Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
“AVEVANO RAGIONE MELONI E LA RUSSA, AVEVO TORTO IO”… GLI RISPONDIAMO CON UNA FRASE CHE DOVREBBE RICORDARE: MEGLIO PERDERE DALLA PARTE GIUSTA CHE VINCERE DA QUELLA SBAGLIATA
“Io ispiratore della Meloni? No, Meloni non ha bisogno di essere ispirata. Ho detto alla stampa estera” che “la realtà italiana della destra è un po’ diversa da come veniva loro raccontata. Dissi che avevo votato per Meloni e lo confermo”. Così Gianfranco Fini, ospite di ‘Mezz’ora in più’ su Rai Tre
“C’è stato chi ha indicato una rotta, una strada. Tocca ai più giovani percorrerla”, dice Fini, parlando del suo rapporto con l’attuale premier.
Meloni e La Russa? “Avevano ragione loro e avevo torto io”, afferma l’ex leader di An, ricordando la fondazione di Fratelli d’Italia. L’attuale premier e il presidente del Senato “non mi seguono quando vengo estromesso” dal Pdl, “danno vita alla casa della destra: io non ci credevo”, rammenta Fini.
Il Pdl è stato “un errore imperdonabile, non lo perdono a me stesso”, racconta l’ex leader di An. “Era nato il Pd, credevamo nel bipolarismo”, spiega l’ex presidente della Camera.
Poi sul simbolo: “Il simbolo di Fdi non è il simbolo del Msi ma di Alleanza Nazionale. Perché non avete detto, quando è nata An, ‘c’è ancora la fiamma?'”, dice Fini.
Riguardo all’antifascismo osserva: “La sinistra italiana non può accendere l’interruttore dell’antifascismo solo quando, in modo strumentale, ravvisa un pericolo per la democrazia”. “Le accuse mosse a Meloni sono risibili”, insiste l’ex leader di An. Chiedono da sinistra di riconoscere l’antifascismo come valore? “Sì, lo abbiamo detto a Fiuggi e Giorgia Meloni non si è mai dissociata”, prosegue.
Quanto all’esecutivo rileva: “Questo è un governo di destra-centro, questo mette in agitazione gli alleati. Meloni dovrà essere paziente e abile nel tentativo di tenere tutti insieme, nell’ambito di un programma unico e delle risorse disponibili, agendo sulla base di valori condivisi. Do per scontato che ci saranno fibrillazioni”.
“Il fatto che Fdi abbia raccolto più voti di quelli messi insieme da Fi e Lega mette in agitazione gli alleati che hanno il diritto di rimarcare la loro identità” è l’analisi di Gianfranco Fini.
Il presidente Meloni o la presidente? “Mi viene più spontaneo dire la presidente, ma capisco chi dice il presidente”, risponde l’ex leader di An.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
THE ECONOMIST: “IL SISTEMA POLITICO RUSSO SEMBRA ENTRARE NEL PERIODO PIÙ TURBOLENTO DELLA SUA STORIA POST-SOVIETICA. ANCHE I GOVERNI OCCIDENTALI INIZIANO A TEMERE CHE LA RUSSIA POSSA DIVENTARE INGOVERNABILE”
“Cosa succederà dopo? C’è vita dopo Putin? Come se ne va e chi lo sostituisce?”. Sono queste le domande che pesano in questi giorni sulla mente dell’élite russa, dei suoi burocrati e uomini d’affari, mentre osservano l’esercito ucraino avanzare, la gente di talento che fugge dalla Russia e l’Occidente che si rifiuta di indietreggiare di fronte al ricatto energetico e nucleare di Vladimir Putin.
“Nei ristoranti e nelle cucine di Mosca si dicono molte parolacce e ci si arrabbia”, dice un membro dell’élite. “Tutti si sono resi conto che Putin ha fatto un errore e sta perdendo”. Questo non significa che Putin stia per ritirarsi, essere rovesciato o sparare un’arma nucleare. Significa però che coloro che gestiscono il Paese e ne possiedono i beni stanno perdendo fiducia nel loro Presidente.
Il sistema politico russo sembra entrare nel periodo più turbolento della sua storia post-sovietica. Anche i governi occidentali iniziano a temere che la Russia possa diventare ingovernabile – scrive The Economist.
