Ottobre 6th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SCENDA IL GRANDE OBLIO SU QUESTA TRAGEDIA”: IL DIRETTORE DE “LA STAMPA” POSITIVO
Undici ore trascorse al reparto Covid del Policlinico romano Gemelli, tra i ricoverati e la paura del coronavirus. “Ho sentito tanti pazienti piangere e gridare di dolore” e il racconto di medici e infermieri su “quanto stiano crescendo i ricoveri urgenti” e su “come si stiano riaprendo le terapie intensive”. Massimo Giannini, il direttore de La Stampa, ha il coronavirus. Nel suo editoriale sul quotidiano racconta “La lezione che imparo dal Covid”, perchè “qualche ora di visita in questi luoghi in cui si continua o si ricomincia a soffrire farebbe bene a ognuno di noi. Sarebbe una lezione utile”, scrive Giannini.
Sabato i primi sintomi: tosse, mal di gola, dolori al torace. Domenica: la conferma in ospedale con il tampone che ha dato esito positivo, i polmoni per ora non sembrano essere intaccati. Subito è scattata la quarantena con la terapia domiciliare da seguire. Il direttore del quotidiano torinese ha scritto il suo editoriale per due motivi: il primo riguarda “il giornale e la nostra comunità perchè il rischio di contagio nella redazione come in qualunque altro luogo di lavoro va gestito con rigore e garantiremo la sicurezza di tutti”. Le redazioni torinesi e romane del quotidiano ieri sono state prima evacuate e poi sanificate. Ma l’informazione non si ferma. “Il giornale sarà in edicola e il sito sarà on line”.
Il secondo motivo del suo editoriale “riguarda il nostro Paese e la nostra convivenza civile. Di fronte alla drammatica impostura dei negazionisti e alla cinica disinvoltura dei riduzionisti. Di fronte all’insofferenza degli imprenditori – aggiunge Giannini – e all’indifferenza dei giovani verso le restrizioni imposte dalle autorità politiche. Di fronte a un pericolo mortale: che scenda il Grande Oblio sulla tragedia che abbiamo vissuto tra marzo e aprile, sui diecimila morti soli senza l’ultima carezza e sugli ‘eroi in corsia’ che hanno dato la loro vita per salvare quella degli altri”.
“I sacrifici non devono andare dispersi”, per usare anche le parole del premier Giuseppe Conte pronunciate domenica ad Assisi. E per questa ragione che “il governo – spiega ancora Massimo Giannini – sta per varare un nuovo Dpcm, nella logica da ‘stato di eccezione’ che abbiamo imparato a conoscere da mesi. Un sacrificio doloroso, ai limiti della costituzionalità . Ma necessario, a condizione che finisca il disordine legislativo tra governo e regioni e che le scelte fatte e quelle da fare si discutano nell’unico luogo in cui si esercita la volontà del popolo, cioè il Parlamento”. E infine l’appello del direttore: “Qualche ulteriore rinuncia adesso, forse, servirà a evitare un rovinoso lockdown dopo. Facciamola, tutti insieme. Come ha scritto ieri Abraham Yehoshua sul nostro giornale, ‘il dovere di mantenersi coesi e di rispettare la legge, in una società pluralista e polarizzata come la nostra, è sacrosanto e le forze liberali e illuminate dovrebbero essere in prima fila’. Noi ci siamo, e ci saremo sempre”.
Giannini, ospite in videocollegamento di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, ha raccontato “di aver girato tanto nell’ultimo periodo, forse troppo, per eventi pubblici del giornale, anche se l’ho fatto prendendo tutte le precauzioni. Alla luce di quello che ho visto ieri in ospedale, voglio dire che dobbiamo stare tutti più attenti. Serve più attenzione e più rigore. Dobbiamo metterci una mano sulla coscienza e non dimenticare quello che abbiamo vissuto, perchè anche se adesso non siamo in quella situazione, possiamo tornarci rapidamente se non facciamo attenzione”. Poi un nuovo appello rivolto “soprattutto i giovani che devono avere grande senso di responsabilità , perchè possono essere loro i principali veicoli del virus”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 6th, 2020 Riccardo Fucile
NON E’ ATTIVABILE PER MAREE FINO A 129 CM, OVVERO NEL 70% DEI CASI NON SERVIRA’ A UNA MAZZA… E’ COSTATO 6 MILIARDI MA E’ ANCORA UNA INCOGNITA
Venezia si è svegliata di nuovo con l’acqua alta: la marea prevista era inferiore ai + 130 cm,
così i cassoni del Mose sono rimasti in fondo al mare e la città è finita ammollo.
