Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
DEVE APPARIRE SOLO LUI E NESSUNO DEVE OSCURARLO… IL DEVOTO “GIGLIO MAGICO” CHE LO ATTORNIA FA DA CORTE DEI MIRACOLATI
È evidente che una certa forma di egoismo, o meglio egotismo, è normale in un politico di mestiere, ma qui si esagera e il Matteo Renzi di Palazzo Chigi ha ormai i contorni della “follia narcisista” gaddiana: il capo tutto esamina, tutto decide, tutto nasconde ai sottoposti.
Silvio Berlusconi, altro discreto egotista, aveva almeno, diciamo, altri interessi oltre alla politica e un supremo sprezzo per l’amministrazione giorno per giorno.
L’attuale premier, invece, tutto il contrario. Il livello di accentramento è tale che i ministri vivono ormai senza filtri la tragedia della propria irrilevanza: più che governare, gli tocca fare i giornalisti.
Cercano fonti a Palazzo Chigi, meglio se dentro il cosiddetto “giglio magico” (Luca Lotti e Maria Elena Boschi i più gettonati), per sapere cos’ha in mente il premier riguardo ai provvedimenti che loro stessi dovranno poi firmare.
Alcuni brevi avanzi di cronaca.
ANDREA ORLANDO
Il Guardasigilli, in questi ultimi giorni, è diventato un vero cronista politico: compulsa le fonti alla Presidenza del Consiglio, chiama i sottosegretari, interroga i colleghi in Parlamento.
Vuole sapere cosa ci sarà alla fine nel disegno di legge che verrà licenziato dal governo domani: sui giornali si continua a scrivere che in Consiglio dei ministri alla fine si parlerà solo di giustizia civile e però sono settimane che lui, tapino, prepara anche riforme sul penale.
“Ma la tua è una fonte buona? ”, chiede a un interlocutore. “Ma a te che t’ha detto? ”, butta lì con un altro che ha avuto il privilegio di vedere il premier.
Ieri, poi, incalzato dai gruppi parlamentari, l’ha dovuto dire: “Decideremo col premier quali punti portare in Cdm”.
Tradotto: quando me lo dice ve lo farò sapere.
STEFANIA GIANNINI
È il caso dell’estate: domani a Palazzo Chigi si presenta infatti non la riforma della scuola, non sia mai, ma le relative slide.
Lei, però, è fuori dai giochi. Quella s’era azzardata a buttare là “basta con le supplenze” e quell’altro – il premier s’intende – s’è subito fatto la sua riunione sul tema senza nemmeno convocarla e poi ha passato la velina ai giornaloni: “Assumeremo 100 mila precari”.
Con quali soldi, come, quando? Non si sa. Si chiedono al ministero: ancora non si sa che fine faranno i quattromila “forzati” di quota 96 che non si riesce a mandare in pensione e questo assume?
Se va bene, lo scopriranno domani, altrimenti se ne parla tra un mese.
GIULIANO POLETTI
All’ex presidente di Legacoop fischiano le orecchie da settimane. Non c’è intervento di autorità internazionale (Draghi) e paese creditore (Germania) in cui non si chieda all’Italia di fare le riforme, che poi sono due: tagliare la spesa pubblica purchessia e precarizzare il lavoro.
Questa seconda parte dovrebbe spettare proprio al titolare del Lavoro attraverso il famigerato Jobs act: la relativa legge delega giace in Senato dal lontano 3 aprile e fissa la cornice degli interventi e prevede “ulteriori tipologie contrattuali espressamente volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro, con tutele crescenti per i lavoratori coinvolti”.
Ma i particolari? Sarà il progetto Ichino o quello Boeri-Garibaldi? Via l’articolo 18 oppure resta e si applica col tempo?
I parlamentari del Pd dell’area sinistra, che poi sarebbe la sua, gli chiedono in continuazione chiarimenti: “Non lo so ancora”, risponde lui, tanto onesto quanto rassegnato
FEDERICA GUIDI
Pare che domani approvino un decreto che riguarda assai anche lo Sviluppo economico: si chiama Sblocca Italia, ma la ex presidente dei giovani di Confindustria ne conosce solo i titoli: se lo sono palleggiato Maurizio Lupi, fino a un certo punto, e poi è passato alle cure di Renzi (e di Padoan) che ieri sera ha organizzato la solita riunione senza estranei con Lotti e Delrio per decidere i dettagli.
Guidi è scomparsa dai radar: ieri per parlare di crisi industriali il segretario della Fiom, Maurizio Landini, s’è presentato a palazzo Chigi (ma la cosa dovrebbe interessare anche Giuliano Jobs Act Poletti).
BEATRICE LORENZIN
Gli ha portato la legge sulla fecondazione eterologa e Renzi l’ha cestinata in malo modo e facendolo pure sapere a tutti.
