Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DI LUI SI SA POCHISSIMO, NONOSTANTE SIA ALL’OPERA DAL 2016 E ABBIA 150MILA FOLLOWER SU INSTAGRAM… LE SUE MICROMAIOLICHE SONO DISSEMINATE ANCHE PER GENOVA, MILANO, TORINO E FIRENZE
Passeggiando per le strade di Lione vi potrebbe capitare di incrociare delle piccole pozze di colore, per terra, in mezzo al cemento: non si tratta di uno stunt pubblicitario, ma di una forma di riqualificazione urbana artistica, dal basso. Sono le opere di uno street artist locale, che invece di graffitare i muri riempie le buche con delle tessere colorate, creando piccolissimi mosaici perfettamente cesellati.
Il comune ne è pieno: sul solo territorio lionese ce ne sono circa 350, realizzati nel corso degli ultimi sei anni dal fantomatico artista Ememem. Le sue creazioni – che colmano cavità più o meno grandi con tessere di diverse dimensioni e tonalità, disposte in curati motivi geometrici – sono chiamate “flacking“, un gioco di parole del francese “flaque” (pozzanghera), e si ispirano alla pratica giapponese del kintsugi, cioè la riparazione delle crepe della ceramica con l’oro.
Nonostante la popolarità – la prima opera è del 2016, anno in cui ne realizzava circa due a settimana – le informazioni ufficiali su Ememem si limitano a una breve biografia sul suo sito web: il poco che ci dice è che in precedenza l’artista (che si vocifera sia di origine italiana) faceva parte di un collettivo underground, aveva restaurato mosaici classici e autoprodotto piccoli concerti rock , e che aveva trovato nel flacking la perfetta commistione di poesia, riqualificazione urbana e arte.
Con il crescere della sua popolarità, l’operato dell’artista è diventato progressivamente meno di nicchia: stando al Guardian, le autorità del nono arrondissement di Lione gli hanno commissionato sei opere, fornendo ai propri follower di Instagram gli indizi per rintracciarle, mentre la prestigiosa Galerie Italienne di Parigi ha inserito nel 2021 diverse sue opere in una mostra intitolata Ceramics Now (in vendita a 10-12mila euro l’una). Se vi piace la sua tecnica, il suo sito propone persino una residenza artistica di tre settimane a Cayenne, nella Guyana Francese, apposta per imparare il flacking.
L’operato di Ememem, nonostante sia considerato per legge ancora vandalismo e perciò realizzato in notturna, è piuttosto popolare: il suo account Instagram ha quasi 150mila follower, mentre in tre diverse città francesi esistono dei tour a piedi per scovare le sue opere, a volte anonime ma più spesso firmate con il suo pseudonimo sorvolato dall’immagine di una piccola cazzuola.
Non è solo Lione, poi, a essere invasa dalle sue micromaioliche: ce ne sono anche nel resto della Francia, e tra gli altri Paesi europei e non compare in Norvegia, Irlanda, Spagna, Serbia, Guadalupa e Italia, dove ha regalato lavori alle strade di Genova, Milano, Torino e Firenze ed è stato ospite al Cvtà Street Fest di Civitacampomarano del 2022.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL “CAPITONE” PUÒ CONTARE SU CLAUDIO DURIGON E GALOPPINI VARI… FRATELLI D’ITALIA HA ELETTO RAS DELL’AREA NICOLA PROCACCINI, GIÀ PORTAVOCE DI GIORGIA MELONI E COINVOLTO IN UN’INDAGINE PER CORRUZIONE… LE OMBRE SU SIMONE DI MARCANTONIO, COOPTATO DA CLAUDIO DURIGON, ED IMPUTATO CON L’ACCUSA DI ESTORSIONE IN UN’INDAGINE CHE TOCCA ANCHE IL CLAN DI SILVIO
Nel feudo di Latina spadroneggiano le anime nere dei partiti che
uniti rappresentano l’estrema destra italiana: Lega e Fratelli d’Italia. Qui entrambi hanno la loro roccaforte laziale, dove si contendono il medesimo elettorato. Coma mai? Facile rispondere: entrambi i movimenti sono rappresentati sul territorio da politici provenienti dal vecchio Movimento sociale italiano, o dal sindacato della destra sociale nato sulle ceneri della Cisnal, di matrice neofascista.
Oltre al nero della matrice politica di provenienza, Lega e FdI vengono accomunati anche dall’opacità di alcune vicende su cui indaga la magistratura. Mentre altre sollevano questioni di opportunità e di etica, senza avere risvolti penali. Ci sono le indagini recenti sul sistema Terracina, i processi per voto di scambio con la mafia, le inchieste e i sospetti su politici della Lega di aver ottenuto appoggio di figure contigue o espressione dei clan locali. Sullo sfondo, uno stuolo di fedelissimi e raccoglitori di voti i cui nomi sono emersi in atti investigativi e giudiziari dell’antimafia.
