Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
“SE RENZI PORRA’ LA FIDUCIA VOTERO’ CONTRO”
Lei è in commissione, si farà sostituire in quanto espressione della minoranza Pd, dunque contrario all’Italicum, onorevole Alfredo D’Attore?
«No, non intendo farmi sostituire volontariamente. Ho presentato alcuni emendamenti e, come ho chiarito al vice-capogruppo vicario, intendo sostenerli in commissione. E come me altri colleghi»
Pensa che alla fine il governo metterà davvero la fiducia?
«Io considero grave il solo fatto che faccia aleggiare questa ipotesi: già questo mi pare una forma di pressione del tutto impropria sul Parlamento. L’esasperazione di un ruolo invasivo ed esorbitante che il governo ha esercitato nell’iter delle riforme. La fiducia segnerebbe una lacerazione politica e istituzionale dalle conseguenze imprevedibili»
Non temete di essere additati come vetero conservatori?
Credo che questo giochino mediatico sia abbastanza logoro e non funzioni più. Lo dimostra la confusione apertasi nel governo a proposito della possibilità di modificare l’articolo 2 della riforma costituzionale, relativo alla composizione del Senato. Oggi Renzi e la Boschi dovrebbero riconoscere che avevano ragione quanti nel Pd si sono battuti alla Camera per cambiare quell’articolo e migliorare la riforma».
Lei come voterà in caso di fiducia?
«Do per scontato che non si arrivi a un atto che ha pochissimi e oscuri precedenti. In linea di principio, personalmente, non darei la fiducia neppure a un governo che la ponesse su una legge elettorale da me condivisa ».
(da “La Repubblica”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
TRA I DEPUTATI A RISCHIO ANCHE BINDI, BERSANI E CUPERLO, CHE AVVERTE: “CON LA FIDUCIA, LEGISLATURA A RISCHIO”
La telefonata è arrivata nei giorni scorsi: «Come pensi di orientarti nei voti in Commissione?».
A un capo del filo, a porre la domanda, il vicepresidente vicario del gruppo del Pd, Ettore Rosato, reggente della numerosa truppa dei dem dopo le dimissioni del capogruppo Roberto Speranza; dall’altro, uno per uno ognuno dei membri «dissidenti» del Pd in Commissione affari costituzionali della Camera, lì dove oggi si comincia a discutere la riforma elettorale.
E dove il Pd, su 50 membri, ne conta 23, ma di questi ben 11 della minoranza critica con l’Italicum: abbastanza per mandare sotto il governo se decidessero di non votare secondo le indicazioni del partito
Per questo, la telefonata di Rosato: per verificare chi proprio non è disponibile a votare la riforma e procedere, stasera in una riunione dell’Ufficio di presidenza del partito, a sostituirlo con altri deputati.
Scelta che venne fatta già sulla legge costituzionale in Senato, quando a essere sostituito fu Mineo.
Stavolta, però, dalle risposte che Rosato ha ricevuto, si tratta di ben altre proporzioni: sette-otto deputati da rimuovere, forse addirittura dieci, quasi la metà del gruppo Pd. Tra i candidati più accreditati a perdere (temporaneamente) il posto in Commissione sono Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Barbara Pollastrini, Alfredo D’Attorre, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca; buone probabilità , ma verrà deciso oggi coi diretti interessati, anche per Roberta Agostini, Marilena Fabbri e Marco Meloni.
E poi c’è Pierluigi Bersani, così critico con la legge che, anticipò, forse avrebbe fatto lui richiesta in questo senso.
«È una scelta politicamente pesantissima, che deriva dalla drammatizzazione che Renzi ha voluto dare alla vicenda», commenta Pippo Civati.
«Ma diciamo la verità — scherza — se potesse, Renzi li sostituirebbe anche in Aula: e non è detto che non lo farà , quando ci saranno da fare le liste…».
Altrettanto critico Stefano Fassina, che lo definisce un «atto politico estremamente rilevante», la cui gravità «si misurerà dalla possibilità di presentare o meno emendamenti in Aula».