Lei ha generosamente annunciato il suo Patto per la salute con novità su ticket, posti letto, i nuovi Livelli elementari di assistenza (Lea) e altre cosette, compreso l’allentamento dei vincoli alle nuove assunzioni, ma le è stato chiarito che la politica sanitaria la scrivono Carlo Cottarelli e il ministro Padoan, che ieri ha detto al Corriere della Sera che ci saranno nuovi tagli (il Parlamento, per dire, dice invece che la spesa è già al minimo)
VARIE ED EVENTUALI
Sono tutti gli altri. Una menzione d’onore va però a Carmela Lanzetta, titolare degli Affari regionali. Semplicemente non pervenuta, come pure i decreti attuativi per abolire le Province: sostanzialmente il suo unico compito di peso.
Non è sicuro che Renzi sappia chi è, ieri – per dire – per sapere cosa pensano Regioni e Comuni ha convocato direttamente i “renziani” Piero Fassino (Anci) e Sergio Chiamparino (Regioni).
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
CON UN MAQUILLAGE LINGUISTICO DA TEMPO SI E’ AGGIRATA LA COSTITUZIONE CHE AMMETTE LA PIENA LIBERTA’ DELLE SCUOLE PRIVATE MA “SENZA ONERI PER LO STATO”
Sembra che Renzi abbia frenato lo slancio con cui la ministra Giannini, sbilanciandosi molto nel parlare alla non disinteressata platea di Cl, aveva promesso più soldi alle scuole paritarie come parte importante della riforma della scuola in cantiere (ormai non c’è governo che non ne faccia una, con risultati non sempre apprezzabili).
Ma la Giannini ha fatto di più che promettere maggiori fondi. Ha infatti affermato che occorre superare «le posizioni ideologiche» per quanto riguarda la distinzione scuola pubblica/scuola paritaria, e di conseguenza i relativi finanziamenti, per «guardare solo alla qualità ».
Le ha dato successivamente manforte il sottosegretario Toccafondi, che ha spiegato: «Per troppo tempo in questo Paese si è detto che la scuola era pubblica o privata. La scuola è tutta pubblica e si divide in statale e non statale».
Non ci si può neppure stupire. È un processo iniziato con il maquillage linguistico, operato dal governo Prodi e dal ministro Berlinguer, che ha trasformato le scuole private, appunto, in pubbliche, per aggirare il dettato costituzionale, che ammette, e ci mancherebbe, la piena libertà di istituire scuole a organismi diversi, ma “senza oneri per lo stato”.
Definita la scuola paritaria parte del sistema pubblico, il gioco sembra fatto.
La scuola paritaria non solo è legittimata ad accedere ai fondi pubblici, ma a competere per essi con quella pubblica/statale.
Finora ciò era avvenuto con fondi “a parte” — ancorchè sempre sottratti al sistema autenticamente pubblico, anche in questi ultimi anni di tagli dolorosi. Sembra di capire che Giannini auspichi un finanziamento sistematico, regolare che non distingua più tra i due sistemi, salvo che sulla base della “qualità ”.
Sembra così ignorare che il dettato costituzionale non è solo una norma di tipo finanziario, ma una precisa regola di attribuzione di responsabilità .
Lo Stato ha la responsabilità prioritaria di garantire un’istruzione di qualità a tutti, senza privilegiare nè il ceto sociale, nè particolari opzioni di valore o visioni del mondo (salvo quelle della libertà , della democrazia, della uguale dignità di ciascuno), ma se mai metterle in comunicazione tra loro.
Tutte le risorse disponibili vanno investite in questa direzione. Dio sa quanto ce ne sia bisogno in Italia, dove le disuguaglianze nello sviluppo delle competenze cognitive tra classi sociali e ambiti territoriali costituiscono una denuncia drammatica del fallimento dello Stato nel far fronte a quella responsabilità proprio nei confronti dei suoi cittadini più svantaggiati.
Si può, si deve, anche ampliare la sfera del “pubblico”, non già , tuttavia, a scuole private con le loro legittime visioni del mondo (e regole di reclutamento degli insegnanti), ma alle comunità locali, agli individui e associazioni che possono integrare e arricchire le offerte educative della e nella scuola pubblica, alla costruzione di spazi, metodi e competenze perchè la pluralità delle visioni del mondo possano confrontarsi criticamente e dove i bambini e i ragazzi non siano costretti a muoversi in una sola, per quanto ricca, pregevole, carica di storia.
Non è detto che tutti gli insegnanti della scuola pubblica siano attrezzati per farlo. Ma ciò vuol dire che nel formarli e aggiornarli occorrerà tener presente anche questa dimensione, non che se ne può fare a meno.
Il riconoscimento di statuto pubblico alle scuole paritarie ha già fatto danni nelle scuole dell’infanzia, nella misura in cui un comune non si sente più in obbligo di fornire il servizio se in un determinato quartiere c’è già una scuola paritaria; anche se questa, come capita per lo più, è di tipo confessionale e non risponde agli orientamenti culturali dei genitori.
Era questo il motivo del referendum bolognese, fallito per scarsa affluenza e per il timore, alimentato dall’amministrazione, che senza le scuole paritarie molti bambini non avrebbero avuto posto — appunto perchè i finanziamenti erano stati dirottati lì.
Ancora più grave è quanto è successo in Piemonte con l’amministrazione di centrodestra.
Una legge regionale ha stabilito non solo l’equiparazione tra scuole per l’infanzia pubbliche e paritarie, ma ha dato alle seconde diritto di veto all’istituzione di una scuola pubblica sul “proprio” territorio, nel caso questa rischi di ridurne il bacino di utenza.
