Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
I FIDUCIARI DEI CASSIERI DEL CARROCCIO NON HANNO ATTESO LA FLAT TAX: LE CASSEFORTI SONO GIA’ STATE SPOSTATE NEI PARADISI FISCALI DEL CENTROAMERICA E DI MALTA
In attesa della mitica flat tax, i fiduciari dei cassieri della Lega si sono portati avanti. Hanno aperto
società -cassaforte all’estero, nei più rinomati paradisi fiscali, dove le tasse sono bassissime o inesistenti: da Panama, il centro finanziario più chiacchierato del mondo, a Malta, l’isola delle offshore con la targa europea, la stessa nazione che ora è al centro delle disfide marittime scatenate dal ministro Matteo Salvini sulle navi dei migranti.
Angelo Lazzari è un manager bergamasco con una rete di società in Lussemburgo, che ha consolidati legami d’affari con i cassieri della Lega.
Intrecci societari, rivelati da un’inchiesta di Giovanni Tizian e Stefano Vergine, che collegano il suo gruppo finanziario con lo studio professionale dei nuovi custodi dei fondi pubblici incassati dai gruppi parlamentari della Lega, Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, e con il tesoriere ufficiale del partito, Giulio Centemero, in carica dal 2014. Una squadra di commercialisti bergamaschi arruolati da Salvini per gestire i conti del Carroccio dopo l’arresto dell’ex tesoriere Francesco Belsito, la condanna in primo grado di Umberto Bossi e figli, il sequestro giudiziario dei 48 milioni dello scandalo, di cui però la magistratura ha potuto bloccarne solo un paio: gli altri sono scomparsi, tanto che la Procura di Genova ha aperto un’inchiesta per riciclaggio che punta proprio sul Lussemburgo.
Lazzari gestisce fondi d’investimento italiani e lussemburghesi ed è anche il fondatore di una rete di fiduciarie collegate allo studio dei commercialisti della Lega.
Le fiduciarie sono società -schermo che servono a nascondere, legalmente, gli azionisti che vogliono restare anonimi.
In Europa, Italia compresa, i trattati contro il riciclaggio di denaro sporco impongono anche alle fiduciarie di identificare e registrare i clienti: i nomi dei titolari restano riservati, ma il segreto deve cadere di fronte a un’indagine della magistratura.
I nuovi Panama Papers ora collegano Lazzari a una società esotica, finora sconosciuta, che è totalmente anonima.
Si chiama Jontown, è nata a Panama il 31 gennaio 2006 e ha sempre avuto proprietari misteriosi: tutte le azioni, fino al giugno 2010, erano «al portatore».
Significa che il padrone della società -cassaforte non è registrato da nessuna parte: il proprietario è chi ha in mano un certificato azionario, cioè un pezzo di carta.
In Italia le azioni al portatore sono vietate da un quarto di secolo: la legge è cambiata dopo le storiche istruttorie di Falcone e Borsellino sui tesori mafiosi riciclati in conti esteri intestati a società anonime.
In molti paradisi offshore, invece, i titoli al portatore restano tuttora leciti.
I documenti interni mostrano che neppure lo studio Mossack Fonseca, la premiata fabbrica di offshore travolta dai Panama Papers, ha mai conosciuto i nomi degli azionisti.
Della Jontown si sa soltanto che ha un capitale sociale di diecimila dollari ed era nata per raccogliere finanziamenti anonimi da investire in attività non precisate.
Il ruolo di Lazzari viene svelato da una serie di documenti interni archiviati a Panama tra giugno e luglio 2010.
Il segreto s’incrina perchè la Jontown progetta un aumento di capitale. Quindi i direttori-fiduciari non bastano più: bisogna organizzare a Panama City un’assemblea degli azionisti. Che si fanno rappresentare proprio da Angelo Lazzari.
Negli stessi giorni le azioni al portatore vengono sostituite con nuovi certificati di proprietà , intestati però non a persone identificate, ma a un fondo d’investimento lussemburghese: Iris Fund Sicav Fis.
Una cassaforte con la targa europea creata sempre da Lazzari per raccogliere finanziamenti da reinvestire. Poi l’aumento di capitale salta, ma i soldi sembrano arrivare comunque, anche in Europa: nell’aprile 2011 i fiduciari panamensi deliberano l’apertura di un conto nella banca Abn Amro in Lussemburgo.
Gli affari continuano fino al 28 maggio 2012, quando la Jontown viene resa “inattiva”: l’attività è sospesa, ma potrebbe ripartire. La cassaforte panamense viene chiusa e cancellata dai registri solo il 15 luglio 2014.