Tra i diretti interessati, invece, c’è grande cautela. O rassegnata consapevolezza: «Sapevo di andare incontro alla sostituzione quando ho presentato due emendamenti e non faccio resistenza», sospira la Bindi, anche se certo, sottolinea, «non esistono precedenti» di una sostituzione di massa. La linea che si sono dati è il basso profilo: riconoscere che è nelle prerogative del gruppo fare sostituzioni, non fare polemiche, poi «le valutazioni politiche le faremo dopo», si limita a dire D’Attorre.
Quando, da lunedì 27, la battaglia sarà in Aula.
«Antidemocratico» è chi non rispetta «espressioni di volontà come le primarie o le decisioni degli organi del partito», dice Renzi.
Che non esclude il voto di fiducia: «Uno strappo grave», gli ha ripetuto in un incontro a Palazzo Chigi, mercoledì scorso, Gianni Cuperlo.
Prima di aggiungere ieri in tv che la fiducia rischierebbe nientemeno che di «instradare la legislatura sul binario di un suo esaurimento».
E portare dritti alle urne.
Nel mirino Anche Pier Luigi Bersani, tra i «big» della dissidenza del Partito Democratico, potrebbe essere sostituito in commissione Affari Costituzionali a causa della sua opposizione all’Italicum.
Francesca Schianchi
(da “La Stampa”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
SONDAGGIO IPR: CRESCE IL CONSENSO MEDIO DEI SINDACI
A livello generale emerge che dopo anni di flessione, torna a crescere il consenso medio dei sindaci (53,4%).
Nel dettaglio colpisce particolarmente vedere in fondo alla classifica sul gradimento le prime città italiane, Bologna, Napoli, Milano e Roma.
È una debacle per gli amministratori dei principali Comuni: ad eccezione di Dario Nardella, sindaco di Firenze che addirittura vince la classifica del sondaggio Ipr Marketing per il Sole 24 Ore, e di Piero Fassino, che guadagna consensi e resta nella top ten, per Virginio Merola, Luigi De Magistris, Giuliano Pisapia e Ignazio Marino sono dolori.
Il Sole 24 Ore segnala come rilevante quel punto in più di crescita di consenso medio per i primi cittadini d’Italia.
Una conquista piccola, ma non trascurabile, perchè avviene in tempo di crisi economica e mareggiate di antipolitica, perchè è tempo di tagli e tasse.
A crescere sono i sindaci dei capoluoghi di Provincia, le città medie, spesso del nord, ma anche del sud.
L’inversione di rotta avviene anche perchè unidici mesi fa hanno cambiato giunte e consigli oltre 4 mila Comuni, con un’informata di giovani amministratori, dal punto di vista anagrafico o politico, che ancora godono della loro luna di miele con gli elettori. “La nuova graduatoria – conferma Antonio Noto di Ipr Marketing – è figlia del sentimento politico che ha guidato gli italiani nell’ultimo anno, dominato dalla richiesta di cambiamento”.
Un volto nuovo guida la classifica.
È Dario Nardella, successore di Matteo Renzi a Palazzo Vecchio: il sindaco di Firenze ottiene il 65% dei consensi, quasi 6 punti in più rispetto all’elezione.
Appena più sotto Antonio Decaro, primo cittadino di Bari, che ha tuttavia visto già erodere parte del gradimento, cedendo quasi un punto e mezzo rispetto all’elezione al 64%.
Al terzo gradino del podio l’ex renziano di ferro Giorgio Gori, che in undici mesi da sindaco di Bergamo ha visto il suo gradimento crescere di quasi 10 punti al 63%.
Da sottolineare anche la quarta posizione, di Giorgio Falcomatà , sindaco di Reggio Calabria, che ottiene il 62%.
Nella Top Ten c’è anche Piero Fassino, primo cittadino torinese, eletto nel 2011, ma forte di un gradimento in crescita, che supera il 60%.
Per gli amministratori delle altre grandi città , mala tempora currunt.
Leoluca Orlando, primo cittadino di Palermo, è al 43° posto: se il consenso al momento della sua elezione, nel 2012, era pari al 72,4%, nell’ultima rilevazione di Ipr Marketing il dato è 17 punti inferiore, al 55%.
A Napoli Luigi De Magistris registra un gradimento del 52,5% e si piazza al posto numero 58, con un consenso in calo di quasi 13 punti rispetto al momento dell’elezione nel 2011.
