Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
L’ESERCITO DEI FURBETTI, DAL REDDITO DI CITTADINANZA AL BONUS EDILIZIO… MA SUL REDDITO LE PERSONE DENUNCIATE SONO SOLO 29.000 PER 288 MILIONI DI EURO, NULLA RISPETTO AI 5,6 MILIARDI DELLE IMPRESE CHE HANNO OTTENUTO BONUS SENZA AVERNE DIRITTO
29 mila persone denunciate per 288 milioni di euro di illeciti. Sono i numeri dei controlli della Guardia di Finanza relativi al Reddito di cittadinanza effettuati nell’ultimo anno e mezzo.
Va detto che ulteriori verifiche hanno stabilito che 117 milioni sul totale sono stati richiesta ma non ancora riscossi. Numeri in aumento, quindi, rispetto, all’anno precedente: nel 2020, i furbetti scoperti furono poco meno di 5.900, mentre i milioni illecitamente percepiti furono 50.
Dai dati resi noti in occasione del 248esimo anniversario della GdF, emerge inoltre che sono state accertate truffe sui bonus stanziati dal governo per far fronte alla crisi economia dovuta alla pandemia per 5,6 miliardi.
Gli accertamenti, svolti in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate, riguardano in particolare l’analisi sui crediti di imposta agevolativi in materia edilizia ed energetica: le Fiamme Gialle hanno sequestrato crediti inesistenti per un valore complessivo di 2,5 miliardi, poco meno della metà delle somme percepite, mentre due miliardi sono stati monetizzati.
Dei sei miliardi quantificati dalla Guardia di Finanza, oltre 290 sono i milioni di euro di contributi a fondo perduto e i finanziamenti bancari assistiti da garanzia che sono stati percepiti illecitamente e che hanno portato alla denuncia di 2.400 persone.
I dati riguardano poi l’evasione fiscale. Anche qui i numeri sono in crescita: 5.762 gli evasori totali, soggetti completamente sconosciuti al fisco, scoperti dalla Guardia di Finanza dal 1° gennaio del 2021. Nel precedente rapporto erano poco meno di 3.500, ma il dato faceva riferimento al solo 2020 mentre questo è relativo a 17 mesi.
(da agenzie)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
PUTIN PER IL MOMENTO HA BLOCCATO L’INVIO DI TRUPPE MA POTREBBE IMPORRE LA MOBILITAZIONE GENERALE DEI RISERVISTI, E PASSARE COSÌ DALLO SCENARIO “OPERAZIONE SPECIALE” A QUELLO PIÙ ESPLICITO DI “GUERRA”
Dopo la spallata dell’Ucraina ci si chiede quali potranno essere le mosse future. Fin dove può spingersi l’offensiva? I generali di Kiev, in servizio e a riposo, non nascondono le preoccupazioni sull’allungamento eccessivo delle loro linee. La ritirata del nemico ha aperto spazi che la resistenza ha riempito e continua a riempire in queste ore per riprendere più territorio possibile.
Potrebbe essere un «momento doloroso», osservano, tuttavia sarà importante decidere quando fermarsi. Per garantire rifornimenti, dare respiro alle truppe, parare un eventuale ritorno degli avversari. La pensano allo stesso modo gli Stati Uniti.
Come può rispondere Mosca? Ha diversi obiettivi. Contenere, ove possibile, la progressione dell’avversario e rendere insicura la vittoria di Zelensky.
Schierare rinforzi che possano invertire la spinta e logorare gli ucraini: quanto è avvenuto in questi giorni è la prova di come nulla sia definitivo, le perdite si fanno sentire. Lanciare colpi a effetto che aiutino almeno a livello di propaganda interna, azioni per bilanciare le critiche crescenti da parte dei commentatori moscoviti. Gli analisti occidentali continuano ad essere scettici sulla «rigenerazione» dei Battaglioni.
Ma lo sono anche i blogger militari russi diventati le voci alternative rispetto alle assicurazioni ufficiali. Uno di loro ha osservato: possiamo decretare la mobilitazione, troviamo gli uomini ma non abbiamo mezzi tecnici all’altezza della sfida.