A gestire i rapporti con Mossack Fonseca è fin dall’inizio una società lussemburghese, Global Trust Advisors, che è anche uno degli azionisti (minori) delle fiduciarie italiane fondate da Lazzari e collegate ai commercialisti della Lega.
L’unica persona identificata come rappresentante dei misteriosi azionisti della Jontown, in tutta la sua esistenza, è il manager bergamasco.
L’Espresso ha offerto a Lazzari l’opportunità di chiarire il suo ruolo e ha ottenuto questa risposta, attraverso un portavoce: «Jontown era una società di scopo di proprietà di un fondo d’investimento di diritto lussemburghese, chiuso nel 2010, che svolgeva principalmente attività di trading in valute. La società è stata creata a Panama perchè il fondo si avvaleva di un broker americano. Il fondo era autorizzato a operare dalle competenti autorità di vigilanza lussemburghesi. La società è stata disattivata e poi cancellata a seguito della chiusura del fondo».
Sui nomi dei proprietari, Lazzari si limita a dire che «le azioni erano di proprietà del suddetto fondo».
Mentre Global Trust e Mossack Fonseca erano solo «studi professionali che si sono occupati delle gestione burocratica e amministrativa della società ».
Alla domanda se la Jontown di Panama sia stata dichiarata alle autorità italiane e in particolare al fisco, Lazzari ha risposto che «la società era un veicolo di un fondo d’investimento lussemburghese, soggetto quindi alla normativa e alle autorità lussemburghesi».
Lo sbarco a Malta con il banchiere
Giorgio Balduzzi è un altro commercialista bergamasco collegato ai cassieri della Lega. Tra il 2014 e il 2016, in particolare, ha rappresentato la fiduciaria Seven (quella fondata da Lazzari) nella costituzione di alcune società italiane registrate nello stesso studio dei commercialisti di Salvini: in altre parole, ha garantito l’anonimato, legalmente, ad alcuni clienti dei suoi colleghi leghisti.
Ed è sua sorella, Laura Balduzzi, che nel settembre 2013 ha ceduto quello studio di Bergamo agli attuali cassieri del Carroccio.
Ora le nuove carte del consorzio giornalistico Icij mostrano che Balduzzi è anche uno dei due soci fondatori di una società di Malta, ammessa a beneficiare del cosiddetto regime offshore: tasse bassissime su oltre il 90 per cento dei profitti prodotti all’estero (Italia compresa).
Anche questa è una cassaforte finanziaria, con un capitale nominale di 1.200 euro, denominata Wic Asset Management Ltd.
Oltre che azionista, Balduzzi ne è stato amministratore fino al 14 novembre 2014, quando ha venduto il suo 50 per cento a un banchiere d’affari maltese, Alain Mangion.
Balduzzi controlla tuttora una serie di società italiane con lo stesso nome, il gruppo Wic, che gestiscono fondi d’investimento e ditte collegate che offrono intestazioni fiduciarie, consulenze fiscali e recupero crediti.
A Malta è sbarcato insieme a un altro commercialista lombardo, Andrea Lupini, con studio a Busto Arsizio, che risulta tuttora socio di Mangion.
Il banchiere è l’amministratore delegato della Credinvest di Malta, una banca d’affari specializzata nel finanziare grandi opere anche all’estero, realizzate da imprese private ma con garanzie statali, «di valore superiore a un miliardo di euro», come precisa nel suo sito. La Credinvest è attiva soprattutto in Russia e nei paesi dell’Est.
Il banchiere diventato socio dei lombardi ha forti legami con il potere politico: fu anche nominato, tra l’altro, ambasciatore di Malta in Romania. Una carica abbandonata nel 2008, quando il giornale romeno Cotidianul rivelò che la sua Credinvest, mentre lui faceva il diplomatico pubblico, aveva ottenuto ricche consulenze dal governo di Bucarest per un piano di autostrade da oltre un miliardo. Intervistato dal Times di Malta, Mangion si difese spiegando di non aver «mai utilizzato le strutture dell’ambasciata» per favorire la sua banca privata, ma poi si è dimesso. Mentre la sua Credinvest, dal 2013, ha stretto «un nuovo accordo con il governo romeno», sempre sui maxi-progetti stradali.
