Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
LA PARLAMENTARE DI FORZA ITALIA PENSAVA AD AGGIORNARE I SUOI SOCIAL MENTRE SI DISCUTEVA IN STUDIO DELLE DIFFICOLTA’ DEGLI ARTIGIANI DI PAGARE LE BOLLETTE
La smania da social per i politici italiani in campagna elettorale ha ormai valicato ogni barriera dell’immaginazione.
Ultima prova solo in termini temporali ha visto protagonista la senatrice di Forza Italia, Licia Ronzulli, che ospite di Morning News su Canale 5 ha pensato bene di farsi un selfie.
Peccato però che fosse inquadrata, il programma andava avanti in diretta e soprattutto in studio si discuteva di questioni mai come in questi giorni cruciali per gli italiani chiamati al voto il 25 settembre, anche quelli di Ronzulli.
Mentre la senatrice si scattava un selfie, una panettiera spiegava le difficoltà di andare avanti per colpa del caro-bollette. Non è bastato però a distrarre Ronzulli dal suo appuntamento costante con i follower sui social, che anche stavolta hanno potuto godere di un altro autoscatto della senatrice.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
PRIMA DI PARLARE IMPARI A DOCUMENTARSI O USI L’ALTERNATIVA: STARE ZITTA, COSI’ EVITA DI DIRE CAZZATE
Il 1° settembre, durante un evento elettorale a Perugia, in Umbria, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato (min. 12:51) lo stop dell’Unione europea alla vendita di auto con motori a combustione, a partire dal 2035, a favore di quelle elettriche, dicendo che il settore dell’automotive in Italia dà lavoro a «700 mila persone».
Abbiamo verificato che cosa dicono i numeri
Per chi ha fretta:
Il 1 settembre durante un evento elettorale la leader di FdI Giorgia Meloni ha detto che il settore dell’automotive in Italia dà lavoro a «700 mila persone», Dati alla mano, la cifra è errata
In base a diverse stime, il numero degli occupati diretti e indiretti dell’automotive in Italia si aggira intorno alle 300 mila unità
Analisi
Secondo un rapporto della Cassa depositi e prestiti (Cdp), un’istituzione
finanziaria controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel 2018 in Italia – dunque prima della grave crisi che ha colpito il settore automobilistico – le persone occupate nella produzione e nel commercio di auto erano 302 mila, meno della metà di quanto indicato da Meloni. Entrando più nel dettaglio nelle elaborazioni dei dati Istat effettuate dalla società di consulenza Ernst & Young, si scopre che poco più di 212 mila posti di lavoro erano nel settore della produzione, mentre poco meno di 90 mila in quello del commercio.
«Il 73 per cento degli addetti è impiegato in aziende con più di 250 dipendenti, rispetto a una media manifatturiera del 24 per cento», spiega il rapporto di Cdp. «Nella componentistica, in particolare, si registra un valore della dimensione media aziendale pari a 58 addetti, sei volte superiore alla media delle aziende manifatturiere. Gli occupati nel settore si concentrano geograficamente nel Centro e Nord Italia».
L’ordine di grandezza appena visto è confermato anche delle stime più recenti dell’Associazione nazionale filiera industria automobilistica (Anfia), una delle principali associazioni di categoria. Secondo Anfia, a giugno 2022 la filiera dell’automotive in Italia contava su 268.300 occupati, sia diretti che indiretti, circa il 7 per cento sul totale del personale manifatturiero del Paese.
Secondo le elaborazioni su dati Eurostat dell’Associazione dei costruttori automobilistici europei, una delle principali a livello continentale, nel 2019 il settore italiano dell’automotive contava quasi 170 mila dipendenti diretti, sesto dato più alto tra i Paesi dell’Ue. Al primo posto c’era la Germania (916.100 mila), seguita da Francia (232.600), Polonia (224.500), Repubblica Ceca (181.800) e Romania (179.800).
Conclusioni
Secondo Giorgia Meloni, «noi abbiamo 700 mila persone che lavorano nel campo dell’automotive». Abbiamo verificato e questo dato è esagerato. In base a diverse stime, il numero degli occupati diretti e indiretti dell’automotive in Italia si aggira intorno alle 300 mila unità.
