Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
TORINO, LA CUOCA 45ENNE CONGOLESE: “SONO NERA, RICEVO RIFIUTI DA SEI MESI”
Rita Kimbembi, 45 anni, è arrivata a Torino nel 2009. Originaria della Repubblica democratica del Congo, ha ottenuto l’asilo e ora aspetta la cittadinanza.
Lavora come cuoca in una cooperativa, ha un contratto a tempo indeterminato. Quasi una rarità , in periodo di crisi. Eppure. «Per un africano affittare casa non è difficile, è impossibile».
Addirittura?
«Per me, almeno finora, è stato così. Un anno fa ho lasciato la casa dove vivevo perchè era un quarto piano senza ascensore. Ho un problema alla gamba sinistra e non riuscivo più a fare le scale. Non potevo restare là . Ora mi ospita un’amica. Cerco un appartamento da sei mesi, ma nessuno mi vuole».
Che tipo di abitazione vorrebbe?
«Un appartamento con almeno due camere. Così mia figlia, che ora sta in Francia da mia sorella, potrà venire a vivere con me. Ha 14 anni e tutte le sere mi manda via Whatsapp le offerte di case in affitto che trova su Internet. Ma quando chiamo per chiedere informazioni, puntualmente mi respingono».
In che modo?
«L’ultima volta mi hanno chiesto una garanzia pari a otto anni di affitti».
Prego?
«E’ andata proprio così. Quando il proprietario di casa ha scoperto che sono africana, ha detto che mi avrebbe affittato l’appartamento solo se avessi versato una caparra di 30mila euro. Sosteneva che è un obbligo previsto dalle leggi italiane».
A chi altro si è rivolta?
«Ho chiamato agenzie, ho parlato con privati, ho risposto ad annunci su Internet. Ma finora è stata fatica sprecata. Mi domandano da dove vengo, io rispondo che sono africana. E all’improvviso mi dicono che la casa non è più disponibile. Ho anche fatto telefonare a un’amica italiana, ma quando mi sono presentata all’appuntamento e hanno visto il colore della mia pelle sono rimasti sorpresi. Hanno cambiato tono dicendomi che c’era già un’altra persona interessata alla casa. Non li ho più sentiti, sono passati due mesi. La scorsa settimana ho visto che l’annuncio è ancora esposto nella vetrina dell’agenzia».
Le hanno mai detto esplicitamente «non si affitta a immigrati»?
«Sì. Almeno in cinque casi mi hanno spiegato che il proprietario si rifiuta di fare un contratto a stranieri. Solo italiani».
Come ha reagito?
«La prima e la seconda volta sono rimasta a bocca aperta. Ero sorpresa, non riuscivo a crederci. Le volte successive ho protestato: ho mostrato il contratto di lavoro e le mie buste paga, ho tentato di spiegare che sono una persona per bene, ma non è servito a niente. Mi dicevano “le faremo sapere”. Poi sparivano».
Ha provato a darsi una spiegazione?
«Sapevo che ci sono molti italiani a cui non piacciono i neri, ma questo atteggiamento razzista non riesco proprio a mandarlo giù. Forse pensano che noi veniamo dalla foresta e che non saremo in grado di pagare un canone. Ma si sbagliano. Io ho un lavoro, guadagno più di mille euro al mese. C’è un proverbio africano che dice: è più importante avere un posto dove posare la testa che un piatto dove mangiare. Io, piuttosto di non pagare l’affitto, mi levo il cibo di bocca».
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
LA MAPPA DELLA POLITICA AGGRESSIVA DEI RUSSI
La Russia preoccupa la Nato e l’Ue.
Lo sguardo degli esperti militari sono puntati su Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania, diventata una spina nel fianco orientale dell’Europa.
Negli ultimi mesi è stato il teatro del più grande dispiegamento di truppe e armamenti russi.
Dopo l’annessione della Crimea, Estonia, Lituania e Lettonia temono di essere in testa alla lista delle mire espansionistiche di Putin.
Per questo le preoccupazioni di Ue e Nato si concentrano principalmente lungo il Mar Baltico. D’altronde i campanelli d’allarme, nei mesi scorsi, non sono mancati: oltre 400 sconfinamenti dei caccia russi nei cieli di altri Paesi solo nel 2015.
