Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
L’INVITO DELLA MELONI AD ACCONTENTARSI DI UNA LIBERTA’ PARZIALE PARTE DALLA STESSA PERSONA CHE HA LOTTATO PER NEGARLA: E’ PURA IPOCRISIA
Se Rosa Parks si fosse accontentata del suo posto in fondo all’autobus niente sarebbe cambiato, invece Rosa Parks andò a sedersi davanti, nel posto riservato ai bianchi, pensa tu che signora impertinente questa Rosa Parks, vero Giorgia Meloni?
Se poi lo sciopero degli autobus a Montgomery fosse durato un giorno o due, niente sarebbe mutato; invece durò 382 giorni consecutivi e mandò al collasso il servizio dei trasporti, e funzionò.
Se invece che i Pride per le strade, fossero stati organizzati dei gruppi privati su WhatsApp, o avessimo ascoltato Giorgia Meloni che oggi dice “accontentatevi”, non avremmo avuto neanche le unioni civili. Che però non sono sufficienti, non è abbastanza riconoscere metà diritti e poi dire: “Ma come, ne vuoi ancora?”
I diritti non sono un piatto di pastasciutta, che dopo un po’ basta perché si è sazi. Ci si deve accontentare perché troppi carboidrati possono fare male. I diritti stanno insieme, si tengono per mano e quando i tempi sono bui, le mani devono stringersi più forte.
Giorgia Meloni e i difensori dell’immobilismo dovrebbero sapere che la richiesta di diritti è sempre, per sua natura, una forzatura dell’esistente. Non si attende che una porta che ti trovi chiusa in faccia si apra bussando, altrimenti sarebbe una concessione. Le porte chiuse davanti alla possibilità della propria e dell’altrui libertà, storicamente sono sempre state scardinate. E per farlo è necessario ribaltare paradigmi che fino a quel momento sembravano impossibili da modificare.
Giorgia Meloni, te lo spiego semplice: ai diritti mozzati manca un pezzo, e il pezzo che manca non è “dai, accontentati”. Se il diritto alla libertà non è completo, significa che non si è completamente liberi.
Due diritti meno uno, non fa “devo accontentarmi”.
Facciamo un passo indietro: le unioni civili sono state, questo sì, una rivoluzione, anche se siamo stati fra gli ultimi in Europa a renderle legge. Diciamo che sono state la rivoluzione di quel fanalino di coda che era ormai diventata l’Italia, ma sono state effettivamente una rivoluzione perché oggi neanche l’onnipotente Giorgia Meloni data dai sondaggi al 150% accenna alla possibilità di cancellarle. Però le unioni civili non bastano, furono allora un compromesso ma non è questo un lamento. Semplicemente, non sono sufficienti.
Rimane ad esempio impossibile l’adozione, oppure rimangono impossibili la paternità o la maternità condivise senza ricorrere a un tribunale. Stessa cosa se uno dei due genitori morisse, l’affidamento all’altro non sarebbe per niente automatico; oppure rimane impossibile in caso di separazione non consensuale dei genitori l’affidamento del figlio adottato (all’estero) a entrambi.
Certamente, rispetto a far sbranare le persone gay dai leoni al Colosseo, è un bel passo avanti. Anche rispetto alle camere a gas, oppure alle purghe. Però per stare meglio, per evolversi come umanità, non bisogna guardare “a quando si stava peggio”, soprattutto se a farlo sono esattamente gli eredi di quel peggio, però lustrati a nuovo.
“Chi s’accontenta gode” non è la risposta a un’esigenza di futuro, tant’è che il proverbio era usato più per evitare proteste – o tenere il cane al guinzaglio, direbbero alcuni – che per imparare a ricacciare l’avidità nel sacco del diavolo. Io sono d’accordo però con l’impianto successivo: “Chi s’accontenta gode così così”. La frase è di un filosofo moderno, li chiamano cantanti e lui si chiama Luciano Ligabue.
La strada dei diritti è solcata da tanti “ma chi te lo fa fare”, oppure “dai, accontentati”, e oggi anche da un grande “hai già le unioni civili”. Ma nessun ostacolo, per quanto la strada sia lunga e gli ostacoli possano rallentare il cammino, sarà in grado di far cambiare direzione alla Storia, è questa la risposta che dovremmo dare a chi chiede diritti.