“Mai prima d’ora Vladimir Putin si è trovato in una situazione del genere nei 23 anni del suo governo”, afferma Kirill Rogov, analista politico russo. In passato, quando si è trovato di fronte a situazioni difficili come la perdita del sottomarino Kursk e dei suoi 118 membri dell’equipaggio nel 2000, o un terribile assedio scolastico nel 2004 che si è concluso con la morte di 333 persone, è riuscito a sviare le responsabilità e a mantenere la sua immagine di leader forte. “Ora sta pianificando ed eseguendo operazioni che stanno visibilmente fallendo”.
L’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio è stata uno shock per l’establishment russo, che si era convinto che Putin non avrebbe rischiato una guerra su larga scala. Ma la miscela dei suoi primi, seppur limitati, progressi militari, l’assenza di un collasso economico in Russia e i primi tentativi di negoziati di pace hanno calmato i nervi. (Anche il consumo massiccio di alcol può aver contribuito; la situazione è diventata così acuta che Putin ha iniziato a lamentarsi in pubblico dell’alcolismo). Alcuni membri dell’élite si sono persino convinti, per un certo periodo, che Putin non potesse perdere.
Questa convinzione è stata infranta dalla mobilitazione “parziale” di Putin. Ha dimostrato che la sua “operazione militare speciale” stava vacillando e, arruolando più truppe, si è visto che stava trascinando il Paese ancora più a fondo nel conflitto. E come hanno dimostrato l’esodo di massa e l’ampio ritiro delle truppe, il suo tentativo di trasformare l’impresa in una nuova “Grande Guerra Patriottica” è finora fallito.
La mobilitazione ha infranto la premessa fondamentale dell’acquiescenza del pubblico alla guerra: che non avrebbe richiesto la sua partecipazione attiva. A Mosca, la città più ricca della Russia, dove gli uomini venivano arruolati nelle strade, il sindaco, Sergei Sobyanin, si è sentito costretto il 17 ottobre ad annunciare che la coscrizione era finita. Altre regioni, con un minor potere di lobbying, dovranno colmare il deficit.
Putin non può vincere la sua guerra, perché fin dall’inizio non aveva obiettivi chiari; e, avendo perso così tanto, non può finirla senza essere profondamente umiliato. Anche se i combattimenti in Ucraina dovessero cessare, un ritorno alla vita pacifica di prima della guerra è praticamente impossibile sotto la sua bellicosa presidenza. Nel frattempo, l’economia comincia a mostrare gli effetti delle sanzioni e dell’esodo dei lavoratori più qualificati e istruiti; la fiducia dei consumatori è in calo.
La cerimonia del 30 settembre, in cui Putin, dopo un discorso farneticante contro l’Occidente, ha annesso quattro province ucraine che in realtà non controlla, è stata così assurda che probabilmente ha minato la sua aura di forza anche all’interno della Russia. Come dice Tatyana Stanovaya, consulente politica: “Fino a settembre, le élite russe avevano fatto la scelta pragmatica di sostenere Putin… ma la situazione è progredita a tal punto che ora potrebbero dover scegliere tra vari scenari perdenti”.
Una sconfitta militare potrebbe portare al crollo del regime, con tutti i rischi connessi per coloro che lo hanno sostenuto. La bellicosità di Putin, nel frattempo, “solleva la questione se le élite russe siano disposte a rimanere con Putin fino alla fine, in particolare tra le crescenti minacce di usare le armi nucleari”, osserva Stanovaya. Putin è passato dall’essere una fonte percepita di stabilità a una fonte di instabilità e di pericolo. Questa settimana Ksenia Sobchak, ritenuta la figlioccia di Putin, è fuggita prima di essere arrestata, segno che l’élite sta divorando i propri membri.
Abbas Galyamov, un analista politico che ha trascorso del tempo al Cremlino, sostiene che nelle prossime settimane e mesi l’élite, i cui membri hanno sempre confidato nella capacità di Putin di preservare il suo regime (e loro), si renderà conto che spetta a loro salvare il regime e persino le proprie vite. Questo, secondo lui, intensificherà la ricerca di un possibile successore all’interno del sistema.