Il modello Giannini realizzato? Ora la nuova amministrazione regionale ci metterà una pezza, se non altro eliminando il diritto di veto.
Ma rimane il fatto che, una volta riconosciuto il diritto al finanziamento pubblico delle scuole paritarie la competizione sulle risorse continuerà .
Con il modello Giannini, rischia di estendersi dalla scuola per l’infanzia a quella dell’obbligo e oltre, con buona pace del diritto di scelta delle famiglie e soprattutto delle opportunità dei bambini e ragazzi di essere educati in un contesto culturalmente pluralistico.
Su questi punti, e non solo sull’entità dei finanziamenti, è opportuno che Renzi e il governo facciano chiarezza, approfittando della pausa di riflessioni che si sono presi sull’argomento.
Chiara Saraceno
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
PRIMA I CORTEI AFFOLLAVANO LE PIAZZE E IL LEADER POLITICI FACEVANO A GARA PER MOSTRARSI IN PRIMA FILA CONTRO LE GUERRE, OGGI SILENZIO ASSOLUTO
AAA cercansi disperatamente pacifisti. Che in Italia sembrano non esistere più.
Da quando è scoppiata l’ultima offensiva israeliana a Gaza, infatti, nessuno è sceso in piazza a protestare.
Men che meno per le stragi dell’Isis contro i cristiani in Iraq.
Anzi, per la verità , una manifestazione ci sarà , il 21 settembre a Firenze, per la pace in Medio Oriente e in Palestina in particolare.
Ma, se la tregua tra Hamas e Israele reggerà , sembra un’iniziativa fuori tempo massimo. Finora, infatti, non si è mosso nulla. Non era mai accaduto.
Durante l’operazione Piombo fuso — dicembre 2008/gennaio 2009 —, per esempio, numerose furono le iniziative per protestare contro le incursioni israeliane a Gaza. Ora, invece, tutto tace.
Dopo aver vissuto il suo momento di gloria, infatti, il mondo pacifista sembra finito da un pezzo. La pietra tombale è stata posta dalle elezioni del 2008, quando la Lista Arcobaleno è rimasta fuori dal Parlamento.
Fino a quel momento era stata un’escalation. Specialmente sotto il governo di Silvio Berlusconi dal 2001 al 2006.
Quando, causa 11 settembre e guerre in Afghanistan e Iraq, i pacifisti hanno riconquistato la scena. Complice anche la valenza antiberlusconiana di molte manifestazioni, le piazze venivano riempite con grande facilità .
Zeppe, soprattutto, di leader della sinistra nostrana. Piero Fassino, Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti, Francesco Rutelli, Alfonso Pecoraro Scanio, Paolo Cento, Oliviero Diliberto, Franco Giordano, Paolo Ferrero.
Ma anche, alla marcia Perugia-Assisi, esponenti ex Dc come Franco Marini e Rosy Bindi. E poi ancora Fabio Mussi, Livia Turco, Gennaro Migliore.
Tutti con il loro fazzolettino arcobaleno al collo. Arcobaleni che, in forma di bandiere, hanno ornato i balconi delle nostre città per anni.
Alcuni stendardi sbiadivano sotto i colpi dello smog, ma resistevano. Oggi anche loro sono spariti. Non se ne vede più nemmeno uno.
Poi c’erano i leader. Il napoletano Francesco Caruso. Il quale, dopo due anni da deputato, è finito a lavorare al Parco nazionale del Gran Sasso.
Luca Casarini, oggi consulente di marketing a Palermo, alle ultime Europee si è candidato, senza successo, con la lista Tsipras.
Vittorio Agnoletto, il leader del Genoa Social Forum, protagonista delle tremende e tragiche giornate di Genova, dopo un passaggio da parlamentare europeo, è tornato a fare il medico.
Il culmine il movimento pacifista lo raggiunse con la manifestazione del 15 febbraio 2003 a Roma. Tre milioni di persone in piazza per dire “no alla guerra in Iraq senza se e senza ma”.
Ventisette treni speciali e migliaia di pullman da tutta Italia. Con approdo a piazza San Giovanni. La Rai non mandò la diretta tv e D’Alema si infuriò. “La vergogna di questa giornata per la Rai è indimenticabile” tuonò l’ex premier.
Che anni dopo, da ministro degli Esteri del Prodi II, si fece immortalare a braccetto con un rappresentante di Hezbollah dopo un bombardamento su Beirut. Manifestazioni, però, si erano viste anche precedentemente per protestare contro l’intervento in Afghanistan, deciso dopo l’11 settembre.
Il numero dei cortei è iniziato a scemare dopo la vittoria dell’Ulivo nel 2006.
Anche perchè il governo del Professore, pur tra qualche critica, non ha mai fatto mancare i voti al rifinanziamento delle missioni militari, a partire dall’Afghanistan.
In quel periodo a ogni corteo scoppiava la polemica per la contraddizione di un governo italiano a sostegno della politica Usa e, al contempo, esponenti di quella maggioranza — Rifondazione e Pdci — che scendevano in piazza contro la guerra.
Un corto circuito politico istituzionale che è andato avanti per tutta la durata dell’esecutivo Prodi.
