Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
SE IN FUTURO IL COVID COLPIRA’ ALMENO DIECI GIOCATORI DI UNA SQUADRA SI POTRA’ CHIEDERE IL RINVIO PER UNA SOLA VOLTA: CAMPIONATO FALSATO
Genoa-Torino, match valido per la terza giornata di Serie A in programma sabato 3 ottobre alle ore 18 allo stadio Ferraris, è stata rinviata a data da destinarsi a causa del focolaio covid (trovati 15 positivi tra giocatori e staff) nella squadra rossoblù.
Lo ha ufficializzato la Lega con una nota. Il Consiglio straordinario della Lega Serie A ha inoltre previsto, da adesso in poi, l’applicazione della norma Uefa: se una squadra ha 13 calciatori a disposizione compreso un portiere, la partita si potrà svolgere.
La squadra che non scenderà in campo subirà la sconfitta per 0-3 a tavolino.
Il Consiglio ha inoltre stabilito, nel caso in cui si dovessero registrare in settimana almeno dieci positività nel proprio organico, la possibilità per una volta nell’arco della stagione, di chiedere il rinvio della partita.
Nel caso di Genoa-Torino, il club rossoblù ha potuto usufruire di questa opportunità ottenendo il rinvio della gara.
Intanto in mattinata l’Asl 3 di Genova aveva vietato l’allenamento ai calciatori del Genoa risultati negativi alla serie di tamponi a cui erano stati sottoposti squadra e personale tecnico. Lo ha reso noto il club rossoblù che aveva previsto una seduta alle 15 con 12 calciatori della prima squadra, divisi in due gruppi di massimo 6 persone.
Al Genoa non è arrivato il documento che autorizza l’attività . I negativi sosterranno nuovi test e solo se i risultati (che arriveranno in tempi celeri essendo tamponi rapidi) saranno ancora negativi il gruppo potrà allenarsi nel tardo pomeriggio o al massimo venerdì mattina. Restano in isolamento fiduciario invece i 15 tesserati (11 giocatori e quattro componenti dello staff tecnico e medico) che sono attualmente positivi.
Maura Ferrari Bravo, direttore igiene e sanità pubblica della Asl 3, è intervenuta a Sky Sport 24 per fare il punto sulle restrizioni agli allenamenti del Genoa imposti dalla stessa Asl: “Quello del Genoa è un focolaio partito da un singolo caso, in seguito al quale abbiamo eseguito dei tamponi per chi era stato a stretto contatto con il caso primario. Essendo venuti fuori lunedì dei casi secondari, abbiamo dovuto valutare più attentamente questo gruppo di calciatori risultato positivo al Covid-19, per evitare nuovi casi secondari, per tutelare i giocatori e chi viene in contatto con loro”.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
UN RETROSCENA SVELA LE PAURE DEI PARLAMENTARI CHE IPOTIZZANO CHE I CONTAGIATI SIANO PIU’ DI DUE
Monica Guerzoni sul Corriere racconta un retroscena sui due senatori del MoVimento 5 Stelle risultati positivi al Coronavirus. Nelle chat dei parlamentari pentastellati si parla di un numero di contagiati molto superiore:
I positivi sono due, eppure nelle chat corrono a razzo altri numeri. C’è chi parla di cinque contagiati del Movimento Cinque Stelle, chi si spinge fino a otto e chi tiene a sottolineare che altri partiti sono coinvolti. «Pare che i positivi siano 5, ma il numero potrebbe essere in aumento», rimbalza via WhatsApp tra i dipendenti iscritti alla Cgil. Voci che non trovano conferma e però contribuiscono ad agitare gli animi.
Mentre si inizia a parlare di sedute in remoto c’è anche lo spazio per un complotto: l’idea sarebbe quella di rilanciare Rousseau. La boutade lascia il tempo che trova anche perchè i rumors raccontano che la diffusione del contagio potrebbe aver già travalicato i confini di Palazzo Madama per arrivare alla Camera:
La paura contagia anche la Camera. «Dai miei calcoli i positivi a Montecitorio sono una dozzina», la spara un leghista e giura di aver sentito parlare di «due azzurri».