L’elenco dei potenziali candidati di Galyamov comprende Dmitry Patrushev, figlio di Nikolai Patrushev, capo del Consiglio di Sicurezza e uno dei principali ideologi del regime. Patrushev junior è un ex ministro. Pur facendo parte della famiglia, potrebbe essere visto come un volto nuovo per la sua giovane età. Tra le possibilità più note ci sono Sergei Kiriyenko, il vice capo di gabinetto del Cremlino; Sobyanin, il sindaco di Mosca; e Mikhail Mishustin, il primo ministro, che potrebbe allearsi con alcuni uomini della sicurezza e svolgere il ruolo di negoziatore moderato con l’Occidente.
Tuttavia, come ha sostenuto di recente Alexei Navalny, leader dell’opposizione russa incarcerato, sul Washington Post, la speranza che “la sostituzione di Putin con un altro membro della sua élite cambi radicalmente questa visione della guerra, e in particolare della guerra per l'”eredità dell’URSS”, è quantomeno ingenua”. L’unico modo per fermare il ciclo infinito del nazionalismo imperiale, ha sostenuto Navalny, è che la Russia decentralizzi il potere e si trasformi in una repubblica parlamentare.
In quello che sembra un appello all’élite russa, Navalny ha sostenuto che la democrazia parlamentare è anche una scelta razionale e auspicabile per molte delle fazioni politiche che circondano Putin. “Offre loro l’opportunità di mantenere l’influenza e di lottare per il potere, garantendo al contempo di non essere distrutti da un gruppo più aggressivo”.
Questo “gruppo più aggressivo” ha già iniziato a emergere. Ne fanno parte Yevgeny Prigozhin, un ex criminale noto come “il cuoco di Putin”, che gestisce un gruppo di mercenari chiamato gruppo Wagner, e Ramzan Kadyrov, l’uomo forte della Cecenia, che ha un suo esercito privato. Entrambi sono considerati personalmente fedeli a Putin. Ekaterina Schulmann, politologa, ha paragonato gli uomini di Prigozhin agli oprichniki – un corpo di guardie del corpo istituito da Ivan il Terribile – che hanno gettato il Paese nel caos. Il dittatore russo vuole trasformare l’Ucraina in uno Stato fallito. Invece, sta rapidamente trasformando la Russia in uno Stato fallito.
(da The Economist)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
“UN’ALLEANZA INCROLLABILE, UNA PARTNERSHIP STRATEGICA E UNA VERA E PROFONDA AMICIZIA”: CI MANCA CHE LI RINGRAZIAMO PER LE CAMEL E LE CIOCCOLATE CHE CI LANCIAVANO
“Gli italiani che hanno attraversato l’Atlantico negli ultimi due secoli hanno fortemente contribuito allo sviluppo, alla prosperità e alla forza degli Stati Uniti”, “hanno lavorato ogni giorno per costruire un ponte tra l’America e l’Italia: fatto di valori comuni – libertà, uguaglianza e democrazia – un’alleanza incrollabile, una partnership strategica e una vera e profonda amicizia. Siete grandi ambasciatori del nostro Paese”.
Lo ha detto in un video-saluto il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in occasione dell’anniversario della National Italian American Foundation (Niaf) e trasmesso questa notte.
“Sento il grande onore e la responsabilità di essere la prima donna a guidare l’Italia. Nel mio compito seguirò le orme delle tante grandi donne italiane che hanno aperto la strada a me e alle generazioni a venire”.
“Vi assicuro che questo Governo farà del suo meglio per rendere ancora più forti i rapporti con gli Stati Uniti. Long live America, viva l’Italia!”.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
GIORGETTI STA CERCANDO DI PORTARE AVANTI UNA LINEA PRUDENTE SUI CONTI, MA DEVE SCONTRARSI CON IL “SUO” SEGRETARIO SALVINI, CHE PROMETTE A DESTRA E A MANCA. ALLA FINE IL DISAVANZO POTRÀ ARRIVARE AL 4,5%
Con il passare dei giorni si delinea l’approccio del ministro dell’Economia. Giancarlo Giorgetti non intende lasciar cadere nessuno degli impegni elettorali del programma della sua coalizione.
Ma non vuole neanche che essi si dimostrino così onerosi da togliere spazio agli interventi per l’emergenza dell’energia – la sua priorità – o creino reazioni avverse all’Italia sui mercati. La sintesi sarà una realizzazione di tutti gli impegni presi dal centrodestra con gli elettori, ma in misura limitata. Solo così sarà possibile aiutare famiglie e imprese ad affrontare i costi dell’energia senza generare deficit allarmanti.