Questa è l’analisi di Mark Galeotti
Ci sono missili balistici e sistemi terra-aria avanzati che si stanno dirigendo verso Kaliningrad, con un esplicito avvertimento: i Paesi che stanno pensando di unirsi alla Nato o che stanno ospitando strutture antimissilistiche dovrebbero considerarsi potenziali obbiettivi.
Ci sono flotte navali al largo della costa siriana, per ragioni che hanno poco a che fare con il conflitto in corso lì e molto di più con l’affermare esplicitamente che la Nato non dovrebbe considerare il Mediterraneo come il suo “stagno”.
Ci sono bombardieri che costeggiano e attraversano lo spazio aereo europeo.
C’è una crescente volontà da parte del Cremlino di minacciare apertamente conseguenze militari — anche quelle termonucleari — e di simulare operazioni offensive. È un momento complicato per l’Europa.
Questa mappa mostra esempi selezionati di provocazioni dell’esercito russo verso il continente europeo negli ultimi tre anni
Mark Galeotti
analista associato dell’ECFR., esperto di politica e sicurezza russa e di intelligence
(da “La Stampa“)
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Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
IL PREMIER CANADESE E’ IL PERFETTO ANTI-TRUMP: “LA DIVERSITA’ E’ LA NOSTRA FORZA”
“A tutti coloro che stanno scappando da persecuzioni, terrore e guerra: i canadesi vi accoglieranno, a prescindere dalla vostra fede religiosa. La diversità è la nostra forza”. Così il primo ministro canadese Justin Trudeau ha risposto all’ordine del presidente americano Donald Trump che vieta per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana.
Il messaggio — diffuso sui social network dallo stesso Trudeau — ha ottenuto centinaia di migliaia di like e condivisioni, confermando la popolarità del premier canadese.
Trudeau, che ha rilanciato una sua foto mentre accoglie una piccola profuga, ha poi reso noto di aver ricevuto rassicurazioni dal governo americano che il provvedimento non si applicherà ai cittadini canadesi, anche se in possesso di doppia cittadinanza. Trudeau – leader del partito liberale amatissimo anche per il suo aspetto decisamente accattivante – ha scelto come ministro per l’immigrazione del suo governo Ahmed Hussein, arrivato in Canada come profugo dalla Somalia.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
FERMATO IL “MUSLIN BAN”… DECINE DI MIGLIAIA DI AMERICANI IN PIAZZA
Arriva da una donna il primo sonoro schiaffone a Donald Trump: si tratta di Ann M. Donnelly, 57 anni, la giudice federale che con una decisione storica ha bloccato il cosiddetto Muslim ban, l’ordinanza firmata ieri dal neo presidente che impedisce l’accesso negli Usa agli immigrati provenienti da sette paesi a maggioranza islamica (Siria, Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen).
Spiazzando la Casa Bianca, la giudice Donnelly ha ordinato alle autorità di non procedere alle deportazioni dei cittadini provenienti dai sette paesi musulmani in questione e muniti di visto d’ingresso negli Stati Uniti.
La giudice ha accolto la richiesta di una procedura d’urgenza dell’Aclu (l’American Civil Liberties Union) e ha ascoltato la richiesta di fermare le espulsioni di alcuni cittadini stranieri detenuti, in particolare di un siriano che rischiava l’espulsione “entro un’ora nonostante avesse documenti regolari”, come recitava la richiesta dell’Aclu, in quanto la sua incolumità non poteva essere garantita al suo ritorno a Damasco.
Il punto — secondo la Donnelly — è che le persone arrestate, fermate e rispedite a casa o bloccate alla partenza erano già state controllate e autorizzate a un visto di soggiorno.
Motivo per cui la giudice ha reputato illegittimi i fermi e le deportazioni.
“Vittoria!!!”, ha twittato l’Unione americana per le libertà civili subito dopo la decisione della giudice.
“Le nostre corti di giustizia oggi si sono comportate come un baluardo contro gli abusi del governo e gli ordini incostituzionali”, ha aggiunto la potente organizzazione non governativa di difesa dei diritti civili e delle libertà individuali. Anche se la questione è tutt’altro che risolta e nuove udienze dovrebbero tenersi a febbraio, “la cosa più importante oggi era che nessuno fosse messo su un aereo”, ha detto l’avvocato dell’Aclu Lee Gelernt.
