconta come molti anni prima la giunta comunale di Varese, guidata da Attilio Fontana, abbia modificato la destinazione d’uso – da area a verde a edificabile – di un terreno di 4.000 metri quadrati ereditato nel 2012 dalla figlia del sindaco, Maria Cristina Fontana. La trasmissione riporta la testimonianza di un ex dirigente del comune di Varese e del consigliere comunale del Pd Andrea Civati. “All’epoca il terreno era iscritto al catasto come area esclusivamente verde – dice il funzionario -. Ma poi la giunta Fontana ha modificato il piano regolatore del Comune e i 4000 metri della figlia sono diventati edificabili”. “Dai verbali del consiglio comunale – aggiunge Civati – non risulta una dichiarazione sul conflitto d’interessi del sindaco Fontana”.
Le consulenze dagli ospedali della Regione
Molti anni dopo, l’avvocato Maria Cristina Fontana risulta beneficiaria di alcuni incarichi legali dalle azienda sanitarie lombarde, i cui vertici sono stati nominati dalla Regione Lombardia e in alcuni casi sono di esplicita fede leghista. Tre incarichi nel 2017 arrivano dall’Azienda sanitaria Nord Milano, che comprende gli ospedali di Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni, cinque arrivano nel 2018 e altri tre nel 2019, mentre un’altra consulenza arriva dall’ospedale Sacco di Milano. Per i contratti del 2019, l’azienda ospedaliera introduce una voce sui conflitti d’interessi. Ma in relazione all’avvocato Fontana non ne vengono indicati. E poi nell’aprile 2020, in piena pandemia, l’Asst Nord Milano aggiorna l’elenco degli avvocati abilitati a fare consulenze legali. Tra i professionisti c’è sempre Maria Chiara Fontana.
Il maneggio abusivo alla moglie di Giorgetti
Un’altra storia, tutta varesina e tutta leghista, riguarda la moglie di Giancarlo Giorgetti e un maneggio all’interno dell’ippodromo della città . A parlare è sempre un ex dirigente del comune di Varese. “In questo ippodromo c’era effettivamente un maneggio abusivo – dice il funzionario -. Vado a verificare, è gestito da due sorelle. La sorella maggiore scopro essere la moglie del senatore Giorgetti”.
Si tratta di Laura Ferrari, che nel 2008 ha patteggiato una condanna per truffa. Appassionata di equitazione, riceve mezzo milione di euro da Regione Lombardia per organizzare corsi di addestramento a istruttori ippici per disabili. Ma i corsi non sono mai stati fatti. A difendere la moglie di Giorgetti, l’avvocato Attilio Fontana.
Durante la sua giunta, nel 2014, le sorelle Ferrari ottengono dalla società che gestisce l’ippodromo la gestione del centro della pista con il loro maneggio. Il contratto è un comodato d’uso gratuito: la moglie e la cognata di Giorgetti non pagano nulla. Poi nel 2018 cambia l’amministrazione e al maneggio arrivano i vigili. Chiedono le autorizzazioni comunali, ma i documenti non si trovano.
“Quell’attività non era autorizzata – ha ricostruito Civati – ed è stata elevata una sanzione”. Per quattro anni, moglie e cognata di Giorgetti utilizzano lo spazio all’interno dell’ippodromo di Varese, trasferiscono le loro stalle private, organizzano corsi di equitazione, vengono sponsorizzate dal Comune. Ma grazie al contratto di comodato d’uso, non pagano un euro.
(da agenzie)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
NON SI SCUSA, NON SPIEGA E CANCELLA
Ehhhh facile fare fotomontaggi sulla “dittatura sanitaria” per la pandemia di Coronavirus usando Auschwitz e poi cancellare tutto proprio nel momento in cui l’Auschwitz Memorial fa notare che è una cosa di pessimo gusto: Alessandro Meluzzi forse pensava che nessuno se ne sarebbe accorto, ma non è andata così.