Poi è arrivata la stangata del 2008. Da allora le manifestazioni pacifiste sono andate via via diradandosi.
L’unica rimasta impressa nella memoria collettiva la si ricorda per la deriva violenta, con i black bloc che nell’ottobre 2011 misero a ferro e fuoco il centro di Roma.
Gianluca Rosselli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
PESSIMISMO SUI CONSUMI E PADOAN RIBADISCE: “LE CASSE SONO VUOTE”
In attesa dei provvedimenti economici d’autunno, la politica economica è fatta di sfumature, di clima, di indicatori che definiscono il quadro in cui bisognerà prendere decisioni.
E perfino l’ottimismo di Matteo Renzi inizia a vacillare di fronte a notizie cupe come quelle che si sono accumulate nella giornata di ieri.
PRIMA BOTTA: i consumatori italiani sono sempre più pessimisti, dice l’Istat. L’indice di fiducia passa da 104,4 di luglio a 101,9 ad agosto.
Ormai è parecchio sotto i 105,3 punti di aprile, cioè prima della “operazione 80 euro”. È chiaro il senso politico del dato: il bonus Irpef voluto da Renzi alla vigilia delle Europee doveva servire, oltrechè a raccogliere voti, a cambiare le aspettative.
Cioè a dare agli italiani la sensazione che la crisi stava finendo e che era il momento di investire e consumare. L’effetto, stando ai numeri dell’Istat, è durato un mese.
A leggere i giornali d’estate le famiglie italiane si sono fatte l’idea che le cose stanno andando male: il giudizio sulla situazione economica crolla da -79 a -91.
Traduzione: gli 80 euro non hanno funzionato sullo spirito degli italiani, vedremo presto dai dati sui consumi se almeno hanno agito sul portafoglio.
“Nell’Eurozona il rischio della deflazione è ancora presente e in alcuni Paesi dell’area euro è già realtà ”, scrive il capo economista del Fondo monetario internazionale, Olivier Blanchard, giusto a certificare che la percezione pessimistica degli italiani è fondata.
SECONDO COLPO PER RENZI: il ministro delle Finanze tedesco , Wolfgang Schà¤uble, al quotidiano Passauer Neuee Presse, dichiara: “Conosco Mario Draghi molto bene. Penso che il significato delle sue parole sia stato esageratamente interpretato”.
Da tre giorni i mercati corrono felici perchè hanno intravisto nel discorso che il banchiere centrale ha fatto venerdì a Jackson Hole, negli Stati Uniti, un cambio di clima, premessa per una politica ancora più espansiva da parte della Bce.
In realtà Draghi si è limitato ad auspicare un migliore uso della “flessibilità ” prevista dai Trattati europei in modo da aiutare i Paesi membri a sopportare il costo delle riforme strutturali necessarie per essere competitivi.
E ha condiviso l’auspicio di un aumento degli investimenti in Europa, che è al centro del programma della nuova Commissione europea di Jean Claude Juncker.
Ma niente di più. Con la sua dichiarazione — i cui effetti sui mercati si misureranno già oggi — Schà¤uble chiarisce un punto politico rilevante: la Germania non si muove di un millimetro dalla sua posizione.
Che finora è sempre stata chiara: le misure straordinarie si prendono solo in contesti di vera emergenza e ogni aiuto deve essere legato a forti condizionalità e non a fondo perduto.
TERZO ELEMENTO DELLA GIORNATA DI RENZI: l’intervista del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al Corriere della Sera.
Titolo: “Risparmieremo su tutto”. Svolgimento: non c’è un euro, il famoso decreto Sblocca Italia previsto per domani sarà quasi a costo zero, tutto il resto viene rimandato alla legge di Stabilità , comunque lo “strumento guida” sarà “la spending review”, cioè i tagli.
E con l’Europa il governo italiano si sta togliendo i guanti per dialogare meglio a cazzotti: “Vedremo poi come i tempi di raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio saranno modulati”.
L’Italia non chiederà ulteriori rinvii dell’aggiustamento sul debito, dopo aver deciso in modo unilaterale di rimandare il deficit strutturale zero dal 2015 al 2016, si prenderà altro tempo.
Senza discutere, poi se Bruxelles vuole protestare, è libero di farlo. Si immagina l’accoglienza un po’ glaciale che Renzi riceverà sabato, nella capitale europea, al vertice dei capi di governo che deve varare le nomine della Commissione, a cominciare da quella di Federica Mogherini come nuovo Alto rappresentante per la politica estera.
DULCIS IN FUNDO, a certificare che “la luna di miele è finita” (lo ha scritto il Financial Times), arriva il Sole 24 Ore.
Renzi da tempo ha smesso di considerare rilevante la Confindustria di Giorgio Squinzi, ma il suo giornale è ancora giudice ascoltato delle sorti del governo in campo economico.
Titolo: “Opere, per ora solo 1,2 miliardi”. E nell’editoriale abbinato il giornalista Giorgio Santilli parla di “Numeri, numerini e numeri spaziali”.
Più che numeri, balle spaziali: i 43 miliardi che Renzi ha promesso di “sbloccare” domani con il decreto “Sblocca Italia” non esistono e non sono mai esistiti.