(da Fanpage)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
SE LE FAMIGLIE E LE IMPRESE SOFFRONO LA COLPA È DI PUTIN, NON CERTO DI BRUXELLES COME INVECE QUALCUNO VORREBBE FAR CREDERE” (SALVINI)… MATTARELLA AVVERTE CHE LA ‘PUNTUALE ATTUAZIONE’ DEL PNRR RIMANE DECISIVA
Sui costi dell’energia nessuno può farcela da solo. L’aumento «vertiginoso» dei prezzi richiede che l’Unione sappia mostrarsi veramente tale, sostiene il presidente della Repubblica.
E tra quanti hanno ascoltato il suo messaggio al Forum Ambrosetti, molti vi avranno colto un appello accorato, un pressante invito a superare di slancio certi «meccanismi irragionevoli» (leggi il mercato virtuale del gas con sede ad Amsterdam, dove la speculazione impazza) e alcuni evidenti «squilibri» tra i vari Paesi europei (con le quotazioni alle stelle c’è chi ci guadagna a scapito degli altri).
Per farla breve: un intervento presidenziale di chiaro e trasparente sostegno all’azione del governo Draghi, dimissionario ma tuttora in prima linea nella battaglia per fissare un «price cap» continentale contro ogni tentativo di speculazione.
Sergio Mattarella gli rinnova il proprio forte apprezzamento. Ma nel suo messaggio a Cernobbio c’è dell’altro. A quelli con la memoria corta il capo dello Stato rammenta chi, intenzionalmente, ha provocato questo «drammatico impatto dei prezzi»: cioè la Federazione russa che, scatenando la sua guerra di aggressione, era ben «consapevole delle gravi ripercussioni sulla vita dell’Europa e del mondo intero».
Se le famiglie e le imprese soffrono i prezzi dell’energia la colpa è di Vladimir Putin, non certo di Bruxelles come invece qualcuno vorrebbe far credere nel tentativo di rovesciare le vere responsabilità.
Una puntualizzazione che non fa venir meno l’impegno di Mattarella a tenersi lontanissimo dalla mischia elettorale, ma certo non suona estranea al dibattito politico in corso dove proprio partiti e personaggi notoriamente scettici nei confronti dell’Unione oggi pretendono che questa intervenga senza indugio.
Altro spunto tra le righe là dove Mattarella avverte che la «puntuale attuazione» del Pnrr rimane decisiva; per incassare i miliardi Ue occorre «continuare su quella strada» senza smantellare l’impianto (significativo che pure Fratelli d’Italia, con Raffaele Fitto, lo riconosca) specie per quanto riguarda le politiche energetiche e quelle ambientali. Il futuro dev’ essere verde. Per cui dobbiamo liberarci dalla dipendenza russa; ma con un «salto in avanti» verso le rinnovabili. Indietro non si può tornare.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
SILVIO BERLUSCONI OSSERVA E SPERA NEL MIRACOLO, UN RISULTATO SOPRA IL 9 PER CENTO CHE POTREBBE PERMETTERGLI DI ROMPERE IL CENTRODESTRA E METTERSI AL CENTRO DELL’ENNESIMA OPERAZIONE DI LARGHE INTESE
Giorgia Meloni sta diventando Luigi Di Maio senza neppure attraversare la fase dei proclami dal balcone o delle richieste di impeachment per il presidente della Repubblica.
L’arrivo oggi al più stanco dei rituali estivi dell’establishment italiano, il meeting di Cernobbio sul lago di Como, sancisce il tentativo della leader di Fratelli d’Italia di conquistare il potere per cooptazione, invece che con una scalata ostile. L’approccio non può che piacere a un sistema economico che preferisce la trasmissione dinastica della gestione aziendale e i patti di sindacato alle competizioni aperte per il controllo delle aziende.
«Credo di essere pronta a governare questa nazione. La domanda è se gli italiani sono pronti a sperimentare un nuovo governo, che non rende conto a nessuno se non al popolo italiano», diceva l’altro giorno Giorgia Meloni a Cagliari.
La seconda metà dello slogan è una precisazione non richiesta che finisce per indicare il problema, invece che nasconderlo: da quando ha iniziato a fiutare la vittoria, Meloni ha iniziato a rispondere ai poteri di ogni genere, in attesa del 25 settembre quando dovrà rispondere anche al popolo italiano.
