Aprile 30th, 2014 Riccardo Fucile
“RENZI E’ IL NUOVO CHE ARRETRA, ALFANO HA TRADITO LA SUA STORIA”
Silvio Berlusconi sta diventando di nuovo un caso in Europa e in Italia …
«Troppa gente si affanna a commentare quel che mio padre dice e a interpretarlo come più le conviene. Bisognerebbe smetterla una volta per tutte con le strumentalizzazioni».
Le parole sui lager e i tedeschi non sono state certo felici.
«Guardi, mi dispiace solo che per ragioni elettorali sia stata utilizzata una frase sull’Olocausto, che non intendeva offendere nessuno, per montare una polemica che sottrae attenzione a quel che è il tema vero: il tema di un’Europa che così com’è non funziona, perchè è utile a pochi e danneggia tutti gli altri».
Marina Berlusconi oggi presiederà l’assemblea della Mondadori, ieri c’è stata quella Mediaset. Le aziende sono il suo impegno, almeno ora. Anche perchè, ottimista sul lato delle imprese Fininvest, lo è molto meno per la politica italiana. O meglio per parte di essa.
Suo padre ci mette del suo, è arrivato a parlare di colpo di Stato per la sentenza Mediaset.
«Mio padre ha subito in vent’anni una persecuzione giudiziaria senza precedenti, è stato il bersaglio di organi di informazione che dividevano con un gruppo di toghe ideologie, interessi, obiettivi. La presunzione di colpevolezza ha sostituito quella d’innocenza, l’incertezza del diritto ha stravolto i principi giuridici. E si è arrivati persino a celebrare processi su reati confezionati su misura».
C’è una condanna in Cassazione.
«Già , le condanne senza prove e le calunnie più assurde sono riuscite a fare quel che in una democrazia spetta alla battaglia politica, a scalzare un leader regolarmente eletto. Non si vuole chiamarli “colpi di Stato”?
Li si chiami come si vuole, ma così sono andate le cose».
Colpi di Stato o no, però oggi la sinistra ha un leader che qualcuno vorrebbe in Forza Italia …
«Fin da piccoli ci insegnano che un libro non si giudica dalla copertina, ma solo dopo averlo letto. Renzi si è presentato bene, niente da dire. Le immagini e le parole giuste. Il solo fatto che abbia conquistato il Pd suona come la negazione di quello che la sinistra ha fatto e predicato in questi vent’anni, la certificazione della sua sconfitta».
Perchè sconfitta? I sondaggi dicono il contrario.
«Dopo vent’anni durante i quali l’unica linea è stata l’antiberlusconismo, la sinistra ha ora un leader che sembra aver capito due cose. Primo: Berlusconi non è il male da eliminare ad ogni costo ma solo un avversario politico. Secondo: mio padre aveva perfettamente ragione a ripetere che il problema dei problemi di questo Paese è che con le attuali regole non si riesce a governarlo».
Il centrodestra però ha avuto tempo per cambiare.
«E infatti nel 2005 aveva già varato una riforma costituzionale più completa di quella oggi in discussione. Peccato che venne cancellata da un referendum voluto proprio dalla sinistra. Hanno cambiato idea? Meglio tardi che mai. Certo, all’Italia si sarebbero potuti risparmiare un sacco di problemi».
Ma a lei non piace il dialogo sulle riforme?
«No, anzi, mi auguro prosegua. Detto questo, però, non si tratta di cambiare solo per poter dire che si è cambiato, riformare ha un senso solo se significa davvero “migliorare”. La velocità non deve mai diventare fretta».
Bene le riforme, dunque. Ma il governo?
«Giudizio negativo. È giusto creare un clima di ottimismo e fiducia, ma attenzione: più forti sono le aspettative che si generano, più gravi saranno i danni se alle promesse non seguiranno i fatti. Purtroppo, è quello che sta succedendo, al di là del fumo alzato con i tweet, le slides, qualche pesciolino rosso in più e qualche auto blu in meno».
Saranno anche pesciolini rossi, ma l’Italia ha bisogno di novità , in una politica che resta stagnante.
«Più che il nuovo che avanza, a me il premier sembra il nuovo che arretra. Sul decreto lavoro, il dietrofront dettato dalla sinistra Pd ha del clamoroso. E poi non sono nè un politico nè un economista, non ho la presunzione di dettare ricette, però quel che è certo è che misure come il decreto “80 euro” sono spese elettorali e non investimenti per la crescita. Posto che si trovino le coperture».
Finora le hanno trovate.
«Vedremo. Ma quei soldi, oltre 20 miliardi in due anni, si potevano usare in modo molto più efficace. Oltretutto il decreto fa acqua da tutte le parti. Conti alla mano, l’unica certezza è che aumentano le imposte su casa e risparmi. In un momento così difficile».
Fortunatamente però si parla di ripresa
«La crisi è stata ed è ancora durissima. Se devo guardare al nostro gruppo, però, abbiamo saputo reagire bene, siamo riusciti a trovare un giusto equilibrio tra rigore e sviluppo. Da una parte grandissimo lavoro su costi ed efficienza. Dall’altra nessuna distrazione sul prodotto, anzi continuiamo a investire. Senza mai perdere la capacità di innovare».
Sono tante le imprese che lo dicono ma se c’è un settore in crisi è quello dell’editoria e comunicazione.
«Per noi non sono solo parole. Penso a Mediaset che torna in utile, abbatte il debito, si aggiudica i diritti 2015-2018 per la Champions, e guardi tutto l’interesse che c’è attorno alla nostra pay-tv… Penso a Mondadori che si ristruttura in modo radicale, ma anche a Mediolanum che chiude un altro anno ad ottimi livelli».