Da Washington a San Francisco, dove erano sorte proteste spontanee contro l’ordine esecutivo di Trump, si moltiplicano i ringraziamenti alla Donnelly, che anche su Twitter viene dipinta come la donna che ha dato una bella lezione a The Donald.
Ann , 57 anni, madre di due figlie, è stata nominata giudice federale da Barack Obama nell’ottobre del 2015.
A suggerire il suo nome al presidente Obama era stato il senatore democratico dello Stato di New York Chuck Schumer. Per 25 anni ha lavorato nell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan Robert Morgenthau.
“La sua reputazione è leggendaria”, ha detto Schumer a proposito della Donnelly. “Era una delle persone più ammirate nello staff di Morgenthau”. Nata a Royal Oak, in Michigan, nel 1959, Donnelly si è laureata all’università del Michigan per poi specializzarsi in legge alla Ohio State University.
Dal 1984 al 2009 è stata procuratore aggiunto presso l’ufficio del procuratore distrettuale di New York. Dal 1997 al 2005, è stata consulente senior per i processi e dal 2005 al 2009 è stata a capo del Bureau sulla violenza famigliare e gli abusi sui minori.
In qualità di assistente del procuratore distrettuale, Donnelly ha contribuito all’azione legale contro Dennis Kozlowski, ex ceo di Tyco International, condannato tra le altre cose per frode e furto aggravato.
Dal 2009 al 2015 ha servito come giudice della Court of Claims di New York, lavorando anche per la Corte Suprema di New York nel Bronx, a Brooklyn e a Manhattan. Poi il passaggio, voluto da Barack Obama, a livello federale.
Con la sentenza che ha fermato temporaneamente il Muslim ban, Donnelly è diventata l’eroina del movimento anti Trump.
Un movimento che sta risvegliando la coscienza civica di moltissimi americani, pronti a scendere in strada per manifestare contro provvedimenti ritenuti discriminatori e contrari ai valori che hanno fatto grandi gli Stati Uniti.
Nelle prossime ore proteste, scioperi e cortei sono previsti in diverse città americane sotto lo slogan “NO Muslim Ban”, già diventato topic trend su Twitter.
A Washington come ad Atlanta, a Chicago come a Seattle, decine di migliaia di persone sono determinate a far capire a Trump che questa volta ha davvero esagerato.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
E ALLE 9, QUANDO ARRIVA LA NOTIZIA CHE UN GIUDICE HA SOSPESO I RIMPATRI FORZATI, ESPLODE L’URLO DI GIOIA
“Perchè Donald Trump mi odia? sono musulmana, ma ho solo nove anni”. Jerome Garcia, un insegnante, ha scritto le parole di una sua scolara grande su un cartello che porta alto sulla testa: “Sono qui per i miei studenti. Bambini che vanno ancora alle elementari e sono già terrorizzati. Conosco il loro terrore, sono figlio di immigrati clandestini anche io. I miei arrivarono dall’Honduras e l’America ci ha dato una grande opportunità . Sono diventato un educatore: un uomo che non ha paura”.
Ogni cartello è una storia, qui al Terminal 4. Sul suo una donna di nome Ruth ha scritto: “Oggi sono qui per i miei fratelli e sorelle musulmane. Così quando verranno a prendere me che sono ebrea, loro mi difenderanno”.
Samira Gupta, 21 anni, batte i piedi dal freddo nonostante sia avvolta in un grande scialle di lana. “Non me ne vado. Ho i guanti di lana, due termos di caffè, banane e merendine”, racconta.
“Sono venuta con mio fratello dopo aver letto su Twitter che c’era una protesta davanti all’aeroporto. Sono nata a New York ma i miei genitori sono indiani. No, non siamo musulmani: ma quello che sta accadendo ci riguarda lo stesso”.
Jerome, Ruth e Samira sono arrivati fin qui grazie al tam tam su Twitter più volte rilanciato dal regista Michael Moore che da ore racconta quello che sta accadendo davanti all’aeroporto più famoso del mondo, in instancabili e continui Facebook live. È proprio qui, al controllo passaporti del Termina 4, che due rifugiati iracheni con i documenti perfettamente in ordine, sono stati fermati nella notte di venerdì poche ore dopo la firma dell’ordine esecutivo voluto da Donald Trump che proibisce l’ingresso a rifugiati e cittadini di sette paesi musulmani.