«È grave che sia a Montecitorio che a Palazzo Madama i dipendenti siano stati fatti tornare tutti in presenza – lamenta un deputato –. Che fine ha fatto lo smart working?». E un commesso abbassa la voce: «Ci tengono nella più totale oscurità ».
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
QUANTI SENZATETTO ITALIANI SI SAREBBERO POTUTI SFAMARE CON QUELLA CIFRA DESTINATA A CONDIZIONARE I GIUDICI?
Sabato Matteo Salvini arriva a Catania per l’udienza preliminare davanti al Gup che dovrà decidere se mandare o no a processo Matteo Salvini per il caso Gregoretti per sequestro di persona e abuso d’ufficio.
Per l’occasione sono settimane che il Capitano e la Lega tutta hanno organizzato una manifestazione di tre giorni a sostegno del leader del Carroccio. Quanto è costata?
I conti del Fatto:
Sul sito ufficiale della “Lega per Salvini premier” fino a qualche giorno fa campeggiava l’invito a fare i biglietti aerei il prima possibile, perchè “con 80 euro si va e si torna da Catania”. Ora però le tariffe sono aumentate. “Le persone arriveranno per conto loro”, avverte subito Stefano Candiani, senatore di Busto Arsizio paracadutato a fare il commissario in Sicilia, organizzatore della kermesse.
Per il comizio del leader, sabato, potranno essere però solo in mille, causa distanziamento.
La spesa per ora sembra intorno ai 100 mila euro.
Ma guai a parlare dei 49 milioni o dei denari passati dalle mani dei tre commercialisti nella bufera. “Chiederemo un contributo ai nostri parlamentari, che verranno in massa… ”, dicono dal Carroccio. Ci saranno anche gli alleati: con maggior entusiasmo Giorgia Meloni, quasi costretto Antonio Tajani, qui a far presenza per i berluscones
Intanto Il Pd parteciperà il prossimo sabato alla manifestazione a Catania in piazza Trento, organizzata dalla rete “Mai con Salvini” in occasione dell’arrivo nella città etnea del capo della Lega.
“La segreteria provinciale — spiega una nota del partito — ha deciso di partecipare all’iniziativa per sostenere la battaglia per il rispetto dei diritti umani e contro il tentativo di qualsivoglia strumentalizzazione del lavoro della magistratura catanese, in merito alla vicenda giudiziaria che coinvolge l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini nel caso ‘Gregoretti’. Non sventoleremo nessuna bandiera di partito perchè la battaglia a favore dei diritti umani e di civiltà non deve avere appartenenze o colore — si legge nella nota — Lasciamo agli altri le parate di convenienza e ai cittadini catanesi la libertà di indignarsi”.
Il Pd definisce i leghisti in arrivo a Catania come “turisti lowcost in fazzoletto verde”, impegnati a “inaugurare una deprecabile stagione del ‘turismo giudiziario’”. “Siamo certi — sottolinea la nota — che i catanesi non abboccheranno”.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
SUI SOCIAL E’ DIVENTATO VIRALE LO SCONTRO TRA IL DEPUTATO DEL PD E GIORGINO, MA QUANDO GLI ATTACCHI ARRIVANO DALLA LEGA NESSUNO SI INDIGNA
Una valanga di insulti social dopo lo scontro Fiano-Giorgino ad Agorà , su RaiTre, andato in onda mercoledì mattina.
Argomento del dibattito un pensiero (legittimo) del giornalista del Tg1 sul risultato delle elezioni Regionali in cui sottolineava come fosse insensato parlare di una sconfitta di Salvini vista la vittoria nelle Marche del Centrodestra.
Parole che hanno provocato l’irritazione del deputato del Partito Democratico che ha contestato quelle parole in diretta televisiva. Uno scontro acceso, dai toni esacerbati, diventato virale sui social network.
La libertà di espressione di un libero cittadino, se non vìola le libertà altrui, è un sacrosanto diritto sancito anche dalla Costituzione italiana.