Le sanzioni alla Russia
Basta vedere il posizionamento sulle sanzioni alla Russia: negli anni dopo l’annessione della Crimea del 2014, Giorgia Meloni era contraria alle sanzioni «che massacrano il Made in Italy» e che l’Italia adotta sotto il «ricatto di Bruxelles». Oggi assicura invece che le sanzioni sono «lo strumento più efficace che ci sia, però uno strumento ancora più efficace è liberarsi dalla dipendenza energetica russa: questa è una priorità per fermare la guerra in Ucraina».
Matteo Salvini ha fiutato lo spazio politico scoperto nella vasta area di destra anti-americana e filorussa e subito ha spostato la Lega sulle antiche e ormai impresentabili posizioni putiniane: «Ci stanno rimettendo gli italiani e ci stanno guadagnando i russi». Con una certa coerenza, Salvini chiede anche nuovo deficit per 30 miliardi per ridurre il costo delle bollette, cioè per consentire agli italiani di consumare come in tempi normali e a Mosca di incassare gli attuali prezzi record del gas, il tutto a carico del contribuente italiano.
Lo scenario ideale per il Cremlino perché gli extra-profitti energetici compensano effettivamente l’effetto negativo delle sanzioni che hanno isolato il resto dell’economia russa.
Meloni, invece, si oppone allo scostamento di bilancio: da quando si vede già a palazzo Chigi, la leader di Fratelli d’Italia ha abbandonato ogni velleità contabile. Sa di essere poco credibile in quanto capo di un partito di eterna minoranza e per di più di estrema destra, con una classe dirigente inadatta alla sfida (come dimostra il ricorso a reduci ultrasettantenni del berlusconismo) e dunque Meloni cerca di compensare con professioni di fedeltà a un progetto che in teoria avversava: il pragmatismo di governo di Mario Draghi.
IL LORD PROTETTORE
Il premier, ha sintetizzato Rino Formica su Domani, è diventato una sorta di “lord protettore” di Meloni: mai un attacco diretto, le critiche soltanto alle proposte più implausibili del programma di centrodestra (che infatti sono difese soltanto dalla Lega). Draghi non scomunica, anzi, legittima, purché l’azione di governo resti seria e senza eccessi.
A gennaio Meloni non si era mai detta contraria alla candidatura di Draghi al Quirinale, mentre si opponeva a un bis di Sergio Mattarella e alla prosecuzione della legislatura. Due questioni che potrebbero tornare a incrociarsi nei prossimi anni.
Il Corriere della Sera, il quotidiano che più ha legittimato Giorgia Meloni come affidabile protagonista di governo, titola addirittura che la leader di Fratelli d’Italia ha “l’obiettivo di rassicurare” e “l’agenda Draghi non è più un tabù”
Non è un caso che Meloni lasci circolare sempre come possibile componente della sua squadra di governo il nome di Fabio Panetta, attuale membro italiano del board della Bce, che potrebbe essere un ministro dell’Economia o, più probabilmente, un governatore della Banca d’Italia nel 2023 con la benedizione di Draghi. L’interessato non si prodiga in smentite.
Nel frattempo, gli esponenti del gruppo meloniano con un network internazionale, come l’ex economista del Fondo monetario Domenico Lombardi, si prodigano in incontri con gli investitori per spiegare che la destra di governo non sarà imprevedibile e scapestrata come la coalizione populista gialloverde del 2018, anzi. Sarà più draghiana di Draghi. Resta da vedere fino a quando durerà questo bluff e se reggerà almeno fino al 25 settembre.
Perché ci sono almeno due problemi in questa narrazione: Giorgia Meloni non è Mario Draghi, non ha alcuna esperienza di governo se non la breve e non gloriosa parentesi da ministro della Gioventù, e gli elettori che hanno portato Fratelli d’Italia dal 4 al 24 per cento non si aspettano di votare il surrogato di un ex presidente della Bce.
Silvio Berlusconi osserva e spera nel miracolo, un risultato sopra il 9 per cento che potrebbe permettergli, se necessario, di rompere il centrodestra e mettersi al centro dell’ennesima operazione di larghe intese alternativa al governo Meloni.