La Lega di Matteo Salvini in questa provincia può contare su Claudio Durigon e sulla sua schiera di collaboratori, luogotenenti e galoppini vari. Fratelli d’Italia ha eletto ras dell’area Nicola Procaccini, già portavoce di Giorgia Meloni ai tempi in cui la leader era ministra della Gioventù nel governo Berlusconi.
È europarlamentare, responsabile ambiente del partito e volto dell’ambientalismo conservatore ed ex sindaco di Terracina. Sono loro i volti principali della destra nazionalista, sovranista e conservatrice nel Lazio. I due alleati in un territorio che è stato da sempre feudo della destra. Storie di consenso che scorrono parallele, connesse da personaggi che dialogano con entrambe le forze politiche che unite rischiano di sbancare (secondo i sondaggi con percentuali assai diverse) alla elezioni del 25 settembre.
LEGAMI
La dirigenza locale di Lega e Fratelli d’Italia in questa provincia italiana ha una particolarità, è legata da radici comuni nel Msi. Durigon proviene dal sindacato Ugl, espressione della destra sociale, erede della Cisnal, braccio sindacale del movimento sociale, al cui interno c’erano neofascisti del calibro di Ciccio Franco, regista della rivolta nera dei Boia Chi molla a Reggio Calabria, anno 1970.
Durigon è candidato in due collegi laziali, all’uninominale nella circoscrizione di Viterbo, al plurinominale in quella che comprende pure Latina. L’elezione è praticamente certa per l’ex sottosegretario che ha dovuto dare le dimissioni dopo la disastrosa uscita pubblica sul parco di Latina intitolato nel 2017 ai giudici uccisi dalla mafia, Falcone e Borsellino. Ai due magistrati-eroi, Durigon disse di preferire il fratello di Mussolini, Arnaldo, che ne aveva dato il nome in passato: «La storia di Latina è quella che qualcuno ha voluto anche cancellare» disse «cambiando il nome a quel nostro parco che deve tornare ad essere il parco Mussolini. Su questo ci siamo e vogliamo andare avanti».
Parole che a fine agosto 2021 gli sono costate il posto da sottosegretario. «Comunque, non sono un fascista». Meno clamore hanno invece destato le notizie dell’appoggio elettorale ricevuto, con tanto di cene da imprenditori poi indagati per i loro rapporti con il clan Di Silvio, il feroce clan di origini nomadi che domina il capoluogo pontino e la provincia. Si trattava della campagna per le politiche del 2018, l’anno del trionfo leghista, con un successo clamoroso anche a Latina. A queste discutibili frequentazioni si aggiungono sospetti su alcuni suoi collaboratori, uno di questi coinvolto in un’inchiesta dell’antimafia e considerato prestanome di un ricco impresario della ‘ndrangheta.
Il delfino di Meloni, Nicola Procaccini, è invece tra gli indagati di un’indagine per corruzione. A lui i pm della procura di Latina contestano due reati: turbativa d’asta e induzione indebita. Ma al di là delle contestazioni, è lo spaccato emerso dagli atti delle indagini a delineare il sistema di potere messo a punto negli anni in cui è stato sindaco di Terracina. L’europarlamentare resterà a Bruxelles, non è candidato alle politiche, tuttavia ha un ruolo di primo piano in questa campagna elettorale, spesso al fianco della leader di Fratelli d’Italia. Si prospetta, dunque, una sfida tutta interna all’area nazionalista laziale, scossa da scandali e rapporti poco chiari con personaggi equivoci.
Latina e la sua provincia sono il campo dove si combatterà questa battaglia all’ultimo voto tra Lega e Fratelli d’Italia. In questa provincia alle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018 la Lega si è affermata come primo partito con oltre il 17 per cento di voti, Fratelli d’Italia era al terzo posto, con quasi il 7 per cento, comunque sopra la media nazionale. Nel collegio di Terracina è avvenuto lo stesso, Salvini ha battuto Meloni.
La somma dei voti dell’uno e dell’altra avevano garantito più della metà del consenso ricevuto dalla coalizione di centrodestra, arrivata prima. Questo è indicativo della forza della destra radicale a queste latitudini. La Lega e Fratelli d’Italia hanno su questi territori una delle più efficienti macchine del consenso. Con una differenza: Salvini l’ha messa a punto dal nulla nel 2016, Meloni ha potuto contare su uomini e donne provenienti da Alleanza nazionale già forte nel sud del Laz
IL SISTEMA DEI FRATELLI
19 luglio 2022. Le agenzie battono la notizia di una retata a Terracina, città non troppo distante da Latina. Qui ha fatto il sindaco per due legislature Procaccini. Dopo di lui è stata eletta Roberta Tintari, con l’appoggio di Fratelli d’Italia. «Tintari è una donna estremamente capace e quando le donne sono capaci hanno una marcia in più, la competenza è un elemento fondamentale. Persona onesta, capace e concreta», diceva di lei Meloni durante un incontro per lanciare la sua corsa a prima cittadina.