Insomma, Francesco Giorgino — soprattutto se interpellato da una trasmissione televisiva a titolo personale come opinionista — è legittimato a dire quel che pensa. E in questo Emanuele Fiano ha sicuramente errato, esacerbando i toni come un fiammifero gettato nel pagliaio.
Detto ciò, però, occorre sottolineare come il doppiopesismo sui social sia un male atavico italiano. E non solo.
Occorre sottolineare come non ci sia stata alcuna intimidazione: i due si sono confrontati e scontrati portando aventi due linee di pensiero differenti sullo stesso tema. Insomma, nessun tentativo di censura. E questo è evidente nel filmato.
Ma quel che pesa su questa vicenda è la memoria corta dei sostenitori di Salvini che dimenticano come il loro segretario, quasi quotidianamente, lanci strali contro il Tg1
Un mese fa, dopo il suo comizio in Campania: «Per il TG1 teppisti di sinistra che lanciano sedie e bottiglie contro la Polizia durante un mio pacifico comizio in Campania rappresentano fatto normale, non degno di nota. Fosse accaduto durante un discorso di Conte o Casalino lo avrebbero nascosto ugualmente? Viva la Libertà ».
Poi ancora, nel maggio del 2019 dal palco di Legnano: «Vi sfido, fate questo esperimento: provata e guardare il Tg1, il Tg5 o il Tg7 stasera: scommettiamo che non ci sarà nessuno degli argomenti di cui stiamo parlando ma ci saranno tante fesserie di cui non interessa niente a nessuno?».
Quando si parla di intimidazione e tentativo di censura occorre ascoltare bene le parole pronunciate e, soprattutto, non dimenticare quando la propria sponda politica di appartenenza sostiene da tempo. Perchè è il centrodestra che si inalberò contro il Tg1 con la grave accusa: aver intervistato il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Gravissimo per i cronisti poter parlare con il capo del governo. Insomma, il classico doppiopesismo all’italiana.
(da Globalist)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
BENSERVITO DOPO 180 GIORNI A CASA
Il Ministro Catalfo manda gli ispettori nel Lodigiano. Saranno loro, a quanto apprende il Fattoquotidiano.it, a verificare la vicenda del dipendente di un supermercato licenziato dopo 180 giorni di lotta contro il Covid, nonostante avesse in tasca un certificato di infortunio riconosciuto dall’Inail.
Il ministero ribadisce che il “Cura Italia” ha inserito una specifica norma per escludere i giorni di malattia Covid-19 dalle assenze.
In realtà la vicenda è più complessa e sta aprendo un certo dibattito nel mondo scientifico e giuridico, da cui potrebbero scaturire anche misure diverse da quelle che finora hanno tutelato i lavoratori durante la pandemia.
La Legge 24 aprile 2020 n. 27 infatti ha equiparato il periodo di quarantena alla malattia scomputandolo dai 180 giorni oltre i quali scatta il licenziamento.
Il dipendente sottoposto a “sorveglianza attiva” o in “permanenza domiciliare fiduciaria” poteva stare a casa, ricevere la sua retribuzione, e figurare in malattia senza che scattasse la tagliola dei giorni di assenza. E infatti a “salvare” il lavoratore del supermercato non sarà tanto il Cura Italia quanto il certificato dell’Inail che ha riconosciuto l’infortunio sul lavoro.
Il problema resta per tutti gli altri, i “post-covizzati”, un esercito dalla consistenza oggi sconosciuta, ma potenzialmente rilevante, che si sta anche organizzando in associazioni per rivendicare tutele sul lavoro a partire dalle assenze imposte dai postumi del virus. Perfino la Lombardia, e questo la dice lunga, ha stabilito di soccorrere questa platea di persone prorogando fino al 31 dicembre la gratuità delle visite e degli esami di controllo.
Sul piano clinico è infatti riconosciuto che un’ampia casistica di problemi sanitari covid-correlati allungano il periodo di malattia avvicinando chi ne è affetto alla soglia del licenziamento.
La legge però non la disciplina diversamente dalle altre. “Dopo sei mesi di assenza, il dipendente può essere licenziato per giusta causa, come succede, purtroppo, a chi ha un tumore”, conferma il presidente dell’Associazione dei Giuslavoristi italiani, Aldo Bottini. Problema: il Covid non è una malattia come le altre.