La Mondadori perde parecchio …
«Sul risultato 2013 hanno pesato 207 milioni fra costi di ristrutturazione e svalutazioni. Ma si tratta di oneri non ricorrenti. I primi mesi del 2014 sono migliori delle previsioni: i sacrifici durissimi e il grande lavoro fatto cominciano a dare risultati. Tutti i business hanno ripensato profondamente l’organizzazione e in molti casi il loro stesso prodotto. C’è stato un notevole cambiamento nel management. Il piano di risparmi per 100 milioni al 2016 è già molto avanti nella realizzazione, contiamo anzi di fare di più. E, se capitasse, siamo anche pronti a cogliere qualche opportunità , non solo nel digitale».
Addirittura volete fare acquisizioni?
«Siamo solidi. E siamo una risorsa per il Paese. Ogni anno versiamo in media al Fisco oltre 500 milioni di euro, 5 miliardi negli ultimi 10 anni. Stiamo affrontando bene tutte le difficoltà . E in quel “tutte” c’è anche l’inaccettabile esproprio di 500 milioni a favore della Cir di De Benedetti per il Lodo Mondadori».
Anche lì c’è una sentenza, una causa vinta da De Benedetti.
«Se penso che ha avuto il coraggio di dire che mio padre “non è un imprenditore”… Si è visto quanta ricchezza lui è stato capace di distruggere per tutti mentre ne creava, e tanta, soltanto per sè. Mi auguro solo che dopo l’Olivetti, dopo decine di migliaia di risparmiatori, ora non tocchi a Sorgenia. La storia imprenditoriale di Carlo De Benedetti è costellata di naufragi, e paradossalmente la sua ancora di salvezza stavolta siamo stati proprio noi, o meglio quei 500 milioni del Lodo».
Anche il ventennio berlusconiano viene vissuto come un naufragio.
«Mi costringe a tornare sulla politica… Intanto il cosiddetto ventennio berlusconiano in realtà non è neppure un decennio, per il tempo restante ha governato la sinistra».
Fossero solo dieci anni non sono pochi, ma i fatti?
«I fatti ci sono, sono tanti, e le 40 riforme degli esecutivi Berlusconi stanno lì a dimostrarlo. Si poteva fare di più, fare meglio? Si può sempre fare di più e meglio. Ma quanto sia difficile governare questo Paese credo l’abbiano capito tutti».
Ogni governo lo dice.
«Beh, tenga conto che molte delle cose buone fatte sono state poi disfatte proprio dalla sinistra. Penso alla riforma istituzionale del 2005 ma anche, per esempio, alla legge Biagi o a quelle delle pensioni che ci avrebbero evitato lo choc della riforma Fornero. E poi bisogna porsi anche un’altra domanda: che cosa sarebbe successo se mio padre non fosse entrato in politica, e questo Paese fosse rimasto nelle mani della “gioiosa macchina da guerra”, libera di scorrazzare perchè a spazzar via gli avversari aveva appena provveduto Tangentopoli?».
Si, ma fallendo una pretesa rivoluzione liberale. E lo dicono Bonaiuti, Bondi, ecc…
«Lasciamo stare i nomi, ma di fronte a questo resto allibita. Mi chiedo: ma questi signori dov’erano, che cosa facevano? Non li sfiora il sospetto di essersi dimostrati a dir poco inadeguati? E che senso ha ripetere che Forza Italia non ha un progetto politico?».
E quale sarebbe questo progetto politico?
«Resta quello di un Paese dove lo Stato sia al servizio dei cittadini e non viceversa, le libertà e i diritti individuali valgano davvero per tutti, dove la magistratura non assuma compiti che non le spettano, dove cittadini e imprese non siano soffocati da tasse e burocrazia. Non è un progetto politico questo? E chi potrebbe difendere i valori liberali se non Forza Italia e Silvio Berlusconi? Non penseremo mica a Renzi, solo perchè non ha la foto di Togliatti in ufficio, o a qualcuno che è alla perenne ricerca del quid?»
Ce n’è anche per i «traditori»? Alfano e gli altri?
«Se di tradimento dobbiamo parlare, direi che queste persone hanno innanzitutto tradito se stesse e la propria storia. Consegnandoci una granitica certezza: l’unica cosa in cui sono grandi è la mediocrità . Il dissenso è ovviamente legittimo, ma ci sono anche i modi e i tempi giusti per esprimerlo. Quando poi si scopre che spesso dietro certe “nobili” prese di distanza ci sono in realtà soltanto faide di potere o fame di poltrone, il tutto diventa, se possibile, ancora più avvilente».
Idee chiare… Manca solo l’impegno in politica.
«Per la politica ho un grande rispetto, la seguo dall’esterno con attenzione, ma il mio posto è nelle aziende, questo è il lavoro che mi piace fare. E poi questa storia della trasmissione dinastica non mi ha mai convinto. La leadership non si eredita, bisogna sapersela costruire, passo dopo passo, nel tempo, con umiltà , sacrificio, passione. E soprattutto con rispetto: per se stessi e per gli elettori».
Niente Marina come Marine Le Pen?
«Lei è cresciuta a pane e politica. Io ho scelto un’altra strada. E sono soddisfatta della mia vita. Mi ha riservato molte fortune, sia nel lavoro che a livello personale. E la più grande è quella di avere un marito e dei figli come quelli che ho. Detto questo, so che nella vita non si può mai escludere nulla. Quindi, oggi è così. Un domani, se capitasse, la politica, chissà …».
Daniele Manca
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 30th, 2014 Riccardo Fucile
IN SENATO PARLA DI DIMISSIONI, A “PORTA A PORTA” SPIEGA CHE SULLA P.A. INDICHERà€ SOLO LINEE GUIDA… E PER LA CAMPAGNA ELETTORALE PUNTA SU PALAZZO CHIGI
“Mentre qualcuno fa solo campagna elettorale, noi siamo qui a lavorare”. Matteo Renzi, versione premier, a Porta a Porta.
Non è proprio uno slogan elettorale, ma ci assomiglia. Peccato che il lavoro da presidente del Consiglio, quello che nelle sue intenzioni deve essere il biglietto per vincere (e magari stravincere) alle europee è evidentemente più complicato di quel che sembra.
