Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
CREPE SONO GIÀ EMERSE: RUDOLPH GIULIANI NON RIESCE PIÙ A PAGARE LE PARCELLE LEGALI… – LO SCERIFFO DELLA CONTEA DI FULTON PREPARA LE CELLE: “LA PRIGIONE È SEMPRE APERTA, TRUMP, GIULIANI E GLI ALTRI CO-IMPUTATI HANNO IL POSTO PRENOTATO”
L’accusa più grave mossa dalla procuratrice Willis all’ex presidente e ai suoi alleati è di avere agito come una «organizzazione criminale» con l’obiettivo di rovesciare l’esito del voto in violazione della Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act (nota per le iniziali: RICO), la legge anti-racket e contro la corruzione del crimine organizzato, varata negli anni Settanta, con l’obiettivo di contrastare l’azione dei boss mafiosi.
La versione adottata in Georgia, che permette un’applicazione a un numero di reati più ampio di quello federale, prevede pene fino a 20 anni carcere e, in caso di condanna, una sentenza minima (a differenza delle altre incriminazioni) di almeno 5 anni. Inoltre, se Trump o un altro repubblicano dovesse vincere le elezioni presidenziali non potrà graziare immediatamente gli eventuali condannati, a differenza di quanto accade nei casi federali.
Alcuni esperti sul New York Times giudicano il ricorso alla legge RICO «geniale», mentre un editoriale del Wall Street Journal ne reputa scorretto l’uso. A differenza dei casi federali, in Georgia sono stati incriminati ben 18 alleati di Trump (e coinvolti altri 30), tra cui funzionari eletti e gli avvocati Rudy Giuliani (che paradossalmente usò spesso la legge anti-racket da procuratore), Kenneth Chesebro, Jeffrey Clark, John Eastman, Sidney Powell.
Il tutto sembra condurre a una precisa strategia di Willis: spingere gli alleati del presidente a collaborare con la giustizia contro di lui, puntando su crepe già emerse: Giuliani, che non riesce più a pagare le parcelle legali, ha scaricato le colpe su «quel pazzoide» di Powell; Chesebro, l’ideatore del piano dei «falsi elettori» che dovevano certificare la vittoria di Trump, sta cercando di sminuire il proprio ruolo.
«La prigione è sempre aperta, Donald Trump, Rudy Giuliani e gli altri co-imputati hanno il posto prenotato». Patrick Labat, sceriffo della Contea di Fulton lo ha detto chiaro al quotidiano locale Atlanta Journal Costitution : «La procuratrice Fani Willis gli ha intimato di consegnarsi entro il 25 agosto e noi abbiamo preparato le celle».
Non sono dunque attesi in tribunale i 19, incriminati lunedì sera dalla procura di Atlanta con l’accusa di aver cospirato per ribaltare il risultato elettorale delle elezioni 2020 facendo pressioni su pubblici ufficiali, affermando il falso e pure tentando di spacciare per Grandi Elettori chi non lo era.
Dovranno invece costituirsi negli uffici del carcere di Rice Street, nel cui parcheggio, d’altronde, è già stato allestito uno spazio per i giornalisti. Secondo Labat, l’ex inquilino della Casa Bianca in cerca di nuovo mandato otterrà perfino l’agognata foto segnaletica finora risparmiatagli, cui da tempo aspira sperando di trasformarla in icona della campagna elettorale: «Se non mi verrà chiesto di fare altrimenti, seguirò la procedura ordinaria».
Sempre che lo permettano i Servizi Segreti, responsabili della sicurezza dell’ex presidente. Gli stessi che già lo hanno scortato nei tribunali di New York, Miami e Washington per rispondere delle altre incriminazioni (aver pagato con fondi sottratti alla campagna elettorale il silenzio della pornostar Stormy Daniels con cui aveva avuto una relazione. Aver conservato carte classificate in un gabinetto del suo resort di Mar-a-Lago. E il ruolo attivo nell’assalto al Congresso del 6 gennaio).
L’infame carcere di Fulton County, noto per il sovraffollamento, le difficili condizioni dei detenuti e i numerosi suicidi, è infatti oggetto di un’inchiesta da parte delle autorità federali. Non esattamente il luogo più sicuro per un ex presidente. Trattative sono dunque in corso fra avvocati del tycoon e autorità, per decidere tempi e modi della resa
Timidamente, già altri repubblicani provano a scaricarlo: «La palude-Washington con lui è peggiorata» lo ha attaccato il rivale nella corsa alla nomination Ron De-Santis. Il leader repubblicano è furibondo e sul suo social Truth attacca chiunque: Biden «corrotto, controllato dalla Cina, candidato della Manciuria ». La procuratrice Willis, figlia di un fondatore dei Black Panther, «estremista di sinistra».
E il dipartimento di Giustizia che «criminalizza il discorso politico». Davanti alle ultime accuse formulate ad Atlanta, basate pure su 12 tweet da lui scritti dopo le elezioni, la sua difesa ora mira a puntare sulla «libertà d’espressione protetta dal Primo Emendamento della Costituzione». Ma intanto Trump lunedì ha organizzato una conferenza stampa nel suo resort di Bedminster, in New Jersey, promettendo nuove prove sulle frodi elettorali in Georgia, nonostante più di un tribunale abbia già dichiarato quel voto legittimo, col concreto rischio di aggravare la sua posizione. Sì, la crociata contro i giudici è appena cominciata.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
LE REAZIONI ALLE AFFERMAZIONI RAZZISTE DELL’ EX CAPO DEI PARACADUTISTI
«Il Generale Vannacci ha espresso opinioni che screditano l’Esercito, la Difesa e la Costituzione. Per questo sarà avviato dalla Difesa l’esame disciplinare previsto».