L’Espresso ha interpellato anche Balduzzi, che ha risposto di persona: «Dal 2010 al 2015 ho investito molto tempo nel ricercare di capitalizzare società che investissero in piccole imprese italiane. Non riuscendoci in Italia, abbiamo provato all’estero, a Malta, Lussemburgo, America, ma senza alcun risultato. Le piccole imprese italiane purtroppo non piacciono nè alle nostre banche nè agli investitori esteri»
Quindi la società di Malta serviva a raccogliere fondi da investire in Italia? «Esatto». E chi vi ha presentato a Mangion? «Il dottor Lupini considerava la presenza su Malta fondamentale per intercettare capitali e riteneva che il banchiere avrebbe potuto raccoglierli. Abbiamo speso soldi, fatto incontri, ma senza risultati. Quindi ho ceduto le mie quote, su suggerimento di Lupini, al suo contatto Mangion».
La società estera è stata dichiarata al fisco italiano? Balduzzi, che è commercialista, risponde così: «La quota è stata acquistata e rivenduta nello stesso anno, senza alcuna plusvalenza».
Lo stratega dello sbarco a Malta, insomma, è Lupini, che racconta com’è finita: «La società sostanzialmente ha smesso di operare. Avevamo contattato Mangion perchè ha legami scon investitori ricchissimi, soprattutto russi, ma poi ho preferito ritirarmi per problemi di natura legale».
Quali? Lupini pesa le parole: «Mi occupo di fiscalità internazionale e ho sempre rispettato tutte le norme. Malta però non è l’Italia. E con Mangion non ci risultava sempre chiara l’origine dei fondi di alcuni investitori. Quindi ho voluto evitare ogni ipotetico rischio».
Oggi la Credinvest di Mangion pubblicizza anche un’altra attività di rilievo politico: dal 2015 è diventata «un agente accreditato dal governo di Malta» nel programma che concede la cittadinanza ai ricchi investitori stranieri.
Gli extracomunitari poveri, in Europa, ci arrivano con i barconi da clandestini, affamati, disperati e rifiutati.
I miliardari invece ci entrano con i soldi e un passaporto europeo da vip: basta pagare la parcella agli amici degli amici di Salvini.
(da “L’Espresso”)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
FORSE SAREBBE MEGLIO UN TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO… OMICIDI DIMEZZATI E CRIMINI CALATI DEL 10%
In Italia diminuiscono i reati ma crescono la paura e la voglia di sicurezza fai da te: il 39% degli italiani è favorevole a introdurre criteri meno rigidi per il possesso di un’arma da fuoco per la difesa personale.
Un dato in netto aumento rispetto al 26% del 2015. A dirlo è il primo Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia realizzato dal Censis.
I più favorevoli sono le persone meno istruite, il 51% tra chi ha al massimo la licenza media, e gli anziani, il 41% degli over 65.
ROMA TORINO E NAPOLI
Capitale del crimine è Milano, al primo posto con 237.365 reati commessi nel 2016 (il 9,5% del totale), poi Roma (con 228.856 crimini, il 9,2%), Torino (136.384, pari al 5,5%) e Napoli (136.043, pari al 5,5%).
Anche considerando l’incidenza del numero dei reati in rapporto alla popolazione, Milano resta in vetta alla classifica, con 7,4 reati denunciati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6), Torino e Prato (entrambe con 6 reati ogni 100 abitanti).
LE RAPINE CALANO DEL 37% E I FURTI DEL 13,9%
I reati nel 2017 sono in calo di oltre il 10% rispetto al 2016. E gli omicidi sono quasi dimezzati in dieci anni, da 611 a 343. Le rapine passano da 45.857 a 28.612 (-37,6%), i furti scendono da quasi 1,4 milioni a poco meno di 1,2 milioni (-13,9%).
IN CITTA’ SI SENTE INSICURA META’ DELLA POPOLAZIONE
La concentrazione dei reati in alcune zone amplifica pero’ le paure. In sole quattro province italiane, dove vive il 21,4% della popolazione, si consuma il 30% dei reati.
Il 31,9% delle famiglie italiane percepisce il rischio di criminalita’ nella zona in cui vive. Le percentuali piu’ alte si registrano al Centro (35,9%) e al Nord-Ovest (33%), ma soprattutto nelle aree metropolitane (50,8%) dove si sente insicuro un cittadino su due.
Ad essere più preoccupate sono le persone con un basso reddito, che vivono in contesti più disagiati, dove – secondo il 27,1% – la criminalità è il secondo problema più grave del Paese dopo la mancanza di lavoro.