(da Domani)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
“L’EUROPA CONTINUA A SPENDERE CENTINAIA DI MILIONI DI DOLLARI AL GIORNO PER COMPRARE IL PETROLIO E IL GAS RUSSO. DOVREBBE SMETTERE AL PIÙ PRESTO”… “SE COLPIAMO I RICAVI PETROLIFERI, LA SITUAZIONE PER PUTIN SI FARÀ DRAMMATICA”
Sergei Guriev vede il nemico anche oltre le acque del lago di Como. Si chiede quale possa essere la villa, anzi le ville, sequestrate a Vladimir Soloviev, «uno dei più corrotti e fedeli sostenitori di Putin».
Ha uno sguardo austero, l’economista nato in Ossezia settentrionale, classe 1971, esule politico dal 2013, ora docente alla parigina Sciences Po.
«Soloviev è considerato da molti russi il simbolo del decadenza del regime – concede -, ma è anche la prova del fatto che le sanzioni funzionano». Su questo, non ha proprio dubbi. «Qui al Forum di Cernobbio – assicura – l’ex segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha detto una cosa molto vera, “Putin non si fermerà, dobbiamo capirlo”. Se evitiamo le sanzioni, renderemo solo le cose più difficili».
Davvero non c’è alternativa, professore?
«Certo! Se mitighiamo la stretta, avremo forse meno danni oggi e più domani, come con Monaco nel 1938. La nostra offensiva economica deve ridurre la quantità di risorse disponibili per la guerra di Putin. È una difesa, non un attacco. Non ci può essere alcuna equivalenza morale nel giudizio di Putin e l’Occidente».
Come valuta l’azione dei governi europei?
«Puniscono gli oligarchi, aiutano Kiev. Bene. Ma c’è una ipocrisia. Continuano a spendere centinaia di milioni di dollari al giorno per comprare il petrolio e il gas russo. Dovrebbero smettere al più presto. Ogni singolo euro che l’Europa paga alla Russia finanzia la guerra, distrugge l’Ucraina, uccide i suoi cittadini e, in ultima analisi, rende ancora più costosa la prospettiva di una ricostruzione».
Il G7 avanza col tetto a petrolio e gas. Buona nuova?
«Si, lo è. È importante per l’Italia perché è stato Draghi il primo a parlarne. È un economista e, in genere, gli economisti non sono favorevoli a regolamentare i prezzi, ma si tratta di un approccio valido solo per i mercati sui quali vige la concorrenza e non è questo il caso. Petrolio e del gas sono terra di monopoli e cartelli. In tale contesto, pensare un tetto ai prezzi è completamente logico».
Anche l’Ue lavora a una misura analoga, limitata però al gas usato per l’elettricità. È sufficiente?
«No. Capisco però quanto sia difficile procedere sulla strada delle sanzioni, e allora anche un passo breve può essere utile. Ogni misura che riduce il flusso di liquidità verso Putin è benvenuta. Il principio è semplice: meno denaro arriva a Mosca, prima finirà la guerra».
La reazione del Cremlino al G7 e Ue è la minaccia di bloccare le forniture di gas. Dice sul serio?
«Non è una questione facile. Ha bisogno dei soldi, ricordiamolo. Ha intrapreso questo gioco in estate con Nord Stream. I dati ci dicono che in luglio la Russia si è ritrovata un enorme deficit di bilancio, 900 miliardi di rubli, il che equivale all’8 per cento del Pil mensile. Sono un sacco di soldi. È un disavanzo insostenibile nel lungo termine. È la ragione per cui ha fretta, il motivo che lo spinge ad alzare i toni delle minacce».
L’obiettivo?
«Vuole dividere l’Europa e costringerla a passare un inverno al freddo. In ogni modo. Anche magari sostenendo un nuovo governo in Italia che destabilizzi l’Unione, chi lo sa?».
Crede davvero che Putin stia puntellando la destra verso il voto del 25 settembre?
«Non lo so e preferisco non commentare questioni di politica italiana. Certo, Matteo Salvini è uno che ha un passato quanto a sostenitore di Putin».
La Lega preferisce sottolineare gli effetti delle sanzioni sull’Italia che quelli sulla Russia. L’estremista Wilders, a Cernobbio, ha fatto lo stesso.