All’epoca dei primi decreti non si sapeva, oggi è ampiamente documentato che molte persone che hanno superato l’infezione sviluppano poi vere e proprie patologie a carico del sistema cardiaco, cardiocircolatorio e polmonare. Adesso si tratta di valutare questo aspetto, perchè quando sono stati emanati i primi provvedimenti il tempo trascorso in malattia era limitato e la ratio dei provvedimenti emergenziali era diversa. Il legislatore aveva l’urgenza di tenere la gente a casa perchè non si infettasse senza per questo affamarla. Da qui, la soluzione di equiparare la quarantena alla malattia senza far scattare il count-down del licenziamento. Lo scenario oggi è completamente cambiato. E al legislatore toccherà affrontare il problema.
“E’ assolutamente necessario”, sostiene Vittorio Agnoletto, medico del lavoro e membro di Medicina Democratica. “Che non sia successo è una cosa grave. Le persone che sono sopravvissute a una patologia mortale, che hanno già subito traumi e stress di ogni tipo, non possono vivere nell’incubo di un licenziamento che equivale a gettarle in un’altra condizione disastrosa. Mi sembra molto strano che il legislatore non sia ancora intervenuto, è ora che riconosca l’eccezionalità della malattia. Nessuno si scandalizzerebbe, credo, visto che ci sono già dei malati che stanno protestando per avere questa tutela”.
Che non sia come le altre è nei fatti. In quale altra situazione abbiamo vissuto una situazione di lockdown nazionale, fermi bloccati a casa? La pandemia non è stata forse paragonata a una guerra? Le misure legislative in questi mesi sono state straordinarie su tutto, dal lavoro alla scuola. “E allora, non credo che si faccia nulla di eversivo o sbagliato se si riconosce questa straordinarietà anche in campo clinico”. Del resto è già successo. All’epoca dell’emergenza Aids fu varata una legislazione ad hoc che consentiva agli infetti di evitare la reclusione. “Non sarà impossibile farlo anche per il Covid. E se poi il principio venisse esteso ad altre malattie come il cancro, garantendo analoghe forme di tutela, sarebbe solo un guadagno di civiltà ”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
NOMINATA DAL GOVERNATORE LEGHISTA NEL 2019 QUAND’ERA AL TAR DEL LAZIO E POI PROMOSSA A PALAZZO SPADA RESTANDO COMUNQUE AI VERTICI DELL’AMMINISTRAZIONE ISOLANA
Maria Grazia Vivarelli è un magistrato del Consiglio di Stato. Percepisce circa 170mila euro lordi annui, ma non ha mai varcato la soglia di Palazzo Spada.
Per farlo avrebbe dovuto avere il dono dell’ubiquità — al momento non contemplato nemmeno per i magistrati — perchè nel maggio del 2019 Vivarelli, allora al Tar Lazio, diventa il capo di gabinetto di Christian Solinas, il presidente della Regione Sardegna. Ricorre pertanto all’istituto del ‘fuori ruolo’, che permette ai magistrati di assumere incarichi nelle pubbliche amministrazioni e mantenere in contemporanea ogni prerogativa appannaggio delle toghe: stipendio, anzianità di servizio, giorni di malattia. Non basta, perchè può anche capitare di ‘incorrere’ in una promozione.
Ed è esattamente ciò che è accaduto al magistrato Vivarelli, quando sei mesi dopo aver preso servizio ai piani alti della Regione, a novembre 2019 viene nominata consigliere di Stato “a condizione che comunichi il rientro dalla posizione di fuori ruolo entro 30 giorni”, si legge nel notiziario del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Insomma, il magistrato deve scegliere: Regione Sardegna o Consiglio di Stato.
Due mesi dopo però, qualcosa cambia: a gennaio 2020 la nomina a consigliere di Stato viene confermata “con decorrenza giuridica dal 22 novembre 2019” e soprattutto “permanendo in posizione di fuori ruolo“. Dunque Vivarelli rimane in Regione e continua a percepire il compenso da magistrato.