Lo ha dichiarato il ministro della difesa Guido Crosetto in merito alle affermazioni contenute nel libro autoprodotto dal generale dell’esercito italiano Roberto Vannacci.
Attualmente alla guida dell’Istituto geografico militare ed ex capo dei paracadutisti della Folgore, ne Il mondo al contrario il militare dà spazio a frasi apertamente omofobe e razziste.
Affermazioni che hanno scatenato la reazione dei partiti di centrosinistra, dell’Anpi e anche dell’Esercito italiano, che ha preso le distanze da quanto contenuto nel libro.
In una nota ufficiale, vengono definite «considerazioni del tutto personali» e contro le quali la Forza Armata si riserva di intervenire con «l’adozione di ogni eventuale provvedimento utile a tutelare la propria immagine». E dopo le sollecitazioni dell’opposizione, è arrivato il tweet di Crosetto, che ha bollato quelle frasi come farneticazioni personali di un Generale in servizio, che non possono però essere utilizzate per «polemizzare con la Difesa e le Forze Armate».
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
NEL SUO LIBRO FRASI CONTRO PAOLA EGONU E I GIOVANI CHE SI PREOCCUPANO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO… “RIVENDICO IL DIRITTO AL DISPREZZO”: TRANQUILLO, CONTRACCAMBIAMO… L’ESERCITO PRENDE LE DISTANZE
«Cari omosessuali, non siete normali, fatevene una ragione». È solo una delle tante sparate di stampo omofobo che si leggono nel libro (autoprodotto) del generale dell’esercito italiano Roberto Vannacci.
Già a capo dei paracadutisti della Folgore e oggi alla guida dell’Istituto geografico militare, Vannacci imbarazza l’esercito (e non solo) scrivendo: «Se non è nella natura dell’uomo essere cannibale, perché dovrebbe esserlo per il diritto alla genitorialità? Le coppe arcobaleno non sono normali. La normalità è l’eterosessualità. Se a voi tutto sembra normale, invece, è colpa delle trame della lobby gay internazionale».
Il titolo del libro è Il mondo al contrario e già in apertura l’autore ne dà spiegazione: a suo dire, le minoranze «stanno imponendo discutibili regole di inclusione e tolleranza». E si schiera totalmente contro al presunto «lavaggio del cervello di chi vorrebbe favorire l’eliminazione di ogni differenza compresa quella tra etnie, per non chiamarle razze».
Il razzismo contro Paola Egonu (e non solo)
Razzismo, omofobia ed estremismo regnano sovrani tra le righe di Vannacci. «Patria, sacrificio, gavetta e merito», sono i valori che secondo il generale sono venuti a mancare nella società attuale. E ci tiene bene a evidenziare la differenza tra lui che avrebbe «gocce del sangue di Enea, Romolo, Giulio Cesare, Mazzini e Garibaldi nelle vene» e determinati venditori ambulanti che «vendono ciarpame».
Non solo una questione di status sociale o economica, a rincarare e precisare la dose di razzismo è anche l’attacco alla campionessa azzurra di Volley, Paola Egonu: «Italiana di cittadinanza, ma è evidente che i suoi tratti somatici non rappresentano l’italianità».
Vannacci non risparmia nessuno. Senza timore e prudenza alcuna va all’attacco anche dell’ambientalismo perché – scrive ancora nel libro – «i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e gli altri Paesi inquinano più di noi. È la povertà e il sottosviluppo a produrre più di ogni altro l’inquinamento».
Non sorprende che, se queste sono basi di partenza, il generale non ne voglia sapere neanche di ecoansia. «Alla volubile ragazza dai lunghi capelli mori, la meteoropatica ambientalista che frignava di fronte al ministro Gilberto Pichetto Fratin, alla tenera figliuola che sembra uscita dalla saga della famiglia Adams», Vannacci dispensa uno «spassionato consiglio per utilizzare meglio le scariche di andrenalina indotte da questa sua paura per i cambiamenti climatici».
Non specifica quale, ma è chiaro tra le righe l’intento diffamatorio e sessista.
Un libro delirante che l’Esercito ha deciso di condannare nell’immediato. «La Forza Armata prende le distanze dalle considerazioni del tutto personali (come precisato nel testo) espresse dall’Ufficiale. Si precisa che l’Esercito non era a conoscenza dei contenuti espressi in esso e che gli stessi non erano mai stati sottoposti ad alcuna autorizzazione e valutazione da parte dei vertici militari», fanno sapere in una nota. «In tal senso – concludono – l’Esercito si riserva l’adozione di ogni eventuale provvedimento utile a tutelare la propria immagine».
Intanto, Vannacci nel suo libro ha già dichiarato quanto pensa in merito a contenuti e toni considerati offensivi: «Se questa è l’era dei diritti allora rivendico a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute».
Nel frattempo, l’Anpi chiede la rimozione di Vannacci dal suo incarico e le forze politiche iniziano a sollecitare un intervento del ministro della Difesa Guido Crosetto.