Quando uno di loro, Haameed Khalid Darweesh, ex interprete dell’esercito americano, viene rilasciato a metà pomeriggio, la notizia viene accolta con sollievo solo per poco: i media parlano infatti subito dopo di almeno 11 persone fermate alla frontiera. Scatta così la mobilitazione sui social: “appuntamento a Jfk” twitta Michael Moore: “e se non siete a New York, bloccate qualunque aeroporto vicino a voi”.
Alle sette di sera il traffico intorno a Jfk è completamente impazzito. Davanti al terminal ci saranno circa tremila persone, che però si sono sparpagliate davanti ai diversi ingressi innervosendo molto la polizia e fanno sentire molto forte la loro voce: “No hate, no fear, refugees are welcome here”, ritmano. “Non odio nè paura, i rifugiati qui sono i benvenuti”.
A decine si catapultano giù dal trenino che porta all’aeroporto: così tanti che la polizia decide, intorno alle otto, di chiudere la fermata. Con buona pace di chi deve prendere un aereo.
Tassisti e autisti di Uber – un’immenso popolo di immigrati su quattro ruote – hanno fatto sapere che sono solidali con la protesta. E finchè dura non accompagneranno nè preleveranno nessuno. In molti hanno scritto i cartelli proprio lì sul treno o sul piazzale gelato, dove per qualche minuto c’è perfino uno spolvero di neve.
Quando alle nove arriva la notizia che il giudice federale di Brooklyn ha bloccato il rimpatrio forzato dei rifugiati, la piazza esplode, in tanti esultano facendo il segno di vittoria. Ma poi si passano subito la voce: “Non è certo finita, dobbiamo continuare così”. Domani si ricomincia.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 29th, 2017 Riccardo Fucile
NEGLI USA E’ RIVOLTA CONTRO TRUMP, UN GIUDICE BLOCCA L’ESPULSIONE DEI CITTADINI CON PASSAPORTO DEI SETTE PAESI… PROTESTE NEGLI AEROPORTI
Ann Donnelly, giudice federale di New York, ha emesso un’ordinanza di emergenza che temporaneamente impedisce agli Stati Uniti di espellere i rifugiati che provengono dai sette paesi a maggioranza islamica soggetti all’ordine esecutivo emanato dal presidente Donald Trump , che ha congelato gli arrivi da quei paesi per tre mesi.
L’ordinanza di emergenza del giudice Donnelly annulla una parte dell’ordine esecutivo del presidente Donald Trump sull’immigrazione, ordinando che i rifugiati e altre persone bloccate negli aeroporti degli Stati Uniti non possono essere rimandate indietro nei loro paesi.
Ma il giudice non ha stabilito che queste stesse persone debbano essere ammesse negli Stati Uniti nè ha emesso un verdetto sulla costituzionalità dell’ordine esecutivo del presidente.
I legali che hanno citato in giudizio il governo per bloccare l’ordine della Casa Bianca hanno detto che la decisione, arrivata dopo un’udienza di urgenza in una corte di New York, potrebbe interessare dalle 100 alle 200 persone che sono state trattenute al loro arrivo negli aeroporti statunitensi sulla base dell’ordine esecutivo che il presidente Donald Trump ha firmato venerdì pomeriggio, una settimana dopo il suo insediamento.
Merkel contro Trump: «Stop all’immigrazione ingiustificato
Per Angela Merkel lo stop agli ingressi in Usa dei rifugiati provenienti da alcuni paesi «non è giustificato». La cancelliera tedesca, ha spiegato il portavoce Steffen Seibert, «è convinta che anche la necessaria lotta al terrorismo non giustifica» una misura del genere «solo in base all’origine o al credo» delle persone.
Gentiloni: «Società aperta è pilastro dell’Ue»
«L’Italia è ancorata ai propri valori. Società aperta, identità plurale, nessuna discriminazione. Sono i pilastri dell’Europa». Così il premier Paolo Gentiloni su Twitter.
«May non è d’accordo con il blocco dell’immigrazione»
Alla premier britannica Theresa May la decisione del presidente americano Donald Trump di sospendere ogni accesso agli Usa da sette Paesi a maggioranza islamica non piace. Il suo portavoce ha affermato oggi che la premier «non è d’accordo» con il decreto esecutivo di Trump e sfiderà il governo americano qualora il bando dovesse avere un effetto negativo sui cittadini britannici. La presa di posizione avviene poche ore dopo che la stessa May, nel corso della sua visita ieri in Turchia, si era rifiutata di commentare il bando deciso dal presidente americano. Si tratta di una decisione, aveva affermato, che riguarda gli Stati Uniti.