Prendiamo la giornata di ieri, quando minaccia per due volte le dimissioni, una di mattina a Palazzo Madama, e una di sera in tv (“Io non ci sto a tutti i costi. Io ci sto se posso cambiare le cose. Se vogliono qualcuno che le cose le abbuia prendano un altro”) e nello studio di Bruno Vespa utilizza una formula rivelatrice, a proposito della Pa: “Noi raccontiamo le riforme”.
Prima parte della mattinata al gruppo del Pd, dove Renzi va a proporre una mediazione sul Senato, con una soluzione sull’eleggibilità che però ancora non c’è (ipotesi di lavoro: lasciare alle Regioni la facoltà di individuare il metodo per l’elezione dei consiglieri regionali che andranno a comporre il futuro Senato).
Mentre quello che c’è di certo è un ulteriore slittamento di tempi: il testo base in Commissione arriverà il 6 maggio, forse la stessa Commissione riuscirà ad approvarlo prima del 25. Forse.
Quel che è certo è che in Aula arriverà dopo. Renzi dà una nuova dead line per l’approvazione in prima lettura: il 10 giugno.
Si preferisce evitare la drammatizzazione in Aula prima delle elezioni, anche perchè con la necessità di tutti in campagna elettorale di piantare la propria bandierina, visti i numeri, può succedere di tutto. Meglio rimandare a dopo.
A proposito di rimandi, eccone un altro annunciato dallo stesso presidente del Consiglio.
Per oggi era previsto il Cdm sulla Pa. “Non faremo un decreto, ma solo le linee guida della riforma”, dice Renzi a Porta a Porta. Anticipazioni: “dirigenti a tempo determinato”, “premi di produzione variabili”, criteri per “beccare quelli furbi”, “lavorare sull’età media” che è troppo alta.
Poi, in programma c’è la riduzione degli stipendi degli statali, a partire da chi guadagna più di 90mila euro. Misure del genere si possono fare a tre settimane e mezzo dal voto, con tutte le categorie coinvolte (magistrati, medici, diplomatici, militari, ministeriali) pronte alla ribellione almeno nell’urna? Lui lo sa: “La cosa più difficile che possiamo fare è cambiare la pubblica amministrazione e lì non ci basta nemmeno la Nasa, forse i Marines”.
Non è facile per un premier che ha annunciato grandi riforme, molto difficili da realizzare, portare avanti una campagna elettorale con Grillo e Berlusconi, che lui stesso definisce “professionisti”.
Senza contare che il Renzi precedente ha sempre puntato sulla rottura. Non a caso, ieri sera c’è stato un punto tra lui e Lorenzo Guerini, vicesegretario Pd, per capire come gestirla questa campagna.
La filosofia di fondo la spiega Stefano Bonaccini, responsabile Enti locali Pd, che ci sta lavorando a livello anche fattuale. Niente cedimenti all’alzata dei toni grillini: “Grillo vuole trasformarla in un referendum su Renzi e il governo. Per questo confonde l’elezione del Parlamento europeo con quello italiano”.
E poi, spiega che c’è molta attenzione anche alle amministrative (dove vanno al voto 4000 comuni e 27 capoluoghi), con l’intenzione di strappare alla destra Piemonte e Abruzzo. Renzi dovrebbe andare a Bari e Firenze, Modena e Reggio Emilia. Dovrebbe scegliere anche comuni simbolo come Prato e Sassuolo.
La chiusura in una piazza, non in un teatro, modello Bersani. E intanto, Youdem sotto la gestione di Francesco Nicodemo si lancia in iniziative “rock”: chiedendo, per esempio, alle capolista di fare la loro playlist in trasmissione.
Un po’ di leggerezza serve.
Wanda Marra
(da Il “Fatto Quotidiano“)
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Aprile 30th, 2014 Riccardo Fucile
RABBIA E TIMORE, BERLUSCONI VEDE LA MANO DEL COLLE DIETRO ALLA REAZIONE DEI MAGISTRATI
L’effetto è devastante: “Questa cosa è assurda. Vogliono zittirmi, impedirmi di esprimere le mie legittime opinioni”.
Silvio Berlusconi è un fiume in piena quando apprende che il tribunale di Milano sta esaminando le dichiarazioni sui giudici nel corso della trasmissione Piazza Pulita.
Gli avvocati gli assicurano che per ora nessuna decisione è stata presa dal tribunale di Milano. Nè sarà presa nella giornata di oggi.
Al momento i giudici stanno “valutando” se le frasi usate per commentare la sentenza sono compatibili con le restrizioni proprie del suo stato. In particolare sotto osservazione non ci sono gli appellativi di “mostruosa” o “ingiusta” con cui l’ex premier ha apostrofato la sua condanna a quattro anni per frode fiscale.
Ma proprio l’affermazione sui servizi sociali: “Una cosa ridicola non per me, ma per il paese”. E forse anche l’aver definito, nel corso di Mattino 5, la sentenza Mediaset un “colpo di Stato”. Insomma, Berlusconi è sotto osservazione.
È una “diffida” la misura che si aspettano i suoi avvocati. Una sorta di “cartellino giallo”, propedeutico al “rosso”, ovvero alla revoca dei servizi sociali se l’ex premier non dovesse correggere il tiro nei confronti dei giudici.
E soprattutto nei confronti di Giorgio Napolitano. Perchè per Berlusconi sarebbe proprio il capo dello Stato la causa di questa reazione del tribunale di Milano.
Per giorni lo ha attaccato, bisognoso di trovare un nemico per motivare il suo popolo. E nella speranza di ottenere una reazione stizzita da Quirinale. Invece non solo Napolitano non è caduto in trappola evitando di farsi sfiorare dalla propaganda elettorale, ma al posto delle sue parole è arrivato l’avvertimento dei giudici.