«La narrativa della destra è che “la guerra è orrenda ma bisogna evitare le sanzioni perché danneggiano noi e non la Russia”. La realtà rivela l’esatto contrario, solo che a Mosca nessuno si lamenta perché non vuole finire dentro, mentre in Europa siamo fortunatamente liberi anche di lamentarci. I dati sul disavanzo russo di luglio dimostrano che le sanzioni funzionano e che Putin non se le può permettere».
Quanto può resistere?
«Putin può permettersi di ricattare l’Europa con il gas, anche per molti mesi, almeno per tutto l’inverno. Se colpiamo i ricavi petroliferi, la situazione si farà più difficile perché il petrolio è più rilevante del gas. Senza entrate non potrebbe più sfidarci. Tutto dipende dalla forza dell’embargo, dalla possibilità che India e Cina seguano le grandi potenze. Meno materia prima compriamo da Putin e più difficilmente potrà ricattarci perché ha bisogno di soldi per pagare la guerra».
Andiamo sul campo. Chi sta vincendo la guerra?
«Guardiamo i fatti. Putin è andato nel Nord dell’Ucraina e si è ritirato: sconfitta. Ha stabilito un contatto di terra con la Crimea: vittoria. Ha cercato di conquistare la regione di Lugansk e il Donetsk: pareggio, anche perché non è chiaro cosa stia succedendo, si parla di una offensiva ucraina. L’11 settembre nella Federazione Russa andrà si vota per eleggere 15 governatori e altri rappresentanti parlamentari. Putin voleva i referendum nei territori occupati e non li avrà. Una sconfitta».
Il conteggio finale?
«Prima della guerra la Russia controllava il 7 per cento del territorio ucraino, ora è al 20. Ha speso un capitale immenso. In definitiva, non credo che si possa parlare di vittoria».
E l’Ucraina?
«Per Kiev vincere sarebbe tornare a confini pre-bellici, ma non credo che succederà. Ci sarà un armistizio, non la Pace».
In attesa dell’esito finale, lei vive esule a Parigi. Prova un brivido quando vede che i dissidenti russi cadono dalle finestre?
«Come molti altri, ero contro Putin già prima della guerra. La situazione non è cambiata. Il pericolo maggiore è per chi si è schierato dopo il 24 febbraio. Ravil Maganov della Lukoil era uno di loro e in effetti trovo strano che uno scelga di andare in ospedale per suicidarsi. L’intero consiglio della sua società ha protestato per l’attacco all’Ucraina dopo che questo era avvenuto. Per me invece non cambia nulla».
Possono ucciderla, ma non impedirle di vivere, al solito?
«A Parigi lo abbiamo visto dopo gli attacchi terroristi del 2015. Tutti abbiamo ripreso a condurre la vita di sempre. Le battaglie continuano, piangi per le vittime, difendi la memoria, aiuti i parenti, e a sera bevi un buon bicchiere. Se cambi la tua esistenza, vuol dire che hanno vinto. Perché il loro obiettivo è fermare la tua vita e impedirti di vivere in un mondo libero».
(da La Stampa)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
LE “PROSPETTIVE PROBLEMATICHE” SUL GAS NEI PROSSIMI ANNI
Arriva la replica del ministro dell’Economia, Daniele Franco, in merito alle ipotesi più volte avanzate dalle fila del centrodestra, dato in vantaggio nei sondaggi, di modificare il Pnrr.
«Le prospettive sono nell’immediato problematiche», ha premesso al Forum di Cernobbio, dove ha spiegato come quest’anno per far fronte al rallentamento che sta subendo l’economia mondiale e ai progressivi aumenti dei costi energetici e dei tassi d’interesse siano stati stanziati 52 miliardi di euro.
Il ministro ha sottolineato come sia fondamentale che l’Italia stia al passo con gli altri Paesi dell’area euro e che, in questo senso, «riscrivere il Pnrr significherebbe bloccarlo».
All’interno del programma del centrodestra si legge la proposta di trovare un «accordo con la Commissione europea, così come previsto dai regolamenti europei, per la revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità».
Posizione non condivisa invece dalla coalizione del centrosinistra che ritiene centrale il Recovery Fund.
«Completare la costruzione del Pnrr è fondamentale», spiega Franco, perché «i costi di produzione delle opere stanno salendo e dovremo trovare modalità di finanziamento per poter costruire tutte le opere previste».