(da Open)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“TRUMP E’ UNA MINACCIA ALLE FONDAMENTA DELLA NOSTRA REPUBBLICA, DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA”: E BIDEN VOLA NEI SONDAGGI, A DIFFERENZA DEI “MODERATI” ITALICI
Emergenza democratica, resistenza contro gli estremismi, difesa dei diritti civili fondamentali.
Sono i concetti su cui Joe Biden batte da settimane e i sondaggi gli stanno dando ragione.
Una strategia che potrebbe essere accomunata a quella che in Italia conduce Enrico Letta contro Giorgia Meloni, con una differenza fondamentale: da una parte l’allarme dei democratici italiani guarda soprattutto ai valori del passato che Fratelli d’Italia richiama, dall’altra i timori dei democratici americani sono rivolti al presente e al futuro di un Paese nuovamente in mano a Donald Trump.
Nove punti in più di consenso in un mese per il presidente, segnala un sondaggio Quinnipiac. Joe Biden vincerebbe nuovamente alle presidenziali in caso di duello elettorale con Donald Trump, emerge da una rilevazione del Wall Street Journal, che evidenzia un vantaggio di 6 punti del presidente americano, 50% contro 44% del suo predecessore, in un’ipotetica ripetizione della sfida del 2020.
A marzo di quest’anno, lo stesso sondaggio dava Biden e Trump alla pari con il 45%. Il nuovo sondaggio, realizzato fra 17 e il 25 agosto, assegna un 45% di approvazione per Biden, tre punti in più di marzo. Il 58% disapprova Trump, tre punti più di marzo.
Biden è in crescita di popolarità grazie ad una serie di provvedimenti recentemente approvati su clima e inflazione, così come per la cancellazione dei debiti per i prestiti studenteschi. Trump è invece sotto indagine per aver portato documenti riservati nella sua residenza privata di Mar-a-Lago una volta lasciata la Casa Bianca.
Alla Casa Bianca sono convinti di aver trovato il messaggio da consegnare agli americani. La democrazia Usa è in pericolo e deve essere difesa da Donald Trump e le forze della destra estremista che la minacciano e vogliono riportarla indietro, privando il popolo dei suoi diritti fondamentali.
Joe Biden sferra un duro attacco contro il tycoon nominandolo direttamente più di una volta nel suo discorso agli americani dall’edificio storico di Philadelphia dove furono firmate la dichiarazione di indipendenza e la costituzione degli Stati Uniti.
“Donald Trump e le forze Maga sono estremisti e costituiscono una minaccia alle fondamenta stesse della nostra Repubblica”, ha tuonato Biden usando l’acronimo di ‘Make America Great Again’, lo slogan elettorale di Trump che in tutti i discorsi del presidente Usa è ormai diventato sinonimo di destra ultraconservatrice ed estremista.
“Le forze Maga sono determinate a portare indietro questo Paese. A tornare a un’America dove non c’è diritto di scelta, diritto alla privacy, diritto alla contraccezione, diritto a sposare chi ami”, ha insistito Biden attaccando quella parte del partito repubblicano che punta a smantellare le libertà conquistate dagli americani a partire dal diritto all’aborto, abolito da una Corte Suprema che per il presidente è uno strumento nelle mani di politici retrogradi e pericolosi.
Un’ideologia “semi-fascista”, l’ha definita in un evento di raccolta fondi in Maryland qualche giorno fa. A Filadelfia Biden non ha usato questa definizione ma le sue parole sono state altrettanto dure. “Non c’è posto per la violenza in questo Paese”, ha detto attaccando ancora “le forze Maga che sostengono leader autoritari e soffiano sulle fiamme della violenza politica”.
“Per molto tempo ci siamo convinti del fatto che la democrazia americana fosse garantita. Non lo è. Dobbiamo lottare, difenderla. Proteggerla. Ognuno di noi”, ha incalzato il presidente americano nel suo discorso ‘Soul of the Nation’ di 24 minuti dall’Independence Hall. “Questa sera sono venuto qui, nel luogo in cui tutto è cominciato per parlare chiaramente alla nazione delle minacce che ci troviamo ad affrontare”, è stato l’avvertimento lanciato dal presidente che ha tuttavia voluto ricordare agli americani del “potere” che hanno nelle loro mani “per respingere queste minacce” e “del futuro incredibile che ci si prospetta se scegliamo di usarlo”.