L’opera più costosa e sprecona della storia d’Italia non potrà proteggere Venezia, almeno per ora, per maree fino ai + 129 cm: questo vuol dire che per quasi il 70% della città non cambia nulla.
Mentre i problemi strutturali del Mose restano tutti irrisolti e per farlo funzionare ci si è dovuti affidare all’Esercito.
L’ondata di gaudeamus e festeggiamenti a reti unificate per il test di sabato ancora non è passata che oggi, come anche ieri per altro, piazza San Marco a Venezia è completamente invasa dall’acqua alta. Se qualcuno avesse capito che il Mose funziona e che abbiamo risolto il problema dell’acqua alta a Venezia, è fuori strada, ma di brutto.
Innanzitutto è stato deciso che ora il Mose non si alzerà più a partire da maree straordinarie di +110 centimetri, ma solo quando le previsioni supereranno i +130 cm. La differenza di 20 centimetri per una città come Venezia è abissale, tanto ci passa tra la sua vita e la sua morte.
Infatti, se con una marea di +110 cm va sotto oltre l’11% della città , con +120 cm va sotto circa il 50% di Venezia (San Marco inclusa ovviamente), fino ad arrivare a quasi il 70% per una marea di +130.
Quindi, per ora e non sappiamo fino a quando, come annunciato dal provveditore Cinzia Zincone, il Mose sarà completamente inutile e non potrà limitare nessuna acqua alta fino a +129 cm, cioè il 70% di Venezia andrà sotto acqua esattamente come prima. Tutte le volte che ci saranno maree sostenute, come ieri e come oggi, Venezia andrà inevitabilmente sott’acqua.
Ma almeno si interverrà sulle maree eccezionali, quelle sopra i 130/140 cm, si dirà .
Ma questo è tutto da vedere perchè facilmente a maree così devastanti si abbinano anche condizioni di mare e vento molto dure, (che per fortuna sabato non si sono verificate) condizioni in cui il Mose non ha mai fatto nemmeno una prova.
E, guardando le condizioni dei cassoni e delle giunture, si capisce perchè e ci si chiede chi mai si prenderà la responsabilità di dare l’ordine di alzare 78 paratoie mezze arrugginite davanti alla fragile Venezia.
Ma per l’opinione pubblica sabato il Mose ha funzionato, a vedere certi servizi tv sembra che l’opera più fallimentare della storia d’Italia si sia trasformata in un clamoroso successo.
Peccato che non sappiamo neanche quando sarà completata, per esempio, la “control room”, il cuore super tecnologico che comanda il Mose. C’è chi dice tra sei mesi, chi tra un anno, sta di fatto che ora, anche nel mirabolante successo di sabato, ci si è dovuti affidare addirittura all’Esercito, grazie al Genio Militare che ha messo a disposizione i suoi ponti radio, altrimenti niente test-passerella.
Il tutto senza contare che tutti i problemi cronici e verosimilmente irrisolvibili del Mose stanno tutti lì.
Non ne è stato risolto nemmeno uno: la corrosione, l’impossibile pulizia degli alloggiamenti delle paratoie in fondo al mare, la naturale instabilità del fondo marino. Per non parlare del mistero su chi dovrà prendersi l’onere di gestire l’opera fino al problema più grande di tutti: i costi di esercizio e di manutenzione.