L’obiettivo del disavanzo, già così, sale. Il sentiero indicato da Daniele Franco, il predecessore di Giorgetti, prevedeva nel 2023 un deficit al 3,9% del prodotto lordo: abbastanza in calo da poter puntare vicino al 3% nel 2024 ed evitare una complicata procedura di Bruxelles quando le regole di bilancio (riviste) dovrebbero tornare in vigore fra quattordici mesi.
Il governo di centrodestra alza l’asticella del disavanzo sul 2023 dal 3,9% al 4,5% del Pil, in gran parte per intervenire sulla crisi dell’energia come fanno Francia o Germania. Ma, appunto, questo lascia pochi margini per quanto era nel programma di coalizione.
L’aumento della “flat tax” al 15% per i titolari di partita Iva fra 65 mila e 100 mila euro di fatturato potrebbe diventare un’estensione solo fino a redditi fra 70 e 80 mila euro: così il costo per il bilancio sarebbe circa dimezzato fra uno e due miliardi l’anno.
Altri interventi per limare gli oneri potrebbero riguardare l’attuale bonus al 110% sulle ristrutturazioni immobiliari, varato dal governo giallo-rosso nel 2020, criticato da Daniele Franco e Mario Draghi, ma rimasto finora immutato per la resistenza dei 5 Stelle.
L’approccio di Giorgetti qui potrebbe essere selettivo e attento a correggere l’impatto oggi a favore dei più abbienti.
Il bonus potrebbe essere riservato solo alle prime case, abbassato all’80% della spesa per i ceti medio-alti e mantenuto al 100% solo per le fasce di reddito relativamente più deboli. Nessuno dovrebbe avere più una copertura dei costi al 110%, con ampi margini per pagare le imprese o le banche che usano ormai i crediti d’imposta cedibili come moneta fiscale.
Un’altra nota di prudenza riguarda le modalità di aiuto sui costi dell’energia. Al ministero dell’Economia si studia il modello tedesco: il governo versa sussidi a compensazione sull’80% dei consumi, ma lascia che le famiglie o le imprese paghino il prezzo pieno dell’energia per il restante 20%; ciò spinge gli utenti a ridurre il consumo di energia.
La cautela di Giorgetti è comprensibile: il governo esordisce pur sempre con un aumento del deficit programmato, proprio mentre per la prima volta da anni la Banca centrale europea alza i tassi e riduce il sostegno ai titoli di Stato. Un deficit al 4,5% unito a una probabile, graduale riduzione del bilancio della Bce (che la porterà a non rinnovare più gli acquisti di titoli, quando scadono quelli che ha già in bilancio) potrebbe portare l’Italia a dover finanziare nuovo debito nel 2023 per poco meno di un centinaio di miliardi. Sarebbe l’impegno più oneroso da quando esiste l’euro, senza l’aiuto della Bce.
Fabio Balboni di Hsbc, una banca di Londra, stima che un terzo circa di questo fabbisogno di Roma potrà essere coperto dai prestiti e dai trasferimenti del Recovery Plan europeo: per questo è essenziale mantenere il ritmo delle riforme concordato con Bruxelles. Ma per il resto l’Italia dovrà saper attrarre investimenti da capitali nazionali e soprattutto internazionali, dopo che questi ultimi sono in calo netto sul debito pubblico di Roma in sei degli ultimi sette anni. Il supporto della fiducia è sempre fragile. La prudenza di Giorgetti si spiega con l’obiettivo di mantenerla.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO DEL LEGHISTA È IMPORRE L’AGENDA E RISALIRE NEI SONDAGGI, COME FECE CON CONTE
L’altro giorno l’hanno sentita urlare per la circolare redatta dal cerimoniale di palazzo Chigi, che impone di rivolgersi alla premier chiamandola «signor presidente del Consiglio».
«Ci mancava anche questa», ha commentato Meloni, che è alle prese con le mille emergenze di governo, con le scadenze da rispettare, i soldi da trovare. E soprattutto con una squadra da registrare.
Perché è vero che in ogni colloquio con i partner internazionali ha accreditato l’immagine di un gabinetto solido e di una coalizione compatta. Ma la fase di avviamento la sta facendo fumare molto più di quanto solitamente faccia, anche a causa della «gestione parallela» inaugurata da Salvini.