“Votate, votate, votate!”, ha invitato alla fine del suo discorso a soli 68 giorni dalle elezioni di Midterm dalla Pennsylvania che è uno degli Stati in bilico tra repubblicani e democratici. Un ultimo sondaggio del Wall Street Journal dà il partito del presidente in vantaggio rispetto ai repubblicani nella corsa il voto di metà mandato ma secondo molti analisti il presidente ha deciso con questo discorso di sferrare il colpo finale.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
IL PROTAGONISMO MALDESTRO DEI POLITICI FINISCE PER ESSERE PURE CONTROPRODUCENTE
“Ciao ragazzi, eccomi qua. Vi do il benvenuto sul mio canale ufficiale di Tiktok. Su questa piattaforma, voi ragazzi siete presenti in oltre 5 milioni, e il 60% di voi ha meno di 30 anni. Soffro di un po’ di invidia ma mi faccio ugualmente tanti complimenti, per questo ho voluto aprire questo canale, per parlare dei temi che più stanno a cuore a Forza Italia e al sottoscritto, che vi riguardano da vicino.”
Così Silvio Berlusconi debutta su Tiktok, mentre scrivo il video conta più di 3,2 milioni di visualizzazioni a distanza di poche ore dalla sua pubblicazione, un autentico record.
Berlusconi è anche il tiktoker italiano più anziano presente sulla piattaforma, perlomeno io non conosco nessun altro ottantacinquenne che sia su Tiktok, doppiamente fuoriclasse.
Il Cavaliere però non è l’unico ad essere sbarcato sulla piattaforma, anche il suo figlioccio politico, Renzi, ha deciso di buttarsi nel regno dei giovani esordendo così: “Per molti di voi io sono un esperto di first reaction shock o di shish, ma sono stato anche un capo clan, non di camorra, boy scout.”
Non proprio un grande inizio, ma è pur sempre il suo primo tiktok, gli do un 6+ per l’impegno.
L’alleato di Renzi, Calenda, ha optato per uno stile più sobrio. Diciamo che se Renzi e Berlusconi sono nella categoria “meme e divertimento” Carlo Calenda è nella sezione “informazione e studio”.
Lui si è posto da subito come un professore, colui che insegna e indica la retta via: “Posso parlarvi di libri e di cultura, se voi volete discutere di mostre ed eventi culturali, io sono qui per voi”. Un Sacro Graal 2.0 in versione Parioli.
Il mio preferito però (perché è normale avere anche delle preferenze) è Giuseppe Conte. Lui è stato un visionario, ci aveva visto lungo, è stato il primo tra tutti i politici italiani a sbarcare su Tiktok.
Ricordo con nostalgia la sua prima pubblicazione, musica da gangster come sottofondo, alla domanda della conduttrice di Otto e Mezzo Lilli Gruber: “Pronto a un governo con Giorgia Meloni?” lui risponde con un sorriso: “Non scherziamo”.
Emblematica anche la faccina con gli occhiali presente nella caption. Non male come primo video, conta 53 mila like e 2900 condivisioni. Verrebbe da domandarsi se questi like siano poi convertibili in voti, in quanto mi pare evidente anche dagli innumerevoli commenti, che molto di questo gradimento social, sia dovuto ad una presa in giro collettiva.
Ora parliamoci chiaro, il mezzo non è da buttare via, anzi.
Ma come tutte le cose, innanzitutto devi saperle usare e poi devi capire come usarle al meglio così da trarne il massimo beneficio. È chiaro che se vai su un social di giovani devi saper parlare il loro linguaggio, ed è altrettanto chiaro che se sei un over 40, quel linguaggio non lo puoi avere. Una scelta saggia sarebbe stata quella di affidare la gestione Tiktok ai movimenti giovanili dei vari partiti.