A distanza di due anni da quelle lodi pubbliche Tintari è sotto inchiesta con Procaccini, ex portavoce di Giorgia quando era ministra nel governo Berlusconi. Turbativa d’asta è il reato ipotizzato in una vicenda con al centro gli interessi degli imprenditori balneari. Beneficiari, secondo l’accusa, di bandi, finanziamenti e favori da parte delle amministrazioni di destra della città. Lobby dei balneari difesa strenuamente da Meloni in parlamento: Fratelli d’Italia è il solo partito che si è schierato senza se e senza ma contro la messa a gara delle concessioni per occupare le spiagge con lettini e ombrelloni, di fatto appoggiando le proroghe eterne che negli anni hanno provocato una distorsione del libero mercato, concedendo beni demaniali dello Stato (dunque di tutti) a pochi provati a prezzi ridicoli.
«Siamo gli unici a difendere i balneari», aveva annunciato gaudente Meloni dopo aver votato contro il provvedimento del governo sul tema. Procaccini non può che condividere questa linea, lui conosce la questione sul territorio: «Questi sono mezza città di Terracina (…) qui parliamo di voti veri, se questi si mettono contro su questa cosa diventa un problema». Così l’ex portavoce di Meloni con la sindaca Tintari, nel dicembre 2019, alla vigilia del voto. L’intercettazione è agli atti dell’indagine della procura di Latina, e non è la sola prova della vicinanza ai balneari laziali.
Tra i finanziatori della leader di destra alle elezioni comunali di Roma nel 2016 c’è anche la società Corallobeach, con mille euro. Il titolare era Claudio Balini, ras dei lidi del litorale e parente di Mauro Balini, cui la magistratura ha sequestrato beni per milioni di euro nel 2021. Mauro Balini, per gli investigatori, ha legami con la malavita di Ostia, municipio della Capitale. E già nell’anno in cui il suo parente ha versato la donazione a Meloni, erano noti alcuni suoi guai giudiziari. Intanto per Procaccini i magistrati hanno chiesto la revoca dell’immunità al giudice delle indagini preliminari, così da poter utilizzare le intercettazioni captate nel periodo in cui era già europarlamentare. Il seggio a Bruxelles, infatti, gli garantisce questo tipo di tutele.
Per capire però come funziona il sistema di potere di Fratelli d’Italia sul territorio laziale è utile ricordare un altro episodio, con protagonista sempre l’ex portavoce di Meloni. Si tratta del rilascio di una licenza a un imprenditore. Una funzionaria del comune, Graziella Favolo, non era disposta a concederla perché avrebbero dovuto presentare domanda a Roma e non al comune di Terracina.
Di questa dipendente pignola ne parlano, mentre sono sotto intercettazione, un consigliere comunale e la sindaca Tintari: «Gli ha fatto compilare tre volte la pratica e gli ha fatto spendere senza motivo 850 euro e l’ha chiamata Nicola (Procaccini, ndr)… gli ha fatto un culo come un secchio a Graziella che poi dice che si è messa a piangere, e non me ne frega nulla», dice Davide Di Leo alla sindaca, il 18 dicembre 2019. Procaccini era stato eletto da qualche mese all’europarlamento.
Da Bruxelles non ha mai smesso di trattare le pratiche del suo feudo. I pm hanno interrogato la dipendente del comune e ha confermato tutto: «L’ho presa molto male e mi misi a piangere al telefono con Procaccini, un pianto di rabbia e di sfogo perché dopo tanti anni di servizio non mi era mai capitato che un politico mi trattasse così». Il pupillo di Meloni aveva chiesto conto a Favolo sul mancato rilascio, accusandola di lentezza e spiegandole che la pratica sarebbe passata a un’altra funzionaria. Per la procura l’intervento di Procaccini configura il reato di induzione indebita, contestato all’uomo forte di Giorgia nel sud del Lazio.
Ma Procaccini è andato pure oltre. Ha tentato di ostacolare l’indagine in corso, almeno questo emerge dall’inchiesta. «Gli indagati hanno posto in essere plurimi tentativi di ostacolare le indagini», scrive la giudice. Per farlo tentano di organizzare incontri con il comandante Federico Giorgi e con il procuratore di Latina, Carlo Lasperanza, senza risultati. Procaccini ha incontrato il comandante Giorgi per lamentarsi degli ufficiali che «stanno facendo le pulci».
Ma soprattutto ha mostrato di conoscere fatti contenuti negli atti dell’indagine ancora segreta. Inoltre il 27 gennaio 2020 il fedelissimo di Meloni ha ottenuto un incontro con il procuratore Lasperanza, senza ottenere alcun risultato però. «Gli indagati si sono finanche serviti dell’intervento dell’europarlamentare Nicola Procaccini, il quale ha provveduto a contattare soggetti appartenenti ad altre istituzioni (…) nella vana speranza di delegittimare e paralizzare le operazioni investigative condotte dagli ufficiali Denaro e Sasso», si legge nei documenti dell’inchiesta.