(da Open)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
TUTTI I DATI: IL CONFRONTO CON SPAGNA, FRANCIA, GERMANIA E REGNO UNITO… SOLO IN ITALIA COMPENSI FINO A 19.000 EURO AL MESE, 3.000 IN PIU’ DELLA FRANCIA (SECONDI)
Piero Fassino se ne lamenta, ma sulla base del suo criterio di stipendio parlamentare, l’Italia è al primo posto in Europa. La classifica è stata stilata qualche anno fa, nel 2016, dall’Aalep, un’associazione di diritto belga che riunisce i lobbisti di livello “senior” che rappresentano interessi presso le istituzioni dell’Unione europea. Si tratta di voci che nel frattempo sono state aggiornate, ma di poco, come vedremo nei casi specifici di Spagna, Francia e Germania.
I numeri europei Nell’inchiesta del 2016
L’Italia con i 10.435 lordi mensili di indennità di base ai suoi deputati si colloca al primo posto tra tutti gli stati europei compresa, all’epoca dell’inchiesta di Aalep, la Gran Bretagna. Staccava di poco l’Austria, 10.134 euro, e poi i più grandi stati europei. La Germania era al terzo posto con 9.082 euro mensili (ripetiamo, lordi), la Danimarca con 7.835 al quarto e poi l’Olanda (7.481), la Gran Bretagna (7.394), l’Irlanda (7.271), il Belgio (7.172), la Francia (7.143) e al decimo posto il Lussemburgo (6.739). Agli ultimi posti della classifica si trovano diversi Stati dell’est come ad esempio la Romania, ultima con 1.195 euro: ma in questo caso lo stipendio è 6,3 volte il salario minimo mentre la Germania ha un rapporto di sei a uno.
L’Aalep stila infatti anche una classifica in rapporto al salario minimo in cui al primo posto balza l’Estonia (10 volte), poi la Bulgaria (8,8), la Lituania (8,7), la Lettonia (7,6). L’Italia non avendo un salario minimo non compare in questa classifica, ma ipotizzando l’approvazione di una legge che fissi a 9 euro lordi l’ora la paga minima legale, si troverebbe al nono posto con un rapporto tra stipendio parlamentare e salario minimo di 6,5 volte.
Oltre l’indennità Il caso italia: 19 mila euro
La classifica si riferisce all’indennità di base che, vista la complessità di calcolo delle varie indennità nei vari Paesi, consente una comparazione adeguata. Ma in Italia a questa base si aggiunge la “diaria”, il rimborso delle spese di soggiorno a Roma che è fissata in 3.503,11 euro e che viene decurtata di 206,58 euro “per ogni giorno di assenza del deputato dalle sedute dell’Assemblea in cui si svolgono votazioni con il procedimento elettronico”. L’assenza però non scatta se il deputato o la deputata partecipa “almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell’arco della giornata”.
C’è poi una terza voce a comporre lo “stipendio” parlamentare ed è il “rimborso delle spese per l’esercizio del mandato”, e che andrebbe spesa per stipendiare i collaboratori. Ammonta a 3.690 euro al mese. Il deputato può decidere di destinare l’intera quota del rimborso (ovvero il 50% o il 75% dello stesso) alla assunzione di uno o due collaboratori. In tal caso, la Camera provvede al pagamento diretto. Ma se il deputato decide di non avvalersi di questa facoltà ottiene direttamente il rimborso dovendone rendicontare solo il 50%. C’è poi anche il rimborso per le spese di trasporto e di viaggio che ammonta a 3.323,70 o 3.995,10 trimestrali a seconda che la distanza da Roma sia inferiore o superiore ai 100 chilometri: significa un emolumento di 1.107 o di 1.331 euro al mese oltre alla gratuità di tutti gli spostamenti in treno, aereo o autostradale. E poi, ciliegina sulla torta, un rimborso di 1.200 euro annui per le spese telefoniche, 100 euro al mese. Sommando il tutto viene fuori un compenso complessivo mensile, lordo, per i deputati pari a 19.059,11 (nel caso di una residenza di distanza inferiore ai 100 chilometri da Roma scende a 18.8835,11).
Analizzando nel dettaglio i dati forniti dai siti delle assemblee parlamentari di quattro grandi Paesi europei il confronto sembra sempre favorevole all’Italia.
La Francia: Non più di 16 mila euro
In Francia l’indennità parlamentare comprende tre elementi: di base, di residenza e di funzione. L’indennità di base dal 1 luglio 2023 è salita a 5.907,34 euro lordi (quasi la metà di quella italiana) e fa da riferimento per le altre due, costituendo il 3% della prima e il 25% della indennità di base. Alla paga base di 5.907,34 euro si sommano così 177,22 euro (il 3%) di indennità di residenza e 1.521,14 (il 25%) di indennità di funzione. Compenso lordo mensile complessivo pari a 7.605,70 (rispetto alla classifica Aalep del 2016 è un po’ salito). Il sito dell’Assemblea nazionale specifica poi le ritenute: 825,22 euro mensili per la Cassa pensioni; 737,76 euro come contribuzione sociale generalizzata; 76,06 euro per il fondo di disoccupazione dei deputati (Famdre); 38,03 come contributo a titolo di transizione professionale. Resta così un “netto mensile di 5.928,63” a cui aggiungere 5.645 euro per le spese “legate all’esercito del mandato” mentre il pagamento dei collaboratori riguarda direttamente l’Assemblea che stanzia 11.118 euro per ogni deputato. Ma una parte di quel fondo può essere ceduto al gruppo parlamentare sovrapponendosi così ai fondi che in Italia sono stanziati direttamente ai gruppi per il loro funzionamento.