E visto che l’incarico di capo di gabinetto non è gratuito, i 170mila annui accreditati sul conto corrente di Vivarelli dal Consiglio di Stato si cumulano con i 43mila euro lordi annui corrisposti dalla Regione. L’importo in verità potrebbe andare ben oltre i 100mila euro, quanto un direttore generale, ma le norme dicono che per il nuovo incarico il magistrato non può ottenere più del 25 per cento dello stipendio del Tar o del Consiglio di Stato. “Ma guardi, io sono in perdita con 43mila euro lordi l’anno, che alla fine diventano circa 20mila netti — dice la giudice Vivarelli — perchè tra voli aerei, bollette, affitto di casa e noleggio auto… Non è proprio agevole. Magari stando a Roma, riuscirei a mettere qualcosa in tasca. Penso che il tetto del 25 per cento sia un buon compromesso, non siamo a zero euro ma nemmeno ci si arricchisce. Alla fine si fa perchè è un’esperienza, per visibilità . Io stimo molto il presidente Solinas e penso che la cosa sia reciproca. Credo che mi abbia chiamato perchè voleva una persona esterna alle logiche interne, una persona disinteressata alle logiche sarde, di partito”. E aggiunge: “In ogni caso, la Regione risparmia, perchè anzichè pagarmi come un direttore generale, mi paga 43mila euro“.
Chi non risparmia è lo Stato, che corrisponde 170mila euro l’anno a un magistrato del Consiglio di Stato che fa un altro lavoro.
“Sì, certo, la Regione avrebbe potuto anche prendere un capo di gabinetto con una qualifica inferiore e pagare meno. Però non siamo tutti allo stesso livello. Il consigliere di Stato è il livello più alto che c’è nell’amministrazione, e la Regione paga solo il 25 per cento. E poi io non posso rinunciare agli emolumenti da magistrato. Non lo posso proprio fare, per legge”.
Tralasciando il record di ordinanze firmate da Solinas e impugnate dal governo perchè ritenute incostituzionali, quando si domandano a Vivarelli i precisi riferimenti normativi che le impediscono di rinunciare agli emolumenti del Consiglio di Stato, al posto di articoli e commi la magistrata risponde: “Come può un lavoratore subordinato rinunciare allo stipendio che costituisce un elemento essenziale del rapporto di lavoro? Eventualmente può regalarlo ai figli o ai poveri ma non è ovviamente rinunciabile. Non penso che lei possa decidere di fare il giornalista a titolo gratuito. Se non vuole lo stipendio lo può regalare a chi vuole. I riferimenti sono dati dalla tipicità del rapporto di lavoro: prestazione verso retribuzione”.
A risolvere l’arcano, su precisa richiesta del fattoquotidiano.it, ci pensa direttamente il Consiglio di Stato. “In caso di fuori ruolo il magistrato può optare per il mantenimento della retribuzione maturata presso la giustizia amministrativa (in questo caso il Consiglio di Stato, ndr) o rinunciarvi per percepire quella della nuova amministrazione presso cui presta servizio in fuori ruolo”. In quest’ultimo caso, la retribuzione non verrebbe decurtata al 25 per cento ma di certo non arriverebbe ai 210mila euro attualmente percepiti da Vivarelli. Che in effetti non è certo una mosca bianca: “Attualmente, su 17 magistrati amministrativi fuori ruolo — fa sapere sempre il Consiglio di Stato — due hanno rinunciato agli emolumenti dell’amministrazione di provenienza”, ovvero Tar e Consiglio di Stato.
Pochini, insomma, ma comunque uno in più rispetto al 2010, quando Report raccontò il caso di Nicola D’Angelo, magistrato del Tar fuori ruolo nominato commissario dell’Agcom: era l’unico, tra tutti i togati fuori ruolo, ad aver rinunciato allo stipendio del Tribunale amministrativo, vale a dire “circa 7mila euro al mese“.
E già da allora qualche magistrato, peraltro del Tar Lazio, faceva notare le storture del ‘fuori ruolo’: “Intanto la struttura dovrebbe promuovere qualcuno che deve svolgere l’attività per la quale è stato promosso, a vantaggio dell’istituzione — faceva notare la presidente di sezione Linda Sandulli — Invece no, viene promosso e rimane esattamente dove sta”.