Stessa posizione per Marco Doria, amministratore di Genova, che cede 7 punti al 52,5%.
Bisogna scendere fino alla posizione 67 per trovare Giuliano Pisapia, sindaco della Milano dell’Expo, che dal momento della sua elezione ha visto erodersi il proprio consenso di oltre 4 punti al 51%.
Meno di un romano su due, per l’esattezza il 49,5% esprime gradimento invece per Ignazio Marino, addirittura all’82° posto, ben 14 punti e mezzo in meno rispetto al consenso registrato nel giorno della sua elezione.
Infine, al quartultimo posto, posizione numero 98, si trova Virginio Merola, sindaco di Bologna, ex fiore all’occhiello dell’amministrazione di sinistra, con sei punti di consenso persi e un gradimento fermo al 44%.
Da evidenziare infine la performance dei primi cittadini a 5 Stelle.
Sono al 43° posto sia Federico Pizzarotti, sindaco di Parma (-5 punti dall’elezione al 55%), sia Federico Piccitto, primo cittadino di Ragusa (-14,4 punti al 55%), mentre il livornese Filippo Nogarin è al 76° posto, con 3 punti in meno al 50%.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
UOMINI, DONNE E BAMBINI INGHIOTTITI DALL’INDIFFERENZA… IL DOLORE BOLLATO COME BUONISMO MENTRE I RIMEDI SONO SOLO BLOCCHI E RESPINGIMENTI
Il Mediterraneo trasformato in una fossa comune. Oltre novecento morti. Morti senza storia, morti di nessuno.
Scomparsi nel nostro mare e presto cancellati dalle nostre coscienze. È successo ieri, un barcone che si rovescia, i migranti – cioè persone, uomini, donne, bambini – che vengono inghiottiti e diventano fantasmi.
Ma sappiamo già che succederà anche domani. E tra una settimana. E tra un mese. Spostando la nostra emozione fino all’indifferenza.
Ripeti una notizia tutti i giorni, con le stesse parole, gli stessi toni, anche accorati e dolenti, e avrai ottenuto lo scopo di non farla ascoltare più. Quella storia non avrà attenzione, sembrerà sempre la stessa. Sarà sempre la stessa. “Morti sui barconi”.
Qualcosa che conta per gli addetti ai lavori, storia per le associazioni, disperazione invisibile
Adesso, proprio adesso, ne stiamo parlando solo perchè i morti sono 900 o forse più: cifra smisurata, disumana. Se ha ancora senso questa parola. Continuiamo a non sapere nulla di loro, ma siamo obbligati a fare i conti con la tragedia.
Fare i conti: perchè sempre e solo di numeri parliamo.
Fossero mancati due zeri al bollettino di morte non l’avremmo neppure “sentita”. Perchè ormai è solo una questione di numeri (o dettagli drammatici come “migranti cristiani spinti in mare da musulmani”) che fa la differenza.
Non per i singoli individui, non per le sensibilità private, ma per la comunità che dovremmo rappresentare, che dovrebbe rappresentarci. Perchè all’indifferenza personale, persino comprensibile, si affianca sul piano politico una gazzarra di dichiarazioni: litigi, accuse, toni violentissimi.
Nessuno riesce a fare ciò di cui abbiamo più bisogno: far capire.
Pochi si impegnano: Medici senza frontiere con la campagna #milionidipassi cerca di raccontare, evitando di ridurre queste persone al loro problema. Cioè a «profughi, clandestini, extracomunitari »: parole che lasciano diluire la specificità umana per farci sentire meno lo spreco infinito dinanzi alla tragedia.
Molti politici, anche in questo momento, gridano. Salvini parla di «invasione», quando invece la maggior parte di chi arriva non resta affatto in Italia ma va in Francia, in Germania o nei paesi dell’est.
Il M5S che nelle sue proposte aveva aperto un dibattito interessante, purtroppo si è lasciato tentare dallo spostare il baricentro della questione dal «salvare vite » a «l’espulsione», assumendo quella falsa logica per cui più si rende difficile l’entrata clandestina in Italia meno tentativi di raggiungere le nostre coste ci saranno.