Michel Goya, ex ufficiale francese, esperto molto seguito, aggiunge: «Più volte è stata evocata l’idea di un esercito come un insieme di competenze, che aumenta o decresce a seconda delle risorse a disposizione e dalla capacità di apprendere. È evidente che l’abilità di Mosca è in declino costante fin dall’inizio dell’invasione».
Sullo sfondo resta la minaccia. Il Cremlino ha tutto l’interesse ad agitare lo spettro di reazioni eccezionali, per influenzare le opinioni pubbliche europee.
Cosa accade nel Sud? L’assalto sul fronte meridionale di Kherson è stato avvolto dalla nebbia di guerra. Gli ucraini hanno guadagnato posizioni ma avrebbero incontrato difficoltà davanti a postazioni ben strutturate nella seconda linea. Altre informazioni, invece, forniscono un quadro che si sta deteriorando per gli occupanti. Siamo in uno scacchiere dal valore politico altissimo per entrambi i contendenti.
Infatti lo stato maggiore di Putin ha spostato unità a Sud sguarnendo quello di Kharkiv e agevolando la manovra di Kiev.
È ancora Goya a offrire dei numeri interessanti. Kiev avrebbe impiegato tra Kharkiv e Kiev 10-15 brigate meccanizzate, di cui 5 protagoniste dello sfondamento. Sarebbero unità più leggere rispetto al solito, formate per garantire velocità di esecuzione. I russi non hanno colto i preparativi.
(da Corriere della Sera)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
AVEVA 39 ANNI ED ERA DI FATTO IL DELEGATO DI PUTIN PER LA GESTIONE DELLE ENORMI RISORSE ENERGETICHE TRA I GHIACCI… IL PREDECESSORE ERA STATO STRONCATO DA UN ICTUS A FEBBRAIO, A 43 ANNI, SENZA CHE UN’AUTOPSIA ABBIA MAI CONFERMATO LE CAUSE DEL DECESSO
Finestre, scogliere, intossicazioni strane, barche nei mari del nord. La Russia di Putin non è un paese per vite tranquille. È morto in Russia Ivan Pechorin, amministratore delegato dell’industria aeronautica della Corporazione per lo sviluppo dell’Estremo Oriente e dell’Artico. Il corpo di Pechorin è stato ritrovato sull’isola Russkij.
Pechorin, in stato di ebbrezza alcolica, sarebbe caduto in mare da una barca da diporto. Secondo il servizio stampa della società, è morto nella serata di sabato 10 settembre nella zona di Capo Ignatiev.
Secondo la versione ufficiale della polizia russa, è caduto in mare a tutta velocità. L’“incidente” sarebbe avvenuto nelle acque vicino all’isola Russky, non lontano da Capo Ignatiev, scrive la Komsomolskaya Pravda. Il corpo è stato ritrovato dopo una ricerca durata più di un giorno.
Pechorin aveva 39 anni e un posto importantissimo nello scacchiere dell’energia e dell’industria russa, perché di fatto era una specie di delegato di Putin per l’amministrazione delle immense risorse energetiche dell’Artico.
Ad aumentare l’aspetto sinistro di questa ennesima morte nel mondo di top manager russi – specialmente dell’energia – c’è la circostanza anche questa abbastanza sinistra che il predecessore, l’ex amministratore delegato della società, Igor Nosov, era morto pure lui improvvisamente a febbraio, colpito da un ictus a 43 anni. Il corpo non aveva ricevuto però autopsia.
La “Corporazione per lo sviluppo dell’Estremo Oriente e dell’Artico” riveste un ruolo cruciale nella Russia colpita dalle sanzioni, sia nell’energia sia nell’industria aerea. E Pechorin ne disegnava le politiche e era andato a spiegare la sua idea di recente al Forum economico orientale – presente Putin – durante un panel dedicato alla lotta alle sanzioni, che aveva come titolo “Ognuno ha la sua strada: La logistica di un mondo cambiato”.
Pechorin, ci racconta uno dei presenti al Forum, si era anche trattenuto a parlare con i vertici di Lukoil, tra cui Ravil Maganov, 67 anni, il presidente del board della compagnia petrolifera russa, morto anche lui il 1 settembre dopo una sospetta caduta da una finestra di un ospedale di Mosca, lo stesso ospedale dove di lì a poco si sarebbe recato Vladimir Putin per l’ultimo saluto a Mikhail Gorbaciov, morto il 30 agosto.