E ancora: “Colui che rimane in servizio e fa soltanto il giudice, si sobbarca in parte l’onere del lavoro di chi è fuori ruolo e in aggiunta prende anche di meno. Che è un non senso, un non senso! Secondo me una soluzione che è addirittura banale, ovvia, è quella per cui si paga una persona per il lavoro che svolge”. Una soluzione talmente banale che la si attende da dieci anni.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
DOPO DIVERSI RAID LA TEPPA RAZZISTA E’ STATA IDENTIFICATA
Agivano in branco seminando il terrore tra gli extracomunitari con raid punitivi senza alcuna ragione. La polizia ha arrestato a Marsala (Trapani) tre giovani che dovranno rispondere di violenza privata, minaccia e lesioni personali aggravati.
Gli investigatori della Digos di Trapani e del commissariato di Marsala parlano di “efferatezza e spietatezza” con cui i tre avrebbero agito, spinti da “finalita’ di discriminazione o di odio etnico razziale”.
L’indagine, coordinata dalla procura di Marsala, ha preso le mosse da diverse aggressioni che si sono verificate in città nel corso dell’estate.
I tre entravano in azione soprattutto nei week-end: calci, pugni e ginocchiate contro inermi cittadini extracomunitari che subivano le violenze fisiche e verbali, e ancora sedie in legno, tavolini e bottiglie usati come armi.
Il ‘branco’, secondo gli inquirenti, agiva “accecato da una rabbia bestiale, immotivata”. Alla violenza si aggiungevano anche frasi che inneggiavano all’odio razziale.
In arresto nel carcere di Trapani sono finiti Salvatore Crimi, Antony Licari e Natale Salvatore Licari, di 18, 24 e 36 anni. Decisive si sono rivelate le immagini dei sistemi di videosorveglianza che hanno consentito di estrapolare riprese e fotogrammi risultati fondamentali per individuare i tre e gli altri indagati la cui posizione e’ al vaglio degli inquirenti.
Nei confronti degli extracomunitari venivano pronunciate frasi terribili come: “Siete africani di merda…non dovete piu’ parlare perche’ siete di colore…noi vi ammazziamo, qui non avete il diritto di stare…e qui siamo a Marsala”. E ancora: “Africani e nivuri (neri, ndr)”.
Il gruppo, secondo gli investigatori, “si muoveva come un commando” e agiva “come una vera e propria squadra punitiva” contro chiunque si fosse opposto. In un episodio, infatti, il ‘branco’ si e’ scagliato anche contro il titolare di un esercizio commerciale che aveva tentato di sottrarre la vittima alla violenza degli aggressori.
Nessuna collaborazione da parte delle vittime, intimorite dalla ferocia degli arrestati. In alcuni casi gli extracomunitari hanno anche rinunciato alle cure nonostante le gravi lesioni subite.
A Marsala si respirava un clima di palese omerta’: “Nessuno – evidenziano dal commissariato – si e’ presentato per rendere dichiarazioni che potessero risultare utili alla ricostruzione dei fatti e all’individuazione dei responsabili, temendo possibili ritorsioni”.
Alcuni componenti del ‘branco’, inoltre, appartengono al gruppo Ultras del Marsala Calcio ‘Street Boys Nucleo Ribelle’, che in diverse occasioni sono stati protagonisti di cosiddetti ‘reati da stadio’ e per questo sottoposti a Daspo. Nel corso della perquisizione effettuata nell’abitazione di Crimi, inoltre, gli agenti hanno trovato una pistola semiautomatica priva di tappo rosso con relativo caricatore, marca Bruni, modello ‘New Police’, nove cartucce a salve e una calibro 7.75.
(da agenzie)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
INSEGNANTE DI INFORMATICA A BENEVENTO, HA SFIDATO 12.000 DOCENTI DI 140 PAESI ARRIVANDO ALLA FINALE DEI GLOBAL TEACHER PRIZE
Un professore di italiano tra i dieci migliori professori del mondo.