Esistono poi in Francia le facilitazioni per i viaggi e per le spese telefoniche, ma in termini di viaggi gratuiti sulla rete metropolitana e ferroviaria, mentre i viaggi in taxi o auto a noleggio sono rimborsati con presentazione del giustificativo. Per i trasporti aerei, invece, si hanno a disposizione 80 passaggi tra Parigi e la circoscrizione elettorale di appartenenza, 12 voli per le altre destinazioni. Infine c’è un fondo a disposizione per rimborsi spese per sostegni materiali destinati “a facilitare l’esercizio del mandato”: si tratta di un credito messo a disposizione del deputato che anticipa le spese e ottiene poi il rimborso nei limiti di 18.950 euro annui. In questo fondo possono rientrare anche spese di taxi, telefoniche, di stampa e comunicazione parlamentare. I deputati hanno la possibilità di dormire nel proprio ufficio, quelli residenti fuori Parigi dispongono di 51 camere presso la Residenza dell’Assemblea nazionale e se questa è completa possono beneficiare di un rimborso hotel di 200 euro a notte oppure di 1200 euro mensili come rimborso per un alloggio ma solo se non hanno a disposizione nessun altro mezzo. Il totale delle varie indennità ammonta a 14.829,16 euro, se si considerano anche i 1200 euro per un eventuale alloggio si sale a poco più di 16 mila euro, ben al di sotto dell’indennità lorda complessiva italiana.
La Gran Bretagna: Dal 2011 regole severe
In Gran Bretagna l’indennità di base dei deputati è fissata dal 1 aprile 2023 in 86.584 sterline annue, 7.215 al mese che al cambio attuale consistono in 8.350 euro. Le indennità aggiuntive, per sostenere l’ufficio, vivere a Londra, viaggi e altre necessità, sono rigidamente fissate da un organismo indipendente, l’Independent Parliamentary Standards Authority (IPSA)insediato a partire dal 2011 dopo lo scandalo degli stipendi e spese d’oro scoppiato nel 2009. I documenti con cui l’Ipsa fissa ogni anno le regole di rimborso, le varie indennità e i criteri con cui queste vengono corrisposte sono complicatissimi, le regole per ottenere i vari rimborsi – alloggio fuori dalla propria residenza (esclusi per i parlamentari londinesi), vivere a Londra, rimborso per spese di cura (figli o disabili), sostentamento, ufficio – molto dettagliate e severe. Queste voci oscillano tra le 53 mila e le 66 mila sterline annue, quindi 6-6500 euro mensili, a cui si aggiungono le somme stanziate per l’assunzione dello staff, operazione gestita direttamente dall’Ipsa. Sommate all’indennità base portano l’emolumento complessivo mensile lordo a 14.350-14.800 euro. Come nel caso francese non esiste nemmeno in Gran Bretagna la “diaria” che, come si può capire, fa un po’ la differenza nel caso italiano.
La Spagna: Parlamentari “poveri”
Le indennità in Spagna sono invece fissate da ciascuna Camera. Per quanto riguarda il Congreso de los diputados anche qui alla “asignaciòn” di base si aggiungono sostegni e indennizzi per spese “indispensabili al compimento della funzione”. L’asignaciòn di base, identica per tutti i deputati, ammonta a 3.126,89 euro mensili oltre a eventuali addizionali per funzioni specifiche. Scatta poi un’indennità di 2.008,61 euro per deputati provenienti da circoscrizioni esterne a Madrid che scende a 958,75 euro per gli eletti della capitale. Questa quota è esente da tributi e contributi. Le spese di trasporto sono a carico del Congresso e in caso di utilizzo della propria vettura corrispondono a 0,25 euro a chilometro in alternativa delle quali, per eventuali spese di taxi nella città di Madrid, si può ottenere una carta personalizzata dal valore di 3.000 euro annui. Esiste poi una diaria per i viaggi espressamente autorizzati dalla presidenza e che consistono in 150 euro giornalieri per viaggi all’estero e 120 euro per viaggi nazionali. L’ammontare complessivo è quindi distante anni luce dai compensi italiani.
La Germania: 15.300, tutto incluso
Al Bundestag tedesco, infine, dal1° luglio 2023, il compenso dei parlamentari è di 10.591,70 euro al mese soggetto all’imposta sul reddito. Al compenso si aggiunge un’indennità di spesa esentasse in via forfettaria che è attualmente di 4.725,48 euro al mese, portando l’indennità complessiva a 15.317,18. Dall’indennità di spesa devono essere coperte tutte le spese sostenute per l’esercizio del mandato: dall’ufficio del collegio elettorale al secondo luogo di residenza a Berlino, alle forniture d’ufficio nel collegio elettorale e ai costi di sostegno al collegio elettorale. Semplice da spiegare, facile da capire, in stile tedesco.
Anche in questo caso, molto al di sotto del compenso totale dei parlamentari italiani.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
IL PROPRIETARIO DEL BABA BEACH DI ALASSIO CONTRO I COLLEGHI: “GIUSTO VERSARE IL 10% DEL FATTURATO, NON HO PAURA DELLA CONCORRENZA STRANIERA, BISOGNA FARE INVESTIMENTI NON VIVERE DI RENDITA”
Chiara Ferragni è la più popolare tra gli attuali clienti della spiaggia. L’Augustus Beach Club di Forte dei Marmi ha sempre accolto i figli del tempo. Quando l’onda della moda suonava il rock psichedelico, ecco Jimi Hendrix. Quando era il cinema a battere il ritmo, venivano Charlton Heston, Vittorio Gassman e Mario Monicelli. Oggi sono molti i Vip protetti dalla privacy del luogo, di cui non sapremo mai i nomi. Giacomo Maschietto, l’amministratore delegato di questa eredità di famiglia che ruota intorno al lussuoso Augustus Hotel, non sembra spaventato dalla rivoluzione che attende il mondo degli stabilimenti balneari.