E subito prima, nella notte del 14 agosto, era voltato giù da un attico di un condominio di lusso a Washington, D.C., Dan Rapoport, un finanziere lettone che era nel suo paese d’origine uno dei più noti critici di Putin, aveva lavorato in Russia con un fondo d’investimento nei primi Anni novanta, per poi finire nel libro nero putiniano, come il suo amico Bill Browder, fondatore del fondo Hermitage, e poi uno dei più impegnati attivisti anti-Putin, e autore della campagna per il Magnitsky Act negli Stati Uniti e in Europa. Rapoport, tra l’altro, sosteneva la battaglia di Alexey Navalny e della sua Fondazione.
E prima ancora c’erano state le morti strane di una serie di manager del petrolio o del gas, Sergey Protosenya, Vladislav Avayev, Vasily Melnikov, Mikhail Watford (trovato impiccato), Alexander Tyulyakov (Gazprom, trovato impiccato), Leonid Shulman, Andrei Krukowski (neanche quarant’anni, top manager del resort sciistico di Gazprom non lontano da Sochi, Krasnaya Polyana, volato giù da una scogliera non si capì assolutamente come).
L’Artico appare da tempo del resto come un territorio di battaglia, e un luogo di faide da decifrare. A settembre dell’anno scorso era morto in modo molto singolare in Siberia, vicino a una cascata nella riserva naturale dell’altopiano Putorana, a 150 km da Norilsk, nord del circolo polare artico, Yevgeny Zinichev, ministro russo per le emergenze, e uomo che Putin salutava come uno dei suoi possibili successori. Zinichev – che era un alleato apparentemente di ferro di Putin – sarebbe morto mentre tentava di salvare un altro uomo caduto in acqua da una scogliera. Le scogliere tornano sempre, come le faide.
(da agenzie)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
SOTTO ACCUSA I CAPI DEGLI APPARATI MILITARI E DI INTELLIGENCE
Vladimir Putin è furioso. «Siete una manica di incapaci», avrebbe detto venerdì in una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza ai «siloviki», i capi degli apparati militari e d’intelligence, che lo ascoltavano come scolaretti in silenzio. Lo rivelano attraverso canali Telegram, fonti con accesso diretto ad alcuni membri del massimo organismo strategico russo.
La controffensiva delle forze ucraine nella regione di Kharkiv, che perfino un politologo di provata fede putiniana come Sergeij Markov definisce «una pesante sconfitta militare per la Russia», ha fatto collidere i due mondi paralleli, nei quali lo Zar ha articolato il racconto della guerra sin dal 24 febbraio: la realtà del più grave conflitto armato in Europa negli ultimi 70 anni e la finzione di un Paese dove la vita continua a scorrere tranquilla.
«La sconfitta non era un’opzione nell’universo di Putin. Ora è successo», dice Tatiana Stanovaya, direttrice del centro di analisi politiche R.Politik, secondo cui il Cremlino «non era preparato a far fronte al nuovo scenario».
Paradossalmente, il contraccolpo sta avendo conseguenze più a Mosca che fra le truppe al fronte.
Secondo Markov, che va preso col beneficio del dubbio perché tradizionalmente vicino ai militari, lo «scompiglio» non sarebbe sul terreno, dove «i comandanti sono riusciti a sottrarre l’esercito all’accerchiamento», quanto nella direzione del Paese: «Questo serio insuccesso significa che bisogna rinunciare alla vecchia strategia e trovarne una nuova. La direzione militare al momento non ha nulla da dire, ma è del tutto evidente che bisognerà lanciare un’escalation delle azioni di guerra. Non si può combattere come si è fatto finora».
Putin al momento tergiversa. Nella riunione del Consiglio di Sicurezza, sbollita l’ira, egli avrebbe chiesto un ritorno alla strategia di guerra iniziale, quella di bombardare a tappeto infrastrutture critiche ucraine con l’obiettivo di provocare il caos e minare l’appoggio fin qui forte della popolazione alla linea della resistenza a oltranza proclamata dal governo. L’attacco del fine settimana alla centrale elettrica di Kharkiv, che per lunghe ore ha lasciato al buio l’intera regione, sarebbe figlio di questa indicazione.