Anche facendo una generosa somma che include risorse già stanziate per opere che richiederanno dieci anni di lavori per produrre il loro impatto sul Pil, non si arriva a più di 12-15 miliardi.
Soldi che già esistono, è bene ricordarlo, non che vengono trovati dall’attuale governo. Ma Renzi ha spesso l’ansia di esagerare, oggi con i 43 miliardi, in campagna elettorale con i 183 miliardi di Fondi europei a disposizione dell’Italia (sono meno di 40).
In questa fine estate di promesse e dichiarazioni è ancora tutto lecito, poi a settembre e ottobre bisognerà scrivere i documenti e i numeri dovranno essere quelli giusti.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
NON SOLO ALCOA, IN 5 ANNI BRUCIATI 90.000 POSTI DI LAVORO SOLO NELL’INDUSTRIA
Alla fine bisognerà ammettere che l’analisi più convincente dell’economia in dissoluzione l’hanno data i giovani cantanti di “Cazz boh”, video musicale cliccatissimo in rete soprattutto dai sardi disoccupati. Giovani.
Un mix di ironia e disperazione sintetizzato nel titolo: una generazione sospesa tra rabbia e rassegnazione. S
u Youtube potete osservare il sorriso inossidabile con cui Ilaria Porceddu, reduce di XFactor, gorgheggia: “E cosa fai se c’è il benzene nella falda, in fondo l’Eni dà lavoro e viene male processarla, cazz boh, cazz boh…”.
E questo è per la crisi della grande industria. Poi c’è quella della piccola: “Che male c’è se la tua azienda è andata all’asta, se la compra un prestanome della banca, che fai se poi la vende a prezzo pieno, in fondo adesso non hai debiti e puoi ucciderti sereno, cazz boh, cazz boh…”
L’amara ballata dell’occupazione svanita
Se dall’amara ballata di Alessandro Carta dei Nasodoble ci spostiamo ai dati Istat, e per farlo bisogna attraversare il deserto di parole di politici ed economisti, scopriamo che l’analisi coincide.
Nel 2008, all’inizio della grande crisi, in Sardegna avevano un lavoro 633 mila persone, su una popolazione di poco superiore al milione e mezzo. Oggi ce l’hanno in 547 mila.
O meglio, ce l’avevano nel primo trimestre del 2014, adesso saranno ancora meno. Perchè nel frattempo, per dire, sta chiudendo la Vinyls di Porto Torres.
Dei 120 operai che cinque anni fa andarono a recludersi all’Asinara dando vita a una delle proteste più cliccate di sempre, ne sono rimasti 80.
Ma insomma, in cinque anni sono spariti, ufficialmente, 88 mila posti di lavoro (40 mila nell’industria) in una popolazione come quella di Milano.
Il dato può sembrare agghiacciante, eppure il peggio deve ancora venire.Di quegli 88mila lavori scomparsi, 58 mila li hanno persi i ragazzi tra i 25 e i 34 anni.
Invece gli over 55 con posto di lavoro dal 2008 sono aumentati da 63 mila a 90 mila, e addirittura aumentano gli occupati tra gli over 65.
Questo significa che la Sardegna è immobile. Chi aveva un lavoro sicuro vent’anni fa (pubblico impiego, scuola, sanità , poste etc.) se l’è portato dietro da una classe di età alla successiva.
I giovani invece crescono senza trovare un posto di lavoro che li aspetta.
Si tirano le somme finali del fallimento dell’industrializzazione a senso unico degli anni ’60. Le coste e l’interno dell’isola sono state riempite di raffinerie e petrolchimici (Sarroch, Ottana, Porto Torres). Non è rimasto niente.
A Porto Torres la Sir di Nino Rovelli e poi l’Eni erano arrivate a creare 12 mila posti di lavoro. Adesso c’è la cosiddetta chimica verde di Matrica, che trasforma in plastica l’olio del cardo. Per ora impiega un paio di centinaia di operai, mentre altri 400 contano di lavorare con la Syndial (gruppo Eni) per le bonifiche di un’area spaventosamente avvelenata (il benzene di cui sopra).
La politica delle promesse. E l’emiro del Qatar
Nel Sulcis lo Stato fronteggiò la fine delle miniere di Carbonia, che davano 20-30 mila posti di lavoro, con la fabbrica dell’alluminio, la Alumix, che adesso è in rianimazione.
Dei due grossi pezzi che furono privatizzati negli anni ’90, la Eurallumina è ferma da anni, l’Alcoa, ferma da un anno e mezzo, aspetta di essere salvata da un intervento del governo sul prezzo dell’energia elettrica. Se va bene mille posti. Manca però un modello alternativo , si lascia passare il tempo come se si sperasse che la bufera passi.
Parli con vecchi sindacalisti come Tino Tellini (ex Vinyls) e ti dicono che per fortuna il tempo fa scivolare un po’ di gente verso la pensione e questo attenua qualche dramma, così capisci che in Sardegna il vero ammortizzatore sociale è la vecchiaia, per non dire di peggio.
Il punto è che fanno notizia le fabbriche che chiudono o tagliano, e quindi ci sono quelli che perdono il lavoro.