Non è così, non si salvano vite irrigidendo le frontiere e non solo l’esperienza italiana l’ha mostrato, ma anche quella americana.
Basta leggere il libro “La Bestia” di Martinez per comprendere come i flussi clandestini dal Messico agli Usa sono raramente gestibili e non fermabili.
Il punto è che il primo obiettivo dovrebbe essere quello: salvare delle vite, prendersene cura. Invece si è riusciti a far diventare questa volontà come ridicola, romantica, naif.
Qualunque riflessione sul dolore degli altri, di chi arriva da un “sottomondo”, deve essere contenuta. C’è un’economia nella sofferenza. Chi valuta il dolore, chi misura la tragedia umana, chi cerca di svegliare il torpore della conta degli affogati è iscritto di diritto al movimento “buonista”.
“Buonista” è l’accusa di chi non vuol spender tempo a capire e ha già la soluzione: respingimenti, arresti, blocchi.
Un miscuglio di frustrazione personale che cerca il responsabile del proprio disagio, una voglia di considerare realistica e vincente solo la soluzione più autoritaria. La bontà considerata come sentimento ipocrita per definizione.
E, cosa assai peggiore, una qualità morale che può avere solo l’uomo perfetto, candido, puro: quindi nessuno se non i morti, la cui vita è trasfigurata e le cui azioni sono già spese.
Chiunque cerchi, nella sua umana imperfezione, di agire diversamente è marchiato con un giudizio unico: falso. La bontà diviene quindi sentimento senza cittadinanza, ridicolo, proprio perchè non può essere compiuto se non nella rotonda perfezione.
Questo è il cinismo miope, che liquida tutto con solerte sarcasmo
Ovvio che razionalmente non è immaginabile una smisurata accoglienza universale, senza regole, ma la strada intrapresa delle mezze concessioni e dai mezzi respingimenti non regge più.
Il peso politico che avremmo dovuto avere essendo Stato-cerniera non c’è stato riconosciuto. Dovevamo pretendere di scontrarci sul tema immigrazione con il resto dell’Europa. Dovevamo pretendere di essere ascoltati, senza che “il problema” venisse scaricato su di noi, delegato a noi.
La perenne campagna elettorale di Renzi, che sul piano internazionale sembra più voler acquistare una credibilità diplomatica piuttosto che porre e imporre temi, non ci sta aiutando ma ci sembra ingeneroso dare a questo governo ogni responsabilità .
L’Europa colpevolmente tace, possiamo però tentare di cambiare le cose. Possiamo impegnarci a interpretare, a raccontare, a non permettere che queste vite siano schiacciate e sprecate in questo modo. Che siano lasciate indietro, tanto indietro da sparire dalla nostra vista. Diventando un fantasma, uno stereotipo, un fastidio.
Inventarci percorsi laterali, chiamare a raccolta tutta la creatività possibile.
Parlarne in tv e sul web ma in modo diverso: come dicevamo “profugo” o “clandestino” sono termini che diluiscono la specificità umana costruendo una distanza irreale che abbassa il volume all’empatia.
Dobbiamo chiedere ai partiti di candidare donne e uomini che vengono da quest’esperienza, aprire loro le università .
Tutto questo diminuirà il consenso politico con la solfa del «prima noi e poi loro»? Probabilmente sì, accadrà questo. Ma solo nella prima fase ben presto ci si accorgerà dell’enorme beneficio che avremmo.
La storia degli sbarchi e dei flussi di migranti deve diventare un tema che il governo sentirà fondamentale per il suo consenso.
Renzi e il suo governo sono solleciti a rispondere quando un tema diventa mediatico e popolare: se percepiscono che il giudizio su di loro sarà determinato dal problema migrazione inizieranno a sparigliare, a trovare nuova strategia ad avere nuovi sguardi.
Il semestre italiano in Europa è stato una profonda delusione, in termini di proposte sui flussi dei capitali criminali (era l’occasione per porre il tema del riciclaggio) e in termini di emigrazione. Ma in questo momento inutile rimpiangere il non fatto è necessario che l’Europa decida in maniera diversa. Dare spazio non episodico alle vicende dei migranti. La tv li accolga, cominciando a pronunciare bene i loro nomi e quelli delle loro nazioni, raccontando il loro quotidiano e la loro resistenza.