Ma in generale, secondo le fonti, c’è incertezza sul da farsi. Anche un fedelissimo e falco come Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza, avrebbe espresso dubbi sull’idea del presidente, facendo notare che l’esercito ucraino ora dispone grazie agli occidentali di «armi eccellenti», che potrebbero addirittura consentirgli di colpire obiettivi in territorio russo. Fra questi, ci potrebbe essere il ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia, diventato il simbolo dell’annessione della penisola.
Un altro timore, privo di riscontri ma evocato nell’incontro a porte chiuse, è che gli ucraini sarebbero riusciti a infiltrare decine di gruppi di ricognizione e sabotaggio dentro i confini della Federazione.
Anche Markov considera «molto alta» la probabilità che l’esercito di Kiev riesca a occupare parti sia pure piccole di territorio russo. «Sarebbe per loro un colossale successo, soprattutto dal punto di vista psicologico e propagandistico. Non è detto che accadrà, anche perché ci sono degli svantaggi», dice senza spiegare quali.
Ma Putin deve anche affrontare il fronte interno. Markov sostiene che «gli ultimi eventi lo rafforzano, perché nella difficoltà la gente fa quadrato intorno a presidente». In realtà secondo Abbas Gallyanov, ex speechwriter di Putin poi caduto in disgrazia e costretto a lasciare la Russia, «la forza è la sua sola fonte di legittimazione, se viene messa in discussione, anche quest’ultima crolla agli occhi del popolo».
(da Il Corriere della Sera)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
BASTERÀ CHE LA BCE ALZI UN SOPRACCIGLIO SUL NOSTRO DEBITO PUBBLICO E SUI TITOLI DI STATO PER FAR SCHIZZARE LO SPREAD E RENDERE INSOSTENIBILI I NOSTRI CONTI
«Quale è la vera faccia di Giorgia Meloni?». Nei Palazzi europei, nella Commissione e nel Parlamento, ma anche in alcune delle più importanti cancellerie, inizia a serpeggiare con sospetto questo interrogativo. Dopo il comizio di domenica scorsa a Milano, infatti, i dubbi sull’europeismo di Fratelli d’Italia torna ad accompagnare le analisi sul prossimo voto italiano. Quel «è finita la pacchia», infatti, desta perplessità.
Il discorso cambierebbe rapidamente. E le parole di domenica scorsa hanno fatto accendere una prima lampadina.
Un allarme che sta rimettendo in discussione quella specie di “tregua implicita” siglata dopo la caduta del governo Draghi. Anche perché, come ha dimostrato il vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans, con l’intervista rilasciata a Repubblica giovedì scorso, la valutazione istintiva dei vertici Ue non è certa positiva.
E non può essere una caso che ieri, a 24 ore dal comizio “stile Vox” di Meloni, il commissario italiano agli Affari economici, Paolo Gentiloni, abbia sottolineato con energia: «L’efficace attuazione del Recovery fund e del Pnrr è fondamentale per rafforzare la nostra resilienza ed evitare divergenze all’interno dell’Ue». «Il Recovery fund – ha aggiunto in audizione a Strasburgo – rimane un esercizio di apprendimento per le amministrazioni nazionali ed europee».
Le perplessità, dunque, restano una costante. E ogni frase fuori posto rispolvera la paura che le idee di FdI siano state solo edulcorate per vincere la prossima tornata elettorale.
Ma si fa largo una ulteriore riflessione. I Popolari hanno sostanzialmente stretto un’alleanza con i Conservatori, di cui la Meloni è presidente, a Bruxelles. Il Ppe utilizza il gruppo di destra per limitare i socialisti e mantenere le posizioni di potere nelle strutture dell’Unione. Ma la linea “meloniana” instilla un dubbio: che i Conservatori a guida FdI (il gruppo all’Europarlamento è sostanzialmente egemonizzato dalla delegazione italiana) subiscano un’attrazione fatale dai Tories inglesi. Atlantisti ma antieuropeisti, dentro la Nato ma fuori dall’Ue.
Ma l’eventuale nuovo governo di centrodestra dovrà ricordarsi che se davvero assumerà una postura incompatibile con le regole europee spacciandola con «la fine della pacchia», allora la linea di credito appena aperta sarà immediatamente chiusa. E basterà lanciare un occhio verso Francoforte per capirne le conseguenze.