Chi non fa notizia per definizione è chi il lavoro non l’ha mai avuto e praticamente nemmeno lo cerca perchè non sa neppure com’è fatto.
Dei giovani sardi nessuno si occupa, non si sa neppure più quanti sono i disoccupati, anche perchè quando dici 30 per cento, e poi 40 per cento, e poi forse 50 per cento i numeri non aggiungono più nulla all’evidenza della tragedia.
E loro stanno finendo la stagione al mare (quest’anno per fortuna il turismo non è andato malissimo) in attesa di trovare uno di quei caporali che se li porta a legioni intere a fare i camerieri negli alberghi e nei rifugi delle località sciistiche.
Perchè in Sardegna il problema di un’economia che non gira più, e non per una crisi passeggera, nessuno lo affronta alla radice. Si va per tentativi.
Nel Sulcis sono dovuti arrivare a far scappare il ministro Passera in elicottero (novembre 2012) per ottenere un piano che prevede 650 milioni di investimenti pubblici.
Dopo due anni di quel piano è stato attuato solo il monitoraggio delle attività svolte, affidato alla società pubblica Invitalia. Risultato del monitoraggio: attività svolte nessuna. Soldi investiti: solo quelli del monitoraggio. Per la verità hanno fatto anche il concorso di idee.
Tra quelle approvate c’è l’idea di un albergo termale a cinque stelle sull’isola di Sant’Antioco. Approvata l’idea, ma non il progetto, perchè la struttura è troppo vicina al mare.
Alla fine l’unica cosa che marcia è il nuovo ospedale San Raffaele di Olbia, costruito dagli emiri del Qatar. Assorbirà un pezzo di bilancio regionale per la Sanità , a danno di altre strutture, ma è classificato come regalo.
In cambio del quale l’emiro Al Thani si aspetta un po’ di cubature sulla Costa Smeralda che ha comprato in blocco due anni fa. Lo schema si riproduce.
Per i giovani sardi c’è sempre e solo cemento e posti da camerieri.
E a loro non resta che dire: cazz boh…
Giorgio Meletti
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
PER ZAPPARE NEI POSSEDIMENTI DI STING IN TOSCANA DEVI PURE PAGARE 262 EURO
Chiunque si recherà a zappare, vendemmiare e raccogliere olive nei possedimenti di Sting alle porte di Firenze gli dovrà corrispondere la somma giornaliera di 208 sterline: 262 euro.
Il neofita ascolterà una lezione sulla bellezza della fatica nei campi e riceverà un cestino vuoto con le istruzioni per riempirlo.
Alla fine della sudata verserà nelle casse della bolsa rockstar il contenuto del cestino e il sostanzioso assegno.
In cambio potrà abbracciare gratis un albero e bere a pagamento un bicchiere di Sangiovese, per poi andarsene rinfrancato nello spirito e alleggerito nella materia (il portafogli).
L’idea era nell’aria: bastava saperla cogliere.
Non è tanto il lavoro che manca, quanto i soldi per ricompensarlo.
Il delicato problema è stato affrontato nel corso dei secoli in vari modi, ultimamente con la riduzione drastica degli stipendi o il loro azzeramento grazie all’astuta dicitura «esperienze formative per il curriculum», che rispetto alla schiavitù consente di risparmiare su vitto e alloggio.
Ma con Sting il processo compie un salto in avanti prodigioso.
Alla gratuità della prestazione, ormai data per scontata, si sostituisce il pagamento da parte del lavoratore.
E non un pagamento puro e semplice, che potrebbe nascondere odiosi elementi di sopraffazione. Un pagamento estatico.
Lo zappatore di Sting paga per rompersi la schiena, ma prima di andarsene ringrazia. Abbracciando un albero, per ora. In futuro direttamente il proprietario.
Perchè anche il lavoro può dare la felicità . Basta pagarlo.
Massimo Gramellini
(da “La Stampa”)
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
IL BACIO E’ UN APOSTROFO ROSA TRA LE PAROLE “STATO” E “MAFIA”
Ventun anni dopo le prime rivelazioni del suo ex autista pentito Balduccio Di Maggio ai pm di Palermo, Salvatore Riina conferma — intercettato mentre si confida con il suo compagno di ora d’aria — ciò che chiunque conosce le carte del processo ha sempre saputo: e cioè che nel 1987 il capo di Cosa Nostra incontrò per davvero il sette volte capo del governo Giulio Andreotti, allora ministro degli Esteri, in casa di Ignazio Salvo a Palermo.
Lo incontrò, ma non lo baciò. Quante ironie, aggressioni e lapidazioni hanno subìto i pm Caselli, Lo Forte, Natoli e Scarpinato che ebbero l’ardire di istruire il processo al politico più potente della Prima Repubblica, indagando su quel summit e portandone le prove. Ironie che partivano da un dettaglio trascurabile, il bacio, anzichè dalla sostanza: il colloquio col boss.
Ora a quelle prove si aggiunge l’ammissione di Totò ‘u curtu, ma c’è da giurare che anche questa cadrà nel dimenticatoio: Andreotti è morto da padre della patria, omaggiato dal presidente della Repubblica Napolitano, del Consiglio Letta e del Senato Grasso (già capo della Procura di Palermo e poi di quella Nazionale Antimafia).