Gli unici che in queste ore rappresentano ciò che l’Europa dovrebbe essere sono gli italiani, i molti italiani che salvano vite tutti i giorni rischiando di violare leggi.
La figura che sintetizza questi italiani colmi di onore è descritta dal pescatore Ernesto nel bellissimo film “Terraferma” di Crialese che viola l’ordine della Capitaneria di tenersi con il suo peschereccio lontano da un gommone rispondendo con un semplice , umano e potente: «Io gente in mare non ne ho lassata mai».
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
IN GERMANIA E IN SVIZZERA NOI SIAMO COME I TURCHI E I MAROCCHINI
Oltre novecento persone morte in un barcone, in viaggio dalla Libia verso la Sicilia. Sparite in fondo al mare. Insieme ad altre migliaia, vittime di molti altri naufragi. Accomunate e travolte dalla stessa disperazione. Che spinge ad affrontare il mare “nemico” per sfuggire alla fame, alla miseria, alla violenza.
Oggi: alla guerra. Più che di “migrazione”, si tratta di “fuga”. Anche se noi percepiamo la “misura” della tragedia solo quando i numeri sono “smisurati”.
Salvo assuefarci anche ad essi. Ed è questo, come ho già scritto, che mi fa più paura. L’abitudine. La distanza da una tragedia che, invece, è a due passi da noi.
La tentazione di “piegarla” e di “spiegarla” in chiave politica. Per guadagnare voti. Eppure le migrazioni sono un fenomeno ricorrente. Tanto più e soprattutto in fasi di cambiamento e di trasformazione violenta (in ogni senso), come questa. Allora, le popolazioni si “mobilitano”, alla ricerca di nuove e diverse condizioni di vita.
È capitato a noi italiani, lo sappiamo bene. In passato, ma anche oggi. Soprattutto ai più giovani.
D’altronde, due italiani su tre pensano che i loro figli, per fare carriera, se ne debbano andare all’estero (Osservatorio Europeo sulla Sicurezza, curato da Demos e Osservatorio di Pavia per Fondazione Unipolis). Come, puntualmente, avviene. Infatti, l’Italia è al quinto posto in Europa, come Paese di immigrazione.
Dopo Gran Bretagna, Germania, Spagna e Francia.
Ma – il fenomeno è meno noto – è al quarto posto come Paese di “emigrazione”.
Gli stranieri che vivono – e lavorano – in un Paese dell’Ue sono infatti soprattutto turchi, marocchini, rumeni e, appunto, italiani.
In Germania, Svizzera e Francia, dunque, noi siamo come i marocchini e i turchi. Proprio per questo, peraltro, le paure sono, al proposito, comprensibili.
La xenofobia, letteralmente: paura dello straniero, riflette l’impatto con un fenomeno nuovo. Che si è sviluppato in modo rapido e violento.
Secondo il Centro Studi e Ricerche Idos, gli stranieri in posizione regolare, alla fine del 2013, erano circa 5 milioni e 440 mila. Cioè, l’8% della popolazione.
Con un aumento rispetto all’anno precedente di circa il 4%.
In confronto al 2004, quando gli immigrati erano meno di 2 milioni, significa un aumento di quasi tre volte. E di 4, rispetto al 2001.
Il nostro paesaggio sociale e demografico, dunque, è cambiato profondamente e molto in fretta. Difficile che questo avvenga senza fratture, senza reazioni.
Tuttavia, nonostante tutto, la società italiana si è adattata. Per necessità , ovviamente, visto che gli occupati stranieri sono 2,4 milioni, oltre il 10% del totale, mentre nel 2001 erano solo il 3,2%.
Ma anche perchè ha cominciato ad abituarsi alle diversità , alle differenze etniche e culturali. Come altrove si sono abituati a noi, in passato.
Anche se la recente Indagine dell’Osservatorio sulla sicurezza in Europa (febbraio 2015), condotta da Demos (insieme all’Osservatorio di Pavia e alla Fondazione Unipolis), rileva un deterioramento degli atteggiamenti verso i migranti, in Italia.
Più di un italiano su tre percepisce, infatti, gli immigrati come un “pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone” (33%).