Nemmeno il tempo di ricevere la fiducia delle Camere e il leader della Lega ha iniziato a promuovere i progetti di partito, «senza nemmeno farmi una telefonata per avvisare e concordare», si è lamentata la premier nei colloqui riservati. Durante i quali ha espresso il suo disagio e una certa dose di irritazione.
Pensava nei primi giorni di potersi concentrare sul problema delle bollette, sulla manovra e sulla preparazione degli appuntamenti all’estero Invece il capo del Carroccio ha di fatto imposto l’agenda a palazzo Chigi: prima lasciando ai suoi gruppi parlamentari l’incarico di presentare un disegno di legge per l’aumento del tetto all’uso del contante; poi affidando al titolare della Salute il compito di indicare le nuove linee guida sul Covid, con quella formula del «liberi tutti» che ha innescato uno scontro nella maggioranza e prodotto l’esternazione di Mattarella. Nel primo caso Meloni ha trovato un punto di mediazione.
Nel secondo ha dovuto assecondare l’iniziativa di Schillaci, anche se – racconta un ministro – avrebbe preferito attendere i dati della pandemia nella fase iniziale della stagione fredda prima di cambiare.
Eppure la premier aveva spiegato agli alleati che il governo nasceva in una condizione particolare, non solo per la difficile congiuntura interna e internazionale, ma anche per il fatto che – rispetto ai gabinetti precedenti varati tutti in primavera – non avrebbe potuto contare sui primi «cento giorni», e sarebbe stato costretto a redigere in fretta la Finanziaria.
Nonostante l’appello, la partenza si è rivelata caotica e questo ha (più volte) portato Meloni a sbottare. «Perché io ci metto due minuti», si è sfogata, evocando la crisi e il ritorno alle urne. Sia chiaro, sono parole dettate dal momento. E al momento la premier avverte la pressione.
Non a caso nel giro di colloqui con i ministri, si è concentrata con il titolare dell’Energia Pichetto per capire – raccontano a palazzo Chigi – quanto sostegno potrà arrivare dall’Europa e quanti soldi invece dovrà mettere il governo per calmierare le bollette.
Per stabilirlo bisognerà basarsi sulle proiezioni sul costo del gas nel 2023: un errore e saltano i conti, le imprese chiudono, i disoccupati scendono in piazza… E a ogni passaggio la presidente del Consiglio accende un’altra sigaretta.
Mentre Salvini prosegue con la tattica degli annunci: ieri si è esercitato su pensioni, reddito di cittadinanza, ponte sullo Stretto e persino sulla guerra in Ucraina, chiedendo che l’Italia si faccia promotrice di una conferenza di pace. Le manovre del capo leghista somigliano molto a quelle che mandarono in tilt i grillini ai tempi del governo giallo-verde. Meloni non accetterà il remake.
E infatti è pronta a dire basta. Una volta chiusa la vertenza sui posti di viceministro e di sottosegretario chiederà all’esecutivo di concentrarsi sulla manovra, che nelle sue intenzioni non dovrebbe contemplare lo scostamento di bilancio. Perché – come spiega un ministro – «se qualcuno pensa che siamo arrivati a palazzo Chigi per fare la rivoluzione, non ha capito come stanno le cose. Bisogna andarci molto cauti, o la rivoluzione finiremo per subirla».
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
RAVE PARTY A MODENA DI 3.000 PERSONE, MA IL MINISTERO DEGLI INTERNI NON LO SAPEVA, COME SEMPRE
Migliaia di persone tra cui molti stranieri hanno raggiunto tra la serata di ieri e la notte un capannone abbandonato a nord di Modena in via Marino dove si sta tenendo un grande rave party di Halloween.
L’evento Witchtek 2K22 è stato segnalato ieri sera da polizia e carabinieri che hanno monitorato la situazione.
Si sta tenendo in un capannone in zona Cittanova, vicino al supermercato Grandemilia. Le prime stime parlano di 3 mila persone presenti. Per motivi di sicurezza sono state chiuse anche uscite autostradali sull’A22 a Carpi e Campogalliano, Modena Nord e Sud in A1.