SOLDI E VOTI
Sulle pressioni di Procaccini indagano i magistrati, lui si è difeso e ha contrattaccato: «È un attacco politico a Fratelli d’Italia». Poi ha fornito la sua versione, spiegando che «le pressioni perentorie nei confronti della dipendente del comune di Latina riportate nell’ordinanza della Procura di Latina, sarebbero state fatte in qualità di primo cittadino e non da esterno all’amministrazione». Sul web è visibile ancora una sua intervista durante un convegno in provincia di Roma in cui difende i balneari dal rischio di aste pubbliche, «un metodo che farà perdere migliaia e migliaia di imprese che hanno fatto la storia del turismo italiano».
Dopo l’indagine Meloni ha comunque lasciato al suo posto Procaccini, attivissimo in questa campagna elettorale e pronto a scippare alla Lega il primato nella provincia di Latina. Garantismo a giorni alterni, dunque: di fronte a casi minori la leader è stata spietata, e sindaci, assessori, presidenti del consiglio comunale o consiglieri comunali sono stati sospesi dopo la notizia di inchieste sul loro conto.
Per superare la Lega nella provincia pontina Fratelli d’Italia dovrà contare su molti voti. E, oltre alla vicenda di Procaccini, far dimenticare le accuse di un pentito del clan di Latina sulle elezioni del 2013. L’ex boss si chiama Riccardo Agostino e con le sue dichiarazione ha messo nei guai diversi politici locali, accuse in alcuni casi confluite in processi in corso.
Su Fratelli d’Italia le parole di Agostino non hanno portato all’apertura di un fascicolo. Ha raccontato di una busta con 35mila euro consegnati al clan dall’autista di Meloni, con l’intercessione dell’allora potente esponente del partito a Latina, Pasquale Maietta. Quest’ultimo, ai tempi presidente del Latina calcio, è sotto processo per il fallimento del Latina calcio. Da qualche anno non fa più parte di Fratelli d’Italia, partito per il quale è stato anche tesoriere. Su Maietta pesano pure le relazioni documentate con il padrino della città Costantino Di Silvio.
Meloni ha respinto le accuse al mittente, definendo assurda la ricostruzione del pentito. Il pentito Agostino è stato un frequentatore di quel mondo limitrofo ai palazzi della politica del territorio. In una telefonata intercettata parlava di voti da canalizzare verso un altro candidato di Fratelli d’Italia, Nicola Calandrini, che ai tempi (2016) correva per la poltrona di sindaco di Latina. Anche Calandrini ha respinto i sospetti su di lui e su quella campagna, peraltro perse contro Damiano Coletta del Pd.
Non banale però è l’identità dell’interlocutore di Agostino. Si chiama Simone Di Marcantonio, un giovane sindacalista dell’Ugl, cooptato da Claudio Durigon, il capo della Lega nel Lazio. Di Marcantonio si trova agli arresti domiciliari ed è imputato con l’accusa di estorsione in un’indagine che tocca anche il clan Di Silvio. Ancora prima era citato come prestanome, seppure mai indagato, di un uomo della ‘ndrangheta nel Lazio.
AMICI MIEI
Domani ha scovato sui social network diverse foto datate 2018 in cui Di Marcantonio è ritratto davanti al ministero del Lavoro, ai tempi il sottosegretario era un loro caro amico: il vice di Salvini in regione, Durigon. Accanto al giovane sindacalista c’era Andrea Fanti, leghista doc di Latina, che ha seguito da vicinissimo la campagna elettorale del 2018 di Durigon.
Anche su Fanti il pentito Agostino ha rilasciato dichiarazioni ai pm di Roma: «Noi abbiamo fatto la compravendita di voti per Andrea Fanti… ci fu una discussione con un attacchino perché stava attaccando i manifesti sopra i nostri e gli abbiamo fatto presente chi eravamo e che non doveva coprire i nostri, quelli della lista Noi con Salvini».
Nello stesso interrogatorio Agostino aveva aggiunto che «la campagna di Fanti era curata da Simone Di Marcantonio e Gangemi… Fanti era il migliore amico di Di Marcantonio, di Gangemi e di tutto il gruppo». Fanti aveva replicato: «Non è vero, Agostino lo conosco perché Latina è piccola, fu lui a proporsi per la campagna elettorale e io gli dissi di no, dice bugie: ho chiesto di farmi interrogare nonostante non sia indagato ma nessuno mi ha voluto sentire».
Poi confermava di «conoscere benissimo» Di Marcantonio, «è un amico, ma non lo vedo da anni». Di certo sia Di Marcantonio, l’amico dell’imprenditore Gangemi (legato alla’ ndrangheta e non solo), che Fanti in un’altra foto del giugno 2018, pochi giorni dopo la formazione del governo Lega-5 Stelle, mostrano sorridenti la tessera della Lega Salvini premier: «La Lega al governo mantiene le promesse fatte…per sostenere il nostro capitano tesseriamoci».