Carlo Mazzone, 55 anni di Ceppaloni, docente di informatica a Benevento, è il primo italiano a riuscire ad arrivare nella decina di finalisti che cercheranno di aggiudicarsi il Global Teacher prize.
Il premio, giunto alla sesta edizione, in collaborazione con l’Unesco, e creato dalla Varkey Foundation, ha visto quest’anno sfidarsi 12mila insegnanti di 140 paesi per aggiudicarsi il milione di dollari in palio che dovranno essere spesi in progetti per la scuola.
“Io vorrei usare quei soldi per aiutare gli studenti a diventare imprenditori di loro stessi, per combattere l’abbandono scolastico che al sud è drammatico. Perchè per ogni ragazzo che abbandona gli studi, si perde un pezzo di futuro”, dice Mazzone che da giovane era considerato la pecora nera di casa.
Figlio e fratello di docenti, insegnanti, presidi, amanti di greco e latino, lui disdegnava le materie umanistiche. Voleva fare lo scienziato, amava l’elettronica, tanto da iscriversi di nascosto a radio Elettra leggendosi i fascicoli di nascosto, come giornalietti proibiti. Mancando volumi sulla sua materia, sui computer, negli anni ha cominciato a scriverli basandosi sulla sua esperienza prima nelle aziende e poi in classe, organizzando le lezioni in pratiche sfide tra gruppi di alunni per creare progetti. E molti sono stati premiati in concorsi europei.
Fra i top 10 con Carlo Mazzone anche gli insegnanti Jamie Frost (Inghilterra), Mokhudu Cynthia Machaba (Sudafrica), Leah Juelke (Stati Uniti) e Yun Jeong-hyun (Corea del Sud). La premiazione via web causa Covid avverrà il 3 dicembre a Londra dal Natural History Museum, verrà anche annunciato anche un riconoscimento ad un eroe, che si è spinto oltre per far sì che i giovani continuino ad imparare durante la pandemia.
“Il Global Teacher Prize è stato infatti creato per mettere in luce l’importante ruolo svolto dagli insegnanti nella società . Rendendo note migliaia di storie di eroi che hanno trasformato la vita dei più giovani, il premio mira a mettere in primo piano l’eccezionale lavoro degli insegnanti in tutto il mondo, quest’anno, più che mai, abbiamo visto gli insegnanti andare oltre per far sì che i giovani continuassero a imparare in tutto il mondo”, ha sottolineato Sunny Varkey, imprenditore e filantropo che ha creato il premio.
Sulla stessa linea l’Unesco. Le congratulazioni al professore di Ceppaloni le ha espresse Stefania Giannini, vicedirettore generale dell’Unesco, per il settore educazione. “Spero che la sua storia, scelta tra i tanti talentuosi e motivati docenti, ispiri chi vuole intraprendere la professione e metta in luce l’incredibile lavoro svolto quotidianamente dagli insegnanti in Italia e nel mondo.
Il Global Teacher Prize aiuta a porre la voce degli insegnanti al centro della nostra missione, ovvero promuovere opportunità di insegnamento inclusive per i bambini e i ragazzi di tutto il mondo. Da quando è emersa la pandemia di coronavirus, 1,5 miliardi di studenti sono stati colpiti dalla chiusura di scuole e università . Non tutti allo stesso modo. I governi devono imparare da queste lezioni e agire con decisione per garantire che tutti i bambini ricevano un’istruzione di qualità nell’era del Covid e non solo”.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 1st, 2020 Riccardo Fucile
RAPPORTO SETTIMANALE DELLA FONDAZIONE GIMBE: LAZIO, LIGURIA, CAMPANIA, SARDEGNA, SICILIA E PUGLIA CON TASSI DI OSPEDALIZZAZIONE SUPERIORI ALLA MEDIA NAZIONALE
Il contagio continua a correre e si accendono le prime spie al Centro-Sud. Lo segnala la Fondazione Gimbe che nella settimana dal 23 al 29 settembre ha rilevato, rispetto ai sette giorni precedenti, un ulteriore aumento (12.114 da 10.907) del numero dei nuovi positivi, arrivati a quota 50.630.