Musica e balli sono andati avanti tutta la notte, le persone sono arrivate con camper e auto e l’intenzione è quella di rimanere fino a martedì.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha dato mandato al prefetto di Modena e al capo della Polizia di adottare, raccordandosi con l’Autorità giudiziaria, ogni iniziativa per interrompere il rave party e liberare l’area al più presto.
Intanto la festa continua. L’agenzia di stampa Ansa scrive che intorno all’edificio c’è un continuo viavai di ragazzi che entrano ed escono, mentre nei pressi la zona è sorvegliata da polizia e carabinieri, circa duecento persone. Dall’interno continua a diffondersi musica techno.
Su Facebook c’è chi ha segnalato l’evento nelle scorse ore, quando la location non era ancora ufficiale: «Stasera le crew si riuniranno per darvi ciò che vi è stato promesso. Durante tutta la giornata verranno date delle indicazioni, seguitele. Quando uscirà la posizione sarà necessario essere tutti in un raggio ristretto. Abbiamo voglia di combattere per ciò in cui tutti noi crediamo abbiamo bisogno che ognuno faccia la propria parte. State attenti a Biella, stanno fermando camion francesi e li scortano fuori regione! Stanno girando vari comunicati fake….diffidate da indicazioni non ufficiali». Sui social network circolano anche diversi video delle scorse edizioni, come quello che vi mostriamo.
Traffico in tilt
Blocchi stradali, code e traffico in tilt nella zona a Nord di Modena dove è stato organizzato il rave. Pesa anche la concomitanza con il salone degli sport invernali ‘SkiPass’ in fiera, in corso da ieri che attira molti visitatori. Disagi in particolare si registrano su via Emilia Ovest e sulla tangenziale con automobilisti in coda. SkiPass fa sapere che l’uscita autostradale Modena Nord è regolarmente aperta. “A causa di un evento in zona una volta usciti dall’autostrada consigliamo di raggiungere la fiera prendendo la tangenziale e uscendo all’uscita 16”.
“Danni incalcolabili”
“Danno incalcolabile all’immagine del territorio, disagio grave ai tanti visitatori e turisti che avevano deciso di trascorrere una o più giornate nel modenese, pregiudizio intollerabile alle nostre attività ricettive, ristorative e commerciali”. Così Tommaso Leone, presidente provinciale di Confcommercio di Modena, in relazione al rave party. “Nessun processo a chicchessia, ma c’è da chiedersi come sia stato possibile assistere all’organizzazione di un evento illegale, annunciato da giorni sui social e dai media: ci mettiamo nei panni degli uomini delle Forze dell’Ordine, a cui va la nostra vicinanza, chiamati a gestire lo sgombero, situazione straordinaria, che non si sarebbe dovuta verificare”.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
LA CURVA COSTRETTA A SVUOTARSI, MA NON TUTTI VOLEVANO ANDARSENE… MA PIANTEDOSI SA TUTELARE I CITTADINI?
L’uscita dei tifosi dalla Curva nord durante la sfida tra Inter e Sampdoria continua a generare non poche polemiche.
In seguito alla notizia della morte del capo ultras nerazzurro Vittorio Boiocchi, diversi tifosi hanno raccontato sui social di come siano stati costretti durante la partita a lasciare il proprio posto nel settore della tifoseria organizzata.
L’informazione sull’agguato a Boiocchi era cominciata a circolare poco prima che le squadre scendessero sul campo di San Siro.
La scelta iniziale era stata allora di togliere tutti gli striscioni, e di mettere a tacere cori e tamburi. Poco prima del 45esimo minuto però si sono visti i capi dei vari gruppi organizzati lasciare la curva. Insieme a loro anche il resto dei tifosi, usciti progressivamente nel corso dell’intervallo.
Un abbandono, quest’ultimo, che secondo quanto riferito dalle numerose testimonianze sui social non sarebbe stato per nulla volontario.
I tifosi sarebbero stati obbligati a lasciare il proprio posto, anche con l’utilizzo di maniere forti. «Non mi capacito di come 8/10 persone abbiamo sgomberato un intero settore con urla, minacce e spintoni», scrive un tifoso interista su Twitter. E ancora: «Ci stanno costringendo con le minacce ad uscire, un padre picchiato con la bambina, gente che ha fatto 600 km costretta a tornare a casa»; «che qualcuno racconti lo schifo successo in curva».