Se vogliamo valutare un’opera rispetto alle altre (nessun paese al mondo con problemi identici a quelli di Venezia ha scelto il sistema Mose per difendersi, ma tutti hanno optato per barriere galleggianti) dobbiamo valutare i costi (6 miliardi, almeno, spesi) e 100/200 milioni (nessuno lo sa) all’anno per la manutenzione. Altri sistemi simili in Nord Europa hanno risolto il problema con meno della metà delle risorse e del tempo. Un successo all’italiana.
(da Fanpage)
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Ottobre 6th, 2020 Riccardo Fucile
IL DIRETTORE: “PIU’ PREOCCUPATO ORA CHE A MARZO”
Il Cotugno di Napoli, l’ospedale campano di riferimento per quanto riguarda le malattie infettive e tra i più grandi del sud Italia, sta provvedendo ad aumentare il numero dei posti letto per pazienti Covid, avendo ormai raggiunto l’occupazione massima.
Un segnale che la pandemia — come evidenziato anche dai bollettini quotidiani degli ultimi giorni — sta riprendendo vigore in Italia.
In totale sono 130 i pazienti attualmente ricoverati, di cui 16 in subintensiva e 9 in terapia intensiva (4 dei quali intubati).
Nella giornata di ieri, fa sapere a TPI Maurizio Di Mauro, direttore generale dell’Azienda dei Colli — che comprende anche il centro regionale di riferimento per le malattie infettive — è stato convertito un reparto dell’ospedale: “Si stanno liberando circa 20 posti, disponibili entro domani”.
“Stiamo riconvertendo l’intera struttura, trasferendo i pazienti che hanno patologie alternative al Covid presso altre strutture di malattie infettive e stiamo trasformando il Cotugno in Covid hospital. Nella prima fase molti pazienti si sono trascurati anche per patologie principali e quindi stiamo cercando di mantenere inalterata l’attività del Monaldi e trasferire tutti i pazienti Covid al Cotugno. A questo punto possiamo implementare i posti letto e rispondere alla domanda che è abbastanza incalzante”, spiega Di Mauro
Una domanda incalzante dovuta a un aumento dei casi importante: “Abbiamo avuto si e no un paio di mesi di tregua, siamo da febbraio in trincea. Ma abbiamo sempre sostenuto, dico da infettivologo, che il virus non si è mai modificato. Siamo usciti fuori da un lockdown che ha portato a un abbassamento dei contagi, ma con la riapertura delle frontiere questo virus è stato reimportato e così nelle nostre regioni si stanno verificando focolai autoctoni perchè si stanno infettando nuclei familiari interi”, prosegue Di Mauro.
Come spiega Di Mauro, la situazione è ancora sotto controllo: “Rispetto alla prima fase oggi tutti, anche al minimo sintomo, vengono al pronto soccorso. Se questo causa da un lato un intasamento, venendo nelle fasi iniziali della patologia i pazienti tuttavia sono meglio aggredibili dal punto di vista terapeutico, infatti abbiamo pochissimi pazienti in terapia intensiva. Sono state inoltre settate una serie di terapie con risultati positivi: come il cortisone e gli anti-aggreganti. Nelle fasi iniziali avevamo avuto difficoltà a gestire l’azione del virus, ora siamo molto più pronti. L’aggressività del virus però è sempre la stessa”.
Il danno maggiore, spiega Di Maio, è aver pensato che le cose andassero meglio e aver abbassato la guardia: “Le ordinanze vanno rispettate e occorre anche chi controlla che la legge venga rispettata. Con i controlli quasi a zero, gli ospedali vanno incontro a congestione. Si è fatto un lavoro eccezionale a livello regionale che ci ha consentito di aumentare i posti letto”.
Ma ora la situazione sta man mano peggiorando e il direttore Di Maio non nasconde la sua preoccupazione: “Sono molto più preoccupato ora che a marzo, ora lottiamo contro una situazione anomala, con tantissimi asintomatici. L’azione che abbiamo fatto nei mesi scorsi di tamponare tutti i soggetti che venivano da fuori ha messo la regione nelle condizioni di non far circolare i tanti asintomatici che avrebbero fatto una strage. Dobbiamo non abbassare la guardia, per affrontare nuove criticità ”.
(da TPI)
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