Nel 2018 Fanti curava la campagna elettorale per Durigon e con Di Marcantonio esibivano la tessere della Lega sui social. In quel periodo l’ex sottosegretario ha incassato il sostegno di Natan Altomare, stretto collaboratore dell’imprenditore Luciano Iannotta. Entrambi sono sotto processo a Latina, Altomare in passato era stato coinvolto, e poi prosciolto, in un’altra inchiesta sul clan Di Silvio. Durigon di questi rapporti aveva spiegato a Domani che «Altomare condivideva la nostra stessa passione politica e ci siamo ritrovati nella campagna elettorale, non conosco i dettagli personali». L’amicizia è documentata da una serie di messaggi su whatsapp tra i due, in cui parlano anche del nascente governo giallo-verde.
LA LEGA DEI SOSPETTI
A Durigon si può contestare l’opportunità di aver accettato l’aiuto dei due vicini ai Di Silvio, ma nulla di più. Lo stesso vale finora per Angelo Tripodi, capogruppo in consiglio regionale della Lega. Un passato nel Fronte della gioventù, la giovanile del Movimento sociale italiano, ha militato in Alleanza Nazionale, è stato candidato a sindaco di Latina nel 2016, appoggiato peraltro dai neofascisti di Forza Nuova.
È di nuovo il pentito Agostino a dire ai magistrati che Tripodi sia nel 2016 sia successivamente, una volta passato nella Lega, ha ottenuto l’appoggio dei clan. Il politico sostiene invece che sono solo fandonie inventate per far male a Salvini. Di certo la procura antimafia di Roma sta cercando riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori, incluso Agostino.
CHA CHA DI SILVIO
In questa storia ogni personaggio è legato a quello successivo. Per Tripodi, infatti, ha lavorato in consiglio regionale Emanuele Forzan, nome che ritroviamo nell’indagine sull’europarlamentare della Lega Matteo Adinolfi, sotto inchiesta per voto di scambio. Forzan sarebbe stato, secondo l’accusa, il tramite tra il ras dei rifiuti Raffaele Del Prete e il politico. L’imprenditore avrebbe, è la tesi dei pm, avrebbe pagato 45mila euro a uomini del clan Di Silvio per un pacchetto di voti nel 2016.
La cifra sarebbe stata sborsata per favorire Adinolfi. Del Prete e Forzan sono sotto processo, mentre Adinolfi è in attesa di capire quale sarà il suo destino. Sui sospetti attorno ai loro uomini forti nel Lazio, Salvini e Meloni fanno finta di niente. I leader della destra nazionalista amano molto quel detto, i panni sporchi si lavano in casa. Specie se riguardano i due più potenti ras di entrambi i partiti, che nella regione possono assicurare con i loro voti il successo di Matteo su Giorgia, o viceversa.
(da EditorialeDomani)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
AI DOMICILIARI ANCHE L’EX RETTORE DELL’UNIVERSITÀ ETNEA FRANCESCO BASILE… GLI ARRESTI NELL’AMBITO DI UN’INDAGINE PER CORRUZIONE E FALSO IN ATTO PUBBLICO
E’ accusata di corruzione l’ex assessore comunale di Catania, Barbara Mirabella, candidata deputata all’Ars per FdI, nelle elezioni regionali del 25 settmbre, arrestata stamane e sottoposta ai domiciliari dalla Squadra mobile etna.
Il gip, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dalla procura, ha disposto anche l’interdizione per 12 mesi nei confronti di Francesco Basile direttore dell’Uoc di Chirurgia dell’azienda ospedaliera San Marco per quattordici reati di falso, due reati di corruzione e du di concussione; sospensione (12 mesi) dall’attivita’ imprenditoriale per l’imprenditore Giovanni Trovato per corruzione.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
UN FINANZIAMENTO PER TUTELARE “IL BALLO DEL SALTARELLO”
Mentre si faceva la conta delle vittime. Mentre si proseguiva (e lo si
fa ancora) con la ricerca dei dispersi, tra cui il piccolo Mattia di 8 anni strappato dalle braccia delle madre dalla forza dell’acqua esondata del fiume Misa.
Mentre tutte le perplessità su una gestione assente dell’emergenza, condizionata dagli eventi elettorali che stavano occupando quella tragica serata del 15 settembre.
Mentre accadeva tutto questo, l’alluvione nelle Marche aveva appena devastato moltissime città e borghi, inghiottendo la vita di almeno 15 persone.
Ma qual è stato il primo pensiero della giunta regionale? Riunirsi per procedere con la delibera per il finanziamento (da 50mila euro) per una legge a tutela del Saltarello, un ballo tipico della zona.
Come riporta il quotidiano il Messaggero, la prima riunione della giunta dopo l’alluvione Marche è avvenuta lunedì 19 settembre. Pochi giorni dopo il disastro. All’ordine del giorno, evidentemente con priorità elevata, c’erano questo via libera al finanziamento per la tutela del ballo del Saltarello e la discussione su “progetti di ammodernamento delle strutture regionali di mattazione e di lavorazione delle carni provenienti da abbattimenti selettivi di ungulati”.