La conferma del teorema, secondo chi sta attorno al Cavaliere, arriva dalle dichiarazioni che il vicepresidente del Csm Michele Vietti consegna ai cronisti: “Chi pensa di fare campagna elettorale sul presidente della Repubblica scherza con il fuoco”.
Ecco, non solo il gioco non è riuscito. Ma rischia di trasformarsi in un boomerang. Furioso, preoccupato, Berlusconi vive l’avvertimento come l’ennesima umiliazione. Proprio nel giorno in cui si è recato all’istituto di Cesano Boscone per iniziare a parlare di come dovrà affrontare i servizi sociali.
Insopportabile è la sensazione di dover subire limitazioni nell’uso della parola: “Assurdo” ripete ai suoi, nella intima convinzione di aver esercitato il semplice diritto di critica: “Non posso neanche fare campagna elettorale”.
Attorno un intero apparato, da Mediaset alla famiglia passando per gli avvocati, è mobilitato per spingerlo a un uso più prudente delle parole. Altrimenti si rischia l’Incidente che procura il rosso.
Chi racconta la storia che, nel caso di domiciliari, Berlusconi ne trarrebbe un vantaggio in termini elettorali, col suo popolo che avrebbe una reazione emotiva correndo a votare in massa, non coglie il vero stato d’animo del Cavaliere, meno propenso a giocare sulla sua pelle di quelli che gli stanno attorno.
L’eventualità gli fa semplicemente paura. Berlusconi trova già insopportabile questo regime che, a giudizio dei più, è il più blando possibile.
Essere rinchiuso nel silenzio dei domiciliari lo farebbe letteralmente impazzire. Insomma, non cerca l’incidente pensando che trarrebbe vantaggi dai domiciliari, ma è crescente il fastidio per questa situazione.
La verità è che, per la prima volta, qualcosa è cambiato. Per la prima volta la presenza di Berlusconi in tv non fa volare gli ascolti, anzi.
I sondaggi sono ancora inchiodati sotto al venti. Per la prima volta il vecchio leader avverte che l’azzoppamento giudiziario e l’azzoppamento politico potrebbero causare un risultato disastroso.
Manca il “quid” alla campagna elettorale.
Ma chi gli ha fatto notare che è tutto ripiegato sul passato e non parla di futuro non ha avuto grande ascolto.
Le restrizioni dei giudici sono subite, quelle dei suoi semplicemente ignorate.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 30th, 2014 Riccardo Fucile
ECCO LA LETTERA PUBBLICATA IN ESCLUSIVA DALL’HUFFINGTON POST
“L’escalation di dichiarazioni di Silvio Berlusconi, da un lato sul tema della grazia, dall’altro contro i “traditori” del Nuovo Centrodestra, esige che venga ristabilita la verità dei fatti.
Noi abbiamo sempre ritenuto e continuiamo a ritenere ingiuste tanto la sentenza Mediaset quanto l’applicazione retroattiva della legge Severino, pur consapevoli che a determinare la decadenza di Berlusconi dal Senato sarebbe stata in ogni caso l’interdizione e che solo l’errore di calcolo della Corte d’Appello di Milano ha scatenato l’ordalia parlamentare e l’offensiva dei “carnefici” che probabilmente il Berlusconi di oggi definirebbe “simpatici carnefici”.
Se tuttavia i carboni ardenti di quell’ordalìa nell’autunno scorso si sono raffreddati per oltre due mesi, e se quei mesi sono stati animati da un dibattito giuridico sulla legge Severino dal quale “falchi” e “lealisti” hanno attinto argomenti a piene mani, è perchè un manipolo di traditori si sono adoperati presso i carnefici per rallentare la corsa del treno e hanno lavorato l’intera estate per fornire a Berlusconi una batteria di difesa tecnica che una volta tanto ha reso alla controparte la vita più difficile invece che agevolarle il compito.
Quanto al tema della grazia, Berlusconi sa bene, per averne ampiamente e reiteratamente discusso con alcuni dei traditori di cui sopra e certamente con i sottoscritti, che vi erano tutti i presupposti per un percorso che gli evitasse la compressione della libertà personale e gli riconoscesse agli occhi del Paese e del mondo un ruolo che nessuna sentenza avrebbe potuto cancellare e che solo una linea politica sconsiderata ha irrimediabilmente compromesso.
Questi presupposti vi erano la scorsa estate e, nonostante tutto, vi erano ancora in autunno, anche grazie a una paziente opera di tessitura e di continua ricucitura ad opera dei soliti traditori che il Berlusconi dottor Jeckyll avallava e incoraggiava ogni volta che il Berlusconi mister Hyde cedeva alla tentazione distruttiva di minare la stabilità del Paese.
Evidentemente al dunque qualche cattivo consigliere ha indotto Berlusconi a sottovalutare la portata del gesto che avrebbe potuto ottenere: un gesto che nel suo caso avrebbe rappresentato ben più di un semplice atto di clemenza. I presunti traditori rivendicano di aver combattuto una battaglia interna all’allora PdL nella convinzione che il bene dell’Italia coincidesse con il bene del centrodestra e con il bene dello stesso presidente Berlusconi.
Non ci si è riusciti, perchè un cupio dissolvi si è impadronito di colui che vent’anni prima aveva fatto nascere il centrodestra in Italia e vent’anni dopo ha preferito perdersi dietro a leggende metropolitane, queste sì da “profondo rosso”, su colui che ancora a maggio aveva implorato di restare controvoglia al Quirinale.
Avevamo sempre ritenuto che la più grave responsabilità del disastro fosse da imputare non al presidente Berlusconi ma a quanti quelle leggende metropolitane gliele avevano raccontate, gettando consapevolmente sale sulle ferite di una persona provata da una persecuzione giudiziaria senza precedenti.
Alla luce della narrativa che sembra aver scelto per la campagna elettorale, viene invece il sospetto che Berlusconi ci abbia messo pesantemente del suo e che, dopo aver dato sempre la colpa agli altri per tutto ciò che in questi vent’anni non ha funzionato, della distruzione provocata debba assumersi la sua consistente quota di responsabilità .