Invece hanno deciso di mettere davanti il loro protagonismo, e così facendo si stanno rendendo ridicoli, quando invece avrebbero potuto cogliere l’occasione per dare spazio e voce ai più giovani. Anche perché, differentemente da quello che si possa pensare, su Tiktok ci sono dei giovani che parlano di politica e sono pure bravi.
Purtroppo il modo con il quale si sono posti i nostri politici, dà l’idea a coloro che non sono avvezzi ai social, che Tiktok sia una piattaforma per analfabeti. Ed è triste vedere delle persone che rappresentano le istituzioni in una veste da pagliaccio.
Per fare un esempio, in uno dei momenti più complessi della storia contemporanea, uno dei nostri rappresentanti, Matteo Salvini, ci teneva a far sapere ai più giovani tramite il suo canale Tiktok che “la patente e il motorino i ragazzi che delinquono se li possono sognare”. Insomma, le priorità del Paese.
Forse questa è la punta dell’iceberg del ridicolo, un punto di non ritorno, perché peggio di così non si poteva fare. Se tutta questa cosa di Tiktok era solo una gara tra chi riusciva a mettersi più in ridicolo, sono tutti vincitori a mani basse. Anche se forse, ora che ci penso bene, una nota di merito la darei al Cavaliere.
(da Huffingtonpost)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
FDI 24,5%, PD 21,8%, M5S 13%, LEGA 12%, FORZA ITALIA 8%, AZIONE-ITALIA VIVA 5,2%, VERDI-SINISTRA 4,5%, ITALEXIT 2,6%, + EUROPA 2%
L’istituto Izi ha pubblicato la rilevazione “Scenari di governo” sulle intenzioni di voto di un campione di elettori tra il 30 e il 31 agosto. Secondo Izi Fratelli d’Italia ha 2,7 punti di vantaggio sul Partito Democratico (21,8%) e arriva al 24,5%.
La Lega finisce sorpassata dal Movimento 5 Stelle, che distacca il Carroccio di un punto percentuale: 12 contro 13%.
Forza Italia è all’8% mentre sono distanti Italia Viva e Azione, che insieme arrivano al 5,2%.
Europa Verde e Sinistra Italiana hanno il 4,5% dei consensi, mentre sotto il quorum del 3% ci sono Italexit (2,6%) e +Europa (2%).
Unione Popolare è all’1,4%, Impegno Civico arriva allo 0,6% come i centristi di Noi Moderati mentre Alternativa per l’Italia chiude la graduatoria con lo 0,2%.
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
PERCHE’ DRAGHI STA TOGLIENDO LE CASTAGNE DAL FUOCO AL PROSSIMO ESECUTIVO? LA MELONI A RAPPORTO A CERNOBBIO A PRENDERE ORDINI DALLE LOBBY CHE RAPPRESENTA
Tra Mario Draghi e Giorgia Meloni c’è un rapporto istituzionale che alcuni hanno descritto come un vero e proprio filo diretto. Anche perché l’attuale premier (dimissionario) e quella in pectore si telefonano e si consigliano. A volte anche sui prossimi ministri.
Ma negli ultimi tempi all’orizzonte pare stagliarsi qualcosa in più. Perché su alcuni temi (Ita Airways, rigassificatore a Piombino, balneari) che sarebbero finiti sui tavoli del possibile nuovo governo Meloni l’esecutivo di SuperMario sta invece accelerando.
Con l’obiettivo (probabile) di arrivare a una definizione dei dossier prima del (possibile) insediamento della leader di Fratelli d’Italia a Palazzo Chigi. E il risultato di togliere le castagne dal fuoco proprio a lei. Che non pare dispiacersi più di tanto.
Affinità e convergenze
E così mentre prima della caduta di Draghi Meloni era così sospettosa sulle dimissioni da adombrare (è il caso di dirlo) i “favori delle tenebre“, adesso la critica nei confronti dell’esecutivo è più soft.
Ammorbidita proprio mentre la campagna elettorale in teoria consiglierebbe toni più alti.
Ma, come spiega oggi La Stampa, evidentemente anche a via della Scrofa hanno ben presente che trovarsi già risolte alcune questioni spinose prima dell’insediamento del nuovo esecutivo sarebbe un bel vantaggio. Come nel caso di Ita Airways.