Poi, ovviamente, si è anche arrivati a parlare di quella tragedia immane che si era consumata pochi giorni prima tra le province di Pesaro e quelle di Ancona. In che modo? Con l’approvazione di una delibera (la 1181) con cui si dava il via libera allo “schema di convenzione tra la Regione Marche e la Provincia di Ancona per la regolazione di attività espropriative inerenti l’intervento di completamento per la riduzione del rischio idrogeologico nelle aree interessate dagli eventi alluvionali del settembre 2006. Bacino idrografico del fiume Aspio. Rio Scaricalasino”.
Non un tempismo perfetto. Ma oltre al ballo del Saltarello e a tutto il contorno, a rendere ancor più paradossale la vicenda sono le parole dell’assessore alla Protezione Civile Stefano Aguzzi.
Così come il Presidente della Regione, Francesco Acquaroli (a cena con Crosetto), anche lui era impegnato in un evento elettorale mentre si stava consumando il dramma dell’alluvione Marche. E le sue parole su quei momenti certificano l’assenza della percezione del pericolo che stava avvenendo il 15 settembre:
“Ero concentrato sulle questioni che riguardavano il Metauro perché già dal tardo pomeriggio Cantiano era sott’acqua, diverse persone dell’entroterra pesarese mi avevano chiamato per segnalarmi la situazione. Metauro e Cesano erano dunque monitorati con attenzione: erano cresciuti parecchio, ma non avevano superato i livelli di guardia”.
Dopo essersi occupato di questo, ha partecipato a una cena elettorale al cinema Gabbiano di Senigallia. Lì è rimasto fino alle 22. Nel frattempo le acque del Misa esondato in più zone avevano travolto tutto, devastato borghi e città e inghiottito già diverse vite. “Ho preso coscienza di quanto drammatica fosse la situazione dopo mezzanotte, mentre andavo verso la sala operativa ad Ancona”.
Dopo che il dramma si era già consumato.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
DAL DIRETTORE DI VALENTINO A DONATELLA VERSACE, DA FENDI A CRUCIANI
Un appello rivolto ai più giovani. A coloro i quali, per la prima volta nella loro vita, potranno recarsi ai seggi elettorali per esprimere la propria preferenza sulla formazione del nuovo Parlamento.
Un voto utile per “non arretrare di un millimetro” sui diritti civili acquisiti nel corso degli anni e non retrocedere su quelli che potranno essere ottenuti nel futuro più prossimo.
Sono molti gli stilisti italiani che, nelle ultime ore, si sono prodigati nella pubblicazione di post social per ricordare l’importanza del voto, ma il pensiero può profondo e diretto arriva dal Pierpaolo Piccioli, direttore artistico di Valentino.
“Sono preoccupato e anche incazzato perché sono costretto ad argomentare quello che mi sembrava ovvio, tra pochi giorni rischiamo di fracassare lo spazio fragile e umano in cui stiamo provando a vivere. Io e Simona abbiamo cresciuto i nostri figli senza dogmi, abbiamo messo a disposizione loro tutti i valori in cui crediamo, l’empatia, il confronto costruttivo con chi ha opinioni diverse, la libertà anche di scontrarsi se necessario e difendere questa libertà ad ogni costo. Gli abbiamo insegnato che nonostante spesso la società provi a dire il contrario, le donne hanno la possibilità di scegliere in maniera autonoma per il proprio corpo, senza che vengano mortificate, umiliate e ostacolate. Gli abbiamo insegnato che ogni nuovo cittadino che arriva a Nettuno, dove siamo cresciuti e dove stiamo crescendo Benedetta, Pietro e Stella, deve avere lo stesso benvenuto indipendentemente dal luogo di provenienza, dall’etnia o dall’orientamento sessuale. A loro volta i nostri figli ci hanno insegnato che non esiste solo il genere femminile e quello maschile ma tanti altri, esattamente come in natura, esattamente come da sempre. Il loro vero privilegio è quello di ‘non avere paura’.
Pensare che ci sono persone, esseri umani che in questo momento possano temere, avere paura, delle conseguenze di queste elezioni mi da alla testa.
Pensare che ci sono politici che usano il tema sociale per fare politica quando la politica, quella vera, dovrebbe solo essere in grado di tutelare il dibattito sociale, mi obbliga a non tacere le mie preoccupazioni.
Io voglio che i miei figli siano liberi, voglio che possano essere, sperare, sognare, senza mai nemmeno per un attimo accettare di avere paura, mai. La violenza è regressione, l’omofobia è regressione, la necessità di categorizzare l’anima è regressione. L’odio è paura e la paura è mancanza d’amore e l’amore per se e per l’altro deve essere tutelato e garantito da diritti solidi, granitici. Mi auguro che tutti i ragazzi dai 18 anni in su si rechino a votare il prossimo 25 settembre, perché non dobbiamo arretrare di un millimetro sui diritti acquisiti ma soprattutto i tempi sono maturi per acquisirne di nuovi e fondamentali”.