Basterà che la Bce alzi un sopracciglio sul nostro debito pubblico e sui nostri titoli di Stato per far schizzare lo spread e rendere insostenibili i nostri conti. E la crisi energetica, insieme al picco inflazionistico, sta rendendo più complicato tenere sotto controllo l’economia del nostro Paese. Forse, allora, hanno ragione alcuni dei consiglieri di Meloni: da qui al 25 settembre, è meglio restare in silenzio. Ogni parola può diventare una trappola.
(da La Repubblica)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
I CONTATTI CON GIORGETTI E FEDRIGA: QUANDO IL 26 SETTEMBRE SARÀ CERTIFICATA LA DISFATTA DELLA LEGA, PARTIRÀ IL CONGRESSO, MA IL POPOLO DEL CARROCCIO HA GIÀ ABBANDONATO L’EX MINISTRO DELL’INTERNO: “IO NON VI VOTO FINCHÉ C’È SALVINI”
E’ rimasto solo lui a non accorgersi che il problema è lui. A Milano, Venezia, Torino chi si avvicina ai banchetti della Lega oggi dice: “Io non vi voto finché c’è Matteo Salvini”. Nella chat dei parlamentari leghisti, quando aveva tagliato la barba, avevano cominciato a chiamarlo “il macaco” come lo sparring partner del cantautore Paolo Conte.
A Pontida sono attesi 200 bus ma nessuno dice che le federazioni stanno prenotando bus da nove posti. La Lega non vuole andare al governo. La Lega vuole “rovesciare” Salvini. Lo vuole fare attraverso un congresso, tramite la disobbedienza. In Veneto gira l’idea di “una raccolta firme”.
Innanzitutto, il Viminale gli è precluso. Nei corridoi dove si compone la prossima squadra di governo viene anticipato che “Salvini non ci andrà: o lo capisce da solo o glielo faranno capire”. Significa tenerlo lontano dai ministeri sensibili. Sono quelli che hanno accesso al Consiglio Supremo di difesa: Interno, Esteri, Economia, Difesa, Sviluppo Economico.
All’Interno, oltre al nome del prefetto di Roma, Matteo Piantedosi, si fanno quelli di Giuseppe Pecoraro e di Alfredo Mantovano, una personalità particolarmente gradita alla Meloni. Il nome di Salvini non c’è anche perché non è più apprezzato dai sindacati di polizia. Quella che si sta per dire non è una fantasia.
Nel partito c’è chi confida, e confida con cognizione, che si “ragiona se mandare Salvini alla Cultura o all’Istruzione”. Luca Zaia, ieri, ha dovuto rilasciare un’intervista al Corriere per “riprendersi” la battaglia dell’autonomia che Meloni, abilmente, in visita in Veneto, ha tentato di “confiscare”.
Di Lega ce ne sono due. Esiste la vecchia Lega, quella zavorrata dai debiti, ed esiste la Lega per Salvini premier. Convocare il congresso della Lega è semplice. Lo potrebbe fare anche l’antico Umberto Bossi. Ma servirebbe a poco. La vecchia Lega è impastoiata nei tribunali. La Lega per Salvini premier è invece sequestrata dai “compagni di serata” di Salvini, anche se, dopo il 25 settembre, è da vedere quanti vorranno ancora ascoltare “Certe notti” con Salvini.
A dicembre scadono i suoi tre anni da segretario. Solo Salvini o il consiglio federale possono convocare il congresso. Nel federale siedono i vicesegretari (Crippa, Giancarlo Giorgetti, Lorenzo Fontana) oltre ai segretari regionali che sono stati tutti nominati da Salvini (sono quasi tutti commissari) e dieci membri eletti.
Chi volesse conoscere i nomi rimarrebbe deluso. Sul sito della Lega per Salvini premier non c’è l’elenco di questi famigerati membri eletti. Se chiedete a un leghista “ma chi siede nel Consiglio federale?” non sa neppure rispondervi.
La caduta di Salvini può avvenire per moto di popolo. Deve esserci, come accadde con Roberto Maroni, una figura che deve limitarsi a dire: “Io sono pronto”. Quella figura è per tutti Massimiliano Fedriga, il “duca”. Ha il problema di mettere in sicurezza la sua regione che il prossimo anno andrà al voto.