Quando Draghi sembrava orientato a dire sì alla cordata formata da Msc Crociere e Lufthansa, Meloni tuonò: «Mi auguro che non si prendano decisioni affrettate, spettano al nuovo governo». Chiedendosi come mai si volesse vendere ai «tedeschi».
Poi è arrivato il colpo di scena. Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha avviato la trattativa in esclusiva con l’altra cordata. Quella composta dal fondo americano Certares, da Delta Airlines e da Air France-Klm. La cui offerta garantisce un maggior controllo sulla governance allo Stato, due posti nel prossimo consiglio di amministrazione e la possibilità di nominare il presidente. Ovvero proprio quello che chiedeva Meloni.
E pazienza se nel frattempo c’è chi, come il senatore di Fdi Rampelli, si lamenta della preferenza non accordata agli imprenditori italiani (ovvero Msc di Aponte, mentre fino a ieri la cordata era «dei tedeschi»). E promette ricorsi ai tribunali per fermare tutto. La voce della leader non si è fatta sentire.
La disfida del rigassificatore
Poi c’è la disfida del rigassificatore di Piombino. Qui un sindaco di Fratelli d’Italia, Francesco Ferrari, si batte per fermare l’opera insieme alla sinistra e al M5s. L’opera è necessaria per il gas di tutta Italia. Draghi ne ha fatto un punto d’onore. Fdi prima ha provato a correggere il primo cittadino con Ignazio La Russa. Poi è arrivata Giorgia a spiegare che gli impianti «vanno fatti, e vanno fatti nel tempo che è stato definito perché noi dobbiamo liberarci dalla dipendenza del gas russo. L’approvvigionamento energetico è una priorità ma bisognerà parlare molto seriamente del ruolo del comune e delle compensazioni che vanno a Piombino». Non più opposizioni ma compensazioni. Un bel salto.
Non solo. Nella stessa sede la leader di Fdi si è schierata per il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità e per il price cap. Ovvero proprio due cavalli di battaglia di Draghi.
Secondo La Stampa il calendario decisionale prevede che la scelta diventi praticamente irreversibile quando si insedierà il nuovo esecutivo. Anche qui Draghi toglierà le castagne dal fuoco a Meloni e Salvini. E le compensazioni arriveranno per far ingoiare la pillola al territorio. Magari attribuendosi la scelta del limite temporale per la nave davanti al porto. E un altro problema sarà risolto.
I balneari
Infine ci sono i balneari. L’applicazione della direttiva Bolkestein è una delle condizioni dell’Europa per i soldi del Pnrr. Gli stabilimenti italiani da proteggere dall’arrivo degli stranieri sono stati per anni un cavallo di battaglia della Lega. Fratelli d’Italia si è accodata volentieri. Il nuovo esecutivo avrà il tempo per intervenire su alcuni dettagli ma il principio fissato dall’Unione Europea e dal Consiglio di Stato non potrà essere toccato. Con buona pace delle associazioni.
Anche se, spiega ancora il quotidiano, da Fratelli d’Italia (e anche da Palazzo Chigi) si cerca di togliere enfasi alle suggestioni: «Non c’è alcun avvicinamento tra Draghi e Meloni – dice il senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma del partito –. In un contesto impazzito come questo, il fatto che due persone normali e civili si parlino, le fa sembrare più vicine di quello che sono». Sarà.
Intanto nel programma elettorale di Fdi fa capolino anche lo stralcio delle cartelle fino a 3 mila euro. Una misura molto simile a uno dei primi provvedimenti del governo Draghi.
(da Open)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
NON SOLO SCRITTE RAZZISTE MA QUOTIDIANE MINACCE… “POI AI PROCESSI FRIGNANO COME BAMBINI, NESSUN PERDONO PER LORO”
Non solo le vergognose scritte razziste e antisemite. Emanuele Fiano, candidato del Partito Democratico e parlamentare da anni, in un’intervista a Repubblica racconta le minacce che deve affrontare ogni giorno. E come ha intenzione di reagire.
Ecco le sue parole a Repubblica:
Emanuele Fiano, lei è parlamentare Pd da 16 anni e candidato per il Senato nel collegio uninominale Milano nord. Che cosa significa fare campagna elettorale oggi ed essere ebreo?