Questo pensiero espresso da Pierpaolo Piccioli ha ricevuto il plauso di altri grandi protagonisti del mondo della moda: da Silvia Venturini Fendi a Marco Rambaldi, passando per Angelo Cruciani, Massimo Giorgetti, Walter Chiapponi (Tod’s). Ma anche di artisti come Alessandro Roia, Elisa Toffoli (ma anche del deputato del Pd Alessandro Zan). E oltre al direttore creativo di Valentino, anche Donatella Versace ha voluto lanciare il proprio appello al voto. “Andate a votare, queste elezioni sono importantissime per il Nostro Paese! Il 25 settembre votate per proteggere i diritti acquisiti, pensando al progresso e con un occhio al futuro. Mai guardarsi indietro”.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
L’ACCUSA DI AVER VIOLATO I DIRITTI D’AUTORE NELLO SPOT
Luciano Ligabue, Stefano Accorsi e Domenico Procacci hanno
formalmente diffidato la Lega di Matteo Salvini per aver utilizzato un brano di Radiofreccia, un loro film del 1998, a scopi elettorali.
Al centro della questione c’è infatti uno spot diventato virale in cui viene usato il noto «Credo laico» recitato da Accorsi nel film.
Il titolo del filmato è: «Il cortometraggio che imbarazza il Pd, tratto da una storia vera…» e inizia con una ragazza che guarda il computer ascoltando con le cuffie l’audio di Accorsi.
Siamo il primo giugno 2022 a Frosinone. Poco dopo la telecamera riprende lo scoop del Foglio e vengono rilanciati audio immagini dell’episodio violento che ha riguardato l’ex capo di gabinetto del sindaco di Roma Gualtieri, Albino Ruberti. Poi una voce fuori campo che vuole orientare l’utente: «Non hanno pietà», dice.
Cosa c’è scritto nella diffida
Il partito di Salvini «ha usato il credo laico senza chiedere alcuna autorizzazione (che non sarebbe stata concessa), e con grave sprezzo della legge sul diritto d’autore», si legge nella nota di Accorsi e Ligabue. La violazione contestata nella diffida è infatti quella dei diritti del film. Definscono poi l’utilizzo dell’audio «spregiudicato» perché «lascia chiaramente presumere una adesione al contenuto del messaggio, da cui invece gli stessi radicalmente si dissociano». Pertanto gli autori del brano hanno chiesto l’immediata rimozione dal video di tutti gli elementi tratti dal film.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
IL GIORNALE CALCOLA IL COMPENSO PER I SETTE MESI NEL CDA
Il Fatto Quotidiano oggi va all’attacco di Matteo Renzi. Al centro c’è l’incarico di consigliere di amministrazione della società russa Delimobil, che il leader di Italia Viva ha lasciato nel giorno dell’invasione dell’Ucraina.
L’azienda, attiva nei servizi di car-sharing, è controllata da Vincenzo Trani, italiano residente a Mosca.
Renzi è rimasto nel Cda per sette mesi. Il giornale scrive che i tre anni di lavoro gli avrebbero reso tra i 200 e i 230 mila euro.
Secondo il prospetto presentato da Delimobil alla Sec per la quotazione in Borsa, i compensi per gli amministratori nell’anno 2020 ammontano a un totale di un milione di euro. Quindi, secondo il calcolo contenuto nell’articolo a firma di Valeria Pacelli e Stefano Vergine, il compenso per ciascun amministratore ammonta a una cifra compresa tra i 66 e i 77 mila euro. In base a questo ragionamento Renzi dovrebbe aver percepito una somma compresa tra i 38.500 e i 45.500 mila euro.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
PESKOV JUNIOR: “IO NELL’ELENCO? RISOLVERO’ AL ALTRI LIVELLI”… LA CERCHIA DEI VIGLIACCHI, ANCHE IL FIGLIO DEL PRIMO MINISTRO MISHUSTIN SI NEGA
È caos in Russia dopo l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin,
che ha dato il via alla mobilitazione militare parziale, ossia una leva che porterà sul campo di battaglia altri 300 mila soldati e riguarderà i “cittadini riservisti” o che hanno già esperienza nelle forze armate. Il traffico aereo è andato in tilt, altri uomini – quelli provvisti di un visto Shengen – si sono diretti in massa verso la Finlandia con la speranza di riuscire ad attraversare il confine, mentre molti cittadini sono scesi in piazza per protestare.
Ma la mobilitazione militare è valida davvero per tutti i riservisti o uomini con pregressa esperienza nelle forze armate russe?
A giudicare dalle telefonate fatte da Dmitry Nizovtsev, membro della ong Anti-corruption Foundation fondata dall’oppositore politico del Cremlino Alexei Navalny, sembrerebbe di no.