“Riteniamo che sia corretto che lo Stato abbia dalle concessioni demaniali un introito congruo – dice Maschietto a Today.it –. Quello che è importante oggi è avere presto regole chiare sullo svolgimento delle gare. Ma auspichiamo che, come è stato più volte ipotizzato, gli investimenti fatti negli anni vengano riconosciuti”. L’appello è al governo e alle decisioni che prenderà Giorgia Meloni.
La società che gestisce il resort ha dichiarato nel 2022 un fatturato di 12 milioni, con utili di oltre un milione. “Ma il fatturato deriva per la maggior parte dall’hotel – fa sapere lo staff dell’Augustus Beach Club –. La spiaggia contribuisce per circa il dieci per cento”.
Il canone annuo di concessione versato allo Stato per l’occupazione e l’uso di un tratto di costa è di 18.500 euro: corrisponde quindi all’1,5 per cento dell’incasso prodotto in un anno, secondo la società di gestione, dalle attività in riva al mare.
Allo Stato l’uno per cento
Confrontando i dati registrati dal ministero delle Infrastrutture con i bilanci depositati, il Twiga di Flavio Briatore a Marina di Pietrasanta, sempre in Toscana, per la concessione della spiaggia paga lo 0,29 per cento del fatturato dell’azienda.
Il Papeete Beach a Milano Marittima, lanciato dalle vacanze del ministro Matteo Salvini nel 2019, versa lo 0,33. In Puglia e Sardegna si scende rispettivamente allo 0,28 e al record nazionale dello 0,03 per cento dell’incasso di un anno.
Come nel caso dell’Hotel Romazzino ad Arzachena in Costa Smeralda. Ma trattandosi di un resort, le entrate della spiaggia andrebbero scorporate dal resto.
La percentuale sul fatturato dell’affitto, che ogni stabilimento balneare paga allo Stato, può essere un buon metro di misura per valutare se cifre così basse siano giuste o superate. Un confronto andrebbe fatto con quanto pagano di locazione commercianti e ristoratori.
Il ragionamento lo riassume così Andrea Della Valle, proprietario e amministratore in Liguria del Baba Beach di Alassio, elegante resort con vista sull’isola Gallinara: “Un imprenditore con un’attività commerciale, negozio o ristorante che sia, è disposto a pagare come affitto una percentuale che varia tra il 10 e il 15 per cento del fatturato previsto. Dipende poi dai margini – spiega Della Valle –. Il paragone bisogna farlo con quanto versa come affitto annuale un ristorante in una zona importante e, tra l’altro, senza avere i margini di guadagno di una spiaggia. Se si applica lo stesso ragionamento alle concessioni demaniali, se le concessioni andassero all’asta, un nuovo concessionario potrebbe infatti offrire allo Stato il 10-15 per cento del fatturato da lui previsto, che potrebbe essere molto più alto di quello attuale. Quindi, per ogni milione di fatturato, un canone di 100-150 mila euro è economicamente fattibile, a fronte dei tipici tremila-cinquemila euro attuali”.
Il Baba Beach quest’anno ha versato 12 mila euro di concessione: l’1,3 per cento del fatturato di 868 mila euro, più un canone equivalente alle Ferrovie dello Stato. Anche se dalla cifra, come per l’Augustus di Forte dei Marmi, andrebbero distinte le ricadute del ristorante e del resort, che comunque traggono più valore proprio dalla presenza della spiaggia.
I commercianti sborsano di più
Applicando la stessa regola economica che vale per negozi e ristoranti, l’affitto pagato allo Stato dal Twiga di Flavio Briatore dovrebbe aumentare da 23.984 euro l’anno a 820 mila euro, facendo un calcolo sul dieci per cento del suo fatturato di 8,2 milioni nel 2022.
Il Papeete lanciato da Matteo Salvini dai 10.061 euro attuali andrebbe a versare 300 mila euro. I dati di partenza sono quelli che abbiamo scoperto nella nostra inchiesta di Ferragosto.
La differenza tra il canone di concessione effettivamente pagato e l’ipotetico aggiornamento evidenzia la gravità delle perdite in tutta Italia: denaro che ogni anno viene sottratto ai bilanci dello Stato.
Questi abbondanti margini permettono a molti gestori di lavorare soltanto da aprile a settembre, con picchi di attività da giugno ad agosto. E di vivere di rendita per il resto dell’anno. Ma non tutti fanno così e, soprattutto, la pensano allo stesso modo.
Resort come l’Augustus Hotel di Forte dei Marmi e il Baba Beach di Alassio prolungano l’attività il più possibile per tutto l’anno. Ovviamente bisogna inventarsi nuovi servizi per attrarre i clienti fuori stagione.
“Non credo che con le gare ci sia l’assalto delle multinazionali straniere – spiega Andrea Della Valle –. Le nostre concessioni interessano piuttosto i proprietari degli alberghi, che vorrebbero così ottenere un accesso al mare per migliorare la loro offerta”.