Queste righe rappresentano per noi la chiusura tombale di una polemica distruttiva. Se qualcuno vorrà continuare a straparlare di tradimento e traditori, per quel che ci riguarda lo farà da solo. A questo punto resta soltanto da augurarsi che, quando la verità verrà a galla come Berlusconi insiste a chiedere, venga a galla tutta intera”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile
COMUNISTA ERETICO CON IDEE CARE AL FASCISMO IDENTITARIO… IL TOTALITARISMO REPRESSIVO ERA LA SOCIETA’ DEI CONSUMI
Ve lo ricordate lo spread? C’è stato un momento in cui le sue impennate turbavano il sonno di tutti gli italiani, persino quello della famosa casalinga di Voghera: «Oddio signora mia, ieri il tg ha detto che s’è alzato ancora!». «Che disgrazia! Chissà adesso a quanto arriveranno i peperoni». La cosa è andata avanti per qualche tempo, ma poi – tra venti di bocconiana sobrietà , lacrime della Fornero e sangue dei contribuenti – il famigerato differenziale è passato di moda.
Un po’ come i pantaloni a zampa e le pellicce di visone.
Adesso le parole d’ordine sono tornate ad essere quelle di sempre: bolle finanziarie e speculative, crisi internazionale, crollo dell’occupazione e dei consumi.
Concetti che rievocano le immagini indelebili del 2008, quelle dei trader che abbandonano con i cartoni in mano la sede della Lehman Brothers.
Ci hanno raccontato che è iniziato tutto da lì, che quella scena è il paradigma della fine di un’era. Ma non è vero, o almeno non del tutto.
La sensazione, infatti, è che – al di là degli algoritmi astratti degli esperti – la crisi che stiamo vivendo arrivi da molto più lontano e le sue radici vadano cercate più nella dimensione esistenziale che in quella finanziaria.
In sostanza, ciò che sembra essersi inceppato è proprio il nostro intero modello di sviluppo, fondato su una visione ostinatamente positivista e materialista del mondo.
Un sistema che postula benessere e felicità per tutti e che invece rischia di aver messo in moto, attraverso la logica perversa dei consumi, il meccanismo perfetto dell’infelicità .
Ebbene, tutto questo, uno degli intellettuali più significativi del XX secolo l’aveva previsto con largo anticipo, quando Angela Merkel era ancora poco più che adolescente e se ne stava con le grazie al vento sulle spiagge per nudisti.
Il personaggio in questione è Pier Paolo Pasolini, la cui straordinaria opera è celebrata in questi giorni a Roma con una grande mostra allestita fino al prossimo 20 luglio al Palazzo delle Esposizioni.
La rassegna – che si sviluppa cronologicamente in sezioni, così da tracciare tutto il percorso della straordinaria vitalità creativa dell’autore – fa parte di un progetto di respiro europeo attraverso il quale Barcellona, Parigi e Berlino si associano alla città eterna per riaccendere i riflettori sulla figura del poeta “corsaro”.
A noi piace pensare che la scelta di farlo proprio in un momento di crisi ed euroscetticismo come questo, non sia solo il frutto di una felice coincidenza.
Perchè Pasolini è colui che, forse meglio di chiunque altro, ha saputo cogliere le potenzialità distruttive insite nella nostra civiltà dei consumi e in quell’ideologia dell’edonismo di cui, probabilmente, oggi stiamo subendo tutti gli effetti.
La sua voce libera e coraggiosa ammoniva sui rischi di una mutazione antropologica che la produzione di massa avrebbe determinato.
Una voce solitaria e osteggiata un po’ da tutti: sicuramente dai comunisti, troppo distratti dalle convergenze parallele con la Dc per prestare la giusta attenzione alle contraddizioni sollevate dal loro eretico “compagno”.
Ma disprezzata anche dalla destra, per la quale Pasolini ha rappresentato sicuramente una straordinaria occasione perduta.
Il Movimento Sociale Italiano, infatti, fu totalmente incapace – se si esclude qualche illuminato come Beppe Niccolai – di superare il rozzo pregiudizio omofobo e cogliere la convergenza degli orizzonti ideologici del partito con molti dei temi cari al poeta di Casarsa.
Pasolini era un antifascista, certo, ed in tasca aveva la tessera del Pci.
Ma era anche uno spirito libero, lontano anni luce dalla figura gramsciana dell’intellettuale organico.
Era un italiano che cercava la verità ad ogni costo, senza mai pensare alle conseguenze.
Per questo non deve sorprendere l’apparente paradosso che fu proprio lui ad esprimere le critiche più feroci nei confronti della sinistra di quegli anni, e che molti dei contenuti dell’ideologia pasoliniana possono essere inquadrati in una prospettiva destrorsa.
Paradigmatica in questo senso è la battaglia del poeta per la conservazione dei luoghi del patrimonio nazionale, contro la distruzione dell’identità paesaggistica e urbanistica italiana.
Così come la difesa della poesia della tradizione, un tentativo appassionato di tutelare una verginità poetica dalla contestazione sessantottina.
È il Pasolini che a Valle Giulia simpatizza coi poliziotti. Il Pasolini reazionario e ferocemente critico nei confronti di una modernità che omologa gli italiani attraverso un modello culturale piccolo-borghese imposto dalla televisione.
Proprio in questo centralismo della civiltà dei consumi, e non nel regime mussoliniano, Pasolini scorge il vero totalitarismo repressivo che, abolendo ogni distanza materiale tra la periferia e il Centro, ha assimilato a sè l’intero Paese così differenziato e ricco di culture originali.
«Un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza».