Tutti sanno benissimo che fu per decenni un complice della mafia, ma questa verità non si poteva dire prima della confessione di Riina, e non si può dirla nemmeno ora. Sarebbe la miglior conferma del patto occulto fra Stato e mafia che aveva retto fino a metà degli anni 80 e che, dopo una breve crisi, fu rinnovato nel 1992-’93 con la trattativa aperta dai politici della Prima Repubblica tramite il Ros e chiusa dagli alfieri della Seconda tramite Dell’Utri (non a caso condannato per mafia e ora recluso a Parma a poche celle di distanza da Riina).
Del resto, non c’era bisogno delle parole di Riina per provare la mafiosità di Andreotti: bastava la sentenza definitiva della Cassazione, che dava per assodati i suoi incontri con i boss Frank “Tre Dita” Coppola, Tano Badalamenti, Stefano Bontate (due volte, per discutere del delitto Mattarella, prima e dopo che venisse perpetrato), Nino e Ignazio Salvo e Andrea Maciaracina (fedelissimo di Riina).
Il tutto fino alla primavera del 1980. Ora sappiamo, dalla viva voce dell’unico superstite insieme a Di Maggio, che ci fu pure il summit con Riina nell’87.
Che avrebbe comportato per il Divo Giulio non la prescrizione, ma la condanna per mafia, se i giudici non l’avessero considerato insufficientemente provato.
E dire che, anche senza la parola di Riina, il processo già pullulava di prove.
Cosa raccontò Di Maggio il 16 aprile 1993 ai pm Giuseppe Pignatone e Franco Lo Voi? Di aver accompagnato Riina in casa Salvo all’incontro con Andreotti, iniziato con il bacio rituale del boss al ministro.
Ciccio Ingrassia, grande attore siciliano, commentò: “Non so se i due si siano incontrati. Ma, se si sono incontrati, sicuramente il bacio c’è stato”.
Dopo Di Maggio, di quell’incontro parlano altri 7 collaboratori di giustizia, tutti considerati attendibili: Enzo ed Emanuele Brusca, Calvaruso, Cannella, Cancemi, La Barbera e Camarda. Ma per il Tribunale diventano di colpo inattendibili. Tutti.
Di Enzo Brusca i giudici scrivono che “la sua collaborazione è stata preceduta da reticenze, menzogne e persino progetti, concordati col fratello Giovanni, di inquinamento di processi e falsi pentimenti”.
Quali? Il Tribunale non lo dice. Per la semplice ragione che ha sbagliato persona: quelle condotte disdicevoli le ha commesse il fratello Giovanni. Non Enzo, che anzi aiutò gli inquirenti a smascherarle.
Al processo succede di tutto. I pm dimostrano che il 20 settembre 1987, giorno dell’incontro con Riina, Andreotti è a Palermo per la Festa dell’Amicizia Dc. E
, secondo unanimi testimonianze, scompare dall’hotel Villa Igiea dall’ora di pranzo fino quasi alle 18, quando parla alla Festa. Dunque ha tutto il tempo di raggiungere casa Salvo, parlare con Riina e tornare in albergo. Brutto affare, per il senatore. Gli serve un alibi.
Così manda avanti ben tre testimoni a giurare di averlo visto ben prima delle 18, per riempire l’imbarazzante buco di 5-6 ore.
A deporre in suo favore si presentano un regista Rai, il segretario di un ex deputato Dc e l’amico giornalista Alberto Sensini (che risultava nelle liste della P2).
Peccato che i tre si rivelino tutti farlocchi, o almeno “smemorati”. Il caso di Sensini è avvincente: l’allora inviato del Corriere della Sera giura di aver intervistato Andreotti quel pomeriggio poco prima del suo comizio alla Festa dell’Amicizia, che secondo la cronaca del “Popolo” si svolse alle 16. Dunque l’intervista fu intorno alle 15.
Ma poi i pm scoprono che all’ultimo momento il comizio venne spostato, per il caldo, alle 18. E che Andreotti giunse stranamente in ritardo: dopo le 18,30. Dunque, stando al ricordo di Sensini, l’intervista era iniziata verso le 17,30. E prima, dalle 14 alle 17,30, Andreotti ebbe tutto il tempo per incontrare segretamente chi gli pareva.
Fa fede la chiusura dell’intervista di Sensini, uscita l’indomani sul Corriere: “Così Andreotti Belzebù si congeda e va a parlare sotto i terribili tendoni del festival…”.
Il buco temporale che Sensini doveva riempire si riapre.
Come la risolvono, a questo punto, i giudici del Tribunale? Semplice: “Il Sensini ha espressamente affermato che si trattò di un ‘artificio letterario’”.
Peccato che Sensini abbia dichiarato al processo che Andreotti, subito dopo l’intervista, si congedò da lui: l’artificio letterario non era la frase “Andreotti si congeda”, semmai la definizione di “Andreotti Belzebù”.
In appello i giudici, che pure ebbero il coraggio di affermare la mafiosità del senatore a vita fino al 1980 ribaltando il verdetto di primo grado, preferirono sorvolare su queste anomalie a proposito del vertice con Riina, confermando per quell’episodio l’insufficienza di prove.