Gli aumenti in bolletta e cosa ci aspetta in futuro
Sul fronte energetico il ministro dell’Economia riferisce che le scorte del gas hanno superato la soglia dell’83% della nostra capacità di stoccaggio. Dato già anticipato dalla società italiana di infrastrutture energetiche e, ancor prima, dal ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani.
Ma, aggiunge Franco, per arrivare a questo dato che ci permetterà di superare il prossimo inverno «il Governo aveva stanziato 4 miliardi». Se la questione energetica ora è un problema di questa entità per l’Italia e per gran parte dei paesi europei è perché – aggiunge – «stiamo scontando le scelte del passato in cui abbiamo ridotto la produzione nazionale di gas dai 14-15 mila miliardi di metri cubi degli inizi del 2000 avevamo ai 3 miliardi attuali».
Ora stiamo traferendo il nostro potere d’acquisto all’estero e, infatti, guardando le bollette il costo delle importazione è aumentato molto. Nel 2021 era di 43 miliardi – spiega ancora il ministro – mentre nel 2022 può salire fino a 100 miliardi. «E un aumento di 60 miliardi significa circa 3 punti di Pil e vuol dire un ulteriore deflusso di risorse dall’Italia verso l’estero», conclude.
(da agenzie)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
GLI INTERVENTI DI CALENDA, CONTE, LETTA, MELONI, SALVINI E TAJANI
Carlo Calenda, Giuseppe Conte, Enrico Letta, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani. Tutti seduti allo stesso tavolo (tranne il capo politico del Movimento 5 Stelle in videochiamata) a Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como, per discutere in ordine alfabetico soprattutto di economia e finanza.
Un incontro, moderato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, che arriva nell’ultimo giorno del The European House Ambrosetti e a 20 giorni di distanza dalle elezioni.
L’intervento di Carlo Calenda
Il primo a intervenire è stato Calenda, leader di Azione che alle elezioni si presenta in coppia con Italia Viva di Matteo Renzi. Argomenti principali del suo intervento sono stati scuola e sanità: «un disastro in Italia». Calenda ha esortato a «prendere immediatamente il Mes sanitario oltre ai soldi del Pnrr» e di concentrare gli altri fondi non tanto sulle pensioni, «su cui spendiamo un’ira di dio di soldi», ma sull’educazione. Nel suo intervento, alla fine applaudito a lungo dal pubblico presente in Villa d’Este, il segretario di Azione non ha escluso una sua possibile guida del prossimo esecutivo, «ma Draghi è meglio di me».
L’intervento di Giuseppe Conte
Poi è stato il turno di Conte. Nel suo discorso, un paio di volte interrotto dai problemi di connessione, ha sottolineato come non creda «che l’abbandono dei programmi d’acquisto della Bce e le scelte sui tassi siano la strada migliore per contenere l’inflazione». Definita «tassa nefasta», per il capo politico del M5S «non deve essere il pretesto per fare le scelte del passato, all’austerity». Per quanto riguarda l’extra deficit, per Conte questo può essere «uno strumento per proteggere il tessuto imprenditoriale e sociale», se inserito in un «quadro serio». A questo, ha aggiunto come il Movimento 5 Stelle è per «l’abolizione dell’Irap a favore di tutti», oltre «all’adozione di uno Statuto degli imprenditori che dia chiarezza del diritto, tempi certi, una giustizia certa a chi investe».
L’intervento di Enrico Letta
Il segretario del Pd, Enrico Letta, ha iniziato parlando del criterio usato per la costruzione della coalizione di centrosinistra: «Abbiamo fatto una alleanza di difesa della Costituzione perché se le elezioni vanno male per noi, ci sono i numeri» per cambiarla. Per questo motivo, «le alleanze di governo sono necessarie» soprattutto a causa di questa legge elettorale, con la quale «la parte maggioritaria determinerà chi vince e chi perde». Per Letta, l’obiettivo principale è quello di «evitare la recessione a tutti i costi attraverso il tema energetico, le tasse sul lavoro e il Pnrr», come i rigassificatori di Piombino e Ravenna: «Avanti». Il segretario del Pd ha anche toccato la questione della posizione italiana nelle questioni di diritti civili e politica estera: «Penso che se l’Italia ha un governo che sta in Serie A con Francia, Germania, Spagna, Bruxelles è meglio. Se andrà con la Serie B Polonia, Ungheria, credo che sarà peggio per il Paese», ha detto portando come esempio l’Europa che si riconosce nell’immagine del «treno di Kiev con Francia e Germania e noi insieme».