«Significa ogni giorno ricevere insulti antisemiti e minacce, soprattutto sui social, nei commenti ai post in cui racconto i mercati dove vado a parlare con la gente. L’altro giorno ho proposto un confronto pubblico con Isabella Rauti, la figlia di Pino Rauti. Un tizio ha commentato su Facebook proponendo di fare il confronto “davanti a un bel forno acceso”. Questa è la situazione».
Ma il candidato PD non ha intenzione di restare fermo a subire. Come in altre occasioni denuncerà i responsabili
Che fa quando la minacciano?
«Querelo, denuncio. Non mi faccio certo intimidire. Ci sono stati tantissimi processi. Un gruppo era legato ai suprematisti bianchi e al Ku Klux Klan. Altri hanno avuto perquisizioni a casa e sono saltate fuori armi. Poi nei processi frignano come bambini e fingono di scusarsi. Ma non c’è perdono per loro»
(da agenzie)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
HANNO COMINCIATO A MORIRE UNO DIETRO L’ALTRO TOP MANAGER DEL GAS E DEL PETROLIO RUSSO… IN LUKOIL È IN CORSO UNA GUERRA DI POTERE TRA CHI SOSTIENE UNA FAZIONE ULTRA PUTINIANA E E CHI HA PARLATO CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA
Già in una situazione normale ci sarebbero ragioni per dubitare del suicidio di un grosso dirigente russo che cade, in un ospedale a Mosca, dalla finestra del sesto piano. Le finestre sono sempre troppo spalancate, in Russia. Figuriamoci adesso, nel pieno della guerra in Ucraina che non va come il Cremlino aveva previsto, e con una controffensiva ucraina che si sposa a diversi scricchiolii nel regime di Mosca, costretto e reprimere sempre più spaventosamente ogni figura di dissenso.
Così ieri in pochi analisti hanno creduto che Ravil Maganov, presidente del Consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera Lukoil, si sia davvero suicidato gettandosi nel vuoto da una stanza dell’Clinico Centrale di Mosca. Per una serie di elementi di fatto.
Primo. Da poco prima dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina, hanno cominciato a morire uno dietro l’altro top manager del gas e del petrolio russo, Sergey Protosenya, Vladislav Avayev, Vasily Melnikov, Mikhail Watford, Alexander Tyulyakov, Leonid Shulman, Andrei Krukowski.
Il nono era stato Alexander Subbotin, top manager di Lukoil trovato in una mansion alla periferia di Mosca. Le forze dell’ordine dissero che era morto per insufficienza cardiaca, che lui e la sua sicurezza personale avevano trascorso diversi giorni a casa di amici di famiglia.
Le dinamiche sembrarono talmente poco credibili da suonare tragicomiche: Subbotin si sarebbe presentato «in uno stato di grave intossicazione da alcol e droghe il giorno prima» della sua morte, a casa di uno sciamano. Il corpo era stato scoperto in una stanza del seminterrato, utilizzata dallo sciamano per «riti vudù giamaicani».
A Ferragosto c’è stato un caso che sarebbe il decimo, una morte sospetta a Washington, Dc, di Dan Rapoport finanziere lettone che ormai viveva negli Stat Uniti, sponsor di Alexey Navalny, amico di Bill Browder, il finanziere del fondo Hermitage diventato attivista per i diritti umani dopo l’assassinio in carcere del suo collaboratore Sergey Magnitsky (Browder lanciò una campagna per un Magnitsky Act poi adottato nei principali pasi occidentali). Anche Rapoport è morto cadendo nel vuoto da un attico, con dubbi sempre crescenti nelle ultime ore da parte di alcuni servizi occidentali.
Secondo: in Lukoil, secondo quanto riferiscono a La Stampa fonti molto a conoscenza del dossier, è in corso una scatenata guerra di potere tra chi sostiene una fazione ultra realista e putiniana, e qualcuno che ha voluto parlare contro la guerra in Ucraina, forse sostenuto da un pezzo stesso dei servizi.