Non è necessario uno sforzo particolare per cogliere in queste argomentazioni tutti i tratti fondamentali di quel fascismo di sinistra che trovò la sua massima espressione nella corrente di “Strapaese”: in pieno regime, scrittori e artisti come Maccari, Soffici e Ricci, sostenevano con qualche decennio d’anticipo le tesi di Pasolini, opponendo alla borghesia delle moderne liberal-democrazie la dimensione preindustriale italiana.
Una civiltà più semplice ma più vera, caratterizzata dalla stabilità dei ruoli e da un’armonia complessiva dove ogni individuo ha una collocazione precisa, un’identità e un senso.
In Petrolio il poeta descrive il fascismo come un modello culturale intriso di filosofia irrazionale e attraversato dal culto dell’azione, «forme attuali e logiche del Mistero corporale.
Nessuno di noi ne è esente, indenne o libero. Anche quando non lo vogliamo il passato determina le forme di vita che immaginiamo e progettiamo per il futuro».
Concetti significativi, punti di contatto evidenti con il Weltanschauung di una destra tradizionalista che però il partito di Almirante non seppe e non volle cogliere.
Forse perchè arrivavano da un “frocio comunista”, o forse perchè in quell’ambiente già covava la bramosia di potere che qualche decennio più tardi porterà la sua intera classe dirigente all’abiura di tutto il proprio patrimonio culturale nel nome della liquidità post-moderna della politica.
Ora, in ciò che resta di quel mondo c’è qualcuno che goffamente prova a tornare indietro, rispolverando vecchie bandiere e denunciando la tirannia di un centralismo economicistico europeo che ci sta distruggendo.
Il timore però è che siamo davvero fuori tempo massimo, perchè ciò che è accaduto in questi decenni si può riassumere con un’evocativa immagine dello stesso Pasolini: «è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi e sparire.
Adesso risvegliandoci, forse, da quest’incubo, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare».
Alessio Di Mauro
(da “Il Tempo“)
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Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile
“GARANZIA GIOVANI” E PROMETTE OCCUPAZIONE PER 900.000 GIOVANI
Per il momento è solo un sito vuoto con scritto in bella evidenza: “Presto online”.
La Garanzia giovani è un progetto da 1,5 miliardi di euro, messi a disposizione dalla Commissione europea per “assicurare ai giovani con meno di 25 anni un’offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato, tirocinio o altra misura di formazione, entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale o dall’inizio della disoccupazione”
Il governo Renzi intende giocarsi molte carte su questo progetto e l’annuncio da parte del ministro Giuliano Poletti, di rendere operativo il sito proprio   il 1 maggio lo dimostra .
Il fattore simbolico è quello su cui Matteo Renzi scommette di più e cosa c’è di meglio della Festa dei lavoratori per promettere posti di lavoro come se piovesse?
Poletti ha assicurato più volte, l’ultima ancora ieri su l’Unità , che il piano dovrà interessare 900 mila giovani, in forme che, però, non sono mai state chiarite o precisate. Del resto, è la stessa Youth Guarantee a rendere il progetto poco agguantabile
“Garanzia Giovani”, infatti, deve offrire una prospettiva ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro dopo il completamento degli studi, ma anche a coloro che, si legge sul sito del ministero del Lavoro, “disoccupati e scoraggiati, hanno necessità di ricevere un’adeguata attenzione da parte delle strutture preposte alle politiche attive del lavoro”.
Come funziona?
“Ai giovani che presenteranno i requisiti verrà offerto un finanziamento diretto (bonus, voucher, ecc.) per accedere a una gamma di possibili percorsi”.
E qui si entra nelle diverse tipologie ormai note: “L’inserimento in un contratto di lavoro dipendente, l’avvio di un contratto di apprendistato o di un’esperienza di tirocinio, l’impegno nel servizio civile, la formazione specifica professionalizzante e l’accompagnamento nell’avvio di una iniziativa imprenditoriale o di lavoro autonomo”. C’è di tutto ma niente di concreto e, soprattutto , nessun posto di lavoro definito.
Di fatto, si tratta di allestire un mega-portale che faciliti la domanda e l’offerta di lavoro mettendo in connessione i Centri per l’impiego, le imprese, le Regioni.
L’applicazione del piano spetta proprio a queste ultime, ma finora solo tre Regioni hanno firmato la convenzione con il ministero e altre due “sono pronte per la firma”.
Il ministero di Poletti, dal canto suo, ha firmato lo scorso 28 marzo due convenzioni, una con Confindustria e l’altra con Finmeccanica.
Nei giorni scorsi è stata siglata quella con la Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori, e l’Agia, Associazione Giovani Imprenditori Agricoli. Tutto quanto sarà “presto online”.
Il timore è che resti lì.
S. C
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile
TOTI VEDE IL PERICOLO GRILLO: “URLATORI SENZA PROGRAMMI, VOGLIONO SOLO DISTRUGGERE”
Per Giovanni Toti esiste una ”sindrome G”. G come Grillo.
Il consigliere politico di Berlusconi spiega che questa sindrome mette in pericolo la democrazia italiana. «E’ chiaro che il sistema politico non può funzionare se il 50% degli italiani nei sondaggi dichiara che non andrà a votare e un altro 25% si recherà alle urne per votare il Movimento 5 Stelle.
Con Grillo – dice Toti – siamo passati dalla conventio ad excludendum dal potere che una volta riguardava i comuni italiani alla conventio ad (auto)excludendum di un movimento che si rifiuta in ogni modo di partecipare alla soluzione dei problemi. Ha mandato in Parlamento e si prepara a mandare a Strasburgo degli urlatori senza programmi, che vogliano solo distruggere».
Ecco perchè a “Mattina Cinque” Berlusconi ha attaccato soprattutto Grillo paragonandolo a Hitler.
«Gli italiani – ha avvertito l’ex premier – devono imparare ad avere paura di lui. Organizza la sua setta come faceva Robespierre. Grillo mi ricorda Lenin. Grillo è il prototipo di questi signori, Hitler compreso».