QUATTRO MILIONI E MEZZO CON ARMI DA FUOCO IN CASA
Crescono le richieste di porto d’armi, il numero dei cittadini legittimati a sparare: nel 2017 nel nostro Paese si contavano 1.398.920 licenze per porto d’armi, (dall’uso caccia alla difesa personale), con un incremento del 20,5% dal 2014 e del 13,8% solo nell’ultimo anno. La crescita piu’ forte si e’ avuta per le licenze per il tiro a volo (poco meno di 585 mila, +21,1% in un anno), piu’ facili da ottenere
Si stima che oggi complessivamente c’e’ un’arma da fuoco nelle case di quasi 4,5 milioni di italiani, di cui 700 mila minori.
MENO AGENTI IN SERVIZIO E SEMPRE PIU’ ANZIANI
E se il senso di insicurezza cresce, ci sono al lavoro sempre meno agenti e sempre più anziani, nonostante le nuove assunzioni previste.
Le forze dell’ordine – sottolineano i ricercatori – godono di una grande fiducia da parte degli italiani, ma si trovano alle prese con i tagli della spesa pubblica (-1,4% in termini reali la spesa per l’ordine pubblico e la sicurezza nel periodo 2008-2016, -6,4% la spesa per il personale).
Risultato? Tra il 2008 e il 2016 si registrano 22mila uomini e donne in meno nei diversi Corpi di polizia (in particolare, 86.000 under 45 in meno): oggi il 7,8% degli operatori della sicurezza pubblica ha piu’ di 55 anni, mentre nel 2008 gli over 55 erano solo l’1,9%.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
CONTINUANO AD AUMENTARE I TASSI, PORTANDO A UN MAGGIOR COSTO DEGLI INTERESSI A CAUSA DELLE TENSIONI SULLO SPREAD
I rendimenti dei titoli di Stato continuano ad aumentare a causa delle tensioni sullo spread e nelle
aste del Tesoro continuano ad aumentare i tassi, portando a un maggiore costo per gli interessi.
Un effetto delle promesse elettorali del governo Lega-M5S nonostante le rassicurazioni del ministero dell’Economia sul 2018:
Nonostante una domanda abbastanza sostenuta da parte degli investitori, il copione più volte andato in scena nelle ultime settimane si è infatti ripetuto ieri nelle aste con cui il Tesoro ha collocato un importo complessivo di tre miliardi di euro.
I tassi dei Ctz a 24 mesi sono arrivati allo 0,917% con un aumento di 57 punti base rispetto all’emissione precedente, mentre quelli dei Btp indicizzati a 5 anni si sono attestati allo 0,9% (+67 punti) e quelli dei Btpi a 30 anni all’1,78%(+36 punti).
Questo risalire dei rendimenti non è, ovviamente, del tutto indolore per il Tesoro. Comporta un maggiore esborso, e va quindi ad appesantire gli oneri del debito. Di quanto?
È possibile stimare in oltre 160 milioni il maggiore aggravio che via XX Settembre ha dovuto sostenere nelle aste a partire dagli ultimi giorni dello scorso maggio.
Ovvero da quando il braccio di ferro tra Quirinale e alleanza giallo-verde sulla nomina di Paolo Savona all’Economia aveva innescato una corsa dello spread fin oltre il traguardo dei 215 punti. Da allora le cose non sono migliorate. Anzi.
In questo clima non giova di certo che il ministro Tria venga additato come un possibile infiltrato dell’Europa nel governo Lega-M5S:
Il differenziale tra Btp e Bund tedesco ha chiuso ieri a quota 258 dai 251 di lunedì, con il rendimento dei titoli a 10 anni al 2,91%, in netto rialzo dal precedente 2,84%. Le rassicurazioni offerte dal ministro dell’Economia, Giuseppe Tria, sul rispetto delle regole di bilancio europee e sull’appartenenza dell’Italia all’eurozona hanno solo temporaneamente rassicurato i mercati.
Tornati a farsi prudenti dopo le nomine di due pasdaran anti-euro come Claudio Borghi (a capo della commissione bilancio della Camera) e Alberto Bagnai (alla presidenza della commissione finanze del Senato) e preoccupati per la possibilità che una politica in deficit spending del governo annulli il nostro pluriennale surplus primario (saldo attivo tra spese ed entrate, al netto della spesa per interessi), uno dei pilastri della sostenibilità del debito pubblico italiano.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
“NELLA CAPITALE GLI ELETTORI M5S SONO IN ATTESA DI RISULTATI CONCRETI E INTANTO SI RIFUGIANO NELL’ASTENSIONISMO”
“Penso che molti nostri elettori nella capitale non siano andati a votare perchè, dopo due anni di amministrazione a cinquestelle, sono in attesa di risultati più evidenti, di un miglioramento più concreto”.