L’intervento di Giorgia Meloni
«Per fare un governo ci vuole unità, una visione comune». La presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, cerca di sottolineare i punti condivisi da tutta la coalizione di centrodestra, data come favorita per la vittoria alle elezioni del 25 settembre. «So che il momento che stiamo vivendo è particolare. Cerco di tenere basse le promesse in modo da poterle rispettare». Per quanto riguarda il Pnrr, la presidente di FdI afferma che «non può essere un’eresia dire che non può essere perfezionato». Poi, a proposito di energia e lo scorporo fra gas ed energie da fonti rinnovabili ha spiegato che «si può fare a livello nazionale», calcolando che dovrebbe avere un costo di 3 o 4 miliardi. «Io non sarei per lo scostamento di bilancio», ha aggiunto, «penso abbiamo altre risorse».
L’intervento di Matteo Salvini
Il leader della Lega è stato l’unico dei presenti a portare con sé delle slide, cosa che glielo ha fatto notare anche Meloni. Salvini ha iniziato il suo intervento portando alcuni titoli di giornale che mettevano in dubbio le sue ultime dichiarazioni, considerate per certi aspetti filorussi come il suo mettere in dubbio le sanzioni contro la Russia. «La Lega ha convintamente votato in Italia e in Europa tutti i provvedimenti a favore dell’Ucraina, sanzioni comprese», ha affermato. «Dobbiamo difendere l’Ucraina? Sì, ma non vorrei che le sanzioni danneggiassero più chi le fa che chi le subisce».
L’intervento di Antonio Tajani
Presente come rappresentante di Forza Italia, Antonio Tajani concentra il suo intervento sulla questione ambientale e finanziamenti. «Io non credo nella papessa Greta Thunberg», ha detto, «sono convinto che un agricoltore è il miglior difensore dell’ambiente. Dobbiamo lasciare un mondo migliore ai nostri figli. Basta con la dipendenza energetica. Dobbiamo puntare sull’energia nucleare di ultima generazione». Il coordinatore di FI ha poi parlato delle piccole e grandi aziende italiane che devono tornare al centro del dibattito politico: «Bisogna ridurre la pressione fiscale per tutte le imprese. Il made in è il nostro biglietto da visita, ma dobbiamo esportarlo», ha affermato mentre, per quanto riguarda l’istruzione, ha definito «buffonata» il modello italiano per «alternanza scuola-lavoro» e che «non tutti devono sapere i verbi o la letteratura latina per poter lavorare». Sullo scenario di una possibile fuga di FI nel caso in cui il centrodestra non dovesse vincere le elezioni e, quindi, nell’ipotesi di una maggioranza Ursula, Tajani ha ribadito: «Non soffro della sindrome del traditore. Non lasceremo mai la coalizione di centrodestra».
(da Open)
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Settembre 4th, 2022 Riccardo Fucile
“LA RUSSIA VUOLE RICATTARE L’EUROPA PER LIBERARSI DEGLI ESECUTIVI OSTILI”… E OVVIAMENTE USA I SUOI SERVI SOVRANISTI PREZZOLATI
“Putin vuole ricattare l’Europa chiudendo i rubinetti del gas. Il suo piano è liberarsi dei governi ostili in questo modo, ma non credo che gli europei siano stupidi”.
Lo ha detto Mikhail Khodorkhovsky, l’ex oligarca russo 59enne, in esilio dal 2013, nemico giurato di Vladimir Putin e già imprigionato in Russia per 8 anni per “evasione fiscale” e “riciclaggio”, a margine dell’evento Financial Times Festival di Londra.
“Il precedente del 1939 è davanti ai nostri occhi. Un’aggressione simile di uno stato indipendente è inaccettabile”.
“Certo”, conclude il businessman russo prima di andar via, “è vero che la società italiana è divisa e Putin non vede l’ora di avere un governo a Roma che lo appoggi. Ma spero che gli italiani capiscano che non ci si può riscaldare al fuoco appiccato da qualcun altro”.
(da Huffingtonpost)
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