Con l’aumento dei canoni di concessione non c’è il rischio che i nuovi costi vengano scaricati sui turisti, che già questa estate in molte località italiane hanno avuto la sensazione di essere stati letteralmente spolpati? “Ci sarà sicuramente un aumento della qualità del servizio – risponde Della Valle – perché l’imprenditore dovrà conquistare sia la nuova sia la vecchia clientela. Ma l’aumento dipenderà dal modello di business: se sarà una spiaggia low cost o luxury”.
Così resiste il Baba Beach
Con i fenomeni meteorologici sempre più violenti, i gestori degli stabilimenti balneari sono spesso l’ultima frontiera contro l’erosione delle coste. La Liguria ha subito danni enormi nell’autunno 2018.
“La spiaggia che ho in concessione era già protetta da barriere. Ma non sono bastate a fermare la grande mareggiata di quell’anno. Quindi – racconta il proprietario del Baba Beach di Alassio – ho speso un milione e quattrocento mila euro per realizzare due barriere più lunghe e larghe e per il ripascimento della sabbia, trasportata da ben 500 viaggi di Tir. È un investimento su un bene demaniale, di cui trae beneficio la collettività, che ho sostenuto totalmente di tasca mia. Per questo la direttiva Bolkenstein non mi spaventa”.
Perché non la spaventa? “Perché il mio stabilimento balneare fattura circa un milione di euro l’anno e ha tre milioni di investimenti non ammortizzati – dice Andrea Della Valle –. Quanti parteciperanno alle gare, dovranno riconoscere e compensare gli investimenti dei concessionari uscenti. Per questo io ho continuato a investire. Era l’unica strada intelligente per tutelarsi dalle gare: se vincerà un nuovo concessionario, dovrà compensarmi tutto quanto. Sulle spiagge italiane ci sono anche casi virtuosi di imprenditori che investono, invece di puntare a rinnovi decennali delle autorizzazioni senza fare nulla. Forse i colleghi spaventati dalle gare sono proprio quelli che hanno dichiarato poco. E investono ancora di meno”.
(da today.it)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
NEW YORK TIMES ED EL PAIS CONTRO I MEDIA ITALIANI, PRONI AL GOVERNO SOVRANISTA
Tutto ruota attorno a un grande equivoco: prima delle urne tutti erano pronti a mettere in guardia davanti al pericolo che l’estrema destra arrivasse al potere. E ora, invece, pare che gli stessi siano convinti del cambio di paradigma della stessa Giorgia Meloni: da populista a pragmatica, da vicina agli ambienti di destra a filo-atlantista.
È una narrazione, questa, che sembra quasi che in Italia vada per la maggiore. Quasi come se la stampa si fosse “melonizzata”. Per carità, non è la prima volta che le grosse galassie dell’informazione diventino d’improvviso accondiscendenti col potente di turno.
Ad accorgersene, però, non siamo noi nel nostro Paese, quanto cronisti ed editorialisti esteri. Che un giorno sì e l’altro pure dedicano inchiostro e carta al nostro governo.
Uno degli interventi più piccati, a luglio, è stato quello di David Broder, che su Giorgia Meloni ha scritto anche un libro – Mussolini’s Grandchildren – oltre che un urticante editoriale sul New York Times dal titolo piuttosto eloquente: “What’s Happening in Italy Is Scary, and It’s Spreading;”. Tradotto: “Quel che accade in Italia è spaventoso, e dilaga”.
Il ragionamento di Broder è molto chiaro: “Lodata per la sua praticità e il suo sostegno all’Ucraina, la Meloni si è affermata come partner occidentale affidabile, centrale sia per le riunioni del Gruppo dei 7 che per i vertici della Nato”, scrive l’editorialista.
Eppure “l’amministrazione della signora Meloni ha trascorso i suoi primi mesi accusando le minoranze di minare la triade di Dio, patria e famiglia, con terribili conseguenze pratiche per migranti, Ong e genitori dello stesso sesso. Gli sforzi per indebolire la legislazione anti-tortura, ammucchiare l’emittente pubblica con i lealisti e riscrivere la Costituzione italiana del dopoguerra per aumentare il potere esecutivo sono altrettanto preoccupanti. Il governo della Meloni non è solo nativista, ma ha anche una forte vena autoritaria”.
Parole, queste, che forse nessuno in Italia ha osato scrivere o pronunciare. Ma il ragionamento di Broder si spinge ancora oltre. Perché quello che accade in Italia ha delle ripercussioni anche oltreconfine: “Mostra come l’estrema destra possa abbattere barriere storiche con il centrodestra”.
TELEMELONI, DAGLI USA ALLA SPAGNA
Un ragionamento, questo, che non si è fatto solo negli Stati Uniti, ma anche in Spagna. Daniel Verdú, che è il corrispondente di El País, nei giorni delle elezioni spagnole lo ha anche denunciato pubblicamente: “Certo che è curioso, il Corriere chiama ultradestra Vox, ma non Meloni. L’ultradestra è sempre quella degli altri!”. Dettagli, a quanto pare. Al di là delle precisazioni (che sarebbero dovute), in Italia pare si voglia far finta di nulla. E così si accetta di tutto. Anche che la presidente del Consiglio non organizzi conferenze stampa per presentare i provvedimenti. E che i giornali – anche quelli più titolati – pubblichino lettere integrali proprio a quei leader che invece sono restii a farsi intervistare.