In un’intervista all’edizione romana della Repubblica, Roberta Lombardi mette nel mirino i primi due anni della giunta M5S guidata da Virginia Raggi, “stiamo facendo di tutto per rianimare una città lasciata in coma da decenni di malgoverno, ruberie, inefficienze. Ma evidentemente non basta, bisogna fare di più”.
“Il marchio M5S è un cappello sotto il quale chiunque voglia fare politica e impegnarsi in prima persona nella gestione della cosa pubblica senza passare dalla trafila tradizionale dei partiti e senza lobby alle spalle può collocarsi. Quindi è un veicolo potente, come abbiamo visto. È chiaro che le persone che godono dell’opportunità offerta dal Movimento – a tutti i livelli, locale, regionale, nazionale – devono poi riuscire a far funzionare le cose, devono utilizzare la propria posizione per migliorare l’Italia ottenendo risultati concreti, sia al governo che stando all’opposizione”.
A Roma gli elettori M5S, spiega Lombardi, “sono in attesa di un cambio di passo”. Intanto “si rifugiano nell’astensionismo”.
“Per noi è una sconfitta perchè significa che tanti cittadini rinunciano a partecipare alla vita pubblica, il che è esattamente contrario alla prima ragione di vita del M5S: ridare le chiavi dello stato ai cittadini, rifarli padroni delle loro esistenze. In più altre forze politiche hanno un elettorato fidelizzato, spesso anche clientelare mentre il nostro non lo è, quindi bassa affluenza quasi sempre significa sconfitta”.
(da agenzie)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
TANTI PROCLAMI E NESSUNA AZIONE CONCRETA, ANZI AMICIZIE IMBARAZZANTI
Federica Angeli su Repubblica oggi firma un commento molto interessante che mette insieme i molti
proclami della Giunta Raggi sulla lotta alla mafia e le azioni concrete del Comune di Roma nei confronti dei tanti casi “difficili” come quelli dei Casamonica e degli Spada.
L’autrice di A mano disarmata spiega che quella della Raggi finora è stata l’antimafia delle parole: come ad esempio quando dal palco di Ostia in chiusura di campagna elettorale promise che nessuno della famiglia Spada avrebbe trovato sponde nel M5S.
Appena due anni dopo i fatti la smentirono.
A febbraio, a lei e alla sua amministrazione piombò addosso la responsabilità dell’assegnazione di un alloggio popolare a Giuseppe Spada.
Fu proprio il Comune di Roma del sindaco 5 Stelle Virginia Raggi a sanare in un palazzo di piazza Ener Betteca, a Ostia, l’occupazione abusiva dello zio dei boss Carmine e Roberto, condannato a 6 anni con l’aggravante del metodo mafioso per la testata al cronista di Nemo Daniele Piervincenzi.
Una determina dirigenziale, firmata dalla direzione Interventi alloggiativi, portò a dama un iter amministrativo senza alcuna resistenza nè opposizione della prima cittadina.
E poi ci sono i Casamonica:
«Passerò al setaccio le planimetrie delle ville abusive dei Casamonica alla Romanina», promise così battaglia Virginia Raggi dopo l’inchiesta di Repubblica che mostrava l’arroganza abusiva del clan sinti che alla Romanina fa il bello e il cattivo tempo. Parole al vento, anche in quella circostanza. Nessuna planimetria e nulla è stato fatto dal punto di vista burocratico e amministrativo dalla giunta a guida Raggi per mettere in qualche modo il bastone tra le ruote a quella pericolosa famiglia. L’antimafia delle parole insomma.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
L’EX MINISTRO LANCIA IL FRONTE REPUBBICANO: EUROPEISMO, INNOVAZIONE, DIFESA DELL’INTERESSE ITALIANO, CURA SHOCK DELL’ANALFABETISMO FUNZIONALE
Un “Fronte Repubblicano”, un’alleanza contro i sovranismi, cinque idee da cui ripartire e la convinzione che “si può fare: L’Italia è più forte di chi la vuole debole!”. Carlo Calenda sceglie il Foglio per presentare il suo Manifesto politico.
Non nomina il Pd, a cui è iscritto, non nomina mai partiti, guarda “oltre il Pd” per un fronte che contrasti la “minaccia mortale” dei sovranismi.