Il leader di Forza Italia ha nel mirino tanti nemici e avversari. La Germania e la Merkel, certamente, perchè la politica contro l’austerità e l’euro è un terreno elettorale fertile in Italia.
E’ utile alla rimonta anche qualche buffetto a Renzi «simpatico tassatore», ma che in fondo potrebbe stare anche in Forza Italia.
Altrettanto utili lo sono gli attacchi al capo dello Stato, che non gli ha concesso la grazia e avrebbe manovrato con Fini e altri per disarcionarlo da Palazzo Chigi nel 2011: pure questo, a giudizio di Berlusconi, farebbe presa sull’elettorato di centrodestra in fuga.
Ma la vera bestia nera è Grillo, il terzo incomodo, il comico diventato politico con molti pensieri e tante parole che hanno caratterizzato l’era berlusconiana e che ora riempiono le piazze e le urne di 5 Stelle.
Forza Italia è in affanno di consensi su questo lato e rischia di rimanere indietro, terzo tra i partiti italiani cannibalizzato da Beppe che fa opposizione dura e senza compromessi.
E ciò mentre Berlusconi deve rincorrere Renzi sulle riforme costituzionali, ammettere che il giovane premier gli ricorda se stesso quando era pieno di energia e prometteva la rivoluzione liberale (mai realizzata).
Alla fine Silvio si tiene per mano con Matteo e Beppe li infilza, dice che l’uno ha bisogno dell’altro per sopravvivere.
Lasciandosi le mani libere da ogni responsabilità politica.
La “Sindrome G”, appunto: quel terzo di elettori che votano per Grillo-Hitler-Lenin-Robespierre,e che considera le manovre politiche «giochi sporchi». Forse più che la “Sindrome G” si dovrebbe parlare di “Sindrome del terzo”, come la chiama il politologo Alessandro Campi: il terrore dell’ex Cavaliere rampante di finire in coda ai consensi, terzo sotto il 20%.
Sarebbe la sua fine politica.
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Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile
LA MADRE: “TERRIFICANTE, MI SI RIVOLTA LO STOMACO”, RENZI LA CHIAMA PER ESPRIMERLE SOLIDARIETA’…A DESTRA SI CONFONDE LA LEGALITA’ CON L’ABUSO DI POTERE
Cinque minuti di applausi e delegati in piedi alla sessione pomeridiana del Congresso nazionale del Sap, il sindacato autonomo di Polizia, per tre dei quattro agenti condannati in via definitiva per la morte del 18enne Federico Aldrovandi durante un controllo il 25 settembre del 2005 a Ferrara: Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani.
Un’ovazione che riapre una ferita, fa scoppiare un caso.
I tre agenti presenti al congresso del Sap al Grand Hotel di Rimini, sono stati condannati dalla Corte di Cassazione il 21 giugno del 2012 per eccesso colposo in omicidio colposo a tre anni e sei mesi, tre anni dei quali coperti dall’indulto.
Oltre ai tre poliziotti in sala, nel caso Aldrovandi era coinvolta anche un’altra poliziotta, Monica Segatto, assente al congresso.
La madre di Federico. “E’ terrificante, mi si rivolta lo stomaco”, la reazione di Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, raggiunta dall’Ansa, all’applauso che la platea del Sap ha rivolto ai poliziotti condannati per la morte del figlio.
“Cosa significa? Che si sostiene chi uccide un ragazzo in strada? Chi ammazza i nostri figli? E’ estremamente pericoloso”.
E poi, nel suo profilo Facebook: “Il Sap applaude a lungo i condannati per l’omicidio di mio figlio: provo ribrezzo per tutte quelle mani. Pansa era lì?”, domanda Moretti.
Il capo della polizia, Alessandro Pansa, in realtà , intervenuto a Rimini, aveva lasciato il congresso del sindacato da alcune ore.
Nei social network e in Twitter tanti i commenti a sostegno di Patrizia Moretti e di condanna all’ovazione.
Nei mesi scorsi, scontata la pena residua, i quattro agenti sono stati riammessi in servizio, pur se con compiti impiegatizi e lontani da Ferrara.
Per protestare contro quella decisione e chiedere la radiazione degli agenti dalle forze dell’ordine è nato un movimento dal nome “Via la divisa”, che ha dato vita a unamanifestazione a Ferrara il 15 febbraio.
Una richiesta più volte ribadita a gran voce e con forza da Patrizia Moretti. “Di come morì Federico si sa tutto, ormai. Ma manca ancora una parte fondamentale. Il perchè. Loro (gli agenti, i funzionari della Questura, ndr) lo sanno. Io no”, aveva spiegato Patrizia che ha dedicato un libro al figlio dal titolo “Una sola stella nel firmamento”.
Le reazioni politiche.
”Trovo inaccettabile l’ovazione. Sono sempre stato dalla parte dei diritti di chi lavora in condizioni difficilissime per la sicurezza del Paese ma uno Stato di diritto sta in piedi solo se vengono rispettate le competenze di tutti i suoi corpi. La sentenza di quel terribile omicidio va rispettata da tutti”: cosi’ Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Pd.
Per Nicola Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel, ”gli applausi agli assassini di Federico Aldrovandi sono agghiaccianti e inaccettabili. Chi applaude quegli agenti applaude ad un crimine vergognoso e non è certo degno di vestire una divisa”.
ale e del governo”.
“Solidarietà mia, personale e del governo”.
Dopo il clamoroso applauso – di oltre cinque minuti – della platea del congresso, il premier Matteo Renzi ha chiamato Patrizia Moretti, la madre del giovane massacrato dagli agenti Paolo Forlani, Luca Pollastri e Enzo Pontani, e le ha offerto tutta la vicinanza sua e dell’esecutivo.
La replica del Sap.
“Intendiamo ristabilire la verità su questa storia”. E’ quanto fa sapere il Sap in merito agli applausi. “Rispettiamo le sentenze, ma abbiamo voluto esprimere solidarietà a questi ragazzi e a tutti coloro che fanno questo lavoro. Nessun imbarazzo”, dice il portavoce del Sap Massimo Montebove a Radio Capital.