Tuttavia, occorre rammentare che, fra il 2007 e il 2009, questo indice aveva proporzioni ben diverse: fra il 45 e il 50%.
Da allora l’immigrazione non ha smesso di crescere. Ma è cambiato l’approccio. Da parte della società , anzitutto. Perchè, come si è detto, ci siamo abituati agli “altri intorno a noi”.
E abbiamo cominciato, per questo, a percepirli come “altri noi”. Così, la diffidenza ha cominciato a declinare.
Per altro verso, è cambiata la narrazione del fenomeno da parte dei media.
Come ha sottolineato l’Osservatorio di Pavia, negli ultimi anni le notizie sull’immigrazione, sui notiziari di prima serata delle principali reti nazionali, continuano ad essere numerose: 1007 notizie nel 2013 e 901 nel 2014.
Ma, soprattutto dopo la visita di papa Francesco a Lampedusa, nel 2013, i sopravvissuti al mare diventano “migranti” e non più “clandestini”.
E le ordinarie storie di intolleranza, raccontate in precedenza, lasciano il passo a storie di solidarietà , altrettanto ordinarie. Dai luoghi dei naufragi. Lo stesso avverrà , sicuramente, anche questa volta.
Vale la pena di aggiungere, ancora, che l’immigrazione è vissuta come un problema anche altrove. In Europa.
L’immigrazione è, infatti, considerata una delle due principali emergenze dal 13% degli italiani (Pragma per l’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza in Europa), ma da quasi il 50% in Gran Bretagna e in Germania.
D’altronde, da noi l’immigrazione è sempre più di “passaggio”. Verso altri Paesi che offrono prospettive di lavoro migliori.
Perchè l’immigrazione, non dobbiamo dimenticarlo, può essere fonte di preoccupazione, ma è, comunque, un indice di sviluppo.
Quando gli immigrati cominciano ad andarsene, come effettivamente avviene da qualche tempo, è perchè il nostro mercato del lavoro non è più in grado di attrarli e di assorbirli.
Tuttavia, ieri come oggi, in Italia come altrove, gli immigrati possono essere una risorsa politica. Soprattutto in tempo di campagna elettorale.
Un argomento agitato da imprenditori politici della paura, per tradurre l’insicurezza – e le vittime degli scafisti – in voti.
Il Front National, in Francia. Ukip di Farage, in Gran Bretagna. La Lega di Salvini, in Italia. Così diversi eppure così vicini. Nel segno dell’Anti-europeismo e della paura degli altri. Ma invocare blocchi navali e respingimenti, di fronte a tragedie immense, come quella avvenuta ieri nel mare di Sicilia, non è in-umano. È semplicemente ir-reale.
Come se fosse possibile – oltre che giusto – fermare la fuga dalla guerra e dal terrore che ci assediano. A pochi chilometri da noi. Ma l’unico modo per fermare i disperati che, a migliaia, si dirigono verso le nostre coste – e, a migliaia, muoiono nel viaggio. Ostaggi di mercanti di morte.
L’unico modo possibile per respingerli, per tenerli lontani da noi: è chiudere gli occhi. Fingere che non esistano. Rinunciare alla compassione verso gli altri.
Non avere pietà di noi stessi.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
E A RENZI ARRIVA L’ABBRACCIO DELLA MORTE DI BERLUSCONI
“Perchè la chiarezza e la verità superino le strumentalizzazioni e la demagogia su temi di una gravità inaudita, è bene ricordare che durante l’operazione Mare Nostrum i morti in mare sono stati circa 3.500”.
Per una dichiarazione pubblica del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, bisogna aspettare fino a sera.
E il titolare del Viminale, il responsabile formalmente delle politiche dell’immigrazione sembra avere un solo scopo: l’autodifesa.
Nessun brivido di pietà umana, e tanto meno una strategia presente o futura.
Solo la rivendicazione del passaggio da Mare Nostrum a Triton. In due anni di vita, Alfano ha superato indenne il passaggio da Letta a Renzi, varie mozioni di sfiducia e diverse dimostrazioni di impotenza/ incompetenza. E anche questa volta potrebbe non smentirsi.