La premessa è che oggi “l’Occidente è a pezzi”, che l’Europa “ha assunto un modello di governance politica debole, lenta e intergovernativa”, ma non è essa la causa dei problemi di oggi. E che “i prossimi 15 anni saranno probabilmente tra i più difficili che ci troveremo ad affrontare da un secolo a questa parte, in particolare per i paesi occidentali”, con le principali sfide che si presentano, l’invecchiamento della popolazione e la diffusione dell’automazione.
L’Italia anello fragile, finanziariamente e come collocazione geografica, di un occidente fragilissimo, è la prima grande democrazia occidentale a cadere sotto un Governo che è un incrocio tra sovranismo e fuga dalla realtà . Occorre riorganizzare il campo dei progressisti per far fronte a questa minaccia mortale.
Calenda propone “un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti e aggreghi i mondi della rappresentanza economica, sociale, della cultura, del terzo settore, delle professioni, dell’impegno civile” per “salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e M5S”. Ci sono 5 idee chiave.
Tenere in sicurezza l’Italia.
“Occorre chiarire una volta per tutte che ogni riferimento all’uscita dell’Italia dall’euro ci avvicina al default. Deficit e debito vanno tenuti sotto controllo, non perchè ce lo chiede l’Europa ma perchè è indispensabile per trovare compratori per il nostro debito pubblico. Sotto il profilo della gestione dei flussi migratori proseguire il “piano Minniti” per fermare gli sbarchi”
Proteggere gli sconfitti.
“Rafforzando gli strumenti come il reddito di inclusione, nuovi ammortizzatori sociali, le politiche attive e l’apparato di gestione delle crisi aziendali in particolare quanto causate dalla concorrenza sleale di paesi che usano fondi europei e i vantaggi derivanti da un diverso grado di sviluppo per sottrarci posti di lavoro. Approvare il salario minimo per chi non è protetto da contratti nazionali o aziendali. Allargare ad altri settori fragili il modello del protocollo sui call-center per responsabilizzare le aziende e impegnarle su salari e il no a delocalizzazioni
Investire nelle trasformazioni.
Finanziare un piano di formazione continua per accompagnare la rivoluzione digitale. Proseguire il piano impresa 4.0 e portare a 100.000 i diplomati degli Istituti Tecnici Superiori. Implementare la Strategia Energetica Nazionale e velocizzare i 150 miliardi di euro previsti per raggiungere i target ambientali di CoP21. Aumentare la dotazione dei contratti di sviluppo e del fondo centrale di Garanzia per ricostituire al Sud la base industriale che serve per rilanciarlo. Rivedere il codice degli appalti per velocizzare le procedure di gara. Mantenere l’impegno sulla legge annuale per la concorrenza. Prevedere un meccanismo automatico di destinazione dei proventi della lotta all’evasione fiscale alla diminuzione delle tasse, partendo da quelle sul lavoro
Promuovere l’interesse nazionale in UE e nel mondo.
Abbiamo bisogno di un forte senso della patria per stare nel mondo e in UE. Partecipando al processo di costruzione di una Unione sempre più forte, in particolare nella dimensione esterna (migrazioni, difesa, commercio), tra il nucleo dei membri storici ma ribadendo la contrarietà all’inserimento del fiscal compact nei trattati europei e all’irrigidimento delle regole sulle banche. Promuovere la rimozione dei limiti temporali sulla flessibilità legata a riforme e investimenti approvata sotto la Presidenza italiana della UE. Sostenere la conclusione di accordi di libero scambio per aprire nuovi mercati al nostro export, ma mantenere una posizione intransigente sul dumping rafforzando clausole sociali e ambientali nei trattati
Conoscere.
Piano shock contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura.
Calenda parla di “uno Stato forte, ma non invasivo”, che “non butti i soldi pubblici per nazionalizzare Alitalia o Ilva”, con “un’architettura istituzionale che coniughi maggiore autonomia alle regioni con una clausola di supremazia dell’interesse nazionale che consenta di superare i veti locali”.
La battaglia che abbiamo di fronte si vince anche sconfiggendo il cinismo dei sostenitori di un “paese fai da te”. Si può fare: L’Italia è più forte di chi la vuole debole!