Trudeau: «Il Canada accoglie indipendentemente dalla fede
Prendendo le distanze della Casa Bianca che ha deciso di vietare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette Paesi musulmani, il premier canadese Justin Trudeau, ha invece affermato la volontà del suo Paese di accogliere i rifugiati «indipendentemente dalla loro fede».
«A coloro che fuggono da persecuzione, terrore e guerra, il Canada vi accoglierà , indipendentemente dalla vostra fede. La diversità è la nostra forza. Benvenuti in Canada», ha scritto il premier, su Twitter. Trudeau ha anche pubblicato sull’account una sua foto in procinto di accogliere rifugiati, scattata nel 2015, quando il premier aveva voluto recarsi personalmente in aeroporto per l’arrivo di un primo contingente di rifugiati siriani nel quadro di un ponte aereo organizzato dalle autorità di Otttawa. Da allora il Canada ha accolto più di 35mila rifugiati siriani.
Il ministro degli Esteri iraniano: «La nostra decisione non è retroattiva»
«A differenza degli Usa, la nostra decisione non è retroattiva», ha detto il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif in riferimento alla decisione dell’Iran di applicare il principio di reciprocità dopo la decisione del presidente americano Donald Trump di sospendere i visti per i cittadini iraniani. «Coloro che hanno già un visto valido iraniano saranno accolti volentieri». «Pur rispettando i cittadini americani e facendo differenza fra loro e le politiche ostili del governo statunitense, l’Iran ha dovuto prendere misure reciproche per proteggere i propri cittadini».
Proteste negli aeroporti degli Stati Unit
L’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha sospeso temporaneamente l’arrivo di tutti i rifugiati e delle persone provenienti da sette Paesi a maggioranza islamica ha innescato una serie di proteste davanti agli aeroporti internazionali di numerose città degli Stato Uniti. In particolare circa 2.000 persone, tra cui alcune celebrità , si sono riunite davanti al John F. Kennedy Airport di New York (foto) , causando anche alcuni disordini.
L’agenzia che gestisce lo scalo ha tentato di ostacolare l’afflusso dei manifestanti fermando i treni che portano ai terminal, ma il governatore dello stato di New York, il democratico Andrew Cuomo, ha cancellato la misura, affermando che la gente ha il diritto di protestare.
E manifestazioni ci sono state anche nel vicino aeroporto di Newark, in New Jersey, dove si sono radunate circa 120 persone con cartelli contro l’ordine esecutivo di Donald Trump.
E anche all’aeroporto di Denver, in Colorado, decine di manifestanti si sono riuniti davanti al locale scalo internazionale, così come a Chicago, davanti all’aeroporto à’Hare si è radunata una piccola folla e diverse persone sono state arrestate.
Secondo quanto riferisce la stampa locale, anche diversi passeggeri in arrivo allo scalo si sono uniti ai manifestanti.
Simili manifestazioni si sono svolte anche a Dallas, Seattle, Portland, San Diego. E a Los Angeles, circa 300 persone sono entrate nel terminal dopo aver inscenato una veglia a lume di candela. E ancora, a San Francisco, centinaia di persone hanno bloccato la strada che porta allo scalo per esprimere la loro protesta.
I paesi islamici dove Trump ha interessi economici esclusi dalla “black list”.
E sale anche la protesta per l’esclusione di alcuni paesi islamici, da cui sono provenuti molti dei terroristi responsabili di attentati gravissimi contro cittadini americani, dalla black list decisa da Trump.
Sono proprio quei paesi dove il tycoon ha importanti interessi economici.
In un tweet, James Melville ad esempio fa il confronto con gli altri Stati messi al bando dal presidente degli Stati Uniti in relazione alle azioni violente contro gli Usa. Dal confronto emerge un dato sconcertante: le nazioni escluse dalla lista nera sono proprio quelle che hanno dato i natali agli autori delle più efferate stragi contro cittadini americani, mentre dai paesi inseriti nella lista non ci sono persone che hanno compiuto azioni violente negli Usa.
(da “La Repubblica”)
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