La questione è complessa, la tragedia è ovviamente troppo grande per cercare un unico responsabile (come tutto il Pd compatto si affretta a ribadire dando degli “sciacalli” a chi invoca dimissioni). Ma di certo le politiche del governo in tema di immigrazione sono state quanto meno fallimentari. I fatti parlano.
“Il problema non è il controllo del mare, ma distruggere i trafficanti di uomini, i nuovi schiavisti del XXI secolo”. Dopo la conferenza stampa che segue il vertice convocato d’urgenza a Palazzo Chigi, Matteo Renzi consegna a una serie di Tweet il suo accorato appello contro gli scafisti.
Con un improvviso cambio di priorità , il problema non è più il controllo del mare, ma quello che succede prima.
Peccato che Alfano quasi solo su questo abbia messo la faccia. Dal governo trasuda impotenza. Le soluzioni non ci sono. E Renzi lo sa.
L’Europa non si fa carico della situazione e con la Libia esplosa non c’è modo di gestire i migranti, sono i ragionamenti che fa con i fedelissimi.
In particolare sulla Libia, il premier, a parte un appoggio tanto pronto quanto generico da parte di Obama, non ha incassato nulla.
Quanto meno nessuna disponibilità ad un eventuale intervento armato (ammesso che sarebbe la soluzione giusta).
Alfano ha fortemente rivendicato la scelta di Triton. “In un anno la missione Mare Nostrum è costata agli italiani 114 milioni di euro, centomila euro al giorno — diceva non più tardi dell’ottobre scorso —Da ora in poi però la missione non costerà un solo euro agli italiani”. Trionfalismi: con la missione Triton succede che “per la prima volta l’Europa scende in mare e lo presidia”.
Insomma, nonostante il semestre a guida italiana, Alfano non è riuscito a ottenere dalla Ue quasi nulla per garantire l’accoglienza dei profughi.
L’unico risultato conquistato è stato quello di risparmiare sui fondi, perchè Triton è a carico soprattutto delle casse di Bruxelles.
Anche per questo l’ex delfino condannava Berlusconi che “nel 2011 trasformò Lampedusa in un disastro colossale”.
Un’altra prova per un ministro chebrilla per assenza: dal caso Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, accusata di essere entrata illegalmente in Italia ed espulsa insieme alla figlia di 6 anni senza che il Viminale ne venisse informato, alle cariche della polizia al corteo degli operai Ast di ottobre.
Lo stesso Alfano aveva suggerito l’ipotesi di far fare domanda d’asilo ai migranti direttamente nei campi profughi africani.
Ipotesi che in un’intervista a Vita tre giorni fa il Direttore dell’uf — ficio OIM (organizzazione internazionale per le migrazioni) per l’Unione Europea bollava come non praticabile.
Ieri Renzi ha parlato anche con Lady Pesc, Federica Mogherini.
Così scriveva un “padre nobile” della politica italiana, Pier Luigi Castagnetti, in un tweet: “@FedericaMog utilizzi anche le sue dimissioni per scuotere quest’Europa e aprire crisi formale Commissione nel caso inerzia”.
A proposito di ministri invisibili. Mentre ci sono politici che ci tengono a essere visibili.
Come Silvio Berlusconi, che al premier ha mandato un remo.
Un simbolo: “Di fronte a quest’ultima tragedia basta con le accuse e le contrapposizioni. Occorre costituire immediatamente un tavolo tra tutti i protagonisti dei governi passati e presenti dove ciascuno possa mettere a disposizione le proprie esperienze per porre fine a queste sciagure”.
Eccolo, nero su bianco, l’abbraccio della morte: la rivendicazione della continuità delle politiche migratorie.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
AVANTI TUTTA, GUAI AD AMMETTERE DI AVER SBAGLIATO A SOSPENDERE MARE NOSTRUM
Quaranta minuti, giusto il tempo per guardare in faccia i suoi ministri Alfano, Pinotti, Delrio e Gentiloni, e il capo degli 007 Massolo e quello della Polizia Pansa, e poi giù di corsa ad affrontare i giornalisti.
Renzi non perde tempo, dopo che ha annullato tutti gli impegni elettorali, perchè tanto quello che ha da dire non cambia di una virgola la linea del governo sull’immigrazione.