Il silenzio, se non addirittura la connivenza, di certa destra italiana, di fronte a episodi come il caso Aldovrandi e l’automatica, aprioristica difesa delle forze dell’ordine, costituisce ancor oggi un vulnus ideologico per arrivare alla concezione di una destra moderna.
Se la destra è rispetto della legalità , non si possono operare distinguo: esistono solo due trincee, coloro che la difendono e coloro che la violano.
E se chi non la rispetta porta una divisa ciò costituisce semmai un’aggravante, non un salvacondotto.
Una destra vera, proprio per tutelare l’onore e il lavoro sottopagato di chi difende la comunità rispettando le regole, dovrebbe essere la prima a condannare, una volta che la sentenza è definitiva e i fatti acclarati, gli abusi dei singoli poliziotti.
Non esistono categorie astratte, esistono uomini e regole terrene e , come in qualsiasi corporazione sociale, chi sbaglia deve pagare.
Basta immunità , coperture e connivenze: siamo tra i pochi che da anni denunciano le condizioni in cui i vari governi hanno ridotto le nostre forze dell’ordine, ma dall’altra parte si abbia il coraggio di isolare chi ha disonorato la divisa che porta.
Non è compito di un sindacato difendere condannati in via definitiva, invitandoli a una passerella congressuale: il suo compito è cacciarli a tutela di tutti.
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Aprile 29th, 2014 Riccardo Fucile
ERA IL 25 SETTEMBRE 2005 QUANDO QUATTRO POLIZIOTTI LASCIARONO A TERRA SENZA VITA IL RAGAZZO DICIOTTENNE DOPO AVERLO MASSACRATO DI BOTTE
È quasi mattina — quella del 25 settembre 2005 — quando l’ambulanza del pronto soccorso arriva al parco pubblico di Ferrara.
La scena che si para davanti agli occhi del personale del 118 è impressionante: riverso a terra, privo di sensi, c’è un giovane, mani ammanettate dietro la schiena, lesioni ed echimosi ovunque.
Inutile il tentativo di rianimazione, i soccorritori non possono fare altro che dichiarare la morte per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale.
È solo l’inizio di quello che diventerà il “caso Aldrovandi”: il corpo è di Federico, studente di 18 anni, che la sera precedente aveva deciso di tornare a casa a piedi dopo aver trascorso la serata in un locale di Bologna.
Anni di indagini per ricostruire quella notte in cui incontrò i poliziotti della pattuglia “Alpha 4”, che lo lasciarono senza vita al termine di un violento scontro fisico.
Lo scorso settembre, la Cassazione li ha condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi di reclusione, oggi il Tribunale di sorveglianza ha confermato il carcere per Paolo Forlani, Monica Segatto e Luca Pollastri.
Il quarto, Enzo Pontani, sarà giudicato a fine febbraio. Sono stati ritenuti responsabili di aver ucciso il ragazzo a botte, calci e manganellate e di aver cercato di depistare le ricerche nelle ore successive.
UNA SENTENZA “STORICA”
Una sentenza “storica”, ha esultato l’avvocato della famiglia Aldrovandi, Fabio Anselmo, che ha travolto un «tabù» e cioè «la possibilità di censurare e sanzionare un intervento di polizia violento e al di fuori del diritto».
Ad avviso dei supremi giudici, era infatti da «escludere — come invece sostenevano i legali degli agenti – che la morte del ragazzo sia dovuta alla sindrome da “delirio eccitato” o alla assunzione di sostanze stupefacenti», in quanto, come accertato dalla perizia del massimo esperto di morti improvvise, il professor Di Thiene, l’esito letale era dovuto alla «pressione» esercitata dai poliziotti.
La violenza usata «aveva fatto sì che il cuore venisse schiacciato», determinando «infiltrazione emorragica e la cessazione della conduzione dello stimolo elettrico dagli atri ai ventricoli». Inoltre, «lo stato ipossico in cui versava il giovane — si legge nella sentenza della Cassazione – era comunque riferibile alla condotta realizzata dagli agenti, i quali avevano tenuto schiacciato il corpo del ragazzo contro il terreno, con manovre idonee ad innescare una asfissia posizionale».
LA RICOSTRUZIONE DELLA NOTTATA
Per la Suprema Corte, «lo stato di agitazione in cui versava il ragazzo», che faceva confusione per strada, da solo, in viaVelodromo, «avrebbe imposto un intervento di tipo dialogico e contenitivo».
Invece i poliziotti «sferrarono numerosi colpi contro Aldrovandi, non curanti delle sue invocazioni di aiuto» e la «serie di colpi proseguì anche quando il ragazzo era stato fisicamente sopraffatto e quindi reso certamente inoffensivo».
«Segatto lo colpiva alle gambe con il manganello, Pontani e Forlani lo tenevano schiacciato a terra, mentre Pollastri lo continuava a percuotere», ha ricordato la Cassazione sottolineando che gli agenti «posero in essere una violenta azione repressiva nei confronti di un ragazzo che si trovava da solo, in stato di visibile alterazione psicofisica».
E sono andati ben oltre l’impiego lecito dei «mezzi di coazione fisica consentiti dall’ordinamento per vincere una resistenza all’Autorità ».
I quattro hanno tenuto «condotte specificamente incaute e drammaticamente lesive» e la «consapevolezza di agire in cooperazione imponeva a ciascuno di interrogarsi sull’azione dei colleghi, se del caso agendo per regolarla, moderandola».
Invece la «reciproca vigilanza è mancata», il pestaggio è continuato «senza dissenso da parte di alcuno, sino all’arrivo dei Carabinieri e del personale di soccorso». Pessimo, poi, il «comportamento processuale» degli imputati che hanno «anche omesso di fornire un contributo di verità al processo da reputarsi doveroso per due pubblici ufficiali».
(da “La Stampa”)
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