All’inizio di marzo, per capirci, il consiglio di amministrazione di Lukoil aveva chiesto pubblicamente la fine del «conflitto militare» in Ucraina. I membri del board avevano espresso «preoccupazione per i continui tragici eventi in Ucraina e profonda solidarietà a tutti coloro che sono stati toccati da questa tragedia».
Critiche che erano state probabilmente alla radice delle strane e repentine dimissioni di Vagit Alekperov, lo storico amministratore delegato dell’azienda, che era stato appena colpito dalle sanzioni e dal divieto di viaggio nel Regno Unito, diventato il principale hub estero dell’azienda (il secondo è l’Italia: Lukoil gestisce distributori in Calabria e Sicilia soprattutto, una raffineria, a Priolo, di fatto ferma dopo la guerra in Ucraina).
Terzo: mentre Lukoil comunica la morte in modo anodino («Siamo profondamente dispiaciuti di annunciare che Ravil Maganov… è deceduto a seguito di una grave malattia»), e mentre fonti interne all’azienda andavano in giro con troppo zelo ad accreditare la tesi del suicidio, due persone che conoscevano bene Maganov hanno dichiarato alla Reuters di ritenere «altamente improbabile che si sia suicidato».
Maganov un paio d’anni fa era stato premiato personalmente da Putin, dopo un servizio ventennale nell’economia del regime: lavorava in Lukoil dal 1993, ne aveva visto nascere e coordinato la raffinazione, la produzione e l’esplorazione. Era presidente dal 2020, mentre suo fratello Nail è a capo del produttore petrolifero russo Tatneft. Però qualcosa era successo. Maganov era rimasto vicinissimo ad Alekperov anche dopo le dimissioni di quest’ ultimo.
Mentre gli hardliners putiniani dentro Lukoil cominciavano a vederlo con insofferenza. Restano sibilline e non rassicuranti, in questa storia, anche le coincidenze casuali.
L’Ospedale Clinico Centrale di Mosca è noto per avere tra i suoi pazienti l’élite politica e imprenditoriale russa. È assai difficile che vi accada qualcosa di davvero imprevisto, è un luogo totalmente sotto il controllo del Fsb. Mikhail Gorbaciov è morto proprio lì martedì scorso, e Vladimir Putin si era recato sul posto proprio ieri mattina, per deporre dei fiori accanto alla bara del leader della perestroika, che odiava. Maganov era volato giù da lì poche ore prima, alle 7,30 del mattino.
(da La Stampa)
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Settembre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
NEI MESI SCORSI HANNO CERCATO DI OSTACOLARE LE POLITICHE DEL MINISTRO ROBERT HABECK, GRANDE OPPOSITORE DEL GASDOTTO NORD STREAM 2
L’agenzia di intelligence interna tedesca sta indagando sulle accuse secondo cui due alti funzionari che lavorano nel ministero dell’Economia avrebbero potuto spiare per conto della Russia. Die Zeit, il settimanale che per primo ha rivelato il caso, ha affermato che i funzionari indagati avevano problemi di approvvigionamento energetico e ricoprivano posizioni chiave.
Il ministero dell’Economia si sarebbe limitato a dire che si è trovato «sotto particolare attenzione» per il suo lavoro di fronte alla crisi energetica. Die Zeit sarebbe a conoscenza dei nomi e dei livelli salariali dei funzionari sospettati. I dipendenti sono stati descritti in una «posizione filo-russa» e sono sospettati di aver cercato di ostacolare le politiche del ministro dell’Economia, Robert Habeck, negli ultimi mesi.
Il giornale ha detto che sono stati i membri del partito dei Verdi, di cui Habeck appartiene, a portare la denuncia al BfV, forse diretto dallo stesso Habeck, che era un oppositore dell’ormai defunto gasdotto Nord Stream 2 molto prima che fosse abbandonato dal governo tedesco per protestare contro l’invasione russa dell’Ucraina. Die Zeit ha suggerito che i funzionari che avrebbero lavorato al progetto dell’oleodotto sotto il predecessore di Habeck, Peter Altmaier, che lo definì un «progetto nazionale sovrano di fornitura di energia», avrebbero potuto lottare per accettare l’inversione a U dell’amministrazione tedesca quando lo schema era stato demolito a febbraio.
(da agenzie)
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