Non a caso, mentre Verdú evidenzia, come detto, le scelte di campo semantiche – l’estrema destra che in Italia viene presentata come moderata, conservatrice o “centrista” – Jacopo Barigazzi di Politico Europe lancia l’allerta proprio sulla mancanza di dialogo. Il 12 agosto Barigazzi da Bruxelles è arrivato a rivolgersi direttamente – su Twitter – al Corriere, come ricordava qualche giorno fa Domani: “Caro Corriere, potresti per favore smetterla di pubblicare lettere di Meloni, che molto raramente accetta interviste? Lasciare che il potere tratti i giornali come una casella di posta non aiuta la democrazia”.
INTERVISTE FOTOCOPIA
Risultato? Passano solo pochi giorni e i principali quotidiani italiani – Corriere, Repubblica, La Stampa – pubblicano tre interviste fotocopia alla presidente del Consiglio. Tre interviste che evidentemente sono state concordate, le cui domande sono state decise preventivamente e che magari è stata realizzata per iscritto dal responsabile comunicazione delle premier. Cosa vuol dire tutto questo? Che non c’è stato alcun contraddittorio. E che tutte le domande più scomode non sono state fatte. E anche se sono state fatte, la possibilità di rispondere per iscritto consente di ragionare, soppesare, mediare. Insomma, tutto ciò che non dovrebbe accadere durante un’intervista.
E a rimetterci, evidentemente, è stata anche la premier. Interviste di questo tipo non possono non far pensare che qualche domanda “scomoda” magari sia stata cancellata, cassata, sbianchettata. Ovviamente i protagonisti diranno che questo non è accaduto, ma il dubbio – legittimo – non può che restare. E, seconda cosa, è un danno per la premier stessa perché gli unici che accettano di fare interviste in questo modo sono ovviamente solo coloro che devono nascondere qualcosa o che non vogliono emerga qualcosa di sconveniente. Quale delle due?
TELEMELONI SENZA RITEGNO
Non che poi in televisione vada diversamente. Se sulla stampa finiscono le lettere-monologo, sulla tv pubblica dell’era Meloni capita che vada in onda mezz’ora di video preconfezionato. La messa in onda – senza intermediazione giornalistica – di 27 minuti di “Appunti di Giorgia” ha scatenato la protesta del comitato di redazione di RaiNews24. Ma è solo uno degli ultimi casi. Basta consultare i puntuali e mensili report stilati dall’Agcom per rendersi conto del peso che ha oggi la Meloni soprattutto sulle reti Rai. E non solo. L’ultimo dossier (che copre il periodo 1 – 30 giugno) ci dice che la Meloni è indiscutibilmente il personaggio politico più presente in Tv su tutte le reti televisive, da Rai1 a Italia1.
Sempre al primo posto. Con distacchi in alcuni casi sovietici. Curioso, per dire, il caso del Tg1. La Meloni ha avuto diritto di parola nei telegiornali della prima rete per 22 minuti e rotti. Al secondo posto c’è Sergio Mattarella (14 minuti), seguito poi da Antonio Tajani (11 minuti), e Silvio Berlusconi (10 minuti). Per trovare un personaggio dell’opposizione – nella fattispecie Elly Schlein – bisogna scendere alla sesta posizione con soltanto 7 minuti e rotti. Non cambia la musica al Tg2, con la premier presente per ben 25 minuti contro gli 11 della Schlein. Il caso più emblematico, però, riguarda ancora RaiNews24. La premier ha avuto copertura per la bellezza di 3 ore e 5 minuti. Al secondo posto troviamo ancora Mattarella ma con 1 ora e 11 minuti. E questo vale per i Tg. E per i programmi extra-Tg? Stessa musica: su RaiNews la premier è prima con altre 2 ore e 21 minuti (il secondo ha avuto “solo” 40 minuti di spazio).
(da La Notizia)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
LEI E’ LA COMPAGNA DEL FIGLIO…. LE OPPOSIZIONI: “E’ UNA TELENOVELA SUDAMERICANA”
Il Comune di Imperia assume nuovo personale, ripescando a scorrimento gli esclusi di un concorso della Provincia. In lista c’è un nome che fa parlare la città: quello di Benedetta Papone, compagna del figlio di Claudio Scajola.
Per la cronaca, Scajola non è solo il sindaco di Imperia, ma anche il presidente della Provincia. Ecco perché la vicenda, di cui al momento non è contestata la regolarità, sta facendo discutere sotto un altro profilo, quello dell’opportunità.
Benedetta Papone, legata sentimentalmente a Pier Carlo Scajola, è assessore del piccolo Comune di Pontedassio. Il 12 agosto del 2022 aveva partecipato a un concorso indetto dalla Provincia di Imperia per per coprire tre posti a tempo indeterminato. Vengono valutati titoli ed esami. Si presentano in 191 e Papone non passa: arriva quindicesima. Viene comunque inserita in un lista di 24 idonei.
A decidere i punteggi è una commissione presieduta dalla dirigente Rosa Puglia: oltre a essere segretaria generale del Comune di Imperia, figura di fiducia del sindaco, Puglia è anche la massima carica amministrativa della Provincia. Da una parte e dall’altra il datore di lavoro è sempre lo stesso: Claudio Scajola.
Il cerchio si chiude il 13 giugno scorso, quando è il Comune ad aver bisogno di personale. E invece di indire un nuovo bando, chiede alla Provincia di poter attingere alle graduatorie del suo bando: il sindaco Scajola domanda insomma il permesso al presidente della Provincia, cioè se stesso.