La caduta di Salvini è una priorità della Meloni. Ha un “telefono rosso” con Giorgetti e Fedriga. Al primo vuole ritagliare un ruolo di primissimo piano per fargli svolgere il ruolo di anti Salvini di governo. Il secondo è l’anti Salvini del centrodestra. Il 26 settembre potrebbe accadere anche altro: potrebbe essere superflua la Lega.
Importanti banchieri, a Milano, dicono già: “La Lega è ormai fané. Che si chiami Lega ha poca importanza. Serve una pattuglia di parlamentari che difendano gli interessi del nord. Serve una Lega oltre la Lega, una nuova cosa. Va demolita la casa”. Salvini aveva visto giusto. Tutto comincia e finisce con la ruspa.
(da il Foglio)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
MA IL CLOU LO RAGGIUNGE CONTE, CHE IN UN GIORNO È RIUSCITO PRIMA A CONFERMARE CHE BISOGNA SMETTERE DI MANDARE ARMI A KIEV, POI A DIRE CHE È ORGOGLIOSO DEI RISULTATI RAGGIUNTI DALLE TRUPPE UCRAINE CON LE FORNITURE OCCIDENTALI
Li chiameremo: gli spiazzati. Sono giorni difficili, quelli dei successi militari ucraini, per i “complessisti”. Quel fronte di politici, storici, professori e ospiti tv, in alcuni casi le qualifiche coincidono, che dal giorno dell’invasione dell’Ucraina si è speso per parificare le responsabilità delle parti in conflitto, per contestare la strategia degli aiuti militari a Kiev e soprattutto per negare che la condizione basilare della pace fosse il ritorno alla situazione del 23 febbraio, cioè il ritiro della Russia.
Gli articoli del generale Fabio Mini, una delle personalità che più si è distinta in quest’ opera, sono sempre stati grande fonte di ristoro per l’ambasciata russa in Italia. L’ufficio stampa dell’ambasciatore Sergej Razov deve aver apprezzato anche l’interpretazione orale che Mini, ospite l’altroieri della festa del Fatto quotidiano, ha dato dell’avanzata delle truppe di Kiev: «Quello che è successo in questi ultimi giorni non la vedo come la vittoria di una controffensiva ucraina. La Russia non ha subito una débâcle, ha lasciato dietro qualcosa e le forze ucraine sono riuscite ad andare avanti».
Ma è certo anche sulle analisi di esperti come il generale che alcuni leader politici si sono appoggiati per chiedere di interrompere il flusso delle forniture a Kiev. Giuseppe Conte, per esempio.
In primavera il capo del Movimento 5 Stelle si spese per introdurre la distinzione tra armi offensive e difensive (“Non voteremo – disse – per l’invio di armi che travalichino il diritto alla legittima difesa”), poi è la realtà del terreno bellico ad aver travalicato la posizione dell’avvocato, costretto a esibirsi in un numero spericolatissimo.
A distanza di poche ore nello stesso giorno, Conte ha prima confermato che bisogna interrompere gli aiuti militari a Kiev (“Non ci sono più le condizioni economiche”) e si è quindi detto orgoglioso dei risultati raggiunti dall’esercito ucraino, intestandosi cioè il merito di aver appoggiato la strategia da cui dissente.
Matteo Salvini che nelle settimane successive all’invasione russa scoprì una improvvisa repulsione per le armi, dopo le ultime notizie da Kharkiv, non è più sulla posizione dello stop agli aiuti militari: «Il governo di centrodestra – ha detto ieri – continuerà a inviare le armi».
Prima dell’estate la linea era ben diversa: «All’inizio – disse Salvini – come la stragrande maggioranza degli italiani ho detto sì all’invio di aiuti economici e militari. Sono passati due mesi, è servito? A chi vanno queste armi?».
Si attende la performance del professor Alessandro Orsini, che in tv ha sempre insistito sulla teoria che “la Russia può sventrare l’Ucraina quando vuole” e che il 7 giugno sul Fatto scriveva: “La strategia del governo Draghi è fallita sul campo, è il Lukashenko di Biden”.