Auschiwitz Memorial ha detto chiaramente a Meluzzi che quello che ha fatto sostituendo la scritta sul cancello del campo di concentramento “Arbeit macht frei” con “Andrà tutto bene” era irrispettoso, strumentalizzava le vittime in modo egoista e offendeva e creava dolore in chi è sopravvissuto: “Such things hurt people. It is disrespectful to the memory of the victims and it causes pain to the survivors who once were forced to walk through this gate. One should not selfishly instrumentalize the suffering of murdered people for publicity”.
Meluzzi ha forse risposto per scusarsi? No.
Ha provato a spiegare le sue posizioni? No.
Ha solo cancellato tutto. Coraggiosone.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 20th, 2020 Riccardo Fucile
I BAMBINI TORNANO IN AULA DA LUNEDI
In Campania scatta il coprifuoco, come in Lombardia. Si parte subito, da questo week end. Tutto chiuso dalle 23.
De Luca cambia rotta: mette un freno alla movida e riapre le scuole. Da lunedì i bambini delle elementari tornano in aula. Intanto l’allerta resta alta. I contagi in Regione, secondo gli ultimi dati, sono 1.600 (con un trend che non si inverte) e i posti letto di terapia intensiva vengono attivati su richiesta, perchè mancano i medici.
“Ci prepariamo a chiedere in giornata il coprifuoco. Il blocco di tutte attività e della mobilità da questo fine settimana in poi”. Lo ha annunciato il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.
“Volevamo partire – ha detto – dall’ultimo week end di ottobre, ma partiamo ora. Si interrompono le attività e la mobilità alle 23 per contenere l’onda di contagio. Alle 23 da venerdì si chiude tutto anche in Campania come si è chiesto anche in Lombardia”.
“Autorizziamo da subito progetti speciali per bambini disabili e autistici e da lunedì anche le attività delle elementari”, annuncia il presidente della Regione Campania.
La decisione è stata assunta a seguito di una riunione tra l’assessora all’Istruzione Lucia Fortini e le organizzazioni sindacali del comparto scuola “che hanno concordato sulle misure relative alla scuola e su cui il Tar ci ha dato ragione”, aggiunge De Luca
“I dirigenti scolastici – spiega il governatore – devono rivolgersi alle Asl per garantire che ci siano condizioni di sicurezza. Nella riunione si è deciso che il presupposto per riaprire deve essere la garanzia delle condizioni sanitarie. Questa è la garanzia che non può essere scaricata sui presidi, ma sulle Asl”.
In Campania l’epidemia per Covid-19 è seria anche perchè mancano medici e i posti in terapia intensiva sono centellinati. “Sui posti lettostiamo lavorando sulla base di una programmazione – spiega De Luca – rigorosa che abbiamo fatto da mesi. Non sono esauriti i posti letto, i posti Covid disponibili vengono attivati sulla base delle esigenze che si hanno di volta in volta, perchè il personale è limitato e per garantire i turni nei posti Covid bisogna eliminare le prestazioni non essenziali, e questo si sta facendo”.
“Abbiamo chiesto alla Protezione civile 600 medici e 800 infermieri. Ad oggi abbiamo avuto l’assicurazione che invieranno 50 medici e 100 infermieri. Quindi siamo clamorosamente al di sotto delle esigenze minime poste dalla regione Campania”, aggiunge il president edella Regione Campania Vincenzo De Luca nel corso di una visita al Covid Residence per i positivi asintomatici all’Ospedale del Mare.
“Ad oggi – ha aggiunto – non è arrivato nessuno. Vedremo nei prossimi giorni chi arriva, per il resto faremo miracoli per reperire da altri reparti gli anestesisti che saranno necessari”.
Lo stesso ordine dei medici della Campania oggi ha lanciato un Sos. “Non dimentichiamo che questa è una guerra e anche se al momento ci sembra che le cose vadano ancora benino, far finta che non lo sia ci porterebbe al disastro. Non rendiamo vana la sofferenza dei mesi scorsi, altrimenti molto presto saremo costretti a vedere sfilare carri militari impegnati a trasportare altrove le bare dei nostri cari. Il Covid non lascia seconde occasioni, i nostri medici lo sanno bene”. E’ l’allarme che lancia Bruno Zuccarelli, vice presidente dell’Ordine dei medici di Napoli.
(da agenzie)
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