Anche se ci sono 700 morti in fondo al mare, anche se “li andremo a prendere, per dare loro almeno una degna sepoltura”. Il premier è chiaro: Triton non si tocca, Mare Nostrum era solo un provvedimento “tampone, provvisorio” e la tragedia è avvenuta “in presenza, non in assenza di una nave di soccorso”.
Quindi bando alle polemiche: “Chi ora dice ‘se ci fosse stato Mare Nostrum…’ dice una cosa che non sta nè in cielo nè in terra”. Posizione di difesa, posizione prevedibile.
Ancora una volta, e non senza ragione, si rimanda all’Europa: “L’Italia chiede che si svolga il prima possibile un Consiglio europeo straordinario, perchè non può non esserci quella solidarietà e quella vicinanza che l’Europa ha mostrato in altre occasioni”.
Quali non si sa, visto che l’accusa mossa all’Unione, da sempre, è di essersi voltata dall’altra parte rispetto a un fenomeno che chiamare “emergenza” è diventato ridicolo. Ma Renzi, forte dell’eco mediatica positiva che la visita negli Usa gli ha garantito, deve tentare di portare a casa il risultato e già oggi sarà a Malta per incontrare il suo omologo dell’isola.
Il premier sa bene che il blocco navale invocato da alcuni esponenti della destra non è una soluzione. “Va capito come lo si fa — ha detto —, se fatto in certi modi può fare un favore a scafisti, perchè sei costretto a prendere i profughi, e finirebbe per essere un servizio taxi”.
Se invece ci si riferisce a un blocco delle partenze dalla terraferma, “stante alla situazione attuale sarebbe impossibile farlo in Libia”.
Abbiamo già provato una volta a respingere le persone e non ci è andata troppo bene. E dunque, almeno per quelli che riescono ad arrivare, potrebbero essere allestite tensostrutture nei porti o adattate caserme dismesse.
Il punto politico, però, è un altro. Il punto è difendere la scelta di aver fatto morire Mare Nostrum dopo un anno di vite salvate.
Mare Nostrum era nato sull’onda emotiva della strage del 3 ottobre 2013 di Lampedusa: l’immagine delle 366 bare sistemate una accanto all’altra aveva fatto il giro del mondo e l’allora premier Letta aveva optato per una misura imponente.
Il provvedimento “tampone” — come lo chiamato Renzi —, operativo da ottobre 2013 a novembre 2014, secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha consentito di far arrivare in Italia, sane e salve, 150 mila persone, molte delle quali richiedenti asilo. Nello stesso periodo le vittime sono state 3.500, un numero che sembra contenuto se si pensa che solo nei primi mesi di quest’anno, con la tragedia di ieri, siamo già arrivati a quota 1.600 morti.
Ma a guidare la decisione della coppia Renzi-Alfano, sono stati altri numeri. Quando tutti gli indicatori socio-economici dicevano che il fenomeno migratorio era lungi dal considerarsi in diminuzione, le casse vuote dello Stato hanno fatto la differenza.
Mare Nostrum costava nove milioni e mezzo di euro al mese, Triton ne costa tre e viene finanziata con fondi europei.
I conti della serva, fatti sulla vita — e sulla morte — di chi scappa dalla guerra e dalla fame.
“La strada è occuparsene in Europa sempre meglio e di più — pontificava il governo —. L’Italia ha già fatto quello che era possibile”.
Mare Nostrum doveva chiudere, lo voleva Salvini “Così si finanziano gli scafisti e l’invasione delle nostre case”), lo voleva Gasparri (“La Marina si è trasformata in un traghetto per clandestini”).
Ecco perchè Renzi ieri non poteva che proseguire sulla stessa rotta. Perchè dopo aver sostenuto sei mesi fa che “il problema non è Mare Nostrum o Triton, il punto politico è risolvere il problema in Libia”, non poteva mostrare di aver cambiato idea.
Ora proverà a battere i pugni in Europa, che come sempre piangerà i morti e il giorno dopo fingerà di non aver visto.
Forse, quando a fine ottobre 2014, per giustificare il passaggio a Triton, il ministro Alfano sosteneva che “l’Europa per la prima volta scende in mare” si riferiva davvero al fondo del Mediterraneo.
Silvia D’Onghia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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