(da agenzie)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
LETTA: “CON I NAZIONALISMI SAREMO LASCIATI SOLI”… MELONI: “SUL RECOVERY NON ABBIAMO VOTATO CONTRO, CI SIAMO ASTENUTI” (COME SE CAMBIASSE QUALCOSA, NON HA VOTATO A FAVORE)
Dopo il confronto tra i principali leader di partito sul palco di Rimini durante il meeting di Comunione e Liberazione e quello al forum Ambrosetti di Cernobbio, faccia a faccia in vista delle elezioni del 25 settembre tra la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, e il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta.
Il primo tema affrontato durante il confronto tra i due leader, ospiti del Corriere, è stato quello della guerra Ucraina.
Il segretario dem ha sottolineato che l’Italia si è mossa con coesione sia sul fronte europeo sia su quello atlantista, per poi aggiungere: «Le sanzioni stanno funzionando anche se hanno ripercussioni sulla nostra economia, le sanzioni sono però l’unico modo con cui abbiamo la possibilità di fermare la Russia oggi. Noi siamo tenacemente a favore della resistenza ucraina».
La leader di FdI, rivendicando la posizione dell’Italia che resta «saldamente collocata nella sua dimensione occidentale, europea, nell’Alleanza atlantica» e di essere dalla parte dell’Ucraina, aggiunge un elemento, ossia gli interessi nazionali: «Non abbiamo avuto problemi a schierarci contro l’invasione russa all’Ucraina, e non c’è dubbio che le cose resterebbero così anche con un governo di centrodestra: gli ucraini stanno combattendo una guerra che riguarda anche noi. Un’Italia che scappa delle sue responsabilità pagherebbe questa scelta e sarebbe l’Italia di spaghetti e mandolino».
Il botta e risposta sul Pnrr
Parlando invece del Pnrr, Letta si dice contrario alla riscrittura del Piano nazionale di rilancio e di resilienza, perché «se rinegoziamo i fondi europei del Pnrr il messaggio è che siamo inaffidabili e io sono contro questa idea di un’Italia inaffidabile: quei soldi ci sono e vanno usati bene, mantenendo i capisaldi». E il segretario dem ha poi lanciato una stoccata a Meloni, ricordando che Fratelli d’Italia non ha votato a favore del Next Generation Eu. La leader di FdI, nella replica, ha precisato: «Abbiamo sempre sostenuto il fatto che l’Europa facesse debito comune per affrontare la pandemia: su alcuni passaggi ci siamo astenuti, ma mai votato contro. E ci siamo astenuti perché il documento sul Pnrr è arrivato in Aula, nel Parlamento italiano, solo un’ora prima del voto».
Il rapporto dell’Italia con l’Unione Europea
Meloni ha poi aggiunto che l’Ue non dovrebbe intervenire laddove i governi nazionali, a suo dire, possono operare meglio in autonomia: «La nostra posizione è il principio di sussidiarietà: vogliamo un’Europa in cui anche l’Italia possa difendere i propri interessi. Oggi non abbiamo una politica estera, né di approvvigionamento dell’energia». Secondo Letta invece «Il motivo per cui l’Europa non funziona è perché i Conservatori e alcuni Paesi non vogliono che si decida a maggioranza: bisogna togliere il diritto di veto che piace a Ungheria e Polonia, e spesso lo utilizzano contro l’Italia, come quelli posti da Orban: si sono opposti al Next Generation Eu, che ha poi portato al Pnrr. Noi non vogliamo un’Italia che metta veti come Polonia e Ungheria».
Letta ha sottolineato che con Sinistra italiana e Verdi il Pd ha un accordo elettorale e non di governo, diversamente da Fratelli d’Italia con Forza Italia e Lega. E ancora: «L’Ungheria ha sempre bloccato le politiche comuni sull’immigrazione». E il segretario dem ha portato come esempio la Germania che «è stata lanciata sola, e ha fatto da sola: l’Europa non c’era perché alcuni Paesi hanno bloccato. Serve il superamento del Trattato di Dublino, e con i nazionalismi e i diritti di veto saremmo lasciati soli».
La questione energetica e ambientale
Meloni e Letta si sono poi confrontati sulle tematiche energetiche e ambientali. La leader di FdI ha dichiarato: «Sul tema dell’ambiente dire che siamo negazionisti fa veramente ridere. Non c’è nessuno che ami l’ambiente più di un conservatore: l’obiettivo dei conservatori è prendere la terra dei padri e lasciarla alle generazioni future nelle migliori condizioni possibili».