Calenda poi, parlando della leadership del Pd ai microfoni di “6 su Radio 1” afferma: “Gentiloni o Zingaretti per guidare il nuovo Pd? Paolo Gentiloni è un punto di riferimento per un’area anche più larga del Pd”. “Gentiloni – prosegue Calenda – possiede una reputazione, un’autorevolezza, e uno stile molto diverso da quello di Salvini e Di Maio, uno stile che a mio avviso rassicura il Paese. Penso che Zingaretti se si candiderà a fare il segretario del Pd, che è un lavoro ovviamente differente, sarà un ottimo segretario, una persona capace. Ma il punto ripeto è chi sia in grado di costruire una mobilitazione nazionale per la nascita di un soggetto nuovo; e questo secondo me richiede l’aiuto di tante persone e un punto di riferimento, che a mio avviso è Paolo Gentiloni”.
Padoan: “Manifesto di Calenda messaggio forte per il futuro dei progressisti”. “Il manifesto di carlo Calenda è un messaggio forte per il futuro dei progressisti: dare sicurezza all’Italia, proteggere i deboli, investire nelle trasformazioni, conoscere per crescere, modellare uno stato presente ma non invasivo”. Lo scrive su Twitter l’ex ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
IL 46% DEGLI ITALIANI VUOLE RESPINGERLI, IL 49% VUOLE ACCOGLIERLI
La percezione di una accoglienza “gratis”, senza che sia necessario lavorare e anzi vivendo alle spalle
dello Stato, è quel che fa stortare lo sguardo verso i migranti negli occhi degli italiani.
Otto cittadini su dieci (il 79 per cento per la precizione) chiedono di far lavorare gratuitamente in attività di pubblica utilità gli immigrati in cambio dell’accoglienza, anche se per un periodo limitato.
Perchè i toni pubblici di alcuni rappresentanti istituzionali siano accesi è poi facile da intuire, quando si tratta di misurarne il dividendo di consenso che possono restituire: il 71% degli italiani pensa che l’Italia sia in credito con l’Europa sulla questione migranti, mentre sull’atteggiamento da adottare nei confronti degli sbarchi la popolazione è spaccata.
Il 46% che ritiene che i barconi dovrebbero essere respinti impedendo loro di raggiungere le coste italiane, mentre gli altri non sono d’accordo.
Sono alcuni dei temi affrontati nell’indagine Ue.Coop/Ixe’ presentata all’assemblea elettiva nazionale dell’Unione Europea delle Cooperative “Un’altra cooperazione” per la tavola rotonda sul tema “Immigrazione e lavoro”.
Il fattore determinate nello scatenare l’ostilità degli italiani nei confronti degli immigrati è proprio il fatto di essere assistiti senza lavorare che – sottolinea Ue.Coop – infastidisce ben il 30% dei cittadini prima della paura per la delinquenza (29%), mentre non si riscontrano discriminazioni razziali con solo il 4% che dice di essere preoccupato perchè sono diversi e ben il 26% che non si ritiene per nulla disturbato dalla loro presenza.
Il lavoro è la leva principale dell’integrazione con molteplici attività di pubblica utilità ritenute necessarie per compensare l’aiuto ricevuto con il vitto e alloggio nell’accoglienza
Nell’ordine, a giudizio degli italiani, potrebbe essere utile impiegare il lavoro degli immigrati accolti nella cura del verde pubblico (57%), la pulizia delle strade (54%), l’agricoltura (36%), la tutela del patrimonio pubblico (30%), la cura degli anziani (23%), secondo l’indagine Ue.Coop/Ixe’.
Analogamente, due terzi dei cittadini vedono con favore l’ipotesi di tirocini gratuiti, predefiniti nel tempo, in aziende private nell’ottica di ‘imparare un mestiere’.
Più di 1 italiano su 2 sarebbe inoltre favorevole a coinvolgere gli immigrati nel recupero dei piccoli borghi abbandonati e per combattere lo spopolamento dei territori.
L’83% dei cittadini – precisa Ue.Coop – ritiene peraltro che gli immigrati, durante la loro permanenza in Italia, dovrebbero frequentare obbligatoriamente un corso di lingua italiana durante la fase di accoglienza.
Diffuso è invece il disappunto rispetto all’attuale forma di gestione dell’immigrazione con appena il 33% degli italiani che giudica positivamente l’operato delle cooperative di accoglienza e ben il 60% che ritieni opportuno distribuire i nuovi arrivati sul territorio nazionale in strutture di piccole o medie dimensioni, con un sistema di ospitalità diffuso piuttosto che in grandi strutture concentrate (come vorrebbe il 32%) per l’identificazione, per le procedure di protezione internazionale, richiesta asilo o l’eventuale espulsione.