Nelle ultime ore messaggi e post di questo genere hanno riempito le bacheche social, raccontando la realtà dietro alla curva apparsa vuota nelle immagini provenienti da San Siro.
Dalla società Inter nel frattempo nessuna dichiarazione su quanto accaduto sugli spalti. Stessa cosa per quanto riguarda Lega Serie A e Federcalcio. Famiglie, tifosi, appassionati con un biglietto pagato sarebbero stati costretti a rispettare il lutto del pluripregiudicato e storico capo ultrà dell’Inter Vittorio Boiocchi. Ucciso a Milano con più colpi d’arma da fuoco, il 69enne Boiocchi era stato in carcere per 26 anni e aveva alle spalle diverse condanne definitive per rapina, traffico di droga e sequestro di persona.
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
GIUSEPPE REMUZZI, DIRETTORE DEL MARIO NEGRI, CRITICA LA SCELLERATA SCELTA DEL GOVERNO MELONI DI REINTEGRARE I MEDICI CHE NON SI SONO VOLUTI VACCINARE: “NON IMMUNIZZARSI SIGNIFICA ESSERE PIÙ A RISCHIO DI CONTRARRE QUESTE INFEZIONI E QUINDI DI TRASMETTERLE AGLI ALTRI”
«I politici non dovrebbero seguire la scienza, ma ascoltarla con attenzione, per poi prendere delle decisioni. E il compito degli scienziati è dire le cose come stanno». Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e ordinario chiara fama di Nefrologia all’Università degli Studi di Milano, descrive così quello che dovrebbe il «buon rapporto di vicinato» tra decisori e studiosi.
Professore, è giusto – dal punto di vista medico – cancellare le restrizioni degli ultimi due anni e mezzo?
«Quello che possiamo fare è analizzare la situazione attuale: il virus continua a cambiare, si fanno largo nuove varianti come BQ.1.1 (Cerberus, in Italia al 7% secondo gli ultimi dati, ndr), verosimilmente avremo un aumento di contagi. La situazione diventerà problematica se saliranno anche i ricoveri, soprattutto in terapia intensiva. Per il momento non sta avvenendo. In Italia, come in altri Paesi, gran parte della popolazione è vaccinata e ha avuto una o più esposizioni al virus. Si è così formata un’immunità ibrida che, secondo alcuni studi in corso, sarebbe in grado anche a distanza di mesi di adattarsi alle nuove varianti, grazie alle “cellule di memoria”. Le restrizioni sono state utili: bisogna ricordare che la salute non è in contrasto con lo sviluppo economico. La povertà è la principale causa di morte. Inoltre la vaccinazione non rappresenta una limitazione della libertà personale, ma va a beneficio della collettività. Così come vedersi ritirata la patente se si guida ubriachi».
Come valuta l’ipotesi del Governo di reintegrare i sanitari sospesi perché non vaccinati?
«Chi è no-vax non dovrebbe operare in campo sanitario, perché i vaccini sono il più grande strumento che abbiamo per combattere le malattie. E i vaccini contro Sars-CoV-2 sono i più sicuri ed efficaci di sempre: nel 2021 hanno salvato 20 milioni di persone nel mondo. Non immunizzarsi, da Covid, ma anche dall’influenza, significa essere più a rischio di contrarre queste infezioni e quindi di trasmetterle agli altri: nel caso dei sanitari gli “altri” sono i malati, spesso anziani, ovvero i soggetti più deboli in assoluto. Persone che di Covid o influenza possono morire. Ci si vuole davvero assumere questa enorme responsabilità?»
Un altro tema caldo è l’obbligo di mascherina negli ospedali e residenze sanitarie assistenziali (Rsa), che scadrà il 31 ottobre e potrebbe non essere rinnovato.
«Negli ospedali e nelle Rsa la mascherina andrebbe tenuta sempre, anche fuori pandemia, per proteggere i pazienti fragili. Aggiungo che, in questa fase, sarebbe raccomandabile anche per la popolazione generale continuare a indossare la mascherina negli ambienti affollati e poco areati. Omicron e le sue sottovarianti sono altamente contagiose e la trasmissione avviene soprattutto tramite aerosol, ovvero le particelle che restano sospese in aria».
Il bollettino dei dati Covid sarà settimanale: è un bene?