Ora vedremo come la metteranno quanti sostengono che la storia non si fa nelle aule di tribunale. Giusta teoria, se avessero la decenza di aggiungervi un “soltanto”: la storia si fa anche nell’ora d’aria.
Soprattutto se a parlare è il boss che incontrò Andreotti.
Il bacio è un apostrofo rosa fra le parole “Stato” e “mafia”.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 28th, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO FA FINTA DI AVER RISOLTO IL PROBLEMA, LA MALMSTROM METTE LA MANI AVANTI: “TUTTO DIPENDE DAGLI ALTRI STATI”
Cecilia Malmstrà¶m, la commissaria europea agli Affari interni, annuncia con Angelino Alfano una operazione Frontex Plus che nelle intenzioni del ministro dell’Interno sostituirà l’operazione Mare Nostrum e potrebbe partire a novembre.
Il condizionale è d’obbligo poichè, come ha ripetuto Malmstrà¶m lungo l’intera conferenza stampa, il successo della Frontex Plus dipenderà soprattutto dalla generosità dei 28 Paesi europei nel versare un contributo alla causa e nel mettere a disposizione mezzi aerei e marittimi.
Per questo “nei prossimi giorni” la Commissione Ue aprirà un bando per ottenere fondi sufficienti alla nuova operazione di pattugliamento nel mar Mediterraneo, i cui contorni rimangono ancora confusi.
Per Alfano, che ha giocato tutta la forza contrattuale del governo italiano per ottenere maggiore aiuto dall’Europa, Frontex Plus “sostituirà Mare Nostrum” ma “non sarà la fotocopia” dell’operazione che dall’inizio dell’anno ha portato sulle coste italiane 105mila profughi: “avrà un’articolazione e un dispositivo” differenti.
La commissaria Ue ha detto in un primo momento che Frontex Plus “affiancherà ” la Mare Nostrum, facendo intendere che le navi della Marina militare italiana continueranno a solcare il Canale della Sicilia alla ricerca dei barconi carichi di migranti.
In seguito si è corretta, aderendo alla versione fornita da Alfano: “sostituirà “. Se davvero succederà come annunciato a Bruxelles, l’Italia risparmierà i 9 milioni al mese spesi per Mare Nostrum.
Nessuno dei due esponenti ha comunque definito se i nuovi pattugliamenti sotto l’egida dell’Unione europea avranno il compito di salvare i migranti in difficoltà e dove, nel caso i naufraghi fossero soccorsi in mare, dove dovranno essere portati per le operazioni di identificazione e richiesta di asilo: problematiche che sorgeranno senza dubbio una volta che Frontex Plus comincerà a monitorare il Mediterraneo.
La commissaria europea promette che Frontex Plus fornirà maggiore assistenza; proprio nei mesi scorsi le regole di ingaggio di Frontex sono state cambiate per escludere respingimenti e dare aiuto concreto alle persone in difficoltà mentre navigano verso l’Europa.
Il responsabile del Viminale si limita a dire che “l’Italia non abbandonerà la frontiera” e rimane responsabile dei propri confini, mentre la competenza su Frontex Plus “sarà dell’Europa”.
Secondo Malmstrà¶m, la nuova pattuglia di frontiera sorgerà dalla fusione delle due operazioni Frontex impegnate nel Mediterraneo: Hermès ed Enea.
Alle quali dovranno aggiungersi soldi, uomini e mezzi: “La Commissione farà tutto quel che è possibile per assicurarsi che tutti gli stati membri giochino un ruolo maggiore nell’aiutare l’italia nel gestire le migrazioni nel Mediterraneo”.
Sono parole che la commissaria ha indirizzato più volte ai Paesi europei, senza ottenere molto in quanto la questione sull’immigrazione e sull’asilo è nazionale e non rientra nelle decisioni della Commissione Ue.
Alfano ha comunque ottenuto la rassicurazione che una nuova operazione europea non potrà esimere l’Italia dal mettere in campo per molto tempo ancora Mare Nostrum: “Frontex plus è una soddisfazione e un premio per lo sforzo che l’Italia ha compiuto da un anno a questa parte”.
Comunque una distensione dei rapporti tra Roma e Bruxelles sull’annoso problema dell’immigrazione via mare, che colpisce specialmente l’Italia.
Malmstrà¶m sottolinea cosa è cambiato, e cioè l’ondata eccezionale di profughi (oltre 105mila dall’inizio del 2014) sbarcati in Sicilia, numero record: “Stiamo entrando in una sfida più strutturale, viviamo in tempi davvero molto difficili: guerre, dittature, oppressione molto vicine ai confini europei, quindi c’è la pressione di molte persone che fuggono da ciò e cercano rifugio nell’Unione europea, e molti di loro arrivano attraverso l’Italia”.
Eppure, rimarca la commissaria sul punto di lasciare l’incarico per lasciare il posto alla nuova Commissione targata Juncker, soltanto dieci Paesi su 28 si stanno facendo carico di accogliere i richiedenti asilo scappati dalla Siria, dal Corno d’Africa, dai Territori palestinesi.
(da “Huffingtonpost“)
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