Quanto all’energia, Meloni ha punzecchiato Letta sul piccolo “incidente di percorso” durante la campagna elettorale in giro per l’Italia. La batteria del furgoncino, infatti, si è scaricata e ha lasciato Letta a piedi a Torino. E a partire da questo inconveniente, Meloni ha punzecchiato il segretario del Pd: «Puntare tutto sull’elettrico non è intelligentissimo, ti lascia a piedi, come sai…e ti lega alla Cina». Il segretario dem ha dunque risposto alla leader di FdI: «Non mi ha lasciato a piedi: abbiamo tre mezzi, li usiamo in modo alternativo in base a dove andiamo: il tuo sistema mediatico racconta fake news come queste».
Letta: «Italia al bivio il 25 settembre: sarà come per la Brexit»
Il segretario del Partito Democratico ha poi aggiunto: «Il 25 settembre ci sono due opzioni radicalmente diverse: su ambiente, diritti ed Europa noi perseguiamo un obiettivo, e se vincesse l’altra parte (il centrodestra, ndr) l’Italia andrebbe dall’altra parte. È un bivio, un referendum, come l’Inghilterra con Brexit. I miei toni sono lineari, anzi sono accusato di essere fair, ma dietro la cortesia non c’è nessuna mollezza, anzi». Inoltre, Letta ha poi incalzato Meloni sulle tematiche civili, partendo dallo slogan del centrodestra “Dio, patria e famiglia“, osservando: «Per noi la società deve essere basata sulla diversità e non sull’omologazione, deve basarsi sui diritti delle persone».
(da agenzie)
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Settembre 13th, 2022 Riccardo Fucile
GUERRA, GAS E SANZIONI: LE COSE POTREBBERO ULTERIORMENTE PEGGIORARE
Ad agosto lo Stato russo è andato in deficit 360 miliardi di rubli (5,9 miliardi di euro). Il bilancio annuale rimane positivo – 137 miliardi a fine mese, 2,2 miliardi di euro – ma è decimato rispetto ai primi sette mesi dell’anno, quando Mosca poteva contare su oltre 500 miliardi di rubli (8 miliardi di euro) di surplus.
A fare la differenza sono, come spiegano gli economisti consultati dal Financial Times, i mancati introiti della vendita del gas all’Europa, che con enormi sforzi da febbraio ad oggi è riuscita a portare la quota russa al 9% dei propri approvvigionamenti di metano, a fronte del 40% prima del conflitto.
Il trend
Il trend quindi potrebbe continuare, con il gasdotto transbaltico Nord Stream 1 chiuso da inizio settembre, che il Cremlino non ha intenzione di riaprire finché l’Europa non solleverà le sanzione imposte.
Non è cosa da poco, perché le vendite di gas e petrolio ammontano a quasi la metà degli introiti russi di quest’anno. Queste, nel 2022, sono state il 18% in meno rispetto allo stesso periodo del 2021.
La differenza equivale a circa un terzo della produzione totale di gas, come dichiarato dal monopolista del gas Gazprom.
A causa delle sanzioni e della situazione tesa, anche le altre forme di introito sono crollate, del 37% se confrontate con lo scorso anno, spiega il giornale britannico. Nel complesso, l’economia russa ha subito un crollo che a luglio si attestava al 4,3%. E gli economisti prevedono un ulteriore 5% nel 2023.
Le difficoltà in Ucraina e sul fronte interno
La situazione è tutto meno che rosea, con l’Unione Europea che ha recentemente imposto un ban al carbone proveniente dalla Russia e che a dicembre si disferà anche del petrolio della Federazione. Sul tavolo dell’Ue, poi, c’è la proposta di un tetto al prezzo del gas russo che potrebbe concretizzarsi nelle prossime settimane, nonostante la fumata nera di giovedì scorso.
Tutto ciò avviene mentre la Russia perde terreno – oltre 6 mila chilometri quadrati e la città di Kharkiv – nell’Ucraina invasa e si trova costretta riorganizzare il proprio sforzo bellico. Proprio a causa della gestione del conflitto, poi, sul presidente del Paese Vladimir Putin stanno piovendo pesanti critiche anche da figure considerate fedelissime. Diversi deputati municipali di Mosca e San Pietroburgo hanno chiesto le dimissioni dello zar.
(da agenzie)
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