La graduatoria nel frattempo è arrivata all’undicesimo candidato: otto sono entrati in Provincia, due hanno rinunciato. Si arriva insomma al quindicesimo nome, ufficializzato ieri, quella di Benedetta Papone, che sarà assegnata alla segreteria generale: dipenderà cioè dalla dirigente Puglia, e lavorerà a stretto contatto con il suocero-sindaco. “L’amministrazione – spiega il Comune di Imperia in una nota diffusa da Imperia Post – ha stipulato nel 2022 un’intesa con la Provincia finalizzata alla gestione di selezioni uniche per la formazione di elenchi di idonei all’assunzione”.
Tutto regolare insomma, ma l’opposizione non ci sta: “È uno scandalo – protesta Ivan Bracco, ex candidato sindaco – Non contestiamo il profilo della candidata, ma l’opportunità della vicenda. Più che un concorso sembra una telenovela sudamericana”.
Nel frattempo, a fine luglio, la famiglia Scajola, padre e figlio e rispettive consorti, è partita per il Portogallo. Il Fatto ha chiesto quindi un commento all’ufficio stampa di Scajola, ricevendo questa risposta: “Siamo in vacanza”.
(da il Fatto Quotidiano)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
IL PASSO IN AVANTI DI SANCHEZ VERSO IL NUOVO GOVERNO
Con la maggioranza assoluta di 178 voti a favore su 350 totali, la socialista Francina Armengol – ex governatrice delle Isole Baleari – è stata eletta nuova presidente del Congresso dei deputati spagnolo. Decisivo il sostegno dei sette deputati di Junts per Catalunya, la coalizione secessionista catalana di cui fa parte anche l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, e di Esquerra Republicana.
Anche se sia Junts che Erc hanno precisato che l’accordo raggiunto sul nome di Armengol è limitato solo ed esclusivamente alla presidenza del Congresso, il voto di oggi si qualifica come un importante passaggio che facilita la formazione di un nuovo esecutivo di coalizione guidato da Pedro Sanchez.
In caso contrario, il rischio sarebbe stato una ripetizione delle elezioni. L’incarico di presidente del Senato spagnolo ora è, invece, nelle mani del popolare Pedro Rollán, l’esponente del partito di centrodestra che ha ottenuto la carica grazie ai voti della propria formazione, che ha la maggioranza assoluta in questa Camera. Una votazione, quindi, senza sorprese.
(da agenzie)
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Agosto 17th, 2023 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DELLA SANITA’: “TAGLIEREMO LE GAMBE AI TRAFFICANTI”… PER USO PRIVATO I MAGGIORENNI POTRANNO POSSEDERE FINO A 25 GRAMMI
Il governo tedesco ha approvato ieri – giovedì, 16 agosto – il progetto di legge per la legalizzazione parziale della coltivazione e del consumo di cannabis in Germania. Dovrà passare ora in parlamento, ma potrebbe entrare in vigore già il primo gennaio 2024. La proposta, presentata dal ministro della Sanità Karl Lauterbach (Spd), del governo di Olaf Scholz, prevede che tutti i maggiorenni siano autorizzati a possedere fino a 25 grammi di cannabis. Ma anche a coltivarne fino a un massimo di tre piante e ad acquistarne fino a 50 grammi al mese in determinati luoghi. Lo scopo, stando alle parole di Lauterbach, è «stroncare il commercio illegale e tagliare le gambe ai trafficanti». Attualmente in Germania l’uso della cannabis è autorizzato solo a scopo terapeutico, ma è vietato a scopo ricreativo.
Cosa prevede il progetto di legge
Secondo il progetto del ministro della Salute, la coltivazione della pianta dovrebbe essere permessa in appositi locali definiti «cannabis-club» e formati al massimo da 500 persone. Con consegne limitate a 25 grammi al giorno e 50 grammi al mese per i membri. Che dovranno però fumare altrove e non nelle vicinanze di scuole, strutture sportive o parchi giochi. In una seconda fase, inoltre, i negozi specializzati e selezionati della città saranno autorizzati alla vendita. La proposta di legge prevede inoltre una campagna di sensibilizzazione rivolta ai giovani con lo slogan «Legale, ma…», per sottolineare i pericoli per la salute derivanti dal consumo di cannabis, soprattutto fino ai 25 anni di età. «La protezione dei bambini e dei giovani è una componente centrale dell’intera proposta legislativa», ha sottolineato il ministero della Salute.
Le polemiche
Il primo via libera al disegno di legge è stato accompagnato da una serie di polemiche molte dure. Il ministro-presidente della Baviera, Markus Soeder della Csu, ha scritto che il piano del governo è un «pericolo per la salute». Aggiungendo: «Con noi, nessuna legalizzazione». Mentre il ministro dell’Interno della Sassonia, Armin Schuster della Cdu, ha parlato del pericolo di una «completa perdita di controllo» da parte dell’esecutivo semaforo. Il progetto di Berlino sulla cannabis produce «un mostro burocratico di primo grado. Che porterà a una perdita di controllo nella realtà. A causa della sua eccessiva complessità», ha detto su Ntv il presidente del sindacato di polizia tedesco DPolG, Rainer Wendt. Secondo cui «non si può parlare di un alleggerimento del lavoro della polizia e della magistratura». Nonostante le critiche, il medico e politico socialdemocratico sembra più che determinato. E si dichiara convinto che la legge tedesca sull’uso della controversa pianta sarà la migliore mai provata tra i Paesi che abbiano sperimentato questa strada.
(da agenzie)
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