Crescono anche i morti, i pazienti ricoverati negli ospedali con sintomi da Covid19 (+444) e nei reparti di terapia intensiva (+32) e – si sottolinea nel report della Fondazione di Bologna pubblicato stamane – si riscontrano i primi segni di sofferenza del sistema di tracciamento nei servizi territoriali di sovraccarico negli ospedali, in particolare nelle regioni del Centro-Sud. Per cui “per evitare di mandare in tilt i servizi sanitari regionali servono misure urgenti”.
Cifre alla mano, rispetto alla settimana precedente, dal 23 al 29 ottobre si rilevano 12.114 nuovi casi (+11,1%), altri 32 morti (+30,5%) e 32 ricoverati in terapia intensiva (+13,4%), tamponi totali +20.344 (+3,2%).
Da metà luglio i nuovi casi settimanali sono aumentati da poco più di 1.400 ad oltre 12.000, con incremento del rapporto positivi/casi testati dallo 0,8% al 3,1% mentre i casi attualmente positivi sono più che quadruplicati: da 12.482 a 50.630
«L’aumento del rapporto positivi/casi testati – spiega il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta- se da un lato conferma una circolazione più sostenuta del virus, indipendentemente dal numero di tamponi effettuati, dall’altro lascia intravedere le prime criticità in alcune Regioni, rendendo indifferibile un potenziamento della capacità di testing”.
In particolare, dal 23 al 29 settembre, a fronte di una media nazionale del 3,1%, svettano i valori di Liguria (6,4%) e Campania (5,4%).
Sul versante delle ospedalizzazioni, si registra un incremento dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva, che in poco più di 2 mesi sono aumentati rispettivamente da 732 a 3.048 e da 49 a 271.“Se guardando al dato nazionale -sottolinea Cartabellotta – i numeri appaiono ancora bassi e non fanno registrare al momento particolari sovraccarichi dei servizi ospedalieri, iniziano ad emergere differenze regionali rilevanti”.
Al 29 settembre sono 6 – Lazio (12,2), Liguria (10,6), Campania (7,8), Sardegna (7,4), Sicilia (6,2) e Puglia (5,6) – e quasi tutte del Centro-Sud, le Regioni che registrano tassi di ospedalizzazione per 100.000 abitanti superiori alla media nazionale di 5,5. “Spie rosse” anche per i ricoverati negli ospedali e nei reparti di terapia intensiva.
“Che la situazione nazionale sia sotto controllo – continua Cartabellotta – è documentato anche dalla composizione percentuale dei casi attualmente positivi che si mantiene costante dai primi di luglio. Mediamente il 93-94% dei contagiati sono in isolamento domiciliare perchè asintomatici/oligosintomatici; il 5-6% costituito da ricoverati con sintomi e quelli in terapia intensiva sono lo 0,5%. Tuttavia, anche per questo indicatore le differenze regionali accendono ulteriori spie rosse”. In alcune Regioni, infatti, la percentuale dei casi ospedalizzati è nettamente superiore alla media nazionale del 6,6%: Sicilia (11,1%), Lazio (10,2%), Liguria (9,6%) Puglia (9,2%).
«Ormai da oltre 9 settimane consecutive i numeri confermano la crescita costante della curva epidemica e delle ospedalizzazioni”, è l’analisi del presidente, che invita a “prendere atto che il progressivo incremento dei casi attualmente positivi inizia a determinare dapprima segni di sofferenza del sistema di tracciamento da parte dei servizi territoriali e poi di sovraccarico ospedaliero, in particolare nelle Regioni del Centro-Sud”.
Una risalita, quella della curva epidemica, che, conclude Cartabellotta, si potrà rallentare solo potenziando il sistema di gestione territoriale, con “un consistente rafforzamento del sistema di testing and tracing, misure adeguate di isolamento domiciliare per evitare contagi intra-familiari” e poi “un’estensiva copertura della vaccinazione antinfluenzale (non solo delle categorie a rischio) e il monitoraggio attivo dei pazienti in isolamento domiciliare”.
(da agenzie)
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