«Sì, non giudico necessario fornire alla popolazione i numeri dei contagi, ricoveri e decessi giornalieri. Con il bollettino settimanale si semplificheranno le procedure e magari diminuirà un po’ l’effetto ansia, inevitabile se si fa la conta dei malati e morti ogni 24 ore. Naturalmente è fondamentale che Istituto superiore di sanità, Ministero della Salute, Regioni e tutti i decisori abbiano accesso ai dati quotidianamente».
Quanto è importante vaccinarsi contro Sars-CoV-2?
«È cruciale che gli ultrasessantenni e i soggetti fragili ricevano prima possibile la quarta e poi la quinta dose, a 120 giorni di distanza. Va bene qualunque tipo di vaccino, sia quello basato sul virus originario (Wuhan), sia quelli adattati a Omicron BA.1 o BA.4-5. Alcuni studi, non ancora pubblicati, sembrano dimostrare che nella quarta dose i tre vaccini forniscono la stessa risposta anticorpale».
È ancora necessaria la quarantena per i positivi?
«Ormai sappiamo che il massimo rischio di contagio si concentra nella fase di incubazione, pre-sintomatica, in cui spesso la persona non è consapevole di avere l’infezione. È sufficiente restare in casa finché sono presenti sintomi, come si fa con l’influenza o altre malattie».
Ci sono stati errori nella gestione della pandemia?
«Credo che in questi ultimi due anni e mezzo sia stato fatto tutto quello che era possibile, con i mezzi e l’organizzazione sanitaria che abbiamo in Italia. Non si tratta di individuare colpe, ma di affrontare un problema strutturale che deriva dal costante depauperamento, nell’ultimo decennio, del Servizio sanitario nazionale: il malfunzionamento della medicina territoriale. Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) rappresenta un’opportunità per colmare questa lacuna, apparsa in tutta la sua gravità durante la pandemia. A guidarci dovrebbe essere un ragionamento semplice, ma al tempo stesso profondo: promuovere la salute è un’occasione di giustizia sociale e sviluppo dell’umanità».
(da agenzie)
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Ottobre 30th, 2022 Riccardo Fucile
IL DOCENTE DELLA CATTOLICA METTE IN GUARDIA: “PRESTO AUMENTO DELLE OSPEDALIZZAZIONI E DELLE VITTIME”
Walter Ricciardi, docente di Igiene all’Università Cattolica ed ex consigliere del ministero della Salute, critica la liberalizzazione del Coronavirus voluta dal governo Meloni.
E in un’intervista a La Stampa va all’attacco delle nuove norme: «Un colpo di spugna inaccettabile».
Ricciardi parte dal reintegro dei sanitari No vax: «Queste persone devono vaccinarsi perché la loro mancata vaccinazione mette a rischio i malati che loro stessi assistono. Ospedali e Rsa potrebbero trasformarsi da luoghi di cura in luoghi di rischio. Lo trovo francamente inaccettabile». Per lui è un errore «non rendere obbligatorio il vaccino per i docenti. Ma questa è una scelta politica. Quello cui invece non possiamo derogare è il vaccino per il personale medico sanitario. È una scelta scientifica». Anche con le mascherine non più obbligatorie «si metterebbe a rischio la vita di migliaia di fragili, per non parlare degli stessi operatori. Il rischio è andare incontro a problemi di salute molto seri, a partire dal Long Covid. Il Regno Unito, infatti, ha registrato ben 200 mila tra medici e sanitari affetti da Long Covid. Quanto agli altri luoghi della vita pubblica, credo che i modelli giapponese e tedesco, che hanno mantenuto le mascherine anche sui mezzi pubblici, siano efficaci».
Mentre il futuro non promette nulla di buono: «Purtroppo siamo alla vigilia di una risalita importante dei casi, come si è già verificato in Francia, per esempio, con varianti ancora più contagiose di Omicron 5. I 30 mila casi notificati ogni giorno in Italia sono sottostimati: il sistema di tracciamento è saltato. E ci sono migliaia di contagi auto-diagnosticati e non segnalati. Dunque, è solo la punta dell’iceberg. Nei paesi in cui il tracciamento è ancora attivo al 100%, siamo oltre le centinaia di migliaia di casi al giorno. Probabilmente vedremo un aumento nelle ospedalizzazioni e nel numero dei morti».
(da agenzie)
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