Questo disappunto sfocia nell’amplificare la dimensione del problema immigrazione in Italia e nel determinare l’atteggiamento rispetto alla strategia da adottare.
Soltanto due italiani su dieci sono favorevoli all’accoglienza tout court, un altro 20% è incline a rifiutare decisamente ulteriori presenze e una quota prevalente (il 56%) che – conclude Ue.Coop – opta per un indirizzo misto: accettazione di una quota prefissata e respingimento o redistribuzione in Europa degli altri.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
“IN SECONDO LUOGO LA LORO EFFETTIVA CAPACITA’ DI COORDINARE I SOCCORSI”
Prima di tutto “bisogna verificare la condizione dei diritti umani in Libia” poichè “abbiamo criticato Minniti perchè esternalizzava il problema”. E poi bisognerebbe comprendere la capacità della Marina libica “di un effettivo coordinamento dei soccorsi”.
Il senatore del M5s Gregorio De Falco, noto per aver coordinato la prima fase di emergenza nel naufragio della Costa Concordia, interviene sul tema dei migranti dopo l’intervista all’Ansa del comandante della Guardia Costiera, Giovanni Pettorino ed esprime più di un dubbio su idee e soluzioni operative emerse in questi giorni.
“In questo periodo non vedo un esodo biblico di migranti, il flusso è rallentato negli ultimi tempi”, risponde De Falco facendo riferimento al crollo degli arrivi da inizio anno.
Per l’ex capitano di fregata e ora parlamentare pentastellato, va “verificata la capacità ” della Marina militare libica “di un effettivo coordinamento dei soccorsi“.
Poi aggiunge che dopo aver “criticato Minniti perchè esternalizzava il problema“, un chiaro riferimento all’accordo firmato dall’ex premier Paolo Gentiloni con il governo Sarraj nel febbraio 2017, “ora bisogna verificare la condizione dei diritti umani” Annunciando che chiederà un incontro a Pettorino nei prossimi giorni, De Falco sottolinea come le convenzioni internazionali del mare “nascono in effetti per circostanze occasionali” di conseguenza “l’impianto operativo non è detto che sia di per sè superato, ma gli strumenti operativi forse sì”.
Nelle traversate del Mediterraneo, aveva infatti ricordato il comandante della Guardia costiera, “in questi anni sono morte migliaia di persone, partite con mezzi fatiscenti, non registrati, sovraffollati, senza dotazioni adeguate. Una situazione che, a quei tempi, gli estensori della Convenzione di Amburgo (era il 1979, ndr) non pensavano potesse accadere”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 27th, 2018 Riccardo Fucile
LA GERMANIA FA ANCORA RESISTENZA A CONCEDERE L’APPRODO E RIPARTIRE I PROFUGHI
La Lifeline “ha ricevuto” il permesso per entrare in acque maltesi, e cercare riparo dalle cattive
condizioni meteo. Lo riferisce l’Ong via Twitter.
Ancora all’alba, in attesa di un accordo sulla distribuzione dei migranti, dalla nave era partito un ultimo disperato appello alle autorità maltesi.
“Fateci entrare in porto o fateci almeno riparare dal vento e dalle onde. C’è gente a bordo che ha bisogno di cure intensive. In tre sono già stati portati in ospedale”, la richiesta lanciata alle prime ore del mattino dal capitano Carl Peter Reisch.
“Molti a bordo stanno soffrendo di mal di mare”, scriveva su Twitter la ong. “Un giorno fa è arrivata la notizia che siamo autorizzati ad entrare a Malta, ma non abbiamo ancora ottenuto l’approvazione. Chiediamo ora se siamo autorizzati a proteggerci almeno dalle alte onde e dal forte vento al largo della costa maltese”.
A ritardare l’ingresso in porto a Malta della Lifeline, ormai al sesto giorno dal salvataggio dei 234 migranti, era il no della Germania all’accordo faticosamente raggiunto dai cinque Paesi europei disposti ad accogliere ognuno una quota dei migranti soccorsi.
Almeno per il fondatore della Ong tedesca, Alex Steier, che ha attribuito al ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer il braccio di ferro con gli altri Paesi.
Malta infatti aveva annunciato l’intenzione di aprire il porto solo una volta chiarito quali Paesi avrebbero ospitato i naufraghi.
Da qui il ritardo nel via libera del primo ministro maltese, Joseph Musquat, in assenza di certezze su numeri e tempi del ricollocamento.
A ieri, i primi a dire sì erano stati Italia, Malta, Francia, Spagna e Portogallo.
(da agenzie)
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