Nizovtsev si è finto un impiegato dell’ufficio militare di registrazione e arruolamento e ha chiamato alcuni figli dei funzionari e deputati più vicini a Vladimir Putin per convocarli per le visite mediche da svolgersi prima di essere inseriti tra i 300mila uomini chiamati dal presidente russo per difendere il Paese e per garantire un «corretto svolgimento» dei referendum di annessione che si terranno nelle repubbliche popolari di Donestk e Lugansk e nelle regioni di Cherson e Zaporizhzhia.
La “chiamata” al figlio del portavoce di Putin
Tra le persone chiamate da Nizovtsev c’è anche Nikolay Peskov, figlio del portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Durante la telefonata in cui si chiedeva al giovane, classe 1990, di presentarsi alle visite mediche di rito, il figlio di Peskov ha risposto che non si sarebbe presentato perché «sa, sono il signor Peskov e non è del tutto corretto per me essere incluso (nella chiamata alla mobilitazione, ndr). In qualsiasi caso, a breve, risolverò la questione a un livello diverso».
Nel corso della conversazione, Peskov Jr. ha poi aggiunto di non aver dato il suo consenso ad arruolarsi come volontario: «Ho bisogno di capire in generale cosa sta succedendo e quali diritti ho».
«Non ho problemi a difendere la mia patria – ha proseguito Peskov Jr. -, ma ho bisogno di capire la ragione del mio essere chiamato: farò quello che mi verrà detto. Se Vladimir Putin dice che devo andarci, ci andrò. Ma non dovrei essere presente nella lista».
Il figlio del portavoce di Putin, in passato ha prestato il proprio servizio nelle RVSN RF, le Forze missilistiche strategiche della Federazione Russa, un corpo militare indipendente dalle Forze armate di Mosca e specializzate nell’impiego di sistemi d’arma nucleari.
Ma Peskov Jr. non è stato l’unico a essere contattato. Nizovtsev ha telefonato anche ad Alexei Mishustin, figlio del primo ministro Mikhail Mishustin, che ha risposto «di non avere ancora intenzione di presentarsi al fronte».
Insomma, mobilitazione sì, ma per i “figli di” forse no.
(da agenzie)
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Settembre 22nd, 2022 Riccardo Fucile
C’E’ ANCHE IL MAGGIORE DELLA MARINA SERGEI VOLYN… “AZOV E’ D’ACCAIO”… “VOGLIONO GIA’ TORNARE A COMBATTERE, MA PER UN PO’ RESTERANNO IN UN PAESE TERZO”
I leader del battaglione Azov che per settimane hanno difeso l’acciaieria Azovstal di Mariupol – il comandante Denis Prokopenko “Redis” e il suo vice Svyatoslav Palamar “Kalina”, sono tra i prigionieri rilasciati dalla Russia. Lo ha reso noto il comandante delle forze speciali ucraine Sergey Velichko che ha pubblicato su Telegram una foto con Redis e Kalina. Lo riporta Ukrainska Pravda.
Oltre a Prokopenko e Palamar, è stato liberato anche il comandante della 36ma brigata marina, il maggiore Sergei Volyn. Nella foto pubblicata con loro compaiono anche il capo della direzione principale dell’intelligence Kirill Budanov e il ministro dell’Interno Denis Monastyrsky.
L’ex comandante dell’Azov Andrey Biletsky ha scritto sui social: “Ho appena parlato al telefono con Radish, Kalina, tutti hanno uno spirito combattivo e sono persino desiderosi di combattere. Un’altra conferma che Azov è di acciaio. Adesso i ragazzi sono già liberi, ma in un Paese terzo. Rimarranno lì per un po’, ma la cosa principale è già accaduta: sono liberi e vivi”. In una foto pubblicata sul sito della radio ufficiale ucraina Suspline si vede Palamar sorridente mentre parla al telefono.
Tra le persone liberate ci sono anche 10 stranieri che hanno combattuto a fianco degli ucraini, alcuni dei quali minacciati di morte. Rilasciati grazie agli sforzi del principe saudita Mohammed bin Salman, si trovano in questo momento a Riad.
Gli Stati Uniti “ringraziano” il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il suo governo “per aver incluso due cittadini americani nello scambio di prigionieri annunciato oggi” con la Russia, ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan. “Ringraziamo il principe ereditario (Mohammed bin Salman, ndr) e il governo saudita per aver facilitato” l’operazione, ha scritto anche su Twitter.
Nell’ambito di questa «operazione preparata da tempo», cinque comandanti militari, tra cui i leader della difesa Azovstal, sono stati trasferiti in Turchia, ha fatto sapere Zelensky.
Secondo l’accordo raggiunto con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il capo di Stato ucraino ha spiegato che rimarranno in Turchia «in assoluta sicurezza e in condizioni confortevoli» fino alla «fine della guerra». Zelenski ha anche aggiunto che in questo scambio è incluso il rilascio, precedentemente annunciato, di dieci prigionieri di guerra trasferiti in Arabia Saudita. Tra questi cinque britannici e due